Il letto della sofferenza è un altare su cui ripetere Gesù confido in Te.
Benedetta Frigerio, in "La nuova bussola" 03 aprile 2020
Alzano Lombardo è uno dei paesi più colpiti della Bergamasca. Si contano oltre settanta morti in tre settimane. Il coronavirus stava già uccidendo diverse persone, senza che i medici lo avessero riconosciuto. Per questo motivo al loro fianco c'erano ancora il cappellano, don Daniele Bravo, e suor Anna Maria Marconi, delle suore di Maria SS.ma Bambina.
Il 23 febbraio suor Anna è stata messa in quarantena da cui cerca di sostenere le famiglie parlando con loro al telefono. Mentre don Daniele ha scelto coraggiosamente di chiudersi in ospedale per stare accanto agli infetti. Don Filippo Tommaselli, parroco del paese, di fronte al dramma dell'impossibilità di celebrare i funerali ha cercato di «raggiungere ogni morto affinché tutti ricevessero almeno le esequie».
Anche lui prova a confortare il suo gregge: «Vedo una grande sofferenza fisica ma anche morale legata alla morte in solitudine dei propri cari, degli anziani relegati in casa che passano le giornate senza vedere e sentire nessuno». È una prova forte, ripete il parroco, ma «è come un parto affinché nasca una nuova vita, ne sono convinto: vedo la comunione e la fede, la ricerca di Dio della gente. La sofferenza non è facile da accettare ma se lo si fa può portare una purificazione e un cambiamento».
Anche per suor Anna è così: «Il mio servizio riguarda i giorni precedenti il 23 febbraio, quando la gente moriva già soffocata: ho imparato che il letto della sofferenza è un altare, lì non riesci più a recitare le preghiere magari, ma se accogli la sofferenza diventi preghiera tu. Ho spiegato ai malati che "su questo letto siete diventati professori universitari". "Ma no suora - rispondevano - ho fatto la quinta elementare". E io: "Oggi nessuno insegna ai giovani come si soffre, invece voi potete educare quelli della vostra famiglia a capire dove si prende il significato del dolore per poterlo attraversare". "Come si fa?", chiedevano. E io "Ripeti solo: "Gesù io confido in te, Gesù mi affido a te, abbandonati a colui che per amore è morto e risorto per te". L'esito è che quando accolgono la sofferenza in Dio, poi vivono la letizia e la pace. Ci sono malati che mi hanno detto, dopo essersi confessati, che erano anni che non provavano la pace che ora stavano sperimentando, eppure fisicamente soffrivano. Ma anche quando non potevano parlare, perché ansimavano sotto i caschi della Cpap, li guardavo, davo loro la mano, una carezza, pregavo per loro mentre don Daniele dava i sacramenti e vedevo che si spegnevano serenamente. "Io sono con voi sempre", ci ha promesso il Signore, figurati quindi se ci abbandona proprio quando soffriamo come ha sofferto lui».
Però ora c'è anche chi muore solo e senza sacramenti: «"Rinnova la tua fede", mi ripeto davanti a questa realtà, perché se il Signore ci ha voluto da prima della creazione del mondo, come dice san Paolo, vuoi che Dio non sia lì a confortare questa persona che lo cerca?». Certamente però questo momento ricorda a tutta la Chiesa che «bisogna educare alla sofferenza affinché, quando questa si presenta, gli uomini siano pronti a viverla. La società di oggi la rifiuta, insieme alla morte, ma ora non è più evitabile. Allora forse la gente oggi è più pronta a cercare di capire come viverla senza disperarsi. Come viverla con Gesù, ma bisogna cominciare fin da piccoli, insegnando la pazienza, l'offerta dei piccoli sacrifici a Dio, la vittoria di Gesù sulla morte».
In questo senso l'enciclica Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II è un capolavoro di speranza, che parla del dolore accolto in Cristo come pieno di grazia e letizia, come chiamata a vincere il peccato in cui il mondo è immerso, tanto più quanto più è lontano da Dio. Una via che andrebbe mostrata con vigore agli uomini di questo tempo: «Sì bisogna tornare lì, al miracolo della sofferenza che diventa salvezza, vita eterna».
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