Il messaggio di Fatima andare in Cielo o non andarvi
L'esordio
Il 13 maggio del 1917 era una domenica. Alla mattina si andava naturalmente a Messa e l'attività del pascolo iniziava dopo le sacre funzioni, perché le pecore mangiano anche di domenica. I bambini, dopo la celebrazione, presero il piccolo gregge e prima di mezzogiorno raggiunsero Cova de Iria. Pranzo, pascolo e giochi.
Mentre giocavano, videro un lampo nel cielo e subito pensarono che stesse per arrivare un temporale. Lucia, essendo la più grande, diede subito ordine di rientrare. I piccoli girarono e videro sulla chioma di un piccolo elce (ad una altezza non superiore ad un metro da terra) una signora tutta illuminata, tant'è che anch'essi si sentirono avvolti dalla luce. Racconta Lucia: "Era una signora vestita di bianco più splendente del sole, emanava luce più chiara e intensa di quella di un cristallo pieno di limpida acqua, attraversata dai raggi più ardenti del sole".
In pieno sbigottimento, la signora parlò loro rassicurandoli: "Non abbiate paura, non voglio farvi del male". Sorrise loro tristemente. Lucia si fece coraggio e domandò: "Da dove venite?". La risposta della Madonna: "Sono del Cielo". La parola "Cielo" sarà ricorrente in tutte le apparizioni, dobbiamo ricordarla perché è parola chiave delle apparizioni di Fatima. Seguiranno fenomeni particolari nel cielo, in uno scenario straordinario: la visione della Sacra Famiglia, di Gesù benedicente, proprio lassù in alto …Per il momento ci basti sapere che la Vergine definisce la sua patria, il luogo dal quale è partita per arrivare a Fatima: è il Cielo.
Le cose del cielo dicono altezza, alterità, trascendenza. I bambini capiscono subito che la signora non è una donna qualunque, perché non è di questo mondo. È una parola che anche noi diciamo nel Padre nostro: "Padre nostro che sei cieli". Con tale termine vogliamo significare che non ci rivolgiamo ad un padre secondo la nostra natura carnale, ma si tratta di un padre di altra natura, divina e trascendente. Afferma san Paolo: "Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù" (Col 3,1): il richiamo alle cose del cielo, alla trascendenza, a lassù non è una novità. Cosa c'è lassù? "Dove si trova Cristo alla destra di Dio (Padre, di Dio Figlio, di Dio Spirito Santo). Pensate alle cose di lassù non a quelle della terra" (Col 3,1-2).
Questa realtà divina trascendente è negata dall'uomo della modernità: non esiste per lui una dimensione ultraterrena verso la quale proiettare i propri desideri, ma è importante solo quello che si può vivere e realizzare nel mondo visibile. Allora vi pongo una domanda: il matrimonio, per esempio, è una cosa di lassù o di quaggiù? E l'educazione dei figli? Il lavoro è una cosa di lassù o quaggiù? Mi rispondete che è di quaggiù. Ma allora perché san Paolo dice di pensare alle cose di lassù? Dobbiamo pensare alle cose di lassù solo quando siamo in chiesa o preghiamo? Non abbiamo capito niente!
Con l'Incarnazione del Verbo, il "lassù" è venuto "quaggiù", e con il sacrificio di Cristo, quindi con la Messa, il quaggiù è divenuto lassù. Perciò noi chiamiamo le cose di lassù tutto ciò che, anche umano e materiale, è salvato dalla divino-umanità del Cristo: il lavoro, il matrimonio, le amicizie ... Nell'Oriente cristiano non usa la distinzione tra la vita presente e la vita eterna, ma si preferisce parlare di vita corruttibile e vita gloriosa che, dopo la risurrezione del Signore, sono in continuità tra loro.
L'eterno si è fatto presente, ed io ora, se vivo in Grazia cioè moralmente di fede, sono in qualche modo del Cielo. Dovremmo scriverlo all'anagrafe e sulla carta di identità … Dove abiti? Nei Cieli. Certo, se sono già risorto con Cristo, questo è il mio luogo reale. Che poi col corpo viva a Roma o a Forlimpopoli, è un dettaglio, una quisquilia. Non è quella la mia patria reale, non dico domani, ma anche oggi.
L'uomo moderno invece ragione così: "Non so se le cose di lassù esistano, ci penserò solo quando morirò, per ora mi concentro su quelle che veramente contano, quelle di quaggiù". Ahimè, egli deve sapere che quando morirà i giochi saranno fatti.
Tutta la filosofia moderna che deriva da Cartesio e dall'idealismo tedesco nega il trascendente …Le cose di lassù non sono indagabili, quindi non importano e l'orizzonte diventa solo quello terreno.
Anche i buoni si sforzano di sistemare alla meglio le cose della vita terrena che solo interessano, impegnandosi magari per la giustizia e la legalità, ma senza alcun richiamo alla vita del Cielo. Com'è diversa la realtà dei fatti!
Scrive Divo Barsotti: "Non c'è più differenza tra terra e cielo. La terra è già diventata cielo perché nulla Dio ci sottrae di Sé. Viviamo la stessa realtà".
Non c'è più una reale separazione tra la terra e il cielo se viviamo la stessa realtà del Cristo risorto. "Non sono più io che vivo, è il Cristo che vive in me", dice san Paolo; ma per mantenere viva la memoria di questa presenza, dobbiamo tenere gli occhi elevati al Cielo. L'elevazione dello sguardo e del pensiero verso l'alto ci aiuta a liberarci dalle pastoie e dai legacci della mondanità. Guardare in alto ci aiuta nel momento delle prove e delle difficoltà, soprattutto quando le persone del mondo ci bombardano dicendo che il Cielo non esiste, che sono tutte fantasie e invenzioni dei preti.
Lucia è una bambina molto pratica, senza fronzoli. Domanda: "Che cosa volete?". "Sono venuta a chiedervi di venire qui per sei mesi di seguito il giorno 13 alla stessa ora". La Madonna dà degli appuntamenti. Li ha dati a Lourdes, li dà anche a Fatima. Chiede di venire con regolarità. Anche in questo non c'è solo un dato tecnico comunque importante per la realtà, ma anche un significato spirituale: c'è un messaggio progressivo, non si coglie tutto in un colpo solo.
Anche nel nostro cammino c'è una maturazione, sia umana che spirituale: non rimaniamo sempre quello che siamo. Si cresce, si cammina, ma per fare questo occorre andare regolarmente e con costanza al luogo della Vergine, ossia alla preghiera, alla Comunione, all'incontro. Noi uomini non siamo angeli che imparano tutto in un momento solo (per forza, vivono fuori dal tempo): noi entriamo nella Verità pian piano, e abbiamo bisogno di costanza, di impegno, di regolarità. Non si conquista nulla se non con fatica e sudore.
"Poi vi dirò chi sono e cosa voglio. Tornerò qui ancora una settima volta", informa la Madre di Dio.
Quando Lucia si rende conto che la signora viene dal Cielo, si fa audace. Chiede: "Verrò io?". Pensa subito a sistemare le cose eterne. Pensa subito a sistemare le cose eterne. "Si, ci andrai" risponde la Madre di Dio. Messa a posto la faccenda principale, la propria sorte, Lucia pensa anche agli altri: "E Giacinta?". "Sì, ci andrà". "E Francesco?", "Ci andrà anche lui, ma prima dovrà recitare molti rosari".
Fermiamoci su queste domande di Lucia. Abbiamo detto, un po' sorridendo, che la bambina cerca di assicurarsi il futuro, ma in realtà la domanda della pastorella è molto giusta, perché il vero problema della vita è proprio quello di andare in Cielo o no. L'unica cosa che conta, alla fine, non è quello che avremmo realizzato sulla terra, luogo dove tutto si corrompe e consuma, ma quello che abbiamo vissuto diverrà eterno nell'Amore infinito di Dio.
Anche noi, sommersi da tanti piccoli e grandi problemi in terra, che si risolvono o che non si risolvono, di lavoro, di affetti, di ingiustizie, realizziamo amaramente che tutte le cose della terra passano. "Passa la figura di questo mondo" (1 Cor 7,31), ammonisce la Scrittura. Ed è fin troppo vero. Tutto scorre. Il vero, unico grande problema è che cosa ne sarà di noi e dei nostri cari dopo la morte, visto che c'è un'eternità che non passa. Io dove sarò dopo la morte? La sostanza di tutto il messaggio di Fatima è questo: andare in Cielo o non andarvi. Tutto ciò che poi chiederà la Madonna ai pastorelli sarà per questo: strappare le anime che sono sulla via di non andarci affinché ci vadano. La spiritualità di Fatima è tutta escatologica.
Divo Barsotti scrisse che la spiritualità monastica della sua Comunità è triplice: escatologica, liturgica e contemplativa. Spiritualità escatologica significa vivere la vita di amore della terra in ordine al Cielo. Se togliamo la vita eterna, qui in terra nulla di amore gratuito ha più senso. Ecco perché don Divo Barsotti diceva che la così detta teologia della liberazione è una teologia decapitata, cioè senza testa. C'è un corpo, ma senza organo direttivo che dirige il corpo al suo fine, che è eterno. È come camminare senza la meta e il punto di approdo.
Una volta don Divo Barsotti fu invitato ad un Consiglio presbiterale a Firenze, in cui era presente anche Giorgio La Pira (oggi sono entrambi in processo di beatificazione). Santo l'uno e santo l'altro, ma quella volta litigarono, perché avevano due visioni di cristianesimo divergenti: tutta tesa alla socialità e al bene comune quella di La Pira, tutta tesa alla santità interiore e al Cielo quella di don Barsotti. A dieci anni dalla morte del sindaco santo, don Barsotti fu invitato a farne un ricordo pubblico; nel suo intervento ricordò quell'antico episodio e commentò: "La Pira aveva paura del mio cristianesimo troppo escatologico ma fondativo".
Egli si fondava sull'espressione paolina e " Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto per questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini" (1 Cor 15,19), che è pur parole di Dio. Se crediamo in Cristo solo per la vita di quaggiù, dice l'apostolo, facciamo pena. Vuol dire che la vita di quaggiù è in ordine alla vita di lassù.
Tuttavia la vita di quaggiù è molto irta: Francesco Marto per guadagnare il Cielo con la carità deve dire molti rosari. Quando ho letto questo mi sono sgomentato. E io allora? Francesco era un contemplativo (aveva nove anni), il peccato massimo che aveva fatto era di aver tirato dei sassi nel cortile del vicino (lo dice lui stesso), e se lui era così, io quanti rosari dovrò dire?
Bisogna purificarsi molto. Prima della via unionis c'è la via della purificazione, e non a caso, quando si ha una forte esperienza di Dio, si sente subito il bisogno di purificarsi e di fare penitenza.
Non si può andare a Dio con leggerezza, come se il peccato non avesse alcun peso. Il richiamo al Cielo e alla realtà escatologica oggi è necessario, perché pare essersi dissolta la dimensione del giudizio di Dio sulla nostra vita e quindi la necessità della nostra purificazione.
Facilmente, quando muore qualcuno, lo si pensa subito in Paradiso. Ma i Novissimi sono quattro più il pre - paradiso o purificazione ultraterrena e tali rimangono: morte, giudizio, Inferno e Paradiso. Parlando di queste cose, una volta in un'omelia (mi trovavo in una cittadina della Toscana) dissi alla gente che era appena giunto un decreto del vaticano che dichiarava aboliti due dei quattro Novissimi: il giudizio e l'Inferno. Ne rimanevano solo due: la morte il Paradiso, per cui uno appena moriva, non essendoci altro, andava subito in Paradiso. Dopo la Messa venne una signora in sacrestia e mi disse che era contentissima della notizia ricevuta quella mattina … Mi toccò precipitarmi in chiesa e dire a tutti i presenti che la mia battuta era stata evidentemente un paradosso per parlare del tema di quella domenica, che era appunto il giudizio di Dio e la vita eterna, ma che i Novissimi rimanevano quattro.
Qual è il problema che sottende tale mentalità? Dio è amore, è buono, quindi non può condannarci. Egli è così buono che alla fine ci sarà la grande assoluzione generale. Questo è quello che possiamo pensare noi, ma la Madonna di Fatima non è affatto in questa linea. Tra la morte e il Paradiso c'è una purificazione dalla pena conseguenza della colpa anche perdonata; se non la facciamo qui sulla terra, la faremo in seguito. Difatti subito dopo la notizia dei molti rosari che avrebbe dovuto dire Francesco, forse un po' intimidita, Lucia chiede: "E Maria do Rosario di José das Nves è in Cielo?". "Sì", risponde la Signora. "E Amelia?". "È ancora in Purgatorio, e vi rimarrà fino alla fine dei tempi". Qui Lucia smette di chiedere, non perché abbia esaurito le persone care, ma perché alla notizia che Francesco, che è suo cuginetto ed è uno stinco di santo, deve dire molti rosari, si aggiunge il fatto che l'altra persona amica deve stare in Purgatorio fino alla fine dei tempi; non sia mai – avrà pensato – che alla prossima persona mi dica che è finita all'Inferno …Di fatto la Madonna è molto semplice e lineare: mi hai chiesto? E questa è la risposta: il Purgatorio c'è e ci si sta pure a lungo.
Non tutti si salvano immediatamente. Quando parliamo di morte, Purgatorio, Inferno, Paradiso dobbiamo essere più sobri. Una volta nella Chiesa, quando vi era un funerale, si pregava per il suffragio dell'anima del defunto, si chiedeva a Dio che purificasse la pena dovuta ai suoi peccati. Noi non diciamo che quella persona sia salva o dannata (che ne sappiamo noi?), ma dobbiamo chiedere a Dio, anche se la persona era molto retta, buona, che purifichi i suoi peccati veniali e la pena ancora presente; noi ci dimentichiamo di questo se la pensiamo già sicura in Cielo! Certo, in tal maniera (non pregando per il loro suffragio non rendiamo ai nostri cari un gran servizio, perché di fatto omettiamo di pregare per loro).
Quando si sono esaurite le domande di Lucia, la Madonna prende l'iniziativa, con la domanda principale dell'apparizione di Maggio. Non è una novità perché l'angelo l'aveva già preannunciata: "Volete offrirvi a Dio per sopportare tutti i dolori che Egli vorrà mandarvi in atto di riparazione per i peccati con cui è offeso e di supplica per la conversione dei peccatori?". A nome di tutti Lucia risponde: "Sì, lo vogliamo".
Quello che chiede la Madonna è qualcosa di grandioso. Prima di tutto: "Volete offrirvi?". Offrirsi vuol dire donare tutti noi stessi, ossia, in pratica, vivere per l'altro. "Nessuno vive per se stesso" (Rm 14,7), afferma la Scrittura. E anche. "Voi non appartenete più a voi stessi" (1 Cor 6,19). Noi non siamo nostri, se siamo cristiani. La domanda allora è semplice: volete vivere quello che già siete in forza del vostro battesimo? Questo è il senso della consacrazione battesimale. Un calice consacrato non può più essere usato per bere la birra, un altare consacrato non può essere usato per altri scopi profani. È consacrato, appartiene a Dio, è cosa sacra. Noi con il battesimo e poi con la consacrazione a Dio nella Comunità, siamo offerti, consacrati e non possiamo più essere usati per cose profane.
"Volete offrirvi?", ossia: volete non più vivere per voi stessi, ma per la missione che oggi vi do? Sì. Lo vogliamo. Subito, allora, ecco il contenuto della missione: sopportare i dolori che Dio vuole mandare. Ahi, che botta! I bimbi avrebbero potuto sgomentarsi, chiedere altre missioni più leggere e facili, ma non lo fanno. Ecco la loro grandezza: ascoltano ed eseguono, perché sanno che si tratta di una cosa di Dio.
Qui si tratta di una cosa che stride alle nostre orecchie: i dolori li manda Dio. Non siamo abituati a pensare questo, tanto che quando ci arriva una grande sofferenza commentiamo: Dio non è giusto, non è buono. Ma se Dio permette i peccati (e anche i nostri peccati per il libero arbitrio per cui possiamo amare) significa che permette anche la sofferenza. La sofferenza viene come conseguenza dei peccati e vi è un legame misterioso tra la sofferenza e l'assunzione delle conseguenze dei peccati.
Lo vediamo nel Getsemani. Gesù assume i peccati del mondo e nella Passione del Signore non vi è una sofferenza maggiore di quella. A noi sembrano più impressionanti le violenze fisiche sul corpo del Cristo, la flagellazione, la coronazione di spine. Anche noi a volte abbiamo avuto delle sofferenze dovute a incidenti che hanno ferito il nostro corpo, e se immaginiamo una flagellazione inorridiamo, ma la pena del Getsemani non sappiamo realmente cosa sia. Nell'orto degli ulivi nessuno tocca il corpo di Gesù, ma l'angoscia è tale che gli scoppiano letteralmente le vene provocando la sudorazione di sangue. "La mia anima è triste fino alla morte" (Mc 14,34), dice Gesù in quell'ora. Non dice tali parole mentre è sulla croce o porta la croce … Lì pensa agli altri: "Padre, perdona loro …" (Lc 23,34), parla con le donne di Gerusalemme: "Piangete voi e sui vostri figli …" (Lc 23,28). Nel Getsemani Gesù assume il dolore del mondo, soffre in modo indicibile, e da quel momento sappiamo esservi un legame tra il dolore liberamente accolto, offerto e la salvezza del mondo.
Dio non manda i dolori. Essi ci sono già perché sono le conseguenze di tutti i peccati del mondo. Per annullarli nella misericordia e nella pietà, Dio ci fa sapere che si può collaborare vivendo la stessa missione del Cristo, accettando di soffrire con Lui.
Dio quindi ci chiede non tanto di essere materialmente flagellati o crocifissi, ma di stare con Lui nel Getsemani, proprio come domandò a Pietro, Giacomo e Giovanni. Ai tre apostoli non fu chiesto di essere coronati di spine insieme a Gesù, ma di stare svegli nel Getsemani. Era un'opera difficile? No, eppure non furono capaci di farlo.
La Madonna chiede ai pastorelli la missione della riparazione dei peccati e la supplica per la conversione dei peccatori. Dunque, quando accetto di sopportare i dolori faccio due cose: riparo i peccati e ottengo la grazia della conversione dei peccatori.
Nella preghiera che in Comunità si recita dopo la santa Messa, noi diciamo a Dio: "Distruggi tu medesimo questa vittima", ossia chiediamo di essere consumati come vittima insieme a Cristo. Ci poniamo sull'altare dicendo: usa Signore me stesso, il mio corpo, le mie facoltà, le mie volontà per la riparazione e la conversione dei peccatori. E quando ci siamo consacrati il sacerdote ci ha chiesto: "Vuoi seguire Gesù Figlio di Dio fino alla morte di Croce?", noi abbiamo risposto: "Sì, lo voglio". Ma prima della morte di croce c'è l'orto del Getsemani, l'assunzione dei peccati del mondo insieme a Cristo e in Lui.
Questa è la più profonda missione del cristiano, il vero atto di carità. E non pensiamo che sia una cosa da supereroi: la Madonna l'ha chiesta a tre bambini.
L'esordio della prima apparizione è dunque fortissimo. "Volenti o nolenti noi siamo delle vittime nella misura in cui vogliamo essere cristiani", scrive don Divo Barsotti. E continua: "Perché Dio permette il dolore? Perché ci ama, e quindi ci chiede di unirci a Lui nell'atto di carità più grande". È l'atto redentivo che toglie i peccati e fa guadagnare la vita eterna. Il bene sommo delle anime è la vita eterna, non vi è dubbio. Qual è il bene sommo dei vostri figli? La vita eterna. Vuoi collaborare perché vadano in Paradiso? Offri te stesso come hanno fatto Lucia Francesco e Giacinta, disposto a pagare di tasca tua, con la sofferenza, "quanto manca alla Passione di Cristo".
Questo "pagare" è l'atto cristiano per eccellenza e Gesù ce ne dà l'esempio nella parabola del buon samaritano. La vera grandezza del samaritano non è solo il fermarsi a soccorrere l'uomo sulla strada, ma quella di portarlo alla locanda e di chiedere all'oste di terminare le cure che poi avrebbe pagato al suo ritorno. Se noi andiamo lungo una strada solitaria e improvvisamente vediamo un uomo caduto in bicicletta in un fosso, sanguinante e semisvenuto, ci fermiamo subito; è un atto che viene spontaneo. Poi magari col telefonino chiamiamo l'ambulanza e quando arrivano i soccorsi continuiamo per la nostra strada …Non è questo l'eroismo del samaritano. Nella parabola, egli stravolge la sua giornata doveva andare a Gerico a vendere tappeti e aveva programmato ottimi affari. Ma davanti a quell'uomo dice: no, non vado, e anche se arriverò in ritardo e perderò i miei clienti di Gerico, poco importa. Non solo quindi i primi soccorsi al malcapitato, ma lo carica sull'asino, lo porta alla locanda, lo cura nel modo più appropriato e poi dice questa grande parola: pago io. Noi forse avremmo chiesto alla persona ferita: "Chi sono i tuoi figli? Li vado a chiamare. Così sapranno che sei in una locanda, arriveranno e pagheranno loro". No, egli, questo sconosciuto squalificato da samaritano come eretico, dice: pago io. È la parola cristiana più elevata.
Ebbene, il buon samaritano fa questo un solo giorno, mentre la Madonna chiede ai tre bambini se siano disposti a farlo tutti i giorni della loro vita: "Volete pagare voi tutti i giorni per le persone che troverete sulla strada, di cui il mondo è pieno?".
Fatima ci porta ad una dimensione terribile: la vita eterna o la dannazione eterna.
Siccome vivere tra due abissi non è semplice, l'uomo medio, per evitare di precipitare nell'uno o nell'altro, fa tutto come se ogni cosa si dovesse risolvere nei pochi giorni della vita terrena, e si occupa dei suoi affari, come gli invitati a nozze che non vanno perché devono pensare ai campi, al lavoro, al matrimonio …
Scriveva Pascal: "Gli uomini, non avendo potuto guarire dalla morte, dal problema della miseria e dell'ignoranza, hanno risolto, per vivere felici, di non pensarci".
C'è davanti a noi l'orizzonte finale del Cielo o della dannazione, e cosa facciamo per affrontarli? Non ci pensiamo. Ci distraiamo e così riempiamo la nostra giornata delle preoccupazioni del lavoro, della vanità del mondo, del tipo di vestito da mettere e dove andare in vacanza.
I bambini invece sono assolutamente collocati nella dimensione del "pago io". La Santa Vergine fa capire loro che l'atto di carità più grande è di collaborare alla salvezza eterna e quindi dice: "Il destino del mondo dipende da voi". L'importanza di tale missione risulterà in modo chiarissimo soprattutto in Giacinta.
Se la Madonna vi apparisse questo pomeriggio e vi dicesse: il destino del mondo dipende da voi, voi direste: non era la Madonna. È palese: chi sono io per avere in mano il destino del mondo? Ci penserà bene il Signore, oppure i santi …Invece i fanciulli rispondono, senza pensarci un attimo, il loro fiat.
Proprio Colei che stava davanti a loro aveva detto molto tempo prima "fiat" ad una domanda simile, seppure non posta ovviamente in questi termini. Si perché l'opera è propria di Dio e l'accoglienza è propria dell'uomo. L'angelo Gabriele chiese alla fanciulla quindicenne di Nazareth: "Vuoi diventare Madre di Dio?" (Lc 1,26ss). Non le parlò di corredenzione; questo risultò successivamente, ma proprio in conseguenza del suo sì.
Prima discepola, poi maestra: Maria accoglie il piano di Dio su di Lei, e accogliendolo diventa collaboratrice prima della missione universale di salvezza del Verbo divino. Che tipo di vita si sarebbe sviluppata dalla sua docilità alla parola dell'Angelo, Ella fidanzata a Giuseppe non sapeva, ma sapeva in chi stava riponendo la sua fiducia, (certa che Dio sapienza infinita non può sbagliare, bontà infinita non può ingannare).
Da discepola poi diventò maestra, perché quanto si insegna non è teoria spirituale, ma vita vissuta sulla fiducia. La Madonna non ha nessun titolo teologico alla Gregoriana di Roma, ma non parla mai per sentito dire: chiede ciò che ha vissuto lei per prima di tutti e più di tutti. Viene a noi e dice: "Quanto chiedo io l'ho già fatto. Non temere". Dal fiat procede la sua missione di "corredentrice", in modo eminente. Con analogia e le dovute differenze, anche i pastorelli possono diventare corredentori; occorre solo il loro "fiat".
Quando hanno detto sì, la Vergine li conforta immediatamente: "Bene. Dovrete soffrire molto, ma la grazia di Dio sarà il vostro conforto". Il sostegno per sopportare il peso della missione e le sue inevitabili fatiche non consiste in beni materiali, gite premio a Gardaland (sono pur sempre bambini …) o un futuro assicurato in banca per Francesco e un matrimonio con un principe per le fanciulle. Figuriamoci se ci dobbiamo consolare dalla sofferenza con beni materiali o stati psicologici di benessere!
Quando si soffre per redimere, la consolazione e la forza ci viene dalla grazia di Dio, che è l'assenza del peccato. Il santo in genere soffre molto, ma ha sempre una grande pace interiore. L'assenza del peccato è il vero conforto. Lo sapeva bene san Paolo, il quale aveva una spina nella carne che gli faceva male atroce, e per questo pregò il Signore tre volte perché gliela togliesse (2 Cor 12,8). Notate la sottolineatura; "Per ben tre volte", e ciò significa che in genere san Paolo pregava una volta sola per ottenere grazie, massimo due. Qui invece alla terza volta non ottiene nulla, anche perché il Signore si premura di fargli sapere che quella spina non è occasionale, ma è voluta da Lui perché rimanga umile: "Ti basti la mia grazia" (2 Cor 12,9). Come a dire: sei nella grazia, non sei nel peccato, ti basti questo!
Va bene anche per voi? Quando state male, vi basta che sia sufficiente essere in grazia di Dio, oppure vorreste eliminare il dolore in qualche modo? Certo dobbiamo curarci, se possibile, ma il vero problema è se sono o meno in grazia di Dio. Secondo la moglie infedele del profeta Osea, sono gli amanti che danno (falsa) sicurezza con i loro doni materiali: olio, lana, cibo e bevande (Os 2,4ss). Una Gomer (la moglie di Osea) odierna direbbe che gli amanti regalano un appartamento, una Mercedes, dieci pellicce e uno stipendio da diecimila euro al mese. L'amante è quello che ti dà una soddisfazione immediata per superare il dolore del vivere. I beni materiali però illudono, non danno alcuna vera consolazione, anzi semmai aumentano i problemi.
La consolazione vera è la grazia di Dio. Oggi si ha difficoltà a parlare di questo, basti pensare al crollo delle confessioni. La gente si confessa poco, sempre meno. Qualche anno fa andai in pellegrinaggio a Banneux in Belgio e un missionario italiano là residente mi disse che quei pochi cattolici che sono rimasti praticamente non si confessano più, anche perché i preti non confessano. Se qualcuno chiede di confessarsi, può sentirsi rispondere dal sacerdote he egli, per un motivo o per l'altro, non confessa, forse perché non crede fino in fondo nemmeno lui al sacramento …Dicono che sia sufficiente pentirsi nel cuore. Non tutti fanno così, ma anche se fossero una minoranza, ciò creerebbe una diminuzione del senso della necessità della confessione sacramentale. Inoltre, anche qui da noi in Italia, molti non sanno confessarsi. Pochi vanno al confessionale veramente contriti e desiderosi di una vera confessione.
Torniamo alla nostra apparizione. La Madonna spiega, con un gesto, cosa voglia dire vivere in grazia di Dio. "Ci comunicò – ricorda Lucia – una luce molto intensa, un riflesso che partiva da Lei che penetrandoci nel petto e anche nel più intimo dell'anima, svelava noi a noi stessi in Dio, ci faceva vedere come eravamo in Dio, più chiaramente di quanto noi vedessimo noi stessi in uno specchio. Allora per un impulso intimo cademmo in ginocchio e dicemmo: santissima Trinità io vi adoro, vi amo nel Santissimo Sacramento".
La visione del 13 maggio si conclude con l'invito della Vergine a recitare la corona del rosario tutti i giorni per ottenere la pace nel mondo e la fine della guerra. La Madre si congeda con un compito: pieni di luce i piccoli devono pregare perché finisca la guerra mondiale (mentre sappiamo che essi non sapessero neppure lontanamente che ci fosse una guerra. Quindi, di sicuro non potevano inventare).
La cronaca dice che, rientrando a casa, Lucia intimò di non dire niente a nessuno e gli altri accettarono. Ma Giacinta, appena arrivata, raccontò tutto: "Abbiamo visto la Madonna!". Il papà, un uomo intagliato nella roccia, sulla parola della figlioletta credette immediatamente. Quando poi in seguito gli chiederanno il perché di questa subitanea adesione, risponderà: "I miei figli non mi hanno mai detto bugie". Il villaggio era piccolo e la notizia rapidamente si sparse, mentre per il momento a casa di Lucia non si sapeva nulla (era stata brava: non aveva parlato). La mamma di Lucia imparò la cosa il giorno dopo dalle comari del paese e se la prese subito con la figlia, che con la sua fantasia e invenzione si era resa ridicola agli occhi di tutti.
Per tanto tempo la mamma ostacolò la figlia. Racconta Lucia: "mia mamma un giorno, prima che uscissi col gregge, volle obbligarmi a confessare che avevo mentito. Non mi risparmiò schiaffi, carezze, minacce e neppure il manico di scopa. In risposta ottenne il mio silenzio o la conferma di ciò che avevo detto. Mi mandò a liberare il gregge, insistendo che io ci pensassi bene lungo il giorno. Che ella non aveva mai permesso una qualsiasi bugia nei suoi figli, tanto meno ne avrebbe lasciato passare una di questa specie. A sera, mi avrebbe obbligata al andare da tutte le persone ingannate a confessare d'aver mentito e a chiedere perdono".
Al rientro invece la madre condusse Lucia in paese dal parroco. Le intimò minacciosa: "Arrivata là, dirai che hai mentito, ti metterai in ginocchio, gli chiederai perdono, hai capito? Dagli le spiegazioni che vuoi. O tu disinganni la gente confessando che hai mentito o ti chiudo in camera, così non potrai più vedere la luce ".
La Madonna l'aveva predetto: dovrete soffrire molto! Non tanto nel mangiare le ghiande o fare altre penitenze, quanto vedere una mamma che non crede alla figlia e le dà ripetutamente della bugiarda. La bambina (ha dieci anni, non scordiamo mai questo) si sente isolata in casa. Ma la grazia sarà il suo conforto. Iniziando a soffrire immediatamente, Lucia diventerà una formidabile maestra di vita.
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