La grande svolta rispetto ai due Papi precedenti


La chiesa di Francesco non parte dai diritti umani - e si interessa della libertà religiosa solo per quanto riguarda i cattolici – ma dai diritti sociali.

Di Matteo Matzuzzi in "Il Foglio Quotidiano" sabato 1 febbraio 2020

All'inizio de "I due Papi", il film di Fernando Meirelles su Netflix, si vede una scena in cui il cardinale Jorge Mario Bergoglio celebra la messa in mezzo alla strada, tra la folla di un quartiere di Buenos Aires. Poveri, case fatiscenti, fedeli in devoto ascolto di un vescovo che quasi li arringa con la parola di Dio e che si prende i buu degli astanti quando confessa di essere devoto non solo di san Lorenzo, ma anche del san Lorenzo, la squadra di calcio.

È un'immagine che rende bene l'idea della chiesa latinoamericana, stretta fra la secolarizzazione incalzante, il prosperare felice delle sette che promettono felicità e prosperità, e il ciclico ritorno all'ordine del giorno delle istanze del Cristo rivoluzionario, forse addirittura paramarxista, secondo una lettura ideologica del Vangelo. Anni fa, non appena si insediò il papa preso quasi alla fine del mondo, non pochi osservatori puntarono lo sguardo proprio su quel grande continente, serbatoio di fede vera e viva ma fragile, delicata come un cristallo. Eternamente scossa da sommovimenti tellurici capaci di rendere sempre più evidenti le crepe. Giovanni Paolo II si era perso l'America latina, dicevano in parecchi: la lotta indefessa alla Teologia della liberazione, le umiliazioni pubbliche in mondo visione ai suoi maestri - come quella a Ernesto Cardenal in ginocchio all'aeroporto di Managua e il Papa con dito severo lo ammonisce per tutti i suoi misfatti - l'espulsione dalle università di teologi in odore di comunismo. Una sostanziale incapacità di capire quel che stava accadendo a quelle latitudini era l'accusa esplicita. L'ossessione per il comunismo del Papa polacco lo aveva arroccato in una posizione di difesa, per gli altri non c'era possibilità di ascolto a Roma, solo condanna, era la tesi. Perfino Oscar Romero, il santo salvadoregno restò perplesso dopo gli incontri con Karol Wojtyla. Nel corso di un'udienza avvenuta nel 1980, Giovanni Paolo II si mostrò comprensivo con Romero, aggiungendo però che "bisogna difendere molto, con impegno la giustizia sociale e l'amore verso i poveri, ma bisogna stare anche molto attenti alle ideologie che si possono infiltrare in questa difesa dei diritti umani, che a lungo andare sono altrettante offese ai diritti umani". Era l'inverno di cui parlava Leonardo Boff, teologo della liberazione. Un inverno durato decenni e terminato solo con l'elezione dell'argentino Bergoglio al papato.

A ogni modo, quella di essersi perso l'America latina è un'accusa esagerata, disse lo storico Daniele Menozzi conversando con questo giornale, anche se 'vero che la linea di condotta di Giovanni Paolo II ha portato alla perdita di alcuni sentieri di sviluppo della chiesa dell'America latina, riconfigurata all'interno di un perimetro che non si poteva oltrepassare'.

'Non penso che l'America latina sia stata persa a causa della guerra di Giovanni Paolo II  alla teologia della liberazione', dice oggi al Foglio Massimo Introvigne, direttore del Cesnur (Centro studi nuove religioni).'E una tesi diffusa ma i numeri non la confermano. In effetti il passaggio di cattolici al protestantesimo inizia prima di Giovanni Paolo II, sotto Paolo VI, ed è particolarmente rilevante nei paesi come il Brasile, dove la teologia della liberazione ispira ampiamente la pastorale. E i cattolici che lasciano la chiesa non passano a forme di protestantesimo liberal ma a un protestantesimo solitamente di marca pentecostale che sui temi etici e politici è più conservatore della chiesa cattolica. Dunque per usare una metafora politica, la chiesa in America latina perdeva (e continua a perdere) fedeli 'a destra' e non 'a sinistra'. Semmai, con Giovanni Paolo II c'è stato un piccolo recupero dovuto che prima di lui i vescovi latinoamericani (ancora e soprattutto in Brasile) erano in maggioranza ostili ai movimenti, compreso il Rinnovamento dello Spirito, che invece il papa polacco ha sdoganato e che si sono rivelati capaci di fare concorrenza ai protestanti sul loro stesso terreno'.

Non è tutto qui, però. Dice Introvigne che 'un'altra correzione di rotta è stata il recupero della religiosità popolare, che la teologia della liberazione liquidava come alienante e superstiziosa. Qui bisogna dare a Bergoglio quello che è di Bergoglio, perché certamente da vescovo e cardinale egli si spese per una valorizzazione della religiosità popolare latinoamericana, consapevole che la guerra di alcuni teologi della liberazione alla religiosità popolare aveva avuto effetti catastrofici'. 

La grande battaglia di Giovanni Paolo II, almeno nella prima fase del pontificato, è stata quella che si è chiusa con la caduta del Muro. Anche se relativamente a questo fatto Giovanni Paolo II rifiutò sempre la semplificazione secondo la quale era stato lui a batterlo, dando alla cortina il colpo do grazia. 'Il comunismo come sistema è caduto da solo. È caduto in conseguenza dei propri errori e abusi.  Ha dimostrato di essere una medicina più pericolosa e, all'atto pratico, più dannosa della malattia stessa. Non ha attuato una vera riforma sociale, anche se era diventato in tutto il mondo una potente minaccia e una sfida. Ma è caduto da solo, per la propria immanente debolezza', diceva a Vittorio Messori che l'intervistava per il libro Varcare la soglia della speranza, uscito nel 1994. Giovanni Paolo II tentò, ed è qui che sta il senso più profondo della sua rivoluzione, di scuotere l'occidente in via d'assopimento. 'Il Papa slavo attaccò sempre con forza anche un altro avversario che gli appariva forse più minaccioso: pratico diffuso dall'occidente, con la divisione ingiusta del mondo tra poveri e ricchi', disse Giovanni Maria Vian in un'intervista all'espresso del 2005. "E seppe condurre un'appassionata ed energica predicazione in favore della pace e in difesa della vita umana, in perfetta continuità con i suoi predecessori", aggiunse. Da qui le varie declinazioni della lotta, a cominciare da quella per l'affermazione dei principi non negoziabili.

Che cos'è cambiato ora? Che quella battaglia, condotta in modo eroico, non ha portato alla vittoria della guerra. L'occidente, da assopito che era, è caduto in un letargo dal quale non sembra potersi risvegliare. Il ritorno di Dio, che pure c'è, che tocca ogni terra emersa del globo, evitando quasi scientemente l'Europa, Asia, Africa, America. "Non voglio sostenere che Francesco sia in linea con Giovanni Paolo II, spiega ancora Introvigne: "Quello che li unisce è l'atteggiamento sulla religiosità popolare e anche una certa critica alla teologia della liberazione, da cui in Argentina Bergoglio aveva preso le distanze non perché fosse politicamente troppo a sinistra (su questo lui e i teologi della liberazione avrebbero potuto intendersi) ma per un carattere troppo intellettualistico, astratto e alla fine lontano dal popolo concreto che pretendeva di rappresentare. La grande differenza con Giovanni Paolo II è che il papa polacco era un uomo del novecento, che considerava il comunismo e in genere il totalitarismo come il grande pericolo per la chiesa. Papa Francesco ragiona sulla base del mondo successivo al 1989 ma insieme sulla base di categorie del populismo latinoamericano che preesistono al 1989 e gli vengono dalla sua esperienza politica giovanile di militante peronista. Caduta l'Unione sovietica, il nemico per la chiesa rimane secondo Francesco il super capitalismo di cui gli Stati Uniti sono l'emblema. Qui c'è insieme un'analisi storica e il pregiudizio latinoamericano e peronista contro gli americani. Questo spiega le grandi resistenze che molti ambienti cattolici americani oppongono a Francesco". Il Papa ha a cuore la Cina, però. "Curiosamente Francesco, che conosce poco la Cina, si è lasciato persuadere da diversi consiglieri (alcuni anche se non tutti della Segretaria di stato e Sant'Egidio) che la Cina invece non è un pericolo, perché la cultura millenaria cinese che Xi Jinping sta a suo modo recuperando trasformerà sia il comunismo sia il capitalismo, entrambi presenti in quel paese, in qualche cosa di diverso cui la chiesa può guardare con simpatia  e con cui venire a patti. È un giudizio che non condivido, anche perché la cultura millenaria cinese di cui parla Xi Jinping è una costruzione sua, fatta a tavolino, e una falsificazione storica che espunge dalla tradizione cinese gli aspetti di natura spirituale non compatibili con il comunismo. Ma dietro il problema Cina – che è un altro elemento di frizione con gli Stati Uniti – c'è la grande differenza con Benedetto XVI e anche con Giovanni Paolo II. In modi diversi, i due Papi precedenti – che in questo erano lontani dai tradizionalisti, come i lefebvriani continuano per la verità a ripetere – avevano accolto la verità dell'illuminismo così come la chiesa l'aveva recepita al Vaticano II, e davano un'importanza centrale ai diritti umani e alla libertà religiosa (su questo, non sulla liturgia, Giovanni Paolo II ruppe con mons. Lefebvre e Benedetto s'incagliò nel tentativo di riconciliazione), osserva il direttore del Cesnur, che prosegue: "Francesco – di nuovo, si avverte qui l'eredità peronista – considera i diritti sociali (pane, casa e lavoro, come ripete) prioritari rispetto ad altri diritti umani, e quando tratta con i regimi populisti di sinistra sudamericani, con i cinesi e anche con alcuni paesi e ambienti musulmani è disposto, a differenza dei predecessori, a passare sopra alla violazione dei diritti umani e della libertà religiosa purché si convinca che questi regimi operano a favore dei poveri e dell'uguaglianza sociale".

Il che è interessante, addirittura paradossale, spiega Introvigne: "Da una parte Francesco vuole sinceramente estendere il dialogo ecumenico ai pentecostali anche se fanno proselitismo che lui chiede ai cattolici di abbandonare. Con la visita alla chiesa pentecostale di Caserta nel 2014, il Papa ha mandato in pensione gli attacchi ai pentecostali come 'sette', per cui ha anche chiesto scusa (attacchi in Sudamerica tipici sia di ambienti cattolici conservatori sia della teologia della liberazione). Dall'altra, i suoi predecessori erano molto attenti a preservare un'eredità centrale del Vaticano II e a chiedere libertà religiosa non solo per i cattolici ma per tutti – proprio perché il Vaticano II aveva accolto la nozione moderna di diritti umani e di libertà di religione che deriva dalla dignità della persona umana, non al tipo di religione che si professa – con Francesco questo tema sembra avere di fatto un passo indietro. Trattando con la Cina, e con altri, si cerca certo di assicurare spazi alla chiesa cattolica ma in cambio si tace totalmente quando altre religioni sono perseguitate".

Insomma, la grande sofferenza è questa. "Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano assunto la narrativa conciliare secondo cui i diritti umani sono universali e  i paesi e le culture si giudicano sul loro rispetto. Francesco è figlio di una tradizione populista sudamericana che sospetta che i diritti umani come proclamati nelle dichiarazioni internazionali siano 'europei' o peggio 'americani' e che gli Stati Uniti in particolare li vogliano imporre a tutti in modo imperialistico. Dunque, che tratti con Xi Jinping o con Putin o Assad o Maduro, la chiesa di Francesco non parte dai diritti umani – e si interessa della libertà religiosa solo per quanto riguarda i cattolici – ma dai diritti sociali, magari conditi con un certo antiamericanismo di fondo. Qui c'è la vera grande svolta rispetto ai due Pipi precedenti".

 














 





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