E' uscito in Italia "Dal profondo del nostro cuore"
Luisella Scrosati in "Bussola Quotidiana" 30-01-2020
In Italia esce oggi "Dal profondo del nostro cuore" (Cantagalli), scritto a quattro mani da Robert Sarah e Joseph Ratzinger. Nel saggio offerto da Benedetto XVI, il sacerdozio emerge dalle secche del criterio numerico ed efficientista per tornare a brillare per quello che è veramente, ovvero un perpetuo essere al cospetto di Dio per servirlo: «Astare coram te et tibi ministrare», secondo l'espressione tratta dalla Preghiera Eucaristica II, richiamata ripetutamente dal Papa emerito nel libro. Questa è la "definizione" del sacerdote della nuova ed eterna Alleanza, che compie quanto prefigurato dal sacerdozio antico.
È importante comprendere che questa prospettiva non è affatto nuova nella storia della Chiesa, così come non è una novità comprendere il senso dell'obbligatorietà della continenza sacerdotale precisamente partendo dal confronto con il sacerdozio levitico. Benedetto XVI si pone dunque nella scia di un antico topos teologico, la cui potenzialità è stata potentemente messa in luce dal suo saggio.
Nella sesta omelia sul libro del Levitico, Origene è il primo a mettere in rilievo che la continenza è necessaria al sacerdote, perché costui è chiamato, come Mosè, a stare continuamente al cospetto di Dio in preghiera, mentre il popolo combatte i nemici (cfr. Es 17, 8-16): «[Mosè] non va sul campo di battaglia e non affronta la lotta con i nemici. Che cosa fa? Prega e, mentre prega, il suo popolo vince. Quando si riposa e lascia cadere le mani, il suo popolo è vinto e messo in fuga. […] Che il sacerdote della Chiesa preghi dunque incessantemente, cosicché il popolo sotto di lui riporti la vittoria su questi invisibili Amaleciti che sono i demoni».
Origene poco oltre spiega che, mentre il sacerdozio levitico prevedeva una continenza ristretta al tempo del proprio servizio liturgico, perché i leviti dovevano assicurare una discendenza, dal momento che il sacerdozio era ereditario, «per quanto riguarda i sacerdoti della Chiesa non mi spingerò in una spiegazione dello stesso genere». Origene infatti ricorda che esiste ormai un altro modo di generare, da parte dei sacerdoti, ed è quello indicato da san Paolo: «Figli miei, che io partorisco di nuovo finché Cristo sia formato in voi» (Gal 4, 19).
Ora, lo stesso Origene, nell'omelia 23 sul libro dei Numeri, mostra che, se tutti i cristiani sono chiamati alla preghiera, tuttavia «può offrire un sacrificio perpetuo soltanto chi si è votato alla castità perpetua». Non si tratta di disprezzare il matrimonio, ma di far comprendere che il sacerdote è chiamato, come Mosè sul monte, ad intercedere continuamente mediante l'offerta del Sacrificio e incessanti preghiere e suppliche. È in questo modo che egli vive lo stesso sacerdozio di Cristo, il quale offrì Sé stesso sull'altare della Croce come culmine della sua vita terrena, nella quale incessantemente «offrì preghiere e suppliche con forti grida e lacrime» (Eb 5, 7). È per questa ragione che tradizionalmente la Chiesa obbliga al celibato nello stesso momento in cui impone al candidato agli Ordini sacri l'adempimento dell'Ufficio divino, che è la preghiera di Cristo e della Chiesa.
Il primo Concilio di Arles (314), nel canone 29, in modo decisamente più conciso, ha richiamato la stessa idea, esplicitando che il triangolo sacerdozio-continenza-preghiera incessante non è un'opzione per i più devoti, ma un obbligo: «Esortiamo i nostri fratelli [vescovi] a fare in modo che i presbiteri e i diaconi non abbiano relazioni [sessuali] con la propria moglie, in quanto sono addetti ogni giorno al ministero. Chiunque agirà contro questa decisione, sarà deposto dall'onore del clero».
L'autore anonimo della seconda metà del IV secolo, cui è stato attribuito il nome di Ambrosiaster, riprende il tema origeniano, precisando che «se [san Paolo] prescrive ai laici di astenersi temporaneamente per attendere alla preghiera, quanto più i diaconi ed i presbiteri, i quali devono pregare giorno e notte per le persone loro affidate». Torna l'idea della dedizione totale del sacerdote alla preghiera, che esige la piena libertà garantita dalla continenza, come ancora più espressamente afferma san Girolamo, nell'Adversus Iovinianum: «Se un laico, un fedele qualunque, non può dedicarsi alla preghiera senza interrompere i rapporti coniugali, il presbitero, che in ogni momento è incaricato di offrire il sacrificio per il popolo, deve pregare incessantemente. Se deve pregare incessantemente, dev'essere permanentemente libero dal matrimonio».
Sant'Ambrogio, nel De officiis ministrorum, di fronte alle notizie che «molti, specie in luoghi lontani, essendo già negli ordini sacri, o anche sacerdoti, ebbero dei figli, adducendo per ragione l'uso antico», torna a spiegare che la continenza dei leviti era periodica, perché i «sacrifici si compivano ad intervalli», cioè secondo una turnazione. Quando arrivava il proprio turno, dovevano astenersi per alcuni giorni e purificare le proprie vesti. Ma «se nel simbolo si usava tanto rigore, quanto non se ne dovrà avere nella realtà?». Il grande vescovo di Milano, come Benedetto XVI, radica la continenza perpetua dei sacerdoti della Chiesa nel fatto che essi compiono nella realtà ciò che prima era nel simbolo, dedicando l'intera propria vita al ministero.
Anche papa Siricio dovette prendere posizione di fronte ai chierici maggiori che continuavano ad unirsi alle proprie mogli, adducendo «come scusa per la loro colpa il fatto che nell'Antico Testamento […] era permesso ai presbiteri e ai ministri di procreare figli». Nella decretale Directa (385), Siricio, dopo aver spiegato il senso della legge che riguardava i leviti, esprime chiaramente il senso della continenza obbligatoria: «Poiché il Signore Gesù attestò formalmente nel Vangelo che non era venuto per abolire la Legge, ma per darvi compimento», mediante una «legge indissolubile […] tutti noi, presbiteri e diaconi, siamo vincolati dal giorno della nostra ordinazione, a mettere i nostri cuori e i nostri corpi al servizio della sobrietà e della purezza», perché «possiamo essere graditi al nostro Dio in ogni cosa, nei sacrifici che quotidianamente offriamo».
Innocenzo I tira le fila di questa lunga tradizione: «La Chiesa deve assolutamente mantenere ciò che è degno, puro e onesto: vale a dire che il presbitero e il diacono non abbiano relazioni con la propria moglie, perché essi ogni giorno sono presi dalle necessità del ministero» (Lettera a Victricio di Rouen, 15 febbraio 404). Non si tratta semplicemente delle cose da fare, che pure hanno il loro peso, ma del fatto che «non può passare un giorno senza che [celebrino] il sacrificio divino e amministrino il battesimo»; e ancora che la funzione del sacerdote «è di pregare e di offrire incessantemente il sacrificio» (Lettera a Esuperio di Tolosa, 20 febbraio 405).
Se anche i numerosi tentativi di sminuire il contenuto del libro, cercando di ridurre l'autorità di Benedetto XVI, avessero successo, se riuscissero ad attenuare la voce del Papa emerito, continuerebbe a parlare la tradizione della Chiesa. Quello che risulta evidente da questa rapida carrellata delle testimonianze antiche è che Benedetto ha voluto fare molto più che difendere il celibato: egli ha inteso riproporre agli occhi dei sacerdoti in primis, e di tutti i fedeli, il senso autentico del sacerdozio; è solo a queste profondità che l'obbligo della continenza acquista il suo senso pieno. Il sacerdote è l'uomo della preghiera, del Sacrificio, dei sacramenti; è l'uomo che sta continuamente al cospetto di Dio, sul monte, con le braccia levate in alto per la preghiera. Tutto il popolo di Dio ha bisogno di questo sacerdote, non di altro. E ha perciò enormemente bisogno del celibato.
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