Il Sacramento della Riconciliazione è chiamato a ridonare continuamente la gioia della vita


In una lettera in vista del Natale, il Penitenziere Maggiore esorta tutti i sacerdoti all'attenzione nell'ascolto die penitenti, perché una sola parola o il tono della voce "possono svelare i segreti dell'anima e permettere il giusto consiglio"

Nico Spuntoni in "Bussola Quotidiana" 24-12-2019

Quello della Confessione è il sacramento più in crisi, come evidenziato in numerose occasioni dalla stessa Penitenzieria Apostolica. Già quasi trent'anni fa, un sondaggio realizzato dal settimanale diocesano veneto La vita del Popolo aveva rilevato che laddove "subentrano sensi di colpa questi vengono cancellati da terapeutici colloqui con lo psicologo piuttosto che da revisioni dello spirito con la guida del confessore".

Il calo delle confessioni è senz'altro legato alla perdita del senso del peccato nella società contemporanea. In questo Tempo d'Avvento, con il Natale alle porte, è arrivata una lettera del Penitenziere Maggiore, cardinale Mauro Piacenza, ai Padri penitenzieri delle Basiliche Romane e a tutti i confessori, per richiamare all'ascolto e all'attenzione delle confessioni sacramentali.

Il cardinale Piacenza ricorda ai sacerdoti che «il Santo Natale del Signore è la "Festa della vita"», perché «è la memoria attuale dell'Avvenimento più importante della storia; (…) verso il quale tutta la storia converge e dal quale ha ricevuto pieno senso ed orientamento: la festa della vita è la festa dell'Incarnazione del Verbo». L'importanza del loro ruolo si fa ancora più evidente in questo periodo: «Dio si fa uomo per donarci la vita, ed ogni confessore è realmente un ministro della vita, soprattutto in questo tempo di Natale, nel quale, per grazia di Dio, in molti luoghi, ancora molti fedeli si accostano al sacramento della Riconciliazione». Prosegue la lettera: «La vita, quella guadagnataci da Cristo crocifisso e risorto, viene donata sacramentalmente, cioè realmente, all'uomo in ogni confessione».

Quello della Riconciliazione è il sacramento che dà l'idea della perfezione di Dio, a cui i cristiani hanno l'obbligo di tendere. Specialmente alla vigilia delle Feste, c'è chi si accosta a questo sacramento con l'idea di 'lavare' la coscienza e aumenta la possibilità di confessioni frettolose, last minute, con sacerdoti stanchi e smaniosi di dare l'assoluzione. Per evitare tutto ciò, nella sua missiva il cardinale Piacenza dà delle indicazioni precise: «Tra le varie caratteristiche che il buon confessore non deve mai trascurare di avere, è da sottolineare, innanzitutto, l'attenzione nell'ascolto».

Infatti, secondo il Penitenziere Maggiore, «una sola parola, il tono della voce, una sfumatura, un cenno indiretto, possono svelare i segreti dell'anima e permettere il giusto consiglio, la giusta parola, l'autentica indicazione di percorso». Mentre, «al contrario, parole avventate o disattente possono bloccare, anche per anni, una coscienza che fatica ad aprirsi a Dio».

Il compito del confessore, laddove svolto con superficialità o eccessiva durezza, fa allontanare i peccatori penitenti e chiude loro l'esperienza della Misericordia. Per questo il Prefetto emerito della Congregazione per il Clero raccomanda «delicatezza» e «prudenza nel giudizio». Secondo monsignor Piacenza, «il penitente non sempre può portare il peso di tutto quanto gli si vuole dire nel breve colloquio della confessione; è necessario essere estremamente prudenti, per non scoraggiare nel cammino di fede o nella lotta contro il peccato, e per introdurre sempre in quella gioia della vita, che il sacramento della Riconciliazione è chiamato continuamente a ridonare».

La confessione ci riporta alla mente «l'essenza stessa del cristianesimo» che «è un'opzione per la vita, contro il dominio del peccato e della morte». Ai confessori, il cardinale Piacenza chiede che «l'ascolto umile e fedele, attento e generoso delle confessioni sacramentali sia il tratto dominante di questi ultimi giorni della novena, che ci prepara alla grande solennità e, poi, dell'intero Tempo di Natale, nel quale, sempre e ancora, i fedeli continuano ad accostarsi al confessionale», invitandoli a non dimenticare che sono «ministri della vita, ministri della misericordia, ministri dell'unico amore che, ancora e sempre, si dona a noi perché noi possiamo aprirci a Lui. È un amore che consola, che crea, che rinnova, che introduce nella Vita vera».

L'ultima raccomandazione è un appello a custodire la gioia perché «il sacramento della Riconciliazione dovrebbe sempre essere, per tutti, sia ministri sia penitenti, una "Festa della fede", un momento di lieta celebrazione della rinnovata comunione con Dio e con la Chiesa». Questo sacramento aiuta l'uomo a fare verità in sé stesso e a trovare la vera libertà. Per questo, il Penitenziere Maggiore spiega che il cristiano è consapevole che «la Grazia del sacramento non è opposta alla libertà, ma, al contrario, la libertà è figlia della Grazia», dal momento che «un uomo che cercasse sempre solo sé stesso, perderebbe sé stesso e perderebbe la vita».

Invece, «l'uomo che (…) dimentica sé stesso non cerca la propria vita, ma si mette, senza paura, a disposizione dell'amore, trova Dio e trova sé stesso, in una libertà che solo la fede e la grazia sono capaci di donare». Concludendo la lettera e ringraziando i penitenzieri per il loro prezioso ministero, il porporato si affida e li affida alla «Beata Vergine Maria, Madre del Verbo incarnato e perciò madre di misericordia», affinché possa «accompagnare il nostro ascolto attento, prudente e gioioso, perché a tutti i fratelli, sempre e ancora, sia donata la vita».


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