Perché deve essere la Chiesa a darsi un volto amazzonico e non l'Amazzonia darsi un volto cattolico
Penso utile offrire la relazione di Stefano Fontana presentata al Convegno internazionale "Sinodo dell'Amazzonia: la posta in gioco". Il centro è: Perché deve essere la Chiesa a darsi un volto amazzonico e non l'Amazzonia a darsi un volto cattolico? Siamo di fronte a due paradigmi teologici
Tre errori nell'approccio al sinodo
Nell'affrontare il sinodo sull'Amazzonia bisogna porre attenzione a non compiere tre errori.
Il primo errore consiste nel considerare il sinodo, le sue tematiche e l'approccio teologico che emerge dall'Instrumentum laboris (IL), come nati da esigenze di questi nostri tempi, come qualcosa che non ha una storia alle spalle e non risente degli effetti di un lungo periodo di innovazioni teologiche. Il sinodo sarebbe qualcosa di nato dalle esigenze di oggi, come un fungo che nasce nel bosco nel giro di una notte. Andrebbe considerato quindi privo di
presupposti e non sarebbe necessaria nessuna retrospettiva per poterlo valutare. Anzi, risalire all'indietro per ricostruire i presupposti teologici errati che ne stanno alla base, vorrebbe dire coltivare dei pregiudizi ideologici. Si evita di incorrere in questo errore esaminando invece come il sinodo dell'Amazzonia sia il punto finale di un lungo periodo teologico o, per meglio dire, di un nuovo quadro teologico che, umanamente parlando, sembra avere la meglio nella lotta tutta teologica tra due quadri in competizione tra loro.
Il secondo errore consiste nel pensare che la prospettiva teologica emergente dal sinodo sia nata in Amazzonia o comunque in America Latina. Si tratterebbe di una elaborazione autoctona, popolare e non accademica, originale e non importata dall'Europa. Ci si preserva da questo errore valutando come invece la prospettiva teologica del sinodo sia tutta europea, elaborata sulle cattedre universitarie delle università renane e dell'Europa centrale. Dietro la prospettiva teologica del sinodo stanno la teologia della liberazione, la teologia del popolo e la nuova eco-spiritualità di Leonardo Boff, ma dietro queste teologie sta la teologia politica di Metz, e dietro Metz sta la svolta antropologica di Rahner e dietro Rahner sta la nouvelle théologie e così via. Né Metz, né Rahner né il loro maestro Heidegger insegnavano in America Latina ma a Friburgo in Brisgovia e a Innsbruck in Austria.
Il terzo errore che può essere fatto a proposito del sinodo è di stupirsi di esso e di meravigliarsi che sia stato possibile scrivere un IL con tante dottrine inaccettabili dal punto di vista della fede apostolica. L'atteggiamento giusto, però, non dovrebbe essere di stupore, come davanti ad un fungo nato in un attimo, ma di constatazione che l'impostazione di questo sinodo è perfettamente coerente con la nuova teologia sviluppatasi nei decenni scorsi. Stupirsi vorrebbe dire non aver capito i due punti precedenti, ossia che questo sinodo è l'esito di un lungo percorso teologico sbagliato e che si tratta di una colonizzazione teologica delle avanguardie europee, oggi non sono più semplici avanguardie ma forze ideali che hanno occupato stabilmente spazi e potere nella Chiesa. Se ci si stupisce, difficilmente si riuscirà a mettere in atto le risposte adeguate, che travalicano i temi del sinodo stesso e riguardano una rivoluzione teologica molto profonda e articolata.
Vorrei quindi dare il mio contributo affinché si possa evitare questi tre errori di impostazione del problema del sinodo. Intendo quindi mostrare: a) come l'IL sia la conseguenza della nuova teologia; b) come questa nuova teologia sia quella elaborata in Europa e poi esportata in America Latina; c) come questo esito fosse ampiamente prevedibile date le premesse e, quindi, è sulle premesse che bisogna intervenire e non solo sugli esiti.
Perché deve essere la Chiesa a darsi un volto amazzonico e non l'Amazzonia a darsi un volto cattolico?
Mi concentrerò su un solo punto del sinodo, appunto quello di questa domanda, perché mi sembra che da esso derivino tutti gli altri. Lo slogan principale del sinodo è: "una Chiesa dal volto amazzonico". Non si tratta solo di una scelta pastorale, è anche una scelta dottrinale in quanto questa prospettiva si contrappone all'obiettivo opposto di un'Amazzonia dal volto cattolico. Nell'alternativa tra le due espressioni si gioca il conflitto tra due teologie. In gioco c'è il ruolo della situazione storica-culturale non solo per la comunicazione del messaggio cristiano ma per la stessa sua costituzione. Se si vuole una "Amazzonia dal volto cattolico" si presuppone che la Chiesa abbia un suo messaggio che rimane sempre uguale, che non dipende dalla lettura fatta a partire dalla situazione amazzonica, che anzi aiuta a capire più in profondità quella situazione proprio perché getta su di essa una luce che proviene da Oltre. In questo caso, la cultura e la situazione sociale ed economica dei popoli amazzonici non è co-autrice del messaggio cristiano, ma fatta dono di una salvezza che non è in grado di darsi da sé. Vengono applicati anche in questo caso i due grandi principi: "nessuno si dà ciò che non ha", e "il più non viene dal meno". In questo caso l'Amazzonia può fare l'esperienza del dono e della gratuità della salvezza di Dio.
Se invece si assume il principio opposto, ossia si vuole una "Chiesa dal volto amazzonico", significa che l'annuncio di Cristo non ha una sua risonanza originaria, fondante, trascendente, assoluta, ma si comunica dentro la storia e dipende costitutivamente da una precomprensione mondana, in questo caso quella dei popoli amazzonici. Sarebbe come dire che la conoscenza del messaggio è sempre mediata dalla situazione di vita in quanto da essa si parte sempre per l'interpretazione di Cristo, il cui messaggio non ci è dato se non dentro un contesto che contribuisce a costituirlo, a determinarlo, ed anche a relativizzarlo storicamente. "Una Chiesa dal volto amazzonico" significa che la Chiesa non deve pensare di avere una propria verità salvifica da dare al mondo, ma che nel mondo – in questo caso nella situazione storica e sociale dell'Amazzonia – è già all'opera l'auto-comunicazione di Dio e la sua grazia. Per questo la Chiesa non deve avere come obiettivo l'evangelizzazione, ma il dialogo perché anche essa, la Chiesa, è nel mondo, così come l'Amazzonia, e tra Chiesa è mondo c'è pariteticità, secondo i moderati, o prevalenza del mondo per i più radicali: la Chiesa deve ascoltare, imparare, accompagnare e non più insegnare. L'Instrumentum laboris è molto chiaro su questa impostazione.
Il punto di vista dell'Amazzonia riguarda come si deve leggere il Vangelo, ma questo come è costitutivo del cosa: la contestualizzazione storica – che di solito viene chiamata surrettiziamente inculturazione – non riguarda solo l'assunzione dalle culture locali del come per trasferirvi in modo più efficace il cosa, ma riguarda la definizione dello stesso cosa, ossia dei contenuti della dottrina della fede. Se il come è costitutivo del cosa, l'impostazione diventa pienamente storicistica, processuale ed evolutiva.
Alcuni presupposti storico-teologici
Solo esaminando uno degli slogan del sinodo – "Una Chiesa dal volto amazzonico" – abbiamo notato una rivoluzione nella impostazione teologica e una relativizzazione storicistica del deposito della fede. Nel sinodo è implicita una visione della tradizione come evoluzione che non è di origine latinoamericana ma europea e nasce dall'aver dislocato il locus theologicus fuori della fede apostolica, nel mondo e nella storia, nella "situazione" d'esistenza o nella prassi, secondo categorie hegeliane o heideggeriane. Questo aspetto designa tutta la teologia progressista europea che quindi trova nella impostazione del sinodo il suo coronamento, impedendoci, come sopra già sottolineato, di considerarlo con stupore. A mio parere i momenti principali del processo sono i seguenti tre.
Il problema della "natura pura"
Nel suo libro del 1946, il padre gesuita Henri de Lubac pubblicò il libro Surnatuel, che ebbe poi una nuova edizione nel 1965. La sua impostazione caratterizzava tutta la nouvelle théologie ed era stata anticipata dal libro Un école de Theologie del padre M.-Dominique Chenu, poi condannata dal Sant'Uffizio agli inizi degli anni Quaranta. Chenu sosteneva che il luogo teologico è la "vita della Chiesa" che consiste nell'inseguire quanto lo Spirito di Dio suscita nel mondo. Per il padre Chenu la Chiesa deve "uscire" da se stessa per porsi in ascolto di quanto Dio sta già facendo nel mondo. La dislocazione del luogo teologico dalla tradizione apostolica al mondo era quindi già avvenuta. In Surnaturel, padre de Lubac ripensava il rapporto tra natura e sopra-natura in modo da rendere la sopra-natura costitutiva della natura, fino a porre una predisposizione della natura alla salvezza, un diritto naturale alla salvezza. Il pericolo era che la grazia soprannaturale non fosse più gratuita e Pio XII dedicò un passo della Humani generis a condannare una simile posizione. Faccio notare, in ordine al nostro discorso sul sinodo che, già secondo l'impostazione di de Lubac, in ogni situazione naturale è presente la grazia, in ogni contesto storico è presente lo Spirito del quale porci in ascolto, in ogni situazione umana si auto-comunica Dio e la sua salvezza. Per de Lubac una "natura pura" non esiste, la natura è già nella grazia. Dati questi presupposti si comprende come la Chiesa possa, anzi debba, imparare dei popoli indigeni dell'Amazzonia.
Sempre nell'anno 1946, il padre domenicano Réginald Garrigou-Lagrange, esaminava con angoscia queste nuove prospettive teologiche. Egli vedeva già allora il pericolo dello storicismo e dell'evoluzionismo della dottrina della fede e si chiedeva se sarà ancora possibile in futuro ritenere vera una teologia non più attuale, oppure se l'essere attuale non fosse diventato il criterio fondamentale della verità della teologia cattolica. Anche il sinodo intende come vera la teologia che si fa fecondare dalla cultura amazzonica per essere attuale.
Garrigou-Lagrange poneva anche un'altra questione, quella della forma espressiva delle verità di fede. L'accettazione della storia e del mondo come luogo teologico comportava di cambiare anche la forma espressiva delle verità di fede, cosa che egli riteneva dannosissima perché avrebbe cambiato anche il contenuto. Già allora egli vedeva il pericolo del come che si sostituisce al cosa. Il linguaggio dell'Instrumentum laboris si colloca dentro questo pericolo.
Il personalismo cristiano
Un secondo momento è stato il personalismo cristiano con i concetti di priorità della persona e di teologia in ascolto dell'umano. Il luogo teologico diventa qui la persona umana, sicché ogni espressione della dottrina della fede deve assumere un linguaggio umano, in quanto Dio si auto-comunica nell'uomo. L'antropologia diventa il sapere primario, mettendo in secondo piano la teologia. Anzi, la teologia, dicono i nuovi teologi, è antropologia, in fondo esattamente come diceva Ludwig Feuerbach. Si parla di Dio parlando dell'uomo, si incontra Dio nell'uomo. Nell'Instrumentum laboris del sinodo si fa riferimento ad un umanesimo pre-religioso come luogo teologico della rivelazione, e ad un umanesimo post-religioso (eco-logico, eco-spirituale…) come etica del mondo in cui convergono tutte le culture e tutte le religioni.
La svolta antropologica di Karl Rahner
È però con Karl Rahner e la sua "svolta antropologica" che il ciclo si compie e in cui trova piena spiegazione l'Instrumentum laboris del sinodo. Ogni uomo, uditore della Parola, è dentro una situazione dalla quale si pone in ascolto della Parola. Il risultato è sempre un costrutto, non una parola udita ma una parola interpretata. Non nel senso che prima Dio pronunci la sua Parola e poi l'uomo la interpreti, ma in un senso molto più radicale: la Parola risuona solo dentro un contesto esistenziale che anche la costituisce, nasce quindi già situata, potremmo dire già storicamente interpretata. Ciò avverrebbe anche nel sinodo dell'Amazzonia ed è questo il senso profondo dell'espressione "Una Chiesa dal volto amazzonico" da cui siamo partiti. La comunicazione di Dio all'uomo avviene nel contesto apriorico della sua esistenza, la grazia di Dio è presente ovunque ci sia esistenza umana, perché è la prospettiva che rende possibile tale esistenza. La nozione di de Lubac circa una natura che contiene già in sé un debito di salvezza in quanto è già grazia, viene sviluppata da Rahner in modo decisamente più radicale: la grazia di Dio è nel mondo, inteso questo come l'esperienza trascendentale dell'uomo, quella esperienza per cui egli è uomo ma che proprio per questo non può ridursi a nessun momento particolare della vita umana. La grazia è presente anche nel cristianesimo anonimo dell'animismo e del panteismo delle culture indigene e la Chiesa deve "uscire"
Eresie e scismi al sinodo
Sul sinodo dell'Amazzonia sono giunte da diverse parti accuse di "eresia" e previsioni di uno "scisma". Non so quanto queste denunce tengano conto che il quadro teologico padre del sinodo ha una visione di eresia e di scisma molto diversa da quella di chi denuncia le eresie e paventa lo scisma. Prima dei contenuti eretici dell'Instrumentum laboris c'è una visione eretica dell'eresia che li alimenta.
L'eresia richiede una visione non processuale né dialettica della tradizione. Concezione dialettica della tradizione vuol dire che quanto viene insegnato come parte del depositum fidei in un certo momento può venire negato dalle nuove esigenze storiche nel frattempo sviluppatesi e il magistero dovrà farlo lievitare verso una nuova sintesi. Questo accade quando l'esistenza storica non viene intesa solo come il terreno di un messaggio assoluto e trascendente, ma come co-produttrice del messaggio stesso. Se è co-produttrice, allora il messaggio si evolve, perché la storia cambia, e la rivelazione non si è conclusa ma continua. Le discontinuità negli insegnamenti circa il deposito della fede sono quindi ammesse, anzi sono viste come fisiologiche e salutari. Quando una posizione dottrinale viene messa in discussione dalla storia siamo davanti ad un fatto positivo dato che a ciò seguirà il raggiungimento di una fase più matura. Il deposito della fede non viene considerato prima di tutto nei suoi contenuti, ma nell'autocoscienza che la Chiesa ne ha: è lì, nell'autocoscienza sempre in evoluzione che avviene la rivelazione. Così deve intendersi l'eresia, non come la negazione di una verità cristiana assoluta, ma come il momento negativo di un processo, utile al processo stesso. Chi parte da questa visione dell'eresia considererà irricevibile e addirittura incomprensibile gli allarmi di cui ho parlato sopra. Naturalmente questa visione dell'eresia è fuori della dottrina cattolica. Possiamo dire che sia eretica perché sostiene l'impossibilità dell'eresia: l'errore dottrinale non esisterebbe se non per essere superato dialetticamente nella verità.
Un discorso simile si può fare per lo scisma. Questo concetto presuppone una unità di dottrina che nella visione evolutiva e dialettica ora vista viene meno. Presuppone anche dei "confini" e delle "condizioni" per potersi dire cattolico. Ma la nuova teologia, presente anche nell'Instrumentum laboris del sinodo, sostiene che la grazia di Dio è presente ovunque, in ogni situazione umana, perché Dio si rivela nell'uomo. Rahner diceva che della Chiesa fanno parte anche l'ateo, l'agnostico, il miscredente, il credente di altre religioni, l'animista o il panteista. Oggi si dice che la Chiesa è la casa di tutti. Allora, se la Chiesa ha dei non-confini o ha dei confini tanto porosi da non distinguersi dal mondo, da essa si entra e si esce senza mai veramente uscirne e senza mai veramente entrarvi. La Chiesa ha come delle sliding-doors, delle porte girevoli, come quelle delle banche o delle hall degli alberghi. Chi è "realmente" dentro la Chiesa lo sa solo Dio. Ma la Chiesa possiede una dottrina ecclesiologica derivata dalla rivelazione che ci dice cosa bisogna fare per entrarvi e per rimanervi. A chi la pensa così lo scisma fa paura. A chi la pensa come la nuova teologia lo scisma non fa paura.
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