Giustizia sociale, attenzione ai poveri, al creato in Cristo
Giustizia sociale, attenzione ai poveri, al creato nascono dall'instaurare tutto in Cristo, sono conseguenze dell'amore divino, non conquiste umane autonome, nuovo umanesimo senza Cristo
«L'annuncio del Concilio poneva delle domande – come si metteranno le cose, come fare perché vadano per il verso giusto? – ma suscitava anche grandi speranze», ricorda Benedetto XVI. Una posizione già espressa in occasione del discorso rivolto al clero di Roma il 14 febbraio 2013. «Una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II» che rimarrà nella storia.
«Siamo andati al Concilio non solo con gioia, ma con entusiasmo. C'era un'aspettativa incredibile. Speravamo che
tutto si rinnovasse, che venisse veramente una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa», ricordò allora il già uscente Benedetto XVI. «C'era il Concilio dei Padri – il vero Concilio –, ma c'era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. […] Il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all'interno della fede, ma all'interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un'ermeneutica diversa. Era un'ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa […] Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata… e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale».
tutto si rinnovasse, che venisse veramente una nuova Pentecoste, una nuova era della Chiesa», ricordò allora il già uscente Benedetto XVI. «C'era il Concilio dei Padri – il vero Concilio –, ma c'era anche il Concilio dei media. Era quasi un Concilio a sé, e il mondo ha percepito il Concilio tramite questi, tramite i media. […] Il Concilio dei giornalisti non si è realizzato, naturalmente, all'interno della fede, ma all'interno delle categorie dei media di oggi, cioè fuori dalla fede, con un'ermeneutica diversa. Era un'ermeneutica politica: per i media, il Concilio era una lotta politica, una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa […] Sappiamo come questo Concilio dei media fosse accessibile a tutti. Quindi, questo era quello dominante, più efficiente, ed ha creato tante calamità, tanti problemi, realmente tante miserie: seminari chiusi, conventi chiusi, liturgia banalizzata… e il vero Concilio ha avuto difficoltà a concretizzarsi, a realizzarsi; il Concilio virtuale era più forte del Concilio reale».
Al Concilio Ratzinger militò nel fronte progressista. «All'epoca essere progressisti non significava ancora rompere con la fede, ma imparare a comprenderla meglio e viverla in modo più giusto, muovendo dalle origini», spiega Benedetto XVI nelle Ultime Conversazioni. «La volontà dei vescovi era quella di rinnovare la fede, di renderla più profonda. Tuttavia fecero sentire la loro influenza anche altre forze, specialmente la stampa che diede una interpretazione del tutto nuova a molte questioni. A un certo punto la gente si chiese: se i vescovi possono cambiare tutto perché non possiamo farlo anche noi? La liturgia cominciò a sgretolarsi, scivolando nella discrezionalità»
Uno scenario già rievocato a pochi mesi dall'inizio del suo pontificato, il 22 dicembre 2005, nel discorso alla Curia romana in vista del Natale. «Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile?», si domandava allora Benedetto XVI. «Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti».
«Da una parte – spiegò allora Benedetto XVI – esiste un'interpretazione che vorrei chiamare "ermeneutica della discontinuità e della rottura"; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'"ermeneutica della riforma", del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino. L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare».
Uno dei temi dell'interpretazione della discontinuità e della rottura oggi, con una presunta interpretazione della Gaudium et spes, è il motto "umanista" antropocentrico di un nuovo umanesimo con tutte e senza le religioni. Pur con i "semina Verbi" in tutti e in tutta la creazione, anche in coloro che senza loro colpa non hanno incontrato Cristo. Ma guai a quelli che l'hanno incontrato, non puntare ad annunciarlo a tutti cioè alla missione.
Il motto di un nuovo umanesimo ribalta quello cattolico di san Pio X (instaurare omnia in Christo), il quale paventava con il modernismo il sogno utopico dell'umanesimo rinascimentale e dell'illuminismo non cristiano "di rifare la società e di stabilire sulla terra, senza il contributo della Chiesa cattolica, "il regno della giustizia, dell'amore, dell'uguaglianza, della libertà e della fraternità" con operai immigrati venuti da ogni parte, di tutte le religioni oppure senza religione, con o senza credenze, purché dimentichino quanto li divide, le loro convinzioni filosofiche e religiose, e mettano in comune quanto li unisce, un "generoso idealismo" e forze morali prese "dove possono".
Papa Sarto fu un pastore con l'odore delle pecore, e lo fu proprio perché voleva instaurare omnia in Christo: lontanissimo dalla dimensione politica (forse troppo!), da ogni umanesimo senza la consapevolezza cioè la verità del proprio e altrui essere dono del Donatore divino come di tutto il creato, puntò tutta la sua vita e il suo pontificato sulla necessità della chiarezza sulla certezza della fede sul Figlio di Dio che ha assunto storicamente un volto umano per svelare ad ogni uomo la sua vera natura creata, le verità di fede e l'al di là dell'anima e del corpo. Tutto per lui nasce da qui: giustizia sociale, attenzione prioritaria ai poveri, al rispetto e alla gratitudine per il creato…sono conseguenze dell'Amore divino, non pure conquiste umane autonome!
Il programma della vita e del pontificato di san Pio X: 1) tenere i preti lontano dal coinvolgimento politico e dalla gestione di affari economici, cioè da ogni successo mondano; 2) indurli a centrare la loro vita celibatato nella presenza di Cristo vivo nell'Eucaristia e che agisce nei Sacramenti; 3) rendere diffuso l'insegnamento del patrimonio di fede attraverso il catechismo ("Catechismo minore e maggiore"). Per questo fu definito "il Papa dell'Eucaristia e del catechismo".
Pio X, scrive il biografo Gianpaolo Romanato in "Pio X" (Lindau, Torino, 2014) riteneva che l'istruzione religiosa e catechistica fosse "il centro del centro delle preoccupazioni della Chiesa"; diede nuovo slancio all'amore per l'incontro con Gesù Cristo Signore vivo, promuovendo l'accesso frequente e precoce all'Eucaristia; "non fece mai – Romanato – politica estera, non tentò mai di indebolire sul piano internazionale i paesi che si dimostravano avversi alla Chiesa come la Francia, non cercò mai di sfruttare a proprio vantaggio le rivalità, gli interessi e le alleanze della varie nazioni". Insomma ragionò "sempre e soltanto come il capo di una comunità religiosa e di fede che non deve difendere interessi materiali ma solo il contenuto della propria fede".
Pio X, infine, fu il grande nemico del modernismo, dell'dea secondo cui la verità muta, evolve hegelianamente, con il tempo. Richiamava che storicamente il Figlio di Dio, assumendo un volto umano è la Verità Eterna, rivelata, immutabile, che "finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà" (Mt 518).
In conclusione si può ben dire che la linea di san Pio X è stata ripresa anche da Benedetto XVI: anche lui ha messo il fondamento trascendente della realtà e la fede nel Dio con noi al centro delle preoccupazioni della Chiesa; anche lui ha voluto ritornare spesso sull'utilità della comprensione biblica attraverso il catechismo, facendone curare varie edizioni, distribuite per esempio ai giovani della GMG di Madrid, consapevole che davanti all'egemone relativismo, all'individualismo imperante, il catechismo si impone, con al sua chiarezza, la sua cristallina semplicità, la sua forza soprannaturale; anche lui ha rilanciato l'Eucaristia almeno domenicale, promuovendo il ritorno all'adorazione eucaristica e al gusto della liturgia per quella certezza interiore che ci rende liberi e quindi capaci di amare e di essere amati, senza divenire schiavi di ciò che è fuori di noi; anche lui ha messo la politica in secondo piano, pur richiamandola come forma difficile di carità per i fedeli laici, evitando sia la scena mediatica continua ed evitando di fare della Chiesa la stampella di una qualche realtà partitica.
Si tratta di ritornare all'essenziale nella ragione d'essere di operare della Chiesa per lasciarsi trasformare dalla Rivelazione storica, resa accessibile alla mente anche attraverso il compendio del catechismo e soprattutto dall'incontro reale, biblico-sacramentale, ecclesiale con Cristo, per poter amare, perdonare a tutti come lui ci ama e ci perdona.
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