Non l'immotivato privilegio sulla dottrina
Hanno impedito all'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuan di trasmettere una "dottrina", che corrisponde ai contenuti della fede nell'ambito sociale
Alle Scuole di Dottrina sociale dell'Osservatorio si apprende qualcosa di "inaudito" Silvio Brachetta in Newsletter n. 985 2019-03-27
C'è una cosa orrenda nella Dottrina sociale della Chiesa. La parola "dottrina". L'Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân, sabato scorso avrebbe voluto fare quello che fa di
solito: una scuola per trasmettere una "dottrina", che corrisponde ai contenuti della fede nell'ambito sociale. Oggi, però, non è quasi più possibile fare questo – oppure è possibile farlo con grande difficoltà. Non si deve più insegnare alla gente cosa fare, sotto la luce del Vangelo. Viceversa, la Chiesa deve ora imparare cosa insegnare da quello che fa la gente. Qualunque cosa la gente faccia. Non c'è più la luce del Vangelo, c'è la luce della gente che illumina il Vangelo. Questa è la convinzione che ha imposto l'immotivato privilegio della prassi sulla dottrina.
L'Osservatorio, fin dall'inizio, si è sempre opposto a questa forma di pastoralismo dogmatico, che si è imposto sempre più granitico, e del quale la pubblicistica ha dato ampio ragguaglio nel corso degli ultimi decenni. Il presidente dell'Osservatorio mons. Giampaolo Crepaldi e il direttore Stefano Fontana hanno scritto e detto molto su questo tema. E, tuttavia, gli argomenti di ragione oggi servono poco. Si può certamente avviare una scuola di Dottrina sociale con facilità ma, per non incontrare opposizione istituzionale, si deve fondare esplicitamente sui luoghi comuni e ben collaudati del pastoralismo odierno: «creare ponti e non muri», «ascoltare», «uscire», «vie nuove per abitare il sociale», «abitare i social network», «discernimento comunitario», «servire la vita», «umanizzare», «avviare percorsi di riconciliazione», «porsi come lievito», «incrocio tra Vangelo e storia». Si tratta di un modo di esprimersi vuoto, generico, astratto, nonostante sia tutto focalizzato sulla prassi. In mancanza di questo tipo di referenze, però, il percorso si fa tutto in salita.
Non c'è modo di venirne a capo con argomenti. L'argomentare stesso è visto da molti - chierici compresi - come ostacolo al Vangelo: è come se si fosse aperto un interruttore e la corrente elettrica non fluisse più. Ogni principio generale è sentito, nella Chiesa, come ostacolo al caso particolare, nonostante il Vangelo (e dunque Gesù Cristo) si rapporti spesso all'universale: «Chiunque sposa una ripudiata…», «Chi [chiunque] avrà creduto sarà salvato», «Beati quelli [coloro, chiunque]…», «Chiunque invocherà il nome del Signore…», «Chi [chiunque] allora trasgredirà uno solo di questi precetti…», «Chi [chiunque] mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna». Gli esempi sono numerosi.
E non a caso, Gesù è percepito e indicato spesso come Maestro, cioè come colui che insegna una dottrina. Solo nel Vangelo secondo Marco, sono diciassette le ricorrenze del verbo greco "didasko" (insegnare), riferito al Cristo. Gesù è il Didàskalos, il Rabbì, il Maestro. Il Maestro prevede una scuola, dei contenuti, dei discepoli – a prescindere dall'«avvenimento» messianico. Anzi, l'«avvenimento», la «presenza» del Cristo si realizza solo con l'apporto di contenuti e di dottrina – dottrina unica e deposito della salvezza.
Tutto questo sembra oggi rimosso, nonostante coloro che hanno frequentato le Scuole dell'Osservatorio si siano dimostrati entusiasti di quanto ricevuto. Spesso la reazione è unanime: dicono di avere appreso qualcosa di "inaudito". Questo per tre motivi: perché la parola di Dio e la sua dottrina è davvero "inaudita"; poi perché chi trasmette tale dottrina non parla per sé; e infine perché l'Osservatorio è stato in grado di trasmettere quello stesso entusiasmo che ha ricevuto nell'accostarsi alla Parola e al magistero.
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