Domenica XXV
Il Signore richiede sempre ad ogni uomo una profonda e continua conversione, un cambiamento nel modo di pensare e quindi di vivere, un aprire il cuore all'ascolto per lasciarsi illuminare dalla Verità e trasformarsi interiormente, comunitariamente e quindi culturalmente
Nel nostro cammino con il Vangelo di san Marco, domenica scorsa siamo entrati nella seconda parte, cioè l'ultimo viaggio verso Gerusalemme e verso il culmine della missione di Gesù, del Figlio del Padre attraverso il volto umano assunto che si fa totalmente dono per salvarci: la Verità non è riducibile a un concetto astratto ma è la Persona incarnata del Verbo del Padre con il dono dello Spirito.
Dopo che Pietro, a nome dei discepoli, ha professato la
fede in Lui riconoscendolo come il Messia, Dio nella nostra natura umana (Mc 8,29) cioè la Via alla Verità e alla Vita, Gesù comincia a parlare apertamente di ciò che, persona divina attraverso la natura umana, gli accadrà alla fine. L'evangelista riporta tre successive predizioni della morte e risurrezione, ai capitoli 8, 9 e 10: in esse Gesù annuncia in modo sempre più chiaro il destino storico che l'attende e la sua intrinseca necessità per rivelare l'Alleanza cioè l'amore divino fino al perdono. Il brano di questa domenica contiene il secondo di questi annunci. Gesù dice: "Il Figlio dell'uomo – espressione con cui designa se stesso, con cui Daniele qualifica il Messia cioè l'Emmanuele, il Dio con noi – viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà" (Mc 9,31). Il termine "risuscitare" non era molto chiaro in quel tempo. Noi abbiamo una parola specifica per indicare la "risurrezione dai morti"; invece, i termini usati in quel tempo erano più vaghi: si parlava di "rialzarsi", di "svegliarsi". Termini, questi, che potevano essere fraintesi. I discepoli "però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo" (v. 32). Gesù Cristo risorge dai morti perché tutto il suo essere è perfetta e intima unione con Dio, che è l'amore davvero più forte della morte. Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell'ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà la vita, ci libera e ci salva. La sua risurrezione è stata dunque come un'esplosione di luce, un'esplosione della Nuova Storia di amore cioè della Nuova Alleanza che scioglie le catene del peccato, i condizionamenti del Maligno e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione storica della vita e della realtà, dalla quale soltanto emerge un mondo nuovo, che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira a sé.
In effetti, leggendo questa parte del racconto di Marco, appare evidente che tra Gesù ei discepoli c'era una profonda distanza interiore; si trovano per così dire, su due diverse lunghezze d'onda, su due paradigmi, così che i discorsi del Maestro non vengono compresi, o lo sono soltanto superficialmente. L'apostolo Pietro, subito dopo aver manifestato la sua fede in Gesù, si permette di rimproverarlo perché ha predetto che dovrà essere rifiutato e ucciso. Dopo il secondo annuncio della passione, i discepoli si mettono a discutere su chi tra loro sia il più grande (Mc 9,34); e dopo il terzo, Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù di poter sedere alla sua destra e alla sua sinistra, quando sarà nella gloria (Mc 10,35-40). Ma ci sono diversi altri segni di questa distanza: ad esempio, i discepoli non riescono a guarire un ragazzo epilettico, che poi Gesù guarisce con la forza della preghiera (Mc 9,14-29); o quando vengono presentati a Gesù dei bambini, i discepoli li rimproverano, e Gesù invece, indignato, li fa rimanere, e afferma che solo chi è come loro può entrare nel Regno di Dio cioè essere raggiunti dal suo amore (Mc 10,13-16).
Che cosa dice tutto questo? Ci ricorda che la logica di Dio è sempre "altra" rispetto alla nostra, come rivelò Dio stesso per bocca del profeta Isaia: "I miei pensieri non sono i vostri pensieri,/ le vostre vie non sono le mie vie" (Is 55,8). Per questo seguire il Signore per tutta la vita richiede sempre ad ogni uomo una continua e profonda conversione – da noi tutti -, un cambiamento nel modo di pensare e di vivere. Richiede di aprire il cuore all'ascolto per lasciarsi illuminare e trasformare interiormente, comunitariamente cioè ecclesialmente, culturalmente. Un punto-chiave in cui Dio e l'uomo si differenziano è l'orgoglio: in Dio non c'è orgoglio, perché Egli è tutta la pienezza ed è tutto proteso ad amare e donare la vita; in noi uomini, invece, l'orgoglio è intimamente radicato e richiede costante vigilanza e purificazione. Noi, che siamo piccoli, aspiriamo ad apparire grandi, ad essere i primi, mentre Dio, che è realmente grande, non teme di abbassarsi fino alla crocefissione e di farsi ultimo. E la Vergine Maria è perfettamente "sintonizzata" con Dio: invochiamola con fiducia, affinché ci insegni a seguire Gesù sulla via dell'amore e dell'umiltà.
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