Domenica XXIV
Cristo ha trasformato la Croce da segno di maledizione in segno di benedizione, da simbolo di morte in simbolo per eccellenza di Amore che vince l’odio e la violenza e genera la vita immortale. “O croce, unica speranza”
La liturgia ci fa rivivere, ascoltando Lui risorto, che ci parla con due domande, una alla gente e una a loro discepoli. “Chi dice la gente che io sia?”. Il suo ministero ha avuto un grande successo; egli ha parlato come nessun uomo ha mai parlato (Gv 7,46) e ha manifestato al tempo stesso una bontà straordinaria e una potenza impressionante: ha accolto tutti i malati e ne ha guarito molti. Rispondono i discepoli: per
alcuni sei Giovanni Battista risorto, per altri Elia – Elia, secondo il racconto biblico, non era morto, ma era assunto in cielo; quindi ne era atteso il ritorno; per altri uno dei grandi profeti. “E voi chi dite che io sia?”. Pietro risponde per tutti: “Tu sei il Cristo”. Guidato dallo Spirito Santo, fa il primo atto di fede cristiana riconoscendo in Gesù il Messia, il re promesso a Davide, il re che doveva essere il Figlio del Padre in un volto umano come era promesso dal profeta Natan: “Io (Dio) gli sarò Padre ed egli mi sarà Figlio” (2 Sam 7,14).
La reazione di Gesù a questa chiara confessione di Pietro è inaspettatamente negativa. Egli riconosce questa identità offerta dallo Spirito, ma impone severamente ai discepoli di non parlare a nessuno di Lui, di non dire a nessuno che egli è il Messia. IL motivo è lo stesso che, dopo la moltiplicazione dei pani, lo ha spinto a ritirarsi solo sulla montagna rifiutandosi di diventare re (Gv 6,15). Egli si riconosce nella confessione di Pietro su cui fonderà la sua Chiesa, ma sa che la sorte del Messia non è quella immaginata dalla gente e comincia a insegnare che il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni cioè senza la polverizzazione del corpo, risuscitare. Pietro allora lo prende in disparte e si mette a rimproverarlo. Pietro non accetta questa sorte umiliante di Gesù. Anche lui, come i discepoli, il popolo, gli uomini pensa a un Messia trionfatore. Decisa e severa la reazione di Gesù, rimprovera Pietro e gli dice: “Lungi da me satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”. Nel caso di Gesù i pensieri di Dio vanno nel senso di dover attraversare una passione dolorosa e umiliante per rivelare l’altezza, la profondità, la larghezza, la lunghezza dell’amore di Dio. Ma è la via di chi vuol diventare suo discepolo: “se qualcuno vuol venire dietro di me, se vuol amare, rinneghi se stesso, si faccia dono del Donatore divino nel proprio essere, prenda la sua croce e mi segua”. Ce lo richiamano due importanti ricorrenze liturgiche della settimana trascorsa: la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce celebrata il 14 settembre, e la memoria della Madonna Addolorata, celebrata il giorno dopo. Queste due celebrazioni liturgiche si possono riassumere visivamente nella tradizionale immagine della Crocefissione, che rappresenta la Vergine Maria ai piedi della Croce, secondo la descrizione dell’evangelista Giovanni, unico degli Apostoli a restare accanto a Gesù morente. Ma che senso ha esaltare la Croce? Non è forse scandaloso venerare un patibolo infamante? Dice l’apostolo Paolo: “Noi predichiamo Cristo crocefisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani” (1 Cor 1,23), per me luce e forza per scoppiare di gioia in tutte le mie tribolazioni. I cristiani, però non esaltano una qualsiasi croce, ma quella Croce che Gesù, persona divina nella natura umana, ha santificato con il suo sacrificio, frutto testimonianza di immenso amore e che in modo incruento rende attuale in ogni celebrazione eucaristica. Cristo sulla Croce ha versato tutto il suo sangue per liberare l’umanità dalla schiavitù del peccato e della morte, per sostenerci nell’opposizione del Maligno. Perciò da segno di maledizione, la Croce, ogni sofferenza per amare è trasformata in segno di benedizione, da simbolo di morte in simbolo per eccellenza della Nuova Alleanza, della Nuova Storia di amore che vince l’odio e la violenza e genera la vita immortale, fa scoppiare di gioia in tutte le tribolazioni. “O Croce, unica speranza”. Così canta la liturgia. Narra l’evangelista: ai piedi della Croce stava Maria, la sua mamma (Gv 19,25-27). Il suo dolore forma un tutt’uno con quello del Figlio. E’ un dolore pieno di fede e di amore. La Vergine sul Calvario partecipa della potenza salvifica del dolore di Cristo, congiungendo il suo “fiat”, il suo “sì”, a quello del Figlio. Spiritualmente uniti alla Madonna Addolorata, rinnoviamo anche noi il nostro “sì” al Dio che ha scelto la via della Croce per salvarci. Si tratta di un grande mistero che è ancora in atto, fino alla fine del mondo, e che chiede la nostra collaborazione. Ci aiuti Maria a cogliere il dono di quest’unica speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così rande da giustificare la fatica del cammino.
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