Urge il contributo dei cattolici nella politica italiana
Ci sono cattolici, movimenti che a titolo personale portano avanti il messaggio cristiano. Ma resta, pur fondamentale, una posizione individuale nell’attuale individualismo culturale egemone, manca un contributo organico, culturale dei cattolici che in politica sono un po’ scomparsi.
Il reiterato appello del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente dei vescovi italiani, ai cattolici perché “non abbiano paura della responsabilità politica” si fa sempre più insistente. “Abbiamo rischiato di farci contagiare dal clima di paura e ci siamo chiusi nei nostri ambienti. Abbiamo avuto paura anche della politica, come qualcosa che ci sporcava”.
Anche Papa Francesco invita a “scendere dal balcone” del fondamentale momento personale di una fede pienamente accolta che va comunitariamente vissuta e pensata per divenire cultura cattolica per poter mediare con altre culture e quindi poter dare un contributo laico in politica. Papa Francesco ha
rivolto ai giovani nel discorso di Cesena dell’ottobre scorso, le parole messe nero su bianco dai vescovi italiani alla fine della loro assemblea di maggio, la prima dopo le elezioni politiche: “La debolezza della partecipazione politica dei cattolici è espressione anche di una comunità cristiana poco consapevole della ricchezza della Dottrina sociale cristiana e, quindi, poco attiva nell’impegno prepolitico. Di qui la volontà di conversione culturale che sappia dare continuità alla storia del cattolicesimo politico italiano, testimoniato da figure alte per intelligenza e dedizione”.
Il cattolicesimo politico è anche conseguenza dell’enorme riduzione quantitativa del chiesa cattolica in ambito europeo, in parte anche italiano. A livello di rapporto tra Vangelo e cultura è un fallimento e nello stesso tempo una possibilità anche nell’attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l’impiego della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture le strutture reali dell’universo – che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con la celebra affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una domanda. Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la ragione oggettiva della natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo attuale delle scienze ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il primato all’irrazionale, al caso e alla necessità, a ricondurre ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi diventa anche di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità che le tiene insieme.
Nei decenni passati nei quali abbiamo conosciuto in non pochi paesi d’Europa, in particolare in Italia, un cattolicesimo molto significativo nella società e nella politica, che a volte faceva un po’ il bello e il cattivo tempo – e forse un po’ troppo -, questo aveva i suoi vantaggi. C’era una società che era molto impregnata della fede e dei valori cristiani – ma forse mancava una convinzione personale in un momento in cui Dio rimaneva sempre più escluso dalla cultura e dalla vita pubblica pur con tante istituzioni cristiane, e la fede in Lui diventava sempre più difficile, anche perché viviamo in un mondo secolarizzato che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenire superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha luogo a livello di rottura tra Vangelo e cultura una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro animale. E tutto questo si veniva messi sui binari cristiani fin dall’infanzia: la parrocchia, la scuola, la famiglia, i movimenti giovanili, proseguiva la Democrazia Cristiana a livello politico. Era una cosa buona, ma cosa c’era dietro, dentro le profondità del cuore e dell’anima umana storica? Oggi, in questa situazione che si può qualificare drammaticamente come un fallimento per l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se stesso, c’è almeno un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza che se qualcuno adesso è cattolico, lo è e lo diviene per una scelta personale. Questo è un guadagno.
Ma quali sono le cause di questo sfaldamento, di questa drammatica frattura nel periodo moderno tra Vangelo e cultura? Si è creduto che insistendo sull’aspetto orizzontale della fede e della pratica cristiana, sull’amare gli altri come si ama se stessi e non più come Dio ci ama, adattandole al mondo circostante sempre più secolarizzato, si sarebbero raggiunte le masse. Si tratta di un cattolicesimo, un cristianesimo un po’ più edulcorato, o anche un cristianesimo non più contrariato, senza fatica e pastoralmente non un buon affare. La fede pienamente accolta cioè cattolica, comunitariamente vissuta e pensata che diviene continuamente cultura cattolica con la possibilità di dare un contributo organico anche alla politica non può non essere sotto certi aspetti controcorrente. Certamente si deve inculturare nel mondo storico attuale, ma nel contempo deve sempre testimoniare una diversità arricchente. L’esempio è san Paolo quando nella Lettera ai romani invita a non conformarsi a questo mondo. Eppure Paolo era molto presente al mondo dei suoi tempi, allo stoicismo romano, ha usato tutti i mezzi disponibili per raggiungere le genti e, oltre alla sua cultura giudaica, aveva una buona cultura greca. Ma, nello stesso tempo, in lui c’era in lui l’incisività di una diversità. E, a lungo termine, questa è stata più efficace. Attira, colpisce, sconvolge i cuori, provoca persecuzioni. Abbiamo puntato troppo, pur per buoni motivi, su un cattolicesimo, su un cristianesimo gentile, un cristianesimo di convenienza con cattolici in tutte le formazioni politiche, simpatico, che non sia troppo tagliente, che non voglia più spaventare accentuando la misericordia fino ad escludere il rischio infernale, complice di ciò che oggi il mondo vive e non abbastanza, come avrebbe detto Dietrich Bonhoeffer, questo grande oppositore protestante di fronte all’ideologia nazista, un cristianesimo “confessante” che si mostra senza costringere e che non nasconde mai la sua identità per essere accettato. Il cattolico anche convinto, il cristiano oggi è timido, ha paura di far valere il suo pensiero, la sua scelta, il suo contributo anche politico convinto che l’impegno politico è il più difficile, il più rischioso, ma la forma più alta di carità. Ricordiamoci Agostino: esiste la città degli uomini e la città di Dio. E’ necessario la vorare su entrambi i piani e questa è la ricchezza ma anche il disagio di ogni cattolico, di ogni cristiano, che deve avere da una parte i piedi per terra e, dall’altra parte, il cuore, l’intelligenza, la volontà, libera da ogni idolatria immanente, orientate verso una realtà che è al di là dello spazio e del tempo di questo mondo. Questa tensione, questa attesa della speranza affidabile, che è meravigliosa e arricchente anche per affrontare il presente, anche un presente difficile, ma non facile da vivere, può forse spiegare una certa ritrosia a impegnarsi fino in fondo. Quando si ha un orizzonte terreno con tutti i limiti all’esistenza umana, storica, - l’orizzonte dell’universo, della storia umana, della società anche con tutto il progresso scientifico e tecnico – se non si hanno altri orizzonti, altre mete grandi e sicure, al di fuori di questo, certamente si investono tutte le energie in azioni che hanno, soprattutto oggi, un impatto storico, sociale, scientifico. Ci si impegna interamente in questa dimensione, vanificata a livello individuale nel momento della morte. Quando invece si punta, si appartiene a due città, ci si adopera in quella attuale anche per un’altra dimensione.
Il problema, che investe anche lo strumento politico democratico, è tutto nella cultura che predomina in Occidente e che vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo europeo moderno, per la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile, mentre sul piano la libertà individuale viene eretta a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Il problema è tutto, tentando di imporlo con la primavera negli stati musulmani, nella concezione che si ha della libertà, del “culto unilaterale” della nostra libertà nella sua forma individualista come il liberismo selvaggio oggi in Occidente impone. E’ come se l’espressione individuale della mia libertà, della mia coscienza, sia divenuto il bene assoluto, il valore supremo nella determinazione di ciò che è bene e di ciò che è male. Ora, la libertà della mia persona è un grande valore, senza del quale non può accadere l’amore, ma non è un valore assoluto perché in rapporto alla verità che rende liberi: noi poi siamo sempre inseriti in un complesso che è più grande della nostra libertà. La nostra libertà non è che la punta emergente di questo iceberg che è la nostra umanità. Quando si parla insomma di eutanasia, aborto, omosessualità, teoria del genere, onnipotenza della tecnica, troviamo sempre questa concezione di una libertà che viene assolutizzata, mentre invece, nel suo esercizio concreto, essa è sempre relativa a migliaia di altri aspetti della nostra esistenza o della realtà. Questo il tratto comune, forse tipico, della modernità, sebbene d’altra parte, nel mondo contemporaneo, siano presenti anche molti orientamenti filosofici che tendono piuttosto a negare la libertà, sia ricorrendo all’inconscio che alla pressione sociale fino oggi, con il rischio del populismo, a relativizzare il sistema democratico. C’è dunque un paradosso tra un culto quasi adolescenziale della libertà e, dall’altra parte, una visione strutturalista dell’esistenza umana: io non parlo, ma c’è qualcosa che parla in me; io non penso, ma c’è qualcosa che pensa in me.
L’enciclica Laudati sì, in queste settimane, compie il suo terzo compleanno. Occorre preservare questo pianeta. Impressiona che, in questo testo, non si trova praticamente alcun riferimento al fatto che questo mondo che cerchiamo di preservare non deve sere identificato sic et simpliciter con la creazione verso cieli nuovi e terra nuova. Manca uno sguardo abbastanza ampio sulla creazione. Senza chiamare la Terra nostra madre Gaia, perché ci sono delle ambiguità in questo termine, è chiaro che noi dobbiamo cercare di trasmettere alle generazioni che verranno un pianeta vivibile, prestando però attenzione al modo con cui ratifichiamo le relative tesi scientifiche che sono all’origine di certe profezie sul futuro del pianeta. C’è in effetti attualmente un consenso di molti scienziati, ma vi sono altri scienziati autentici che sono restii: essi ritengono che esistono spiegazioni possibili a quello che chiamiamo cambiamento climatico. La chiesa deve essere prudente: essa si deve impegnare ma con prudenza, per non presentare un nuovo caso Galilei, per cui si dirà. Voi avete sbagliato di approvare questa o quella tesi scientifica.
Oggi il grande confronto, anche a livello politico, confronto intelligente e fermo è verso l’islam. C’è la speranza che questo confronto porterà i cattolici, i cristiani d’occidente a essere un po’ più consapevoli della loro identità cattolica, cristiana. E già si nota, anche in giovani in reazione, una presa di coscienza della loro realtà innestando un contributo politico. Di fronte, per esempio al ramadan, ci sono cristiani che si domandano cosa fanno loro in Quaresima. Quando vedono i musulmani mentre sgranano la loro corona, si domandano che ne fanno della preghiera del Rosario. E in modo più generale, vedendo i musulmani legati alle loro preghiere, alcuni cristiani riscoprono l’importanza della preghiera che rende possibile alla Provvidenza di Dio intervenire continuamente avendoci creati liberi.
In questo rapporto con i musulmani può accadere un confronto fruttuoso. In Italia, per molto tempo, siamo stati abituati ad essere cattolici, con appena qualche ebreo, qualche liberale, qualche libero pensatore, qualche marxista, qualche frammassone. Siccome eravamo in maggioranza cattolici, non eravamo abituati a dover approfondire la nostra identità talmente era evidente. Ma oggi le cose cambiano. Negli Stati Uniti i cattolici, pur nella laicità della politica, sono più coscienti di chi sono i cattolici, perché sono circondati da protestanti, ebrei, buddisti e musulmani. Oggi anche in Italia quel che è in gioco nella laicità politica è una chiara coscienza di sé e una certa fierezza di essere quel che si è.
Ho attinto da una intervista di Monsignor André Léonard in Il Foglio quotidiano di sabato 16 giugno 2018.
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