Chiesa esci dalla mediocrità

“Chiesa esci dalla mediocrità, sii capace di piegarti su ogni uomo” (cardinale Piacenza)
Lo afferma il cardinale Piacenza, penitenziere maggiore, durante la Messa nella festa di san Luigi Gonzaga nell’anno giubilare aloisiano
Bisogna «vivere nel mondo, ma, guai a noi se diventassimo del mondo! Guai a una Chiesa che cercasse la propria ragion d’essere non nel mandato missionario di Cristo, ma nell’apprezzamento» mondano. È l’appello del cardinale Mauro Piacenza, penitenziere maggiore, che lancia nella Messa celebrata oggi, 21 giugno 2018, nella basilica romana di S. Ignazio per la festa di san Luigi Gonzaga nell’anno giubilare aloisiano. Il Porporato auspica che l’Istituzione
ecclesiastica esca «dalla mediocrità», sia «in uscita» come chiede papa Francesco, «verso l’alto, verso Dio», dunque capace di piegarsi «su ogni uomo». 

Sul Santo odierno, «patrono della gioventù», Piacenza sottolinea che «rappresenta, ancora e sempre, una salutare provocazione per la nostra vita di cristiani, universalmente chiamati alla santità, per la missione della Chiesa e per una corretta impostazione del rapporto con il mondo». 

Il Cardinale poi mette in guardia: «Se la fede cristiana è ridotta a un vago deismo, nel quale Dio non ha più i tratti unici di Gesù di Nazaret e nel quale Egli non è più l’Unico Salvatore universale, si è perso qualcosa di essenziale per il cristianesimo, si è perso il metodo della Divina Rivelazione». 

E una riduzione «deistica non può che avere come conseguenza un asfissiante moralismo, che, senza Cristo, non ha né radici né orizzonte teleologico». Un moralismo che inevitabilmente diventa «fonte di continua frustrazione e, per conseguenza, perfino causa di allontanamento dalla fede». Per Piacenza «entrambe le riduzioni, deistica e moralistica, portano a un “cristianesimo terapeutico”, nel quale si è cristiani perché “fa bene; fa stare bene” in modo sentimentalistico e istintivo, quasi totalmente svincolato dal tema della verità e dalla adesione della ragione a essa». 

Avverte il Penitenziere maggiore: «Se la nostra fede e la fede che proponiamo ai giovani si riducesse a un deismo moralistico-terapeutico, il cristianesimo perderebbe qualunque fascino, perché perderebbe l’unico centro catalizzatore dei nostri duemila anni di storia nel mondo: Gesù Cristo Salvatore!».  

Quindi la Chiesa «in uscita, alla quale costantemente ci richiama Papa Francesco, non può non essere, anche e soprattutto, una Chiesa in uscita dalle pastoie del peccato, dalle ombre del compromesso, dai legami con quella mentalità mondana, che, di fatto, esclude Dio dalla realtà, riducendo la Chiesa stessa a una delle tante organizzazioni mondiali». 

Invoca Mauro Piacenza: «Chiesa di Cristo, Chiesa di Roma, guardando ai tuoi grandi santi, esci dalla tua mediocrità, sii davvero Chiesa in uscita, in uscita verso l’alto, verso il tuo Signore e, perciò, capace di piegarti su ogni uomo e su ogni bisogno!». 

Il Cardinale ricorda che «una tale capacità di elevazione, non risiede nello sforzo moralistico delle singole libertà personali, ma nell’intervento soprannaturale della Grazia, che suscita uomini nuovi, aperti all’azione dello Spirito Santo e, perciò, autentici riformatori». 

Poi incoraggia e allo stesso tempo ammonisce: «Proprio in obbedienza al principio dell’Incarnazione, dobbiamo, come Chiesa, vivere nel mondo, essere nel mondo, ma, guai a noi se diventassimo del mondo! Guai a una Chiesa che cercasse la propria ragion d’essere e la propria legittimazione non nel mandato missionario di Cristo e nella propria soprannaturale istituzione, ma nell’apprezzamento e nella legittimazione del mondo». Se così fosse, «si ridurrebbe a esporsi a ogni possibile controllo del potere, che, di volta in volta, nei secoli, ha sempre tentato di manipolarla». 

Piacenza osserva: «Abbiamo tempi, di fronte a noi, nei quali sarà sempre più necessario difendere la libertà religiosa, inclusiva della libertà di pensiero e madre di ogni altra libertà! Inquietanti sono, a tale proposito, le avvisaglie in tutto l’Occidente di una pertinace volontà di ridurre gli spazi di libertà degli uomini, in funzione dell’incontestato dominio di un pensiero unico, di fatto ateo, incapace di dare risposte e foriero di una antropologia menzognera». 

Ecco che la figura di Luigi Gonzaga può diventare particolarmente preziosa: «Guardando anche alla forza con la quale questo giovane Santo ha lottato per la propria vocazione, combattendo la mentalità mondana prevalente intorno a lui e, perfino, la contrarietà del proprio padre, che vedeva in lui il futuro del marchesato, dobbiamo ancora e sempre educare i nostri giovani alla libertà». Ma alla libertà «autentica, che non è, né può essere, assenza di legami, né sudditanza al proprio ventre, obbedienza a ogni capriccio dell’istintività o della sensualità. Al contrario, la libertà che vediamo in San Luigi e alla quale, con serena determinazione, dobbiamo educare i nostri giovani, è quella che scaturisce dall’appartenenza a Cristo, dalla consapevolezza che ogni uomo nasce libero perché voluto, creato e amato da Dio». 

Piacenza prevede che «la vera sfida, dei prossimi decenni, non sarà quella ecumenica, né quella, fondamentalmente del dialogo interculturale! La vera sfida sarà quella antropologica; sarà quella tra chi vuole costruire un mondo senza Dio, nel quale l’uomo diviene un oggetto, e chi invece riconosce Dio come Autore del cosmo e della storia e, credendo in Dio, riconosce e crede nell’indisponibilità dell’uomo!». Ancora: «La vera sfida sarà tra chi vuole farla finita con l’uomo e chi, invece, vorrà ancora essere fedele all’uomo, sapendo, però, che è semplicemente impossibile essere fedeli all’uomo se non si è fedeli a Dio e viceversa». 

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