Lo sviluppo delle scienze ci porta verso il Logos creatore
Urge capovolgere la tendenza culturale secolare di dare il primato alla
scelta irrazionale della volontà, al caso o senza ragioni, alla necessità della
natura, e ricondurre la volontà al Logos
creatore anche della nostra intelligenza e della nostra libertà, allargando
gli spazi della nostra razionalità, riaprirla alle grandi questioni del vero,
del bene, coniugando tra loro la teologia, la filosofia metafisica e le scienze
fisiche, nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca autonomia,
ma anche nella consapevolezza dell’intrinseca unità creaturale che le tiene
insieme
Lo stimolo viene in occasione
della morte del geniale astrofisico Stephen Hawking che non rispettando il
metodo proprio della fisica e della metafisica con la volontà è giunto
all’irrazionale affermazione della non esigenza del Creatore per dare ragione
al Tutto cosmico da cui viene attraverso il buco nero la nostra esistenza. E il
Tutto cosmico da cui l’esistenza del mondo da dove proviene? Con la volontà
irrazionale, non religiosa, posso dire che è il fondamento, non con una
verifica fisica o una argomentazione metafisica. Non così con una volontà
religiosa, rivelata.
“La rivelazione dice - [1]: ciò che
è, è creato. Creato da Colui che è in sé increato, eterno.
Cosa significa “creare”?
Significa: far sì che ciò che non è sia.. Far sì che ciò che l’ente è – la sua
immagine qualificante, la sua forma essenziale, la sua figura di senso – sia
giusto, sia valido, abbia diritto di essere. Questo atto, con cui Dio causa la realtà,
plasma la forma essenziale, fonda la figura di senso, noi non siamo in grado di
pensarlo, eppure tutto rinvia ad esso. Se vogliamo avvicinarci, solo
avvicinarci, non dobbiamo pensare in modo oggettivistico. Non quindi come
quando chiediamo: questo tavolo qui, come si è formato? E rispondiamo: lo ha
fatto il falegname. Non dobbiamo metter qui il mondo, mettergli di fronte Dio e
poi cercare di pensare come questo Dio abbia creato questo mondo. Una
causazione di tipo oggettivistico come questa non si avvicina a ciò che qui è
in gioco; è inadeguata non solo per grado, ma qualitativamente, per essenza.
Dobbiamo procedere in modo diverso, a partire da noi stessi, ogni volta ciascuno
deve procedere a partire da se stesso, (dalla consapevolezza cioè dalla verità,
dalla realtà del proprio e altrui essere dono del Donatore divino, come di
tutto il mondo che ci circonda). Devo cercare di pensare: Dio mi ha creato, me
e il mondo …il mondo e me …me nel mondo …ogni volta uno (nel proprio e altrui
essere dono del Donatore divino) si realizza
in rapporto all’altro (e all’essere dono di tutto il mondo) … devo mettermi
faccia a faccia con Dio, (con il Logos creatore). Per così dire, devo guardare
dentro nel raggio d’azione che Egli mi rivolge dicendo: “Tu sii!”. E io rispondo:
“io sono!”.
Questo non è semplice pensiero,
ma un atto religioso. Forse si può dire che sia l’atto fondamentale, la verità
di ogni religione, di ogni filosofia, di ogni scienza. Non uno sguardo che
dissolve, non un sapere razionale, forse un’intesa. Qualcosa in me, la verità,
la realtà dell’essere dono cioè l’essere creato, capisce di cosa si tratta e
risponde con una adesione o rifiuto della volontà libera. Nella rivelazione Dio
parla a chi ascolta: “Tu uomo” – più concretamente: “tu” – esegue il nome –
“nella tua essenzialità e realtà sei grazie a me. La tua esistenza, (la verità
del tuo essere dono), scaturisce dall’atto con cui ti voglio. Voglio che tu
sia, ti stabilisco nella tua essenza”. La fede, (nella consapevolezza della
verità del proprio e altrui essere dono del Donatore divino) risponde con la
volontà cioè liberamente: “così è; acconsento”. Nasce un’intesa tra il
Creatore, Il Donatore divino e me, il mio essere dono. Questo è il nocciolo della
coscienza di esistere, anzi no, dell’esistenza stessa. La sostanza è la radice
di ogni preghiera (di chi si percepisce nella verità del proprio e altrui
essere dono del Donatore divino, come di tutto il mondo che lo circonda).
Del divenire del mondo, nella
consapevolezza del suo essere dono, diciamo: “Dio l’ha creato”. “Dio l’ha
creato”. L’affermazione è pronunciata tenendo conto del rapporto con il tempo,
così come noi lo viviamo. Si tratta dello schema con cui diciamo ad esempio:
“l’architetto ha costruito questa casa due anni fa; da allora essa c’è”. Questo
schema non va bene nel caso del rapporto tra Creatore e creazione; infatti
anche il tempo è creato da Lui; più esattamente, la temporalità dell’ente
finito, l’ente nella sua temporalità. L’atto in sé del creare si colloca in
nessun tempo. E’ “eterno”, come tutto quello che Dio fa da fuori il tempo e lo
spazio.
Così siamo costretti a dividere
l’affermazione in due proposizioni. La prima: Dio ha creato il mondo, cioè, ne
ha posto l’inizio. Questo inizio non lo possiamo raggiungere con il pensiero,
dal momento che noi anzi facciamo parte del mondo, ma dobbiamo prenderne atto.
L’altra proposizione: Dio conserva il mondo nell’essere; fa sì che esso duri.
L’atto divino coesiste con ogni elemento dell’ente, con ogni elemento della sua
durata, con ogni quantum – se così si
può dire – degli eventi.[2]
Ciò significa che in ogni
elemento di ciò che si chiama “mondo” Dio è presente. Ma dobbiamo ancora una
volta rettificare. Il concetto di “presenza” è preso dalla nostra esperienza in
cui una cosa è “accanto” all’altra. Qui il fenomeno è inteso in senso radicale,
assoluto e significa che non c’è nulla
di vero e di buono senza Dio, senza il Donatore divino di ogni essere dono. Che
tutto ciò che è e che accade veramente c’è solo perché Dio l’ha chiamato
all’esistenza e lo conserva in essa.
Loro sanno con quanta energia una gran parte del pensiero contemporaneo
è al lavoro per creare una immagine, una percezione del mondo che neghi tutto il
religioso: un mondo puramente “mondano”.[3]
Un’idea come questa non proviene dalla conoscenza, ma dalla volontà, (dalla
prevalenza dell’Ethos sul Logos). Dalla volontà di ridurre il mondo a un fatto
puramente profano, secolare, per poterne disporre, come si può fare solo con il
profano. Ma chi ha questa volontà è quell’uomo che vuol essere anche lui stesso
un uomo semplicemente-umano, un uomo semplicemente-profano, per potersi
comportare con se steso come se ci fossero solo “mondo e uomo” e nient’altro.
Ma questo contraddice la verità
dell’esistenza. Pascal ha detto: “l’uomo trascende infinitamente l’uomo” e
quest’esperienza fa parte del suo esperire se stesso considerato nella sua completezza
– così come il mondo è infinitamente più di un semplice mondo. Anche di questo
facciamo continuamente esperienza, benché non ci facciamo caso. Un mondo
semplicemente mondano sarebbe orribile, condannato all’irrazionale, al caso,
alla necessità, un rigido controsenso. Noi in esso, saremmo soffocati,
nonostante tutti gli anni luce della sua estensione spaziale. Anche un uomo
così sarebbe orribile. Sarebbe un demonio; possiamo farcene un’idea se pensiamo
a come si comportano quelli che hanno la volontà di diventare uomini così. Per
non parlare del controsenso sacrilego che consiste nel fatto di volgere ciò che
è stato dato da Dio contro Colui che l’ha dato; infatti un uomo così cerca di
eliminare Dio con l’essere che Lui ha creato. Ma un uomo così non c’è, così
come non c’è un mondo così. Questa immagine è un prodotto storico di una
volontà arbitraria. Il mondo che c’è è il mondo che Dio ha creato e conserva
nell’essere. Il mondo è in sé un fatto religioso.[4]
Con questo non si vuol dire nulla
contro quel concetto fisico, matematico di mondo che la scienza utilizza – la
scienza vera, non quella politicizzata. Essa prescinde dal religioso, intende
per “mondo” la quintessenza delle realtà empiriche e indaga le leggi che lo
costituiscono. Questa è un’idea che ci aiuta a capire e va bene.[5] Ma la
questione esistenziale del mondo è qualcosa di diverso, Quella cioè che
s’interroga su come l’uomo – in quanto vivente, essere che conosce, che è
persona che s’interroga da dove viene e a chi è destinata, che con la sua
volontà è eticamente responsabile – comprenda il mondo in cui si trova e come
comprenda se stesso per quello che egli
è. Già la filosofia metafisica fa esigere, la rivelazione afferma: questo mondo
è un fatto religioso e quindi la comprensione che l’uomo ha di questo mondo
deve a sua volta contenere il momento religioso.
In precedenza abbiamo parlato
della rivelazione naturale; dell’impressione che le cose e i fatti del mondo
esercitano sull’uomo che li accoglie: di come essi gli trasmettano la
percezione, la consapevolezza che nella loro realtà empirica si esprima
qualcosa di Trans-Empirico. Questa impressione diventa tanto più forte, quanto più
regrediamo nella storia; al contrario diventa tanto più debole, quanto più la
volontà scientifica domina l’atteggiamento spirituale. E così il mondo diventa
sempre più ricco di problematica razionale, ma sempre più povero in profondità
e intensità esistenziali, più sprovvisto di sostanza vitale. Ciò che da questa
esperienza si capisce è questo: tutto ciò che è, è stato creato; tutto ciò che
è, c’è nella forma dell’esser creato; l’”esistenza” è un frutto della volontà
creatrice, ogni forma essenziale, ogni figura di senso, il ”che cosa” di ogni
cosa è escogitato dallo spirito di Dio, è fondato come valido dalla sua arte eterna. Ciò lo si
esperimenta in ogni cosa e avvenimento. I miti o descrizione immaginaria del
divino invisibile sono il tentativo dell’uomo, che non si trova ancora nella
rivelazione, di interpretare questo carattere dell’ente. Nonostante tutte le
critiche di fondo a cui devono essere sottoposti, essi sono di gran lunga più
veri della semplice interpretazione mondana del mondo. E’ più corretto parlare
di Zeus e di Apollo che di un semplice sistema mondano di classi e di energie.
Così ogni autentico incontro con
il mondo contiene la possibilità di incontrare Dio come avviene in ogni
incontro dell’uomo con se stesso. L’uomo arriva a vedere anche se stesso nella
propria verità e totalità vivente solo se si comprende nel proprio e altrui
essere come dono a partire dalla volontà creatrice di Dio. Anche l’uomo non è
mai semplice uomo, ma è sempre uomo creato. Ora, c’è un luogo particolare in
cui questo incontro con Dio si realizza in modo privilegiato? Qui nasce un
problema che al momento forse suona strano, ma che è importante: dove si
trovano i poli del mondo?....
Grazie alla rivelazione biblica,
un fatto storico, manifesta anche alla
ragione l’assoluta sovranità di Dio. Egli ha creato il mondo in perfetta
libertà. La questione del perché l’abbia fatto trova risposta in un motivo che
si chiarisce completamente solo nella persona del Logos creatore, di Cristo,
cioè l’amore divino.
Il mondo dunque non è “natura”
con il primato all’irrazionale, al caso, alla necessità, ma opera cui
ricondurre anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. La sua origine non
sta in una profondità primordiale alla quale un movimento mitico originario
l’avrebbe sottratto, ma nella parola sovrana del Creatore. La sua perfezione si
basa sulla sapienza e forza creatrice di Dio. Esso è vera realtà, ma creata;
così non appartiene a se stesso. Non è neppure senza padrone, ma è proprietà di
Dio. Non sta nell’oscurità che sarebbe illuminata solo dalla conoscenza umana,
ma è conosciuto fin dall’inizio; infatti l’istituzione delle sue realtà è il
pensiero con cui Dio, creando, lo pensa. Non se ne sta lì “selvaggio”, ma
qualcuno se ne assume la responsabilità, dal momento che chi l’ha creato se ne
fa garante.
Nella tarda antichità la
rivelazione entra nella coscienza dell’Occidente. Il Medioevo crea una nuova
immagine del mondo. Quanto al valore, questa immagine possiede una duplice
determinazione. Innanzitutto, e in modo irrevocabile, il mondo è opera di Dio;
in quanto tale è buono e da Lui amato. Di esso fa parte, come essere esistente,
anche l’uomo. Ogni incontro di quest’uomo con il mondo, come pure con se
stesso, ha però anche quel carattere di colpa e di disordine che deriva fin
dalla prima azione originale. E’ vero che il credente sta nel contesto della
redenzione e reca in sé un sempre possibile nuovo inizio, tuttavia, nonostante
questo, il disordine non viene superato; acquista piuttosto una nuova
possibilità: superare, con l’impegno etico, la tentazione di una nuova colpa e
rendere il disordine, con le sue conseguenze, un elemento di progresso morale
come pure – cosa che è ampiamente dimenticata – renderlo espiazione per la
colpa dell’umanità.
Da questi due momenti deriva una
contraddizione che appartiene all’essenza della nostra esistenza. E’
ineliminabile e verrà superata solo nell’eternità, nel Giudizio finale senza la
pretesa ideologica di una completa soluzione temporale della giustizia. Nel
corso della storia emerge continuamente portando disordine nel rapporto che
l’uomo intrattiene da un lato con il mondo, dall’altro con se stesso.
Con la rivelazione della
sovranità di Dio e dell’immediatezza dell’uomo a Lui, l’immagine mitica del
mondo è fondamentalmente superata. Il mondo è disincantato. Divinità e destini
divini scompaiono dal mondo rendendo così possibile la visione della realtà in
tutti gli ambiti, con possibilità e limiti. Dal momento però che la propensione
all’esperienza religiosa è straordinariamente forte, il credente sperimenta
tutte le cose come se fossero permeate dal mistero. A ciò si aggiunga che il
concetto di realtà empirica del mondo con le sue leggi non è ancora acquisito.
Così ci vuole un lungo sforzo dello spirito e del cuore per operare anche in
concreto il persistente influsso della comprensione mitica del mondo. La
fantasia vi gioca ovunque. Il rapporto con il mondo è ampiamente acritico e
sono grandi le possibilità della superstizione. Dal particolare tipo spirituale
dei popoli europei in via di formazione il pensiero acquisisce forti impulsi
architettonici. La trascendenza di Dio costituisce il punto di appoggio per la
strutturazione del mondo e nasce l’immagine di una totalità mondana
gerarchicamente organizzata, la cui base è sulla terra e il cui vertice sta in
Dio. Questo mondo è finito, “cosmo”. In esso l’uomo s’imbatte dappertutto nel
fatto di essere creato e di essere conservato da Dio, nella grandezza, bellezza
e pienezza di senso della Sua opera. Così, per lui ogni elemento del mondo diventa
simbolo dell’eterno. Nell’uomo medioevale operano forti passioni, la sua
fantasia ha grande vigore. Egli sperimenta nel modo più insistente il pericolo
di perdersi nel mondo. Così forme di distacco radicale coesistono chiaramente
con forme del più intenso impossessarsi
del mondo. In tal modo l’immagine del mondo acquisisce un tratto dualistico,
spesso così forte da dar l’impressione che il mondo sia percepito come qualcosa
che non è creato da Dio, ma da una potenza maligna, per ingannare l’uomo.
Nel corso del quattordicesimo
secolo italiano ha inizio l’epoca moderna. L’approccio simbolico al mondo viene
spazzato via da quello positivo-critico. Attraverso l’osservazione,
l’esperimento e la teoria razionale, all’immagine medioevale, religiosamente
strutturata, si forma per distacco quella di un mondo “naturale”, comprensibile
in maniera scientifica e dominabile in modo tecnico.
Un senso dell’infinita esistenza
distrugge la vecchia immagine del cosmo come figura delimitata e armonica. Il
mondo è visto come illimitato: in senso costruttivo come insieme del sistema
cosmico che si estende all’infinito; in senso storico-genetico come insieme di
un accadere i cui inizi si spostano continuamente a ritroso e il cui scopo
finale si dilata in un futuro sempre più remoto.
Quanto più l’importanza del mondo
aumenta, tanto più si affievolisce la percezione della realtà e indipendenza di
Dio. Il processo segue due linee.
Nella prima, Dio viene assorbito
nel mondo. Nasce il monismo moderno che lo comprende come il fondamento
originario è l’anima del mondo, come forza trainante e come senso della storia
che si rivela progressivamente. Il divino si avvicina sempre di più al mondano,
identificandosi con la “natura divina” della filosofia classico-romantica.
Nella seconda linea, il mondo
viene concepito sempre più esclusivamente come complesso di energie
empiricamente constatabili e di leggi comprensibili razionalmente. In base a
questa concezione una realtà divina è qualcosa di estraneo, anzi di insensato,
che deve essere escluso: il positivismo moderno, per il quale il mondo basta a
se stesso. Il cosmo non ha bisogno di alcun principio metafisico che gli sia
esterno, che lo renda comprensibile e che aiuti l’uomo a esistere nel mondo. Il
religioso appare addirittura come qualcosa di ostile, che impedisce all’uomo di
sviluppare le sue possibilità autentiche.
Negli ultimi decenni, ciò che
scienza e tecnica sono in grado di far crescere in maniera incalcolabile. Una
volontà di potenza fredda e oggettivante è decisa a ottenere il dominio
assoluto sulla natura e sull’uomo stesso. Nei sistemi totalitari questa volontà
si unisce all’assolutismo dello Stato, facendo dell’ateismo un principio
politico e dichiarando nemica ogni religiosità…
Nonostante tutto il positivismo
teorico e il dominio del mondo tecnico-pratico, Dio è appunto ancora reale e,
in ultima analisi, il solo potente. Allo stesso modo continua a sussistere
l’altro fatto: l’uomo è creato e la sua
persona esiste solamente perché è chiamata immediatamente da Dio. Da ciò deriva
una situazione, le cui conseguenze non si possono ancora calcolare. Una
tendenza ampiamente operante cerca di rimuovere la realtà di Dio, e il legame a Dio di ogni uomo, dalla coscienza e
dalla vita pratica. Così a lungo andare, la realtà di Dio, e il fatto che Egli
chiami ogni persona, sono destinati a diventare elemento patogeno.[6]
L’essenza dell’uomo ormai non può essere costretta entro l’ambito della
costruzione positivistica. Anche nell’uomo non credente della nostra epoca,
specialmente in quello in cui la coercizione del sistema politico distrugge con
violenza la possibilità di credere, l’inconscio si deve ribellare. Le crisi che
stanno scaturendo contribuiranno a
determinare l’epoca futura.
Per quanto riguarda l’uomo credente, egli è convinto della libertà e
della responsabilità della propria persona anche verso il mondo, verso la
storia. Questa coscienza di fede, però, e non potrebbe essere altrimenti, sta
sotto l’influsso, ovunque presente, dell’immagine secolare del mondo moderna
che abbiamo appena descritto e delle tendenze anti-metafisiche in essa
operanti. Tale coscienza non si è ancora realmente confrontata con esse.
Un’immagine del mondo in cui i reali risultati della scienza, i veri contenuti
della rivelazione e gli impulsi a controllare il mondo, ora storicamente non
più operativi;[7]abbiano
trovato un’unità soddisfacente, non si è ancora formata con chiarezza.
Trasformazioni come questa avvengono molto lentamente, poiché si devono
realizzare a diversi livelli: quello del pensiero (in una delle presunte
apparizioni la Madonna ha lamentato che si parla, si agisce senza pensare!),del
sentire, dell’aire, delle relazioni sociali (con la falsa laicità francese che
non consente più nessun spazio pubblico alla fede) ecc. […]. A ciò si deve
aggiungere l’esperienza religiosa, la percezione immediata della dimensione
numinosa del mondo, nel corso dell’epoca moderna si è fatta sempre più debole;
e questo per diverse ragioni. Tra esse soprattutto la razionalizzazione e la
tecnicizzazione dell’esistenza che confinano sempre più il religioso
nell’ambito semplicemente interiore, soggettivo, privato, rendendo il mondo
sempre più secolare, profano. E’ vero che l’arte, soprattutto la musica, evoca
ancora, nella coscienza, per un attimo, il mistero dell’esistenza, ma questo
rimane ad un livello estetico, separato dalla vita quotidiana, senza impegno
per una concreta presenza nel mondo.
Un’altra ragione sta nella stessa storia delle
idee cristiane. Dopo che il protestantesimo ebbe ampiamente collocato la
certezza del rapporto individuale con la Bibbia, e ciò significa però, del
tutto coerentemente, nell’esperienza personale, questa divenne sempre più
soggettiva. Al posto della percezione della realtà oggettiva, è subentrato il
“vissuto” come condizione dell’essere afferrati e dell’essere appagati; al
posto di verità in sé valide, è subentrata l’autenticità della disposizione
personale. A sua volta, la Chiesa cattolica divenne in generale diffidente nei
confronti dell’elemento dell’esperienza, vedendovi una minaccia per la verità
divina. Essa lo represse nell’educazione religiosa fondando tutto
sull’autorità, sull’obbedienza e sulla conoscenza razionale. Così l’esperienza
venne scoraggiata, cessando ampiamente di essere quel momento di verifica
interiore che dovrebbe essere.
Infine, un’ultima cosa. La
coscienza medioevale del disordine del mondo, influenzata dalla sua forte
carica emotiva, fu tanto intensa quanto confusa. Il puritanesimo ne è la
prosecuzione in epoca moderna. La veemenza di questo sentire è diminuita; ma
prosegue, per esempio, nelle correnti pessimistiche della tarda modernità,
nella loro stanchezza del mondo, nella disperazione esistenzialista ecc. …Da
qui la tendenza a vedere il mondo come qualcosa di ambiguo, anzi demoniaco.
Accanto a questo però la grande esperienza della scienza e della tecnica
moderne che dà prova del mondo come qualcosa di giusto, qualcosa ricco di
possibilità incalcolabili. Da qui sorge una contraddizione che non perviene
alla consapevolezza dell’intrinseca unità che tiene insieme teologia, filosofia
e scienze, pur nel pieno rispetto dei loro metodi propri e della loro reciproca
autonomia. Nell’uomo credente essa si manifesta nella sensazione che il mondo
si allontani da Dio, di modo che ci si dovrebbe liberare di esso abbandonandolo
alla sua corruzione; dall’altro lato si manifesta in un pericolo, cioè che
l’annuncio cristiano sia avvertito come qualcosa che viene respinto e che
quindi ci si debba discostare da esso immergendosi nel mondo. Queste
contraddizioni non sono realmente metabolizzate, anzi c’è da chiedersi se esse
potranno mai essere portate ad unità. In ogni caso esse fanno in modo che oggi
manchi un’immagine del mondo cristiana che sia unitaria. Questo fatto domina
ovunque ed è una minaccia per la fiducia della fede.
Con l’inizio dell’epoca moderna
ha inizio quel processo che chiamiamo “secolarizzazione del cristianesimo”.
Esso consiste nel fatto che i concetti che provengono dalla rivelazione – il
concetto di Dio, quello della creazione e della colpa dell’uomo, quello della
redenzione e della salvezza – perdono la loro determinatezza dogmatica. Il vero
carattere soprannaturale, da loro inteso, va perduto e prendono il sopravvento
analogie naturali. Per esempio, al posto della vera redenzione subentra il
miglioramento progressivo dei rapporti culturali; al posto della grazia l'esperienza
soggettiva; al posto ella risurrezione e della via eterna una condizione
terrena ideale. Oggi prevale l’idea che un cristianesimo annacquato come questo
non paghi. Le cose sono sembrate così finché l’egemonia culturale nel mondo era
in mano al relativismo e al liberalismo e finché l’ateismo aveva ancora
solamente il carattere di un libero pensiero individuale. Da alcuni decenni
però quest’ultimo è entrato nella sua fase aggressiva legandosi ai poteri
politici più forti. La volontà di distruggere non solo il cristianesimo, ma ogni
religiosità in generale ha raggiunto le proporzioni di un fattore politico della
grande potenza. Così è chiaro che solo una coscienza cristiana che deriva da
presupposti autentici può resistere di fronte ad essa.
Loro sanno, signore e signori,
che non parlo facilmente di cose personali, ma qui lo voglio fare. Dopo che mi
guardai intorno rivolgendomi ad alcuni ambiti della cultura e del sapere e cominciai
con lo studio della teologia, la mia convinzione decisiva era che – come dicevo
poco fa – una cristianità dimezzata non paghi; ciò che è in gioco è troppo
grande. Questo probabilmente sembra strano, dal momento che, secondo il
giudizio ampiamente diffuso, cristianesimo e Chiesa sono dogma, anzi schiavitù
per antonomasia. Mi sono reso conto che
la schiavitù fondamentale è il legame alle strutture psicologiche e alle altre.
E proprio di questo che la rivelazione dogmatica libera. Essa è anzi redenzione
e la realizza “donando” al credente “una
elevazione al di sopra di se stesso” perché la natura non è distrutta ma
perfezionata ed elevata. Questa convinzione mi si è confermata per oltre
cinquant’anni, durante i quali non mi sono sottratto a nessun problema. I dogmi sono le coordinate della libertà
esistenziale. Questa è una parentesi personale.
Ma c’è anche qualcos’altro che
chiarisce quanto sia pericoloso un giudizio semi-dualistico sul mondo. Finché
la coscienza generale è stata credente ed ha avuto la forza di conferire ordine
nel mondo, le correnti dualistiche hanno potuto avere significato ascetico ed
essere comprese come volontà di dedizione incondizionata a Dio. Oggi sembra
però che il mondo sia riconosciuto per quello che è: opera di Dio creatore e
redentore; come tale – come ripete per sette volte il racconto della creazione
della Genesi –buono e molto buono,
amato da Lui e affidato all’uomo (Gen 1,3-31). Così deve destarsi qualcosa che
è stato per lungo tempo trascurato in una strana superficialità della fede: una
responsabilità, proprio da parte dell’uomo-credente, cui “proteggersi dal
peccato” e “fare il proprio dovere” in un senso astratto, ma deve riconoscere
di essere cristianamente chiamato a “coltivarlo e custodirlo” (Gn 2,15) come
mondo, nella sua essenza e nel suo volere.[8]
Questo è ancor più urgente, dal
momento che diventa sempre più chiaro in quale enorme pericolo il mondo si venga
a trovare a causa del titanismo della
nostra epoca. Il possesso del mondo, la possibilità di plasmarlo arbitrariamente
secondo il proprio volere, furono sempre avvertiti sia come compito che come
tentazione di hybris; Essi rimasero però sempre subordinati a
ordinamenti che l’uomo non poteva superare. La sua azione consisteva nel
lavorare, con le sue forze immediate, in rapporto ai dati altrettanto
immediati, senza poter penetrare nei loro elementi fondamentali. Ora però è
proprio questo che è accaduto. Scienza e tecnica sono davvero in grado di
mettere mano alla sostanza creaturale del mondo – chiamiamola così, come si
chiama, come ci è data in mano: la
terra. Gli effetti che esse possono esercitare sono talmente grandi che d’ora
in poi è l’esistenza umana stessa ad essere in gioco. Si è parlato di un’”omissione”
del credente nei confronti del mondo creato; ma la parola non dice a
sufficienza. Dobbiamo renderci conto che si tratta di una vera e propria colpa.
Il cristiano ha lasciato ampiamente il mondo a se stesso – il che significa, al
non credente nella creazione e alla sua volontà di dominio senza pensare, senza
ragionare. Tuttavia l’uomo non credente non è in grado di amministrare la terra
nel modo giusto. E’ una pericolosa auto – illusione, se la fede nel progresso
tipica della nostra epoca lo crede. La logica di sviluppo del potere tecnico –
scientifico e politico sospinge l’uomo in una zona pericolosa, dove la rovina è
possibile. Ma le forze che sarebbero all’altezza di mantenere in ordine il
proprio potere non vengono né dalla scienza né dalla tecnica. Non vengono
neppure da un’etica autonoma del singolo, né da una saggezza sovrana dello
Stato. Che il singolo, per quanto altamente sviluppato, non sia in grado di
dominare lo sviluppo culturale anonimo, sembra dimostrato dalla storia. Così il
movimento totalitario che si diffonde sulla terra si aspetta ogni salvezza
dallo Stato. Gli attribuisce una saggezza assoluta e una forza ordinatrice. I
decenni a venire mostreranno però che lo Stato, di fronte agli impulsi della
natura umana e alle conseguenze della cultura oggettiva, sostanzialmente non
può nulla, proprio come il singolo. Le vere possibilità di salvezza stanno
nella coscienza dell’uomo che è legata a Dio in modo vitale. E così, anche il
credente, proprio come il non credente, diventa un fattore decisivo per la
storia.
C’è ancora qualcos’altro da sapere,
da pensare nell’agire. La nostra coscienza di Dio stesso, e del suo rapporto
col mondo, è determinata soprattutto dal concetto filosofico di “Assoluto”,
così come si è formato sotto l’influsso della filosofia greca, del razionalismo
moderno e dell’idealismo. Stando ad esso, Dio è quell’essere che – se così si
può dire – è assicurato nella sua assolutezza, ma essa diviene anche un
problema. Di fronte a Lui sta il mondo come realtà finita. Il suo rapporto con
il mondo s’inserisce in una differenza anch’essa assoluta, acquistando
facilmente un carattere solo intenzionale, irreale. Basti pensare al deismo,
che si rappresenta Dio come creatore e ordinatore del mondo, è vero, ma che poi
lo espelle dal mondo lasciando completamente quest’ultimo nelle mani dell’uomo
come l’orologiaio nell’andamento dell’orologio.
La rivelazione parla in modo
diverso. Già il fatto che Dio crei in generale il mondo, e che accanto a lui ci
sia il finito, è un mistero. Significa che Dio ha realizzato nel mondo le
immagini e le copie del suo essere, il che significa anche che ha immesso nel
finito il proprio onore, in un certo senso perfino se stesso. Ma come può agire
così? La domanda diventa ancor più incalzante, se si tiene conto della libertà
umana alla quale, Dio, creandola, ha dato la possibilità non solo di amarlo
rispondendo al suo amore ma anche di ribellarsi anche contro di Lui limitando
la sua onnipotenza. E lo diventa ancor più, se pensiamo che nonostante il
peccato e i suoi frutti malvagi, Dio non lascia andare in rovina il mondo, ma
lo sorregge, mantenendosi fedele con l’infedele. Corre infine il rischio di
diventare uno scandalo, se pensiamo al fatto storicamente centrale del
cristianesimo, l’incarnazione cioè il Figlio di Dio che assume un volto umano
amandoci sino alla fine, ogni uomo e l’umanità nel suo insieme. Che Dio entri
nell’unità personale di Figlio di Dio con la creatura finita, con la natura
umana, mantenendo questa unità per l’eternità a venire; che si esponga, divenendo
inerme, Lui il Totalmente-Santo, alle possibilità tremende di una storia non
santa – tutto questo pone l’idea di Dio sotto una nuova luce. Dice quello che
la pietà cristiana ha sempre sperimentato, cioè che Dio non è solo l’essere
assoluto della filosofia, ma è, anche il Dio vivente, che si è “impegnato” con
il mondo finito. E’ chiaro che l’idea dell’amore di Dio non può essere pensata
semplicemente a partire dalla benevolenza e dalla cura amorevole, come ha fatto
la teologia influenzata dal razionalismo, ma implica il fatto di una
disposizione personale che rimane inaccessibile al ragionamento induttivo di
tipo naturale e grazie alla quale Dio ama il mondo sul “serio” [9]; dà così
importanza al mondo da vincolarsi con la creatura in personale unità. Così il
cristiano è chiamato a entrare con questa intenzione di Dio. La situazione
della storia universale, lo stadio in cui sono entrati il potere dell’uomo e le
sue possibilità di distruzione, costringe il cristiano a sottoporre ad un
autentico esame il suo rapporto con il mondo. Finora l’éthos cristiano ha conosciuto solo compiti “nel” mondo, positivi o
negativi; tuttavia non ha visto chiaramente – o non abbastanza – il fatto che il
mondo in quanto tale è il suo compito, che è dato alla sua responsabilità, che
deve salvare l’opera di Dio, che il potere dell’uomo si trova nelle mani dell’hybris e della follia e distrugge la
vita sulla terra. L’uomo non solo non deve concepire il dovere morale dicendo
“mi devo proteggere dal peccato”, ma deve dire: “mi devo impegnare affinché con
il mondo si faccia ciò che è giusto”.
Gesù ha avviato la laicità dello
stato che progressivamente è maturata nella Chiesa, nel mondo: il contributo
di Joseph Ratzinger
Parlando del rapporto della
Chiesa con l’ambito politico Ratzinger scrive che “resta fondamentale a questo
riguardo l’affermazione di Cristo: Date a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel
che è di Cesare”. Perché “questa affermazione ha introdotto una svolta nella
storia del rapporto tra politica e religione”.
Nel mondo antico e nell’Impero
Romano valeva infatti “l’assioma per cui il politico stesso era sacro”. “Lo
stato veniva riconosciuto come il portatore di una superiore sacralità”. Il che
assicurava “l’obbligatorietà etica delle sue leggi” perché “le leggi e in esse
lo stesso stato appaiono come espressione della volontà sacrale, divina e non
puramente umana”.
La frase di Gesù “ha reciso
questa identificazione”. Con questa distinzione si è dato “inizio e fondamento persistente all’idea occidentale
di libertà”.
Chi ha fondato il cristianesimo
da cui la Dottrina sociale della Chiesa – dice Ratzinger – ha stabilito i
limiti di due comunità nella loro reciprocità: lo Stato, “che per il suo
fondamento etico rinvia al di là di se stesso”, e la Chiesa, che “comprende se
stessa come un’ultima istanza etica che però si basa sull’appartenenza
volontaria e può comminare punizioni solo spirituali e non civili proprio
perché non estende il suo dominio allo statale”. Storicamente a livello
sociale, politico “La libertà si basa sulla bilancia di questo ordinamento
reciproco”.
Ratzinger non è “unicamente un
teorico della teologia che poco avrebbe capito della vita cristiana oggi”. Sa
fare i conti con l’attuale storia, con l’attuale drammatica frattura fra
Vangelo e cultura. E infatti non nega che “questo bilanciamento è stato molto
spesso disturbato, che nel medioevo e nei primordi dell’età moderna si giunse
spesso a una fusione di fatto tra stato e Chiesa, fusione che deformò
l’esigenza di verità della fede in costrizione e caricatura dell’autentico intento”.
Ciò non toglie che “la moderna
idea di libertà”, uguaglianza, fraternità sia “un legittimo prodotto dello
spazio vitale cristiano; essa non poteva svilupparsi in nessun altro ambito se
non in esso. Bisogna anzi aggiungere: essa non è affatto piantabile in
qualsiasi altro sistema, […] il dualismo che è la condizione previa della
libertà presuppone la logica cristiana”.
Ratzinger spinge questa logica
sino alle sue ultime conseguenze: “Dove la Chiesa diviene essa stessa stato,
politica, la libertà va perduta. Ma anche lì dove la Chiesa viene soppressa
come istanza pubblica e pubblicamente rilevante viene a cadere la libertà
perché lì lo stato reclama di nuovo per sé la fondazione dell’etica”. E oggi:
“Nel mondo profano, post - cristiano lo stato avanza questa istanza non nella
forma dell’autorità sacrale ma come autorità ideologica, cioè lo stato si fa
partito e dato che non gli si può contrapporre nessuna altra istanza con un suo
proprio ruolo, esso diviene nuovamente autoritario” anche affermando elementi
veritativi, etici a maggioranza cadendo nel positivismo.
“Nella storia - ha detto a Berlino – gli ordinamenti
giuridici sono stati quasi sempre motivati in modo religioso [...]
Contrariamente ad altre grandi religioni, il cristianesimo non ha mai imposto
allo stato e alla società un diritto rivelato, un ordinamento giuridico
derivante da una rivelazione. Ha invece rimandato alla natura e alla ragione
quali vere fonti del diritto, ha rimandato all’armonia tra ragione oggettiva e
soggettiva”.
Nella controversia tra religione
e filosofia “è stato decisivo che i teologi cristiani abbiano preso posizione contro
il diritto religioso, richiesto dalla fede nelle divinità, e si siano messi
dalla parte della filosofia, riconoscendo come fonte giuridica per tutti la
ragione e la natura nella loro correlazione”.
Fondamentale il passaggio della
Lettera ai Romani: “Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura
agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo la legge, sono legge a se stessi.
Essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori, come
risulta dalla testimonianza della loro coscienza”.
Ratzinger traduce il termine
“coscienza” come ragione aperta alla
consapevolezza del proprio e altrui essere dono, come di tutto il mondo, al
Donatore divino, alla verità che rende liberi. La natura creata si riverbera
nella coscienza “come legge non scritta”, come diritto naturale. E sviluppa
questo argomento in dialettica con il positivismo giuridico dominante di Kelsen:
ciò che non è “verificabile” non rientra nell’ambito della ragione, e quindi
sia l’etica sia la religione vengono relegate nell’ambito soggettivo, alla
decisione del soggetto. E il diritto viene consegnato alla determinazione
dittatoriale della maggioranza. Prioritaria è la volontà del soggetto e della
maggioranza che stabilisce il diritto.
Dice Ratzinger: questa è una
concezione ridotta e autolimitante della stessa ragione, che ha avuto
sicuramente degli effetti positivi a livello amministrativo, ma “non è sufficiente
a essere uomini in tutta la sua ampiezza”.
Alla base della società americana
osserva – c’è una separazione netta tra stato e Chiesa voluta dalla religione.
Quei cristiani fuggivano dal sistema di
chiese di stato (cuius regio et religio) e hanno quindi operato una distinzione
positiva tra Chiesa e stato, una laicità concepita in modo totalmente diverso
dalla laicità nata con la rivoluzione francese che identifica pubblico con
statale. Nella laicità americana ciò che non è statale non è escluso dalla
dimensione pubblica, dalla vita sociale, anzi è incoraggiato e il sistema
fiscale lo favorisce.
Alla base della Dignitatis humanae, la dichiarazione
conciliare sulla libertà religiosa – e Ratzinger ne parla da testimone diretto –
c’è l’influenza dei vescovi americani e di questa “esperienza della non
statalità della Chiesa come una forma cristiana emergente della natura stessa
della Chiesa”. La verità che fa liberi “non si impone che per forza della
verità stessa”. Era questa la ferma persuasione della Chiesa fin dai primi
secoli, la grande rivoluzione cristiana fondata sulla distinzione tra le due
città, tra Dio e Cesare. Questa la base dell’Editto di Costantino del 313 che
ammetteva libertà a tutte le religioni, anche a quella cristiana, diversamente
dall’Editto di Tessalonica (380 d.C.) a opera dell’imperatore Teodosio, non
riconosciuto dalla Dottrina della Chiesa. Papa Callisto II, Ottone III e
Sant’Adalberto, vescovo di Praga: “La fede si propone fino al martirio, non si
impone mai”. Il Vaticano II afferma che “gli esseri umani devono essere immuni
dalla coercizione […] così che in materia religiosa nessuno sia forzato ad
agire contro la sua coscienza né sia impedito, entro debiti limiti, di agire in
conformità ad essa". E' la libertà radicale di poter essere credenti in
privato e in pubblico potendo non esserlo e poter non esserlo potendo esserlo.
Chesterton: Uomini che cominciano
a combattere la Chiesa per amore della libertà e della umanità, finiscono per
combattere anche la libertà e l’umanità pur di combattere la Chiesa”.
Proprio per salvare la libertà e
la laicità della politica –conclude Ratzinger nel suo saggio del 1986 – “la
Chiesa deve avanzare delle pretese nei confronti del diritto pubblico e non può
semplicemente ritirarsi nell’ambito del diritto privato”. E’ urgente anche per
evitare il rischio del titanismo della nostra epoca.
NOTE:
[1] Romano
Guardini in Opera Omnia II/3 Filosofia della Religione Saggi sulla Rivelazione
pp. 490 – 499. Le note, (ciò che è contenuto tra parentesi) non sono di
Guardini.
[2] E’ la
smentita del deismo di immaginare Dio come l’architetto, l’orologiaio che una
volta costruito l’orologio, lui non c’entra più: è il fondamento dell’attuale
secolarismo.
[3] Questa
linea culturale è iniziata con l’umanesimo sostituendo al fondamento del Logos
creatore la Natura creatrice, quindi l’illuminismo ritenendo i valori cristiani
della libertà dell’uguaglianza e della fraternità possibili secondo la gnosi e
il pelagianesimo solo con la ragione e la volontà senza alcun fondamento del
Dio che ha assunto un volto umano e che si fa presente e operante nella Chiesa
e attraverso la Chiesa per tutti e per tutto. Nel 1792, Immanuel Kant Scrive:
La vittoria del principio buono e la costituzione di un regno di Dio sulla
terra sono possibili con la sola ragione e quindi “il passaggio graduale dalla
fede ecclesiastica al dominio esclusivo della pura fede religiosa cioè nei
limiti della ragione e della volontà, costituisce l’avvicinamento del regno di
Dio. Dice anche che le rivoluzioni possono accelerare i tempi di questo
passaggio dalla fede ecclesiastica, sacramentale alla sola fede razionale con
la preminenza della volontà. Il “regno di Dio”, di cui Gesù aveva parlato ha
qui ricevuto una nuova definizione e assunto anche una nuova presenza; esiste,
per così dire, una nuova “attesa immediata”: il “regno di Dio” arriva là dove
la “fede ecclesiastica” viene superata e rimpiazzata dalla “fede religiosa”, vale a dire, in modo
gnostico, dalla semplice fede razionale cioè dalla conoscenza dei valori umani
con la preminenza assoluta della buona volontà. Ma nel 1795, dopo solo tre anni
di esperienze terribili come il genocidio della Vandea, appare una immagine
mutata. Ora Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine
naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro natura, perversa.
Scrive al riguardo: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non
essere più degno di amore […] allora il pensiero dominante degli uomini
dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; è
l’anticristo […] inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato
presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il
cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale,
di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe
verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose” (Spe salvi, n.19).
[4] Il
cogliersi nel proprio e altrui essere, come nel mondo che ci circonda, dono del
Donatore divino non è un ragionamento ma una constatazione originaria,
fondamentale, reale, la verità sulla domanda originaria, in noi senza di noi,
da dove vengo, chi sono, a chi sono
destinato, la cui risposta rende liberi, cui può rispondere la volontà di
accogliersi come di rifiutare ciò che si coglie. Ecco l’originario fatto
religioso in ogni cuore umano cui la rivelazione risponde completamente.
[5]
All’inizio dell’essere creaturalmente, religiosamente, storicamente cristiano –
e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti – non c’è una
arbitraria decisione etica della nostra volontà, conclusione di una grande idea
metafisica, ma l’incontro con la Persona
viva ed operante nella sua Chiesa per tutti, di Gesù Cristo, “che dà
alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” ricreando ciò che
la ribellione arbitraria della volontà ha storicamente deformato. La fecondità
di questo incontro con la conoscenza scientifica e tecnologica si manifesta, in
maniera peculiare e creativa, anche nell’attuale contesto umano e culturale,
anzitutto in rapporto alla ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle
relative tecnologie. Una caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti
l’impiego sistematico degli strumenti della matematica per poter operare con la
natura e mettere al nostro servizio le sue immense energie. La matematica come
tale è una creazione della nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue
strutture e le strutture reali dell’universo – che è il presupposto di tutti i
moderni sviluppi scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da
Galileo Galilei con la celebre affermazione che il libro della natura è scritto
in linguaggio matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una domanda.
Implica infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente,
in modo che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva
e la ragione oggettiva della natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se
non debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia comune fonte
dell’una e dell’altra: la risposta è già metafisica come esigenza, chiaramente
rivelata. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze ci riporta
verso il Logos creatore riconducendo ad
esso anche la nostra intelligenza e di conseguenza la nostra libertà, la nostra
volontà e quindi il nostro amore alla creazione, al Logos creatore.
[6] Questa
cultura che predomina in Occidente e
vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo
costume di vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per
la quale sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e
calcolabile, mentre sul piano della prassi la libertà individuale viene eretta
a valore fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio
rimane escluso dalla cultura e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa
difficile, anche perché viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come
opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più direttamente,
sembra divenire superfluo ed estraneo. In stretto rapporto con tutto questo, ha
luogo una radicale riduzione dell’uomo, considerato un semplice prodotto della
natura, come tale non realmente libero e di per sé suscettibile di essere
trattato come ogni altro animale. Si ha così un autentico capovolgimento del
punto di partenza della cultura illuminista, che era una rivendicazione della
centralità dell’uomo e della sua libertà. Nella medesima linea, l’etica viene
ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con
l’esclusione di ogni principio morale che sia valido e vincolante per se
stesso. Non è difficile vedere come questo tipo di cultura nella drammatica
frattura con il Vangelo rappresenti un taglio radicale e profondo non solo con
il cristianesimo ma più in generale con le tradizioni religiose e morali
dell’umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero dialogo con le
altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente presente, oltre
a non rispondere alle domande fondamentali sul senso e la direzione della nostra
vita. Perciò questa cultura secolare è contrassegnata da una profonda carenza,
ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di speranza.
[7]
Allusione alla tesi filosofico-storica secondo cui nell’età che succede al
moderno, nel post-moderno, l’assolutezza del potere scientifico e tecnologico è
destinata a subire un ridimensionamento, perché l’uomo percepirebbe il pericolo
connesso ad un aumento esponenziale del potere.
[8] “Francesco
Bacone e gli aderenti alla corrente di pensiero dell’età moderna a lui
ispirata, nel ritenere che l’uomo sarebbe stato redento mediante la scienza,
sbagliavano. Con una tale attesa si chiede troppo alla scienza; questa specie
di speranza è fallace. La scienza può contribuire molto all’umanizzazione del
mondo e dell’umanità. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non
viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa. D’altra parte,
dobbiamo anche constatare che il cristianesimo moderno, di fronte ai successi
della scienza nella progressiva strutturazione del mondo, si era in gran parte
concentrato soltanto sull’individuo e sulla sua salvezza. Con ciò ha ristretto
l’orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente
la grandezza del suo compito – anche se resta grande ciò che ha continuato a
fare nella formazione dell’uomo e nella cura dei deboli e dei sofferenti” (Spe
salvi, 25).
[9] Questa
idea di Guardini si può esplicitare così, con le parole dell’autore: “Ma Dio
ama sul serio. Non da sentimentale o
da esteta, ma in modo che tutte le conseguenze vengano tratte da quella
affermazione che, a sua volta, non ha un’origine umana, ma viene dalla parola
di Dio. Cosa significa questa serietà dell’amore? Significa che l’uno,
attraverso il suo amore, partecipa al destino dell’altro. Fintanto vado
incontro all’altro solo con la stima o benevolenza, dico: lui, non io, io, non
lui. Una parete ci separa. Nel momento invece in cui io lo amo “sul serio” la parete cade e io debbo
dire: Lui, dunque io, e da quel momento il destino ci unisce spiritualmente. E’
un’allusione di come dev’essere l’amor di Dio”.
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