Sedazione terminale ed eutanasia
Sedazione
terminale ed eutanasia
Documento della JAHLF in Corrispondenza romana 1/2/2018
Un’altra
pratica spesso eseguita in unità di cure palliative e ospedali, è la “sedazione
terminale”, cioè per evitare dolore (o, meno nobilmente, per alleviare il personale
dai bisogni più esigenti dei malati terminali coscienti), i pazienti vengono
privati di coscienza fino alla morte. Le politiche di sedazione
terminale,
anche quando non implicano la cessazione di alimentazione e liquidi (come si fa
di frequente, inducendo all’eutanasia), comporta spesso il rischio di
accelerare la morte (quando i tranquillanti e gli antidolorifici vengono
somministrati a dosaggi eccessivamente elevati).
La
sedazione terminale è anche immorale, tuttavia, quando non abbrevia la vita:
perché è diretta contro la dignità della vita cosciente razionale. In una
prospettiva spirituale cristiana, le pratiche di sedazione terminale sono
erronee anche quando non hanno niente a che fare con l’eutanasia e anche quando
non accorciano la vita umana di un solo secondo perché, togliendo la coscienza,
privano i pazienti della dignità di vivere in modo adeguatamente umano e
dignitoso gli ultimi giorni della loro approssimandosi della morte. Imporre la
sedazione profonda terminale a persone umane, con l’intenzione di sottoporle ad
incoscienza fino alla morte, al fine di risparmiare loro ansia e dolore, non è
mai essere permesso.
La
soppressione della coscienza è invece accettabile quando si tratta di un
effetto collaterale non intenzionale del trattamento del dolore agonizzante
(per es. in seguito a dispnea, delirio agitato), refrattario a misure meno
radicali. Assodato che qualsiasi intenzione di sopprimere in parte o tutta
l’esperienza cosciente nella fase finali del morire non è consentita, qualsiasi
sia il trattamento che preclude al paziente di soddisfare i suoi obblighi
morali / familiari finali, o di prepararsi coscientemente all’incontro con Dio.
Assodato
che la sedazione terminale permanente e irreversibile è sempre sbagliata,
assodato inoltre che i pazienti debbano essere aiutati ad accettare ed
affrontare la sofferenza che può accompagnare la morte, in modo pienamente
cristiano, la sedazione profonda temporanea può essere consentita in
determinate condizioni. Come indicato nella dichiarazione del 1980 della Sacra
Congregazione per la Dottrina della Fede, sarebbe “imprudente imporre un modo
eroico di agire come regola generale” o richiedere a tutti di subire in sommo
grado le sofferenze finali della morte.
Lo
stesso testo cita anche l’affermazione di Pio XII secondo la quale i farmaci
per il dolore possono essere permessi, anche se influenzano la coscienza e
potrebbero accelerare la morte (come un effetto collaterale non intenzionale), fintanto che non
impediscono alla persona di svolgere i propri doveri religiosi e morali. Un
ulteriore avvertimento è che non è giusto privare il morente della coscienza,
anche solo temporaneamente, senza una seria ragione. La facilità con cui viene
somministrata frequentemente la sedazione terminale ha molto a che fare con una
visione del valore dell’esistenza umana basata principalmente sull’idea di una
vita piacevole, confortevole e gradevole. Ma questa è una visione profondamente
sbagliata del vero bene delle persone umane. Non ci sono forse valori legati
alla vita e alla morte molto più profondi del benessere fisico?
Non
sarebbe stato forse blasfemo se qualcuno avesse proposto di somministrare la
sedazione terminale a Gesù sulla Croce, come se la morte senza dolore sia il
bene più grande, e l’immenso valore della nostra redenzione, che richiedeva
sofferenza cosciente e liberamente accettata, sia invece di nessun valore? In
qualche modo ciò si applica a qualsiasi persona che muore coscientemente in
preda ai dolori. Morire consapevolmente e vivere il dolore e l’angoscia della
morte dà anche alla persona umana una preziosa opportunità di riconciliarsi con
Dio (per i cattolici e i cristiani ortodossi ricevendo i sacramenti della
confessione e dell’estrema unzione), di affidare la propria anima a Dio, di
perdonare ai propri familiari, amici e nemici, e chiedere il loro perdono.
È
anche un prezioso invito ad offrire la propria sofferenza e morte, unendole
alla passione e morte di Cristo, affinché il proprio dolore non sia una
sofferenza priva di senso, che dovrebbe essere abbreviata o evitata a tutti i
costi. Piuttosto, morire una morte veramente umana e abbracciarla
(spiritualmente parlando), può costituire un prezioso e supremo atto di amore e
gloria a Dio, e un atto di carità per i propri famigliari e amici, che Papa Giovanni
Paolo II ha spiegato magnificamente nel suo discorso agli anziani e ai
sofferenti nella Liebfrauenkirche di
Monaco di Baviera e nel suo magnifico documento Salvifici Doloris.
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