Humanae vitae
“Dell’Humanae vitae
ringrazierete Dio e me”
(Paolo VI, 28 giugno 1978)
martedì
11 novembre 2008;
Autore:
Oliosi, Don Gino; Curatore: Mangiarotti, Don Gabriele; Fonte: CulturaCattolica.it
«Non abbiamo fatto altro che raccogliere questa
consegna, quando dieci anni fa, promanammo l’Enciclica ‘Humanae vitae’ (25
luglio 1968): ispirato all’intangibile insegnamento biblico ed evangelico, che
convalida le norme della legge naturale e i dettami insopprimibili della
coscienza sul rispetto della vita, la cu i
t rasmissione è a f f i data a l l a paternità e
maternità
r e sponsabili, quel documento è d i v entato oggi d i nuova e p i ù urgente at tualità per i vulnera i
n f e r t i da pubbliche l e g i s l azioni a l l a santità i ndissolubile de l v i ncolo matrimoniale e a l l a i ntangibilità de l l a v i t a umana f i n dal s eno materno » [Paolo VI, Omelia f i dem s e rvavi, 28
giugno 1978].
A quarant’anni di distanza abbiamo
tante argomentazioni per ringraziare Dio e
il magistero della Chiesa: Paolo VI, di fronte alla sfida e al rischio
di esporre all’arbitrio degli uomini l’ethos
della sessualità disgiungendo l’aspetto unitivo da quello procreativo e la missione
santificante di generare, come dono, la vita ha riconosciuto i limiti
invalicabili alla possibilità di dominio
dell’uomo sul proprio corpo e sulle
sue funzioni; Giovanni Paolo II, in sintonia con il Sinodo dei Vescovi sulla
Famiglia del 1980 e illuminando il fondamento antropologico e morale mediante
la legge della gradualità e non la gradualità della legge, ha offerto linee
pedagogico-pastorali veramente adeguate; Benedetto XVI, con il profondo
magistero sull’agape e sul suo rapporto
con l’eros, ha sollecitato ad evitare il pericolo mortale dell’uomo
suscettibile di essere trattato come ogni altro animale soprattutto a livello
di sessualità, allargando gli spazi della ragione, riaprendola alle grandi
questioni del vero e del bene, sia per comprendere il messaggio della Chiesa
sull’ethos della sessualità, sia per
il coraggio di dire che la tecnica non può sostituire la maturazione della
libertà quando è
in gioco
l’amore. Anzi neppure la ragione basta: bisogna
che sia il cuore a vedere poiché l’amore sponsale cristiano si conosce solo con
il cuore. Solo gli occhi del cuore riescono a cogliere le esigenze proprie di
un grande amore, capace di abbracciare la totalità dell’essere umano.
Certo all’uscita dell’Humanae vitae le difficoltà immediate che
gli sposi hanno incontrato nel loro cammino morale sono state grandi. In
particolare ci sono da tenere presenti “i casi difficili” della vita familiare,
in cui rispettare la legge sembra disumano e al di là delle reali possibilità
dei coniugi, e l’attuale promiscuità del contatto fisico per i giovani.
Per chi, nel 1968, aveva già presa
una decisione non conforme alla dottrina della Chiesa era difficile tornare
indietro. Si sono presentati casi in cui sembrava che la fedeltà alla morale
comportasse il sacrificio di altri valori morali importanti, casi in cui marito
e moglie non erano d’accordo sulla valutazione etica: che cosa fare? Si è teorizzato il riconoscimento della “verità
fondamentale”, ma non basta. Occorreva trovare strade di soluzione e di
crescita, adeguate al cammino dei coniugi e strade possibili a tutti, ai
giovani in particolare.
Di
fatto, il Magistero ecclesiastico, anche di fronte alla svolta epocale
relativista dell’ethos sessuale con le potenzialità della tecno-scienza – per
cui il mondo e con esso molti cattolici
hanno trovato difficoltà non solo a praticarlo ma addirittura a
comprenderlo – è stato capace di conservare, sul fondamento biblico, una
continuità solida e tuttavia protesa ad una conoscenza sempre più profonda,
documentando anche culturalmente la preminente e decisiva azione guida dello
Spirito Santo. Per cui non è condivisibile il giudizio del cardinale Carlo
Maria Martini in Conversazioni notturne a
Gerusalemme: “Saper ammettere i propri errori e la limitatezza delle proprie
vedute di ieri è segno di grandezza d’animo e di sicurezza”. Ma non cogliere questa preminente e decisiva
azione di
guida
dello Spirito Santo è grave per tutti, tanto più per un cardinale!
Profeticamente Paolo VI il 4 maggio del 1970, proprio nel culmine della bufera,
invitato a cena da una coppia in difficoltà, ha anticipato tutto il cammino
successivo della Chiesa: “Il cammino degli sposi, come ogni vita umana, conosce
molte tappe, e le fasi difficili e dolorose – voi lo esperimentate nel corso
degli anni – vi hanno il loro posto. Ma bisogna dirlo ad alta voce: mai l’angoscia e la paura dovrebbero
trovarsi in anime di buona volontà, perché, infine, il vangelo non è forse una
buona novella anche per i coniugi, ed un messaggio che, se pur esigente, non è
meno profondamente liberatore? Prendere coscienza del fatto che non si è ancora
conquistata la propria libertà interiore, che si è ancora sottoposti
all’impulso delle proprie tendenze, scoprirsi quasi incapaci di rispettare, sul
momento, la legge morale in un campo così fondamentale, suscita naturalmente
una reazione di sconforto. Ma è il momento decisivo in cui il cristiano, nel
suo sgomento, invece di abbandonarsi alla rivolta sterile e distruttiva, accede
nell’umiltà alla scoperta sconvolgente dell’uomo davanti a Dio, di un peccatore
davanti all’amore di Cristo salvatore. A
partire da questa presa di coscienza radicale ha inizio tutto il progresso, la
tensione della vita morale, poiché la coppia si trova in tal modo
“evangelizzata” nel profondo, gli sposi scoprono “con timore e tremore” (Fil
2,12), ma con una gioia piena di meraviglia, che nel loro matrimonio, come nell’unione
di Cristo e della Chiesa, si realizza il mistero pasquale di morte e di
risurrezione”. C’è già l’intuizione della legge della gradualità
argomentata nel Sinodo dei Vescovi sulla Famiglia del 1980: saper capire con il cuore il meraviglioso disegno che Dio ha scritto
nel corpo umano, aiutandoli ad accogliere come tensione, come un tentare e
ritentare con fiducia e speranza senza scoraggiarsi mai anche quando
immediatamente non si riesce, quanto comporta un autentico cammino di
maturazione, sapendo che la riuscita, la coerenza è un miracolo della presenza
e del rapporto con Dio, non opera
dell’uomo e quindi va invocata senza sosta nella preghiera. Segno della
moralità cristiana allora non è la riuscita, ma l’atteggiamento del cuore che
cerca di essere fedele a come è stato fatto all’origine: si chiama povertà di
spirito. La moralità in tutti i campi, soprattutto nell’ethos della sessualità, è una tensione,
come quella diun bambino che impara a camminare e
cade dieci volte nei dieci metri che deve percorrere, ma tende a sua madre, si
rialza e tende: è la legge della gradualità.
Il Papa Benedetto XVI non ritirerà certo l’enciclica, un importante
documento nel quale è affrontato uno degli aspetti essenziali della vocazione
matrimoniale e del cammino di santità
che ne consegue
Oggi, con il fondamento di una
antropologia adeguata e il magistero sull’agape
e sul suo rapporto con l’eros, è
possibile capire meglio quanto questa luce profetica sia decisiva per
comprendere il grande “sì” all’amore coniugale. “In concreto – ha specificato
il magistero di Benedetto XVI al IV Convegno ecclesiale di Verona –, perché
l’esperienza della fede e dell’amore cristiano sia accolta e vissuta e si
trasmetta da una generazione all’altra, una questione fondamentale e decisiva è
quella dell’educazione della persona. Occorre preoccuparsi della formazione
della sua intelligenza, senza trascurare quelle della sua libertà e capacità di
amare. E per questo è necessario il ricorso anche all’aiuto della Grazia. Solo
in questo modo si potrà contrastare efficacemente quel rischio per le sorti
della famiglia umana che è costituito dallo squilibrio tra la crescita tanto
rapida del nostro potere tecnico e la crescita ben più faticosa delle nostre
risorse morali. Un’educazione vera ha bisogno di risvegliare il coraggio delle
decisioni definitive, che oggi vengono considerate un vincolo che mortifica la
nostra libertà, ma in realtà sono indispensabili per crescere e
raggiungere qualcosa di grande nella
vita, in particolare per far maturare l’amore in tutta la sua bellezza: quindi
per dare consistenza e significato alla stessa libertà. Da questa sollecitudine
per la persona umana e la sua formazione vengono i nostri “no” a forme deboli e
deviate di amore e alle contraffazioni della libertà, come anche alla riduzione
della ragione soltanto a ciò che è calcolabile e manipolabile. In verità,
questi “no” sono piuttosto dei “sì” all’amore autentico, alla realtà dell’uomo
come è stato creato da Dio”.
Il
capitolo V di Conversazioni notturne a
Gerusalemme, Imparare l’amore ci
porta in un pianeta totalmente diverso dal magistero, soprattutto criticando il
cammino che la Chiesa ha fatto dall’Humanae
vitae ad oggi.
“Già nel 1964 – afferma il cardinale
Martini – una commissione composta da specialisti dei settori della medicina,
della biologia, della sociologia, della psicologia e della teologia presentava
a Papa Paolo VI un parere esauriente sui temi che furono in seguito trattati
nella Humanae vitae. Tuttavia, con un
solitario senso del dovere e mosso da profonda convinzione personale, il papa
pubblicò l’enciclica. Sottrasse scientemente l’argomento ai dibattiti dei padri
conciliari; in questa materia volle assumere una responsabilità altamente
personale. A lunga scadenza, la solitudine (ma quando un Papa esercita il
magistero può essere considerato alla luce della fede solo?) di questa
decisione non si è dimostrata un presupposto favorevole per trattare il tema
della sessualità e famiglia. Papa Giovanni Paolo II, una grande personalità, ha
seguito la via di una rigorosa applicazione. Non voleva che su questo punto
sorgessero dubbi. Pare che avesse perfino pensato ad una dichiarazione che
godesse del privilegio dell’infallibilità papale.
Dopo l’enciclica Humanae vitae, i vescovi austriaci e
tedeschi, e molti altri vescovi, hanno seguito, con le loro dichiarazioni di
preoccupazione, un orientamento che oggi potremmo portare avanti. Quasi
quarant’anni di distanza (un periodo lungo quanto il passaggio di Israele nel deserto: molte persone si sono
allontanate dalla Chiesa e la Chiesa dalle
persone. Ne è derivato un grave danno) potrebbero consentirci una nuova
visione”. Dispiace che non ci sia nessun accenno al Sinodo della famiglia del
1980 con la relativa Esortazione post-sinodale Familiaris consortio.
Ma ciò
che mi lascia terribilmente addolorato, avendo vissuto il 28 giugno del 1978 in
san Pietro la professione di fede del Credo del 1968 e l’omelia testamento Fidem servavi con la profezia “Dell’Humanae
vitae ringrazierete Dio e me”a
nemmeno due mesi dalla morte, è ciò che il cardinale Martini narra a p. 92:
“Con l’enciclica voleva esprimere considerazione per la vita umana. Ad alcuni
amici spiegò il suo intento servendosi di un paragone: anche se non si deve mentire, a volte non è possibile fare altrimenti;
forse occorre nascondere la verità, oppure è inevitabile dire una bugia. Spetta
ai moralisti spiegare dove comincia il peccato, soprattutto nei casi in cui
esiste un dovere più grande della trasmissione della vita”. Questo non può
essere Paolo VI e la labilità del riferimento ad alcuni amici rende offensiva
la notizia.
Obiezioni all’insegnamento di Humanae v i t ae in nome della coscienza
Mi rifaccio liberamente a quanto il prof. Livio Melina scrive da pagina 161
a pagina 191 in Amore Coniugale e
Vocazione alla Santità (Effatà Editrice).
La concezione della coscienza
soggettiva come un assoluto che nessuno può giudicare e a cui è completamente
affidato il giudizio morale sulle azioni ha avuto una grande ripercussione
anche nei dibattiti intorno a Humanae
vitae e in particolare intorno alla applicazione pratica della sua
affermazione normativa centrale, quella che si trova al n.14:
- “E’ altresì esclusa ogni azione che, o in
previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle
sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere
impossibile la procreazione”.
Alcuni teologi cattolici, infatti, pur non contestando la norma morale in
se stessa, hanno proposto una concezione della coscienza nel suo rapporto con
la norma che rende praticamente i coniugi liberi di agire contro quanto
insegnato dal magistero, almeno in determinati casi. Purtroppo queste proposte
teologiche sono molto divulgate, anche perché hanno trovato echi in alcune dichiarazioni ambigue di
episcopati dopo l’enciclica di Paolo VI. Nonostante Giovanni Paolo II abbia
chiesto di rivedere alcune di queste dichiarazioni (Allocuzione ai Vescovi Austriaci, 9 giugno 1987) e di fatto i vescovi le abbiano poi, almeno
in parte, precisate, si continua
ad approfittare di esse, come fa il cardinale Martini, per contrapposi ad Humanae vitae.
E’ utile analizzare le due
principali obiezioni:
1. La
prima è quella che si rifà alla cosiddetta autonomia
della coscienza. E’ stata proposta in modo chiaro dal teologo tedesco Franz
Bockle e trova eco nelle dichiarazioni dei vescovi tedeschi e belgi, seguite
immediatamente ad Humanae vitae. Dice
Bockle: “La coscienza esige dall’uomo un giudizio ben fondato. Perciò la
decisione può essere presa solo sulla base di motivi ragionevoli. Le norme morali insegnate dal Magistero obbligano solo
nella misura in cui la coscienza viene convinta dalla ragionevolezza degli
argomenti posti a loro sostegno”. Così la coscienza diventa giudice della validità della, norma: sono
valide solo le norme che la coscienza ritiene fondate razionalmente. Un
cristiano, una coppia potrebbe rifiutare di seguire le norme proposte dal Magistero,
senza sentirsi in colpa, quando non ne fosse persuasa. Anzi dovrebbe farlo.
Questo esigerebbe l’autonomia morale della coscienza. Va qui subito osservato
che il conflitto ipotizzato non è tra coscienza e Magistero, ma tra opinione personale dell’io e insegnamento
autentico dei pastori. Si sostiene cioè che il singolo cristiano che con
fede appartiene liberamente a un vissuto ecclesiale di comunione autorevolmente
guidata perché vi coglie la presenza della Persona di Cristo ha il diritto di
avere un’opinione personale diversa dal magistero e il dovere di seguirla. Il
Magistero non è più quindi riconosciuto come interprete “autentico” (che parla
cioè a nome dell’Autore stesso della Legge, cioè la Presenza del Risorto, per
un carisma particolare del dono del Suo Spirito). San Tommaso osserva che chi
segue l’insegnamento della Chiesa solo in quanto coincide
con le proprieopinioni pur volendo appartenere liberamente cioè per amore alla Chiesa, in realtà non segue
quell’insegnamento, ma solo le proprie
opinioni e quindi si stacca dalla
comunione per appartenere solo a se stesso. Voler appartenere alla Chiesa e
seguire solo le proprie opinioni è contraddittorio.
2. Una
seconda obiezione si presenta con tono meno contestativo. Essa non nega direttamente il valore della norma
insegnata dal Magistero, ma sostiene che nella prassi morale concreta occorre distinguere tra “principi generali” e “norme
concrete”. L’Enciclica Humanae vitae, per esempio, darebbe i principi validi in
generale, ma poi, nella situazione concreta, le circostanze particolari
potrebbero legittimamente condurre la coscienza ad un giudizio diverso e
contrario. I vescovi francesi hanno
parlato di “conflitto di valori”, nel quale solo alla coscienza dei coniugi
spetterebbe di scegliere il valore concretamente ed esistenzialmente
preminente. Un’infelice dichiarazione della Congregazione del Clero del
1971, per risolvere il cosiddetto “caso Washington”, ha affermato, seguendo
questa linea, che “le particolari circostanze che intervengono in un atto umano oggettivamente cattivo, mentre non
possono trasformarlo in oggettivamente virtuoso, possono renderlo incolpevole,
meno colpevole o soggettivamente difendibile”. Non fa problema
l’affermazione che le circostanze possono rendere un atto in sé cattivo meno colpevole o non colpevole,
quando tali circostanze comportano una diminuzione o, al limite estremo, una
scomparsa della responsabilità soggettiva. Quello che fa realmente problema è l’affermazione
che, alla luce delle circostanze, si possa
“difendere soggettivamente” la scelta
di un atto intrinsecamente cattivo dal punto di
vista morale. Per capire come
questa teoria sulla coscienza in rapporto alla legge non sia sostenibile basta
che proviamo a pensare alla sua applicazione
nel caso dell’uccisione di un innocente, del suicidio, dell’eutanasia o
dell’aborto: questi sarebbero atti in sé cattivi, ma che potrebbero diventare
soggettivamente giustificabili! Va ricordato che di fronte ad abusi di questa
dichiarazione, un anno dopo, la stessa Congregazione sentì il dovere di
emettere un appunto nel quale precisava di non essere un’istanza dottrinale, ma
solo disciplinare, di non aver voluto cambiare la dottrina della Chiesa sulla
coscienza e ripeteva la frase incriminata togliendo “soggettivamente difendibile”. Tuttavia, purtroppo,
questa precisazione non viene considerata ed anche in opuscoli ampiamente
diffusi nelle parrocchie per la preparazione al matrimonio (ad esempio quello
delle Edizioni Dehoniane di Bologna), nonché in numerose conferenze e
pubblicazioni, si continua a citare il primo comunicato della Congregazione per il
Clero, come interpretazione autorizzata di Humanae
vitae, dicendo che esso lascia alla coscienza dei coniugi la libertà di
ricorrere alla contraccezione quando lo
ritengano giustificabile per le circostanze concrete della loro situazione. Un
chiarimento definitivo su questo punto controverso è quello offerto da Veritatis splendor, la quale al
n. 8
afferma: “Le circostanze e le intenzioni non potranno mai trasformare un
atto intrinsecamente disonesto per il suo oggetto (come la contraccezione) in
un atto soggettivamente onesto o difendibile come scelta”.
Coscienza morale del cristiano e Magistero circa Humanae v i t ae
Coscienza morale del cristiano e Magistero circa Humanae v i t ae
C’è una libera obbedienza all’insegnamento del
Magistero nella formazione della propria coscienza morale. Per fede io so
che Gesù Cristo ha promesso al noi della Chiesa e ha assicurato ai pastori che
la guidano, e in particolare a Pietro, il dono dello Spirito del Risorto
presente in essa, per interpretare autenticamente la legge divina, quella
rivelata e quella naturale (Humanae
vitae, 4). E’ di inciampo, cioè di
scandalo, il giudizio del cardinale Martini in rapporto a Paolo VI, Giovanni
Paolo II, a Benedetto XVI.
Il cristiano che accoglie come Parola del suo Signore, biblicamente
fondata, sa che un Altro conosce la
verità di lui più di se stesso. Egli sa che Gesù ha affidato al noi della
comunione ecclesiale gerarchicamente strutturata e quindi al Magistero l’interpretazione
autentica di questa conoscenza. Egli
quindi, pur maturando anche nel proprio io le ragioni, si fida di questa
promessa, anche quando immediatamente
non vede pienamente la persuasività razionale degli argomenti. E non mettendo
mai in discussione l’appartenenza al noi concreto di comunione ecclesiale
autorevolmente guidata, si ascolta, si fa esperienza di una tensione e di una
crescita cercando di capire e quindi si giunge a scoprire che è anche
ragionevole fidarsi. Man mano che si capisce, non dipendi più da chi te lo
dice; man mano che te lo si dice, chi te lo ha detto è come se diventasse una
cosa sola con te stesso: ascolta – segui – capisci autonomamente te stesso.
E’ il
principio del “seguire un Altro” che rimanda alla presenza del Risorto nel noi
del suo corpo che è la Chiesa per essere veramente se stessi senza brancolare
nel buio o vivere da animali. Ora, questo giudizio secondo cui “è giusto
seguire un Altro per capire”, un Altro che si è rivelato, che è presente, che
ci parla qui e ora e ci conduce attraverso il magistero, non è un giudizio
estraneo o contrario alla coscienza del proprio io. E’ invece il primo e
fondamentale giudizio della coscienza cristiana tipica del pensare di Cristo in noi: il giudizio della fede, quel giudizio che non
è solo informativo ma performativo, cioè che le dà la sua forma propria di
coscienza credente. Nella lettera ai
Romani san Paolo equipara, per il cristiano,
“l’essere contro la propria coscienza” all’“essere contro la fede”, contro il
pensiero di Cristo in noi. Il giudizio della fede, che mi fa seguire sempre il
Magistero come interprete autentico della Parola del Signore per indicarmi la
direzione, la via della vita da seguire, mi fa capire sempre di più, è un
giudizio ragionevole. Esso ha le sue
ragioni proprie e non viola la
coscienza: man mano che capisci sempre di più secondo la legge della gradualità non dipendi più dall’esterno.
Quando, dunque, mi muovo nel nuovo
orizzonte che l’incontro con la Persona di Gesù Cristo mi dà e con ciò la
direzione decisiva che la Chiesa mi
offre, la coscienza segue un’indicazione del Magistero che essa non riesce
immediatamente a capire nelle sue argomentazioni razionali, non va contro se
stessa, non è succube di un fare meccanico quello che ti dicono, non nega la
sua “autonomia”. Essa infatti segue ed obbedisce a ciò che non comprende sulla
base del più fondamentale giudizio di coscienza che è “giusto obbedire”. Al di
là dell’inevidenza delle ragioni particolari, c’è l’evidenza della ragionevolezza del fidarsi con amore e speranza del noi ecclesiale cioè di Cristo: “So a chi ho
prestato fede” (2 Tm 1,12).
Ma
quanto insegnato da Humanae vitae al
n. 14 ha veramente questo valore
vincolante per la coscienza morale di
ogni cristiano? Così Giovanni Paolo II il 5 giugno 1987: “Quanto è insegnato dalla Chiesa sulla
contraccezione non appartiene a materia liberamente disputabile fra teologi.
Insegnare il contrario equivale a indurre nell’errore la coscienza morale”. E’
grave per il cardinale Martini insinuare il dubbio: “Pare che avesse perfino
pensato a una dichiarazione che godesse del privilegio dell’infallibilità
papale” e far intravedere il contrario inducendo nell’errore le coscienze.
La coscienza morale è dunque
l’istanza ultima e decisiva per la vita morale del cristiano. Essa è il luogo
intimo dove Dio all’io originariamente aperto alla globalità dei fattori, cioè
alla verità che libera dalla
schiavitù dell’ignoranza, fa risuonare la sua voce, una voce che
chiede di essere sempre seguita. E tuttavia occorre imparare a riconoscere la
voce di Dio, occorre imparare a distinguerla dalla voce del proprio interesse
egoistico o dalla mentalità corrente e questo è impossibile da soli. La dignità
della coscienza dipende dalla apertura originaria dell’io alla realtà in tutti i fattori cioè
alla verità, altrimenti si tratta di autoinganno.
Per questo la coscienza morale ha
bisogno di una formazione, che si realizza attraverso la crescita nella virtù e
l’apertura a vissuti di comunione ecclesiale autorevolmente guidata. La Chiesa, come comunione vissuta
nella guida del suo Magistero, cioè dei Vescovi in comunione con il Papa, è il
luogo della formazione della coscienza morale cristiana. Nella comunione
ecclesiale partecipiamo infatti al dono dello Spirito Santo, lo Spirito della
verità, la luce dei nostri cuori, del nostro io. Sant’Agostino diceva che
abbiamo lo Spirito Santo nella misura del nostro amore alla Chiesa.
La proposta inadeguata di una
“gradualità della legge”
La nozione argomentata di
“gradualità” cioè della moralità cristiana come tensione ha fatto la sua
comparsa ufficiale nell’insegnamento della Chiesa in occasione del Sinodo dei
Vescovi sulla Famiglia del 1980 e in quell’anno nella visita del Papa a Torino.
Il cardinale Joseph Ratzinger, che fungeva da Relatore principale, definì
quella della gradualità “un’idea nuova
del Sinodo, che è poi diventata una delle prospettive continue, presente in
tutti i singoli problemi” poiché è la traduzione della continuità della morale
cristiana come tensione. Essa fu ripresa dal Santo Padre, Giovanni Paolo II,
nella sua allocuzione finale del 25 ottobre e nell’esortazione apostolica Familiaris consortio (nn. 9 e 34). Il
genio educativo di Giussani ha sviluppato la consapevolezza della morale cristiana come tensione in tutti
i modi.
Nell’assumerla il Papa propose,
tuttavia, per la prima volta, la distinzione discriminante tra “gradualità
della legge”, che deve essere rifiutata in
quanto riduce il valore della legge ad un mero ideale, e “legge della
gradualità”, che può essere accolta come espressione della progressività del
cammino verso la perfezione: cioè la moralità cristiana come tensione. E’
questa la chiave ermeneutica decisiva del problema. Ma prima di esaminare il
significato in positivo della argomentazione del Papa, è utile dare uno sguardo
alla situazione pastorale che ha determinato questo approfondimento e ad alcune
proposte teologico-pastorali inadeguate, che si pongono nella linea, non
ritenuta legittima dal Magistero, della “gradualità della legge”.
Situazioni di
difficoltà e amore pastorale
La proposta di rifarsi al principio
della gradualità, cioè della morale come tensione riceve la spinta da una grave difficoltà
pastorale che si avverte oggi nel proporre la morale cattolica, così come è
insegnata dal Magistero, nella società secolarizzata. Tra insegnamento
dottrinale ufficiale e vissuto concreto della morale si è creata una drammatica
frattura come tra Vangelo e cultura, al punto che alcuni hanno parlato di un
vero e proprio “scisma morale” da parte di molti fedeli: scisma latente, ma non
meno reale. La coscienza personale dei
fedeli non accetta più come punti di riferimento normativi vincolanti
per un cammino di formazione della coscienza morale gli insegnamenti del
Magistero. Essa, in larga misura, si è “autonomizzata” ed impermeabilizzata
rispetto alla dottrina ufficiale. Nella frattura tra Vangelo e cultura è
conseguente che la dottrina non convinca, che le sue esigenze anziché un dono
siano ritenute irragionevoli o esorbitanti, oppure essa è giudicata forse bella
e perfetta in sé, ma impossibile da praticare nelle circostanze concrete della vita.
Ciò
riguarda soprattutto alcune questioni di morale coniugale e sessuale: l’indissolubilità del sacramento del
matrimonio e la disciplina relativa ai divorziati civilmente risposati, la
questione dei rapporti prematrimoniali e delle convivenze giovanili segnate
dall’incontro fisico, l’omosessualità, la masturbazione, la contraccezione, ecc. Tacitamente si è
giunti a considerare questi problemi in fondo secondari rispetto al centro del
messaggio cristiano, imbarazzanti da sollevare nella predicazione pubblica e
indiscreti da porre nel segreto della
confessione. Da parte dei pastori grande è la tentazione di lasciare questo
livello di problemi della morale sessuale alla coscienza privata dei fedeli,
giustificandosi perché nel passato se ne sarebbe parlato troppo, senza
pretendere di determinare su di essi l’appartenenza alla Chiesa cattolica. In
pratica dalla drammatica frattura tra Vangelo e cultura si passa alla frattura
fra fede e morale e una sua soggettivizzazione, almeno per quel che concerne le
norme specifiche del comportamento, in ambito sessuale e coniugale. E’ questa
la denuncia di tutto il libro del cardinale Martini.
Lo sviluppo della morale come
tensione, l’argomentazione della “gradualità” puntano a dare una soluzione
pastorale alla frattura. Con l’ipotesi della gradualità si punta a gettare un
ponte tra la dottrina e la pratica, rispettando le esigenze sia della norma
“oggettiva” che della coscienza e della situazione “soggettiva”. La
“gradualità” non è semplicemente una argomentazione a livello pedagogico, ma,
in rapporto alla morale cristiana come tensione, un contenuto teologico (se
trovati al momento terminale della vita lì a tentare e ritentare Lui porterà a
compimento) e morale ( tutti possono tentare e ritentare), che permette di
colmare l’abisso e riconciliare la coscienza dei fedeli col Magistero.
La proposta teologica e morale nasce
da una questione del tutto attuale e bruciante sul livello pastorale, e
correttamente mira ad escludere la falsa soluzione di una separazione o
soggettivizzazione completa della morale (sessuale e coniugale) dalla fede e
dall’appartenenza ecclesiale. Avverte anche l’insufficienza di una mera
riproposizione formale delle norme morali, che non sono più accettate e forse
neppure comprese.
L’autentica
gradualità pedagogica
Per impostare le linee di una soluzione positiva
della gradualità pedagogica in rapporto alla morale come tensione, occorre
anzitutto cogliereil significato della “legge della gradualità”, che Giovanni
Paolo II dapprima in una omelia al Sinodo dei Vescovi del 1980, ripetuta nella
visita pastorale a Torino e poi in Familiaris
consortio propone come risposta autentica alla sfida di una inaccettabile
“gradualità della legge”.
Nell’omelia
del 25 ottobre 1980, che concludeva i lavori del Sinodo, Giovanni Paolo II
diede una risposta chiara. Innanzitutto egli, in sintonia con i Padri sinodali,
respinse “ogni frattura tra la pedagogia, che propone una certa gradualità nel
realizzare il piano divino, e la dottrina proposta dalla Chiesa con tutte le
sue conseguenze, nelle quali è racchiuso il comando di vivere secondo la stessa dottrina. Infatti la legge non può essere intesa come “un puro ideale da raggiungere in futuro”, ma
deve essere compresa invece come un “comando di Cristo Signore a superare con
impegno le difficoltà”. Così la
pedagogia della gradualità è accettabile solo nella misura in cui non evacua la
dottrina e la forza vincolante della legge. In tal caso egli precisa la
distinzione tra “gradualità della legge” e “legge della gradualità”: perciò la cosiddetta legge della gradualità
o cammino graduale o morale come tensione non può identificarsi con la gradualità della legge, come se ci fossero vari gradi e
varie forme di precetto nella legge divina, per uomini e situazioni diverse.
Come si vede l’accettazione
dell’idea di “gradualità” da parte del Papa avviene a livello pedagogico e non
a livello di categoria morale: si applica al cammino esistenziale di crescita
delle persone, e non al valore vincolante della legge. Il criterio limite che
permette di verificare la legittimità del ricorso a questa categoria sembra
essere quello della accettazione piena del valore vincolante della legge
divina, la quale è un vero comando che obbliga sempre, in qualunque situazione,
qualunque persona.
Giovanni Paolo II ritornerà sul
concetto di gradualità in due numeri dell’esortazione apostolica post- sinodale
Familiaris consortio. Nel numero 9
egli la comprende in relazione alla conversione cristiana, la quale implica due
momenti logicamente distinti: il ripudio e il distacco netto dal peccato, il
graduale e dinamico processo di crescita
verso il bene, checonduce sempre oltre
“con passi graduali”. Nel numero 34 egli riprende testualmente, a proposito
della gradualità, l’omelia già citata, premettendo solo che, per comprendere
l’ordine morale, occorre capire che i precetti della legge divina non sono
arbitrarie imposizioni mortificanti, per le quali cercare dilazioni o
eccezioni, ma verità che esprimono esigenze del bene della persona. Certo la
persona è un essere storico, che realizza la verità attraverso libere scelte,
in un incessante cammino, secondo tappe di crescita, ma l’autentica pedagogia
esige che fin dall’inizio si accetti di puntare a tutto il carattere normativo
e vincolante, per ogni tappa della crescita, della legge di Dio. Il precetto
permette di riconoscere il peccato e la necessità di staccarsene per una autentica
conversione. La pedagogia cristiana autentica è quella che, accogliendo il
valore vincolante della legge e riconoscendo il peccato, dà spazio alla
possibilità di riconoscerlo, di pentirsi, di lasciarsi riconciliare e di ricominciare dando spazio
interno alla croce e al sacrificio.
La pedagogia di Gesù con i suoi discepoli Illuminante, fondamentale è la pedagogia,
l’educazione alla tensione morale di Gesù con i suoi discepoli come
emerge dai Vangeli. Egli, piena realizzazione in un volto umano
delle dieci parole e delle beatitudini, è la “via” umana che, Risorto, continua
nel suo corpo che è la Chiesa, percorrendo
la quale, appartenendovi attraverso vissuti
fraterni di comunione autorevolmente guidata,
ci si mantiene nella “verità”; Egli è il Buon Pastore che conduce, senza costringere,
il gregge e diventa
modello di ogni
iniziativa di amore pastorale autentico.
Il metodo educativo di Gesù alla
tensione morale per coloro che hanno cominciato ad ascoltarlo – seguirlo –
capirlo, si mostra diametralmente opposto ad una pedagogia razionalistica che
pretende di prevedere, programmare tappe diversificate di apprendimento e di
crescita, valutate sulle crescenti capacità dei discepoli. I Vangeli
ci presentano un
cammino di ascolto – sequela –
comprensione pieno di cesure e di fallimenti. Sembrano compiacersi di mettere
in risalto la crescente incomprensione dei discepoli per le esigenze radicali,
senza alcuna gradualità della legge, che
presenta: “Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?” (Gv 6,60). E Gesù,
invece di graduare il suo discorso alle capacità di comprensione e alla
disponibilità dei seguaci e alle loro effettive possibilità, non fa che
approfondire e radicalizzare la sfida: “Questo vi scandalizza? E se vedeste il
Figlio dell’uomo salire là dov’era prima?” (Gv 6,61-62). “Volete andarvene
anche voi?” (Gv 6,67).
La tensione per ascoltare – seguire
– capire si fa sempre più radicale. Dopo l’episodio del giovane ricco, che ha
messo in risalto le esigenze radicali dell’ascoltare – seguire – capire, i
discepoli chiedono: “Chi dunque può salvarsi?”. Se molte persone con l’Humanae vitae hanno lasciato la Chiesa e
Gesù, di fronte ai discepoli, oggi al cardinal Martini sbigottito, con Benedetto XVI risponde puntando a saper
orientare le coppie a capire con il cuore il meraviglioso disegno che Dio ha
scritto nel corpo umano, aiutandole ad accogliere come tensione quanto comporta un autentico cammino di maturazione, sapendo
che la riuscita, la coerenza va invocata, può accadere nella preghiera: “Questo
è impossibile all’uomo, ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19,25). Gesù, oggi Risorto attraverso i Vescovi in totale comunione con il Papa, nella sua
sorprendente pedagogia, sembra voler condurre il discepolo al punto in cui deve
riconoscere che, con le proprie forze, egli non può seguire, anzi nemmeno
capire. Solo la grazia può farlo, liberando dal peccato, dall’autosufficienza e
offrendo all’uomo che tenta e ritenta pregando la possibilità fino al momento
terminale della vita di “rinascere
dall’alto” (Gv 3), di tentare e ritentare di seguire – capire – obbedire.
La meravigliosa pedagogia di Gesù
non fa leva solo dunque sulle capacità
naturali di ascolto – sequela –
comprensione dell’uomo, sulla maturazione della sua coscienza e della sua
volontà. Essa punta alla tensione morale per unevento qualitativamente nuovo,
sorprendente, che l’uomo non può realizzare, ma al quale può tendere e che
sarà, attraverso la sua preghiera, opera dello Spirito del Risorto, in quanto
partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù: una nuova nascita, una nuova
natura. Altrimenti la morale dell’ascolto – del seguire – del capire è
impossibile. Condizione unica per ricevere questo dono è la povertà di spirito,
cioè il confessare la propria incapacità e avere fede in Colui che salva. Solo
nella grazia, solo nell’accoglienza umile del dono della presenza del Signore,
solo ai poveri in spirito il comandamento di Gesù non appare come una esigenza
terrificante che fa morire, ma un dono di vita. Al di fuori di questa logica
di conversione e di rinascita, la legge
di Gesù non può che apparire impossibile, insopportabile, disumana per l’uomo.
Infatti l’uomo, che porta in sé le conseguenze del peccato, pur riconoscendo la
bontà della legge, che gli rivela il meraviglioso disegno che Dio ha scritto
nel corpo umano, aiutandolo ad accogliere
come tensione morale quanto comporta un autentico cammino di maturazione
(ascolto – sequela – comprensione), la avverte non come amica per un’obbedienza
libera, ma come un peso che lo schiaccia, perché appunto un’altra legge, quella
del peccato, domina nella sua carne (Rm 7,14- 25).
Gesù, l’incontro ecclesiale con Lui risorto, interprete e compimento della
legge
C’è un
momento preciso del vangelo di Matteo, in cui avviene il confronto più aspro tra la mentalità casistica di gradualità della
legge propria dei farisei e la dinamica della conversione propria dell’incontro
con Gesù che avvia una tensione morale, la legge della gradualità, sapendo che
la riuscita, la coerenza va invocata nella preghiera. Si tratta della
questione del divorzio (Mt 19,1-12), significativamente citata anche da Familiaris consortio (n. 13). I farisei
si pongono nell’ottica dell’interpretazione casistica della legge mosaica, che
tenta di conciliare la lettera del precetto con le effettive capacità di
osservarla degli uomini. Gesù rifiuta
di entrare in quest’ottica e
sconvolge il quadro stesso del ragionamento farisaico. Egli risale al
“principio”, all’essere dono del Donatore divino e quindi alla verità originaria
della creazione, all’apertura originaria di ogni io umano alla realtà in tutti
i fattori o verità. Nell’origine è data una verità che libera dalla schiavitù
dell’ignoranza, che è legge, libera, autonoma obbedienza per ogni io umano:
questa è la vocazione di tutti. Gesù è venuto a donare questa luce, questa
evidenza originaria, questa verità, a ridare ad ogni uomo la capacità e il
coraggio del destino a figlio nel Figlio per cui è stato creato. In questo non
possono esserci sconti o gradualità. Se il cardinal Martini ne tenesse conto!
E’ il cammino dell’ascolto – della sequela – del capire che è graduale, che è
una tensione morale!
La legislazione mosaica rappresenta quindi
per Gesù una tappa provvisoria, concessa
da Dio in relazione alla “durezza del cuore” del popolo (Ger 17 e 31).
Ora, di fronte alle esigenze della legge
originaria, ripristinata in tutta la sua
purezza, i discepoli sono giustamente sbigottiti non vedendo possibilità di
riuscita, di coerenza: “Ciò è umanamente impossibile!”. Sì, per l’uomo ferito
dal peccato è umanamente impossibile
vivere all’altezza della verità umana cui chiama il Signore. Gesù lo ammette
francamente: “Questo è impossibile
all’uomo. Ma a Dio tutto è possibile” (Mt 19,26). Occorre ascoltare il
meraviglioso progetto che Dio ha scritto nel corpo umano, occorre il vissuto
fraterno che aiuta ad accogliere, a capire e a tentare come tensione quanto
comporta un autentico cammino di maturazione, sapendo che la riuscita, la
coerenza va invocata nella preghiera.
Emerge così con chiarezza la duplice
competenza di Gesù di fronte alla legge:
· Egli è
il vero interprete, più grande di
Mosé, perché nel suo volto umano le dieci parole e
le beatitudini sono realizzate fino all’iota e così ripristina il meraviglioso
disegno che Dio ha scritto nel corpo umano, cioè la verità originaria del
“principio”, di quello cui ogni io originariamente aspira. Dal nucleo complesso
della legge antica
Gesù evidenzia ciò che costituisce la volontà permanente di Dio (Decalogo
completato, per la seconda tavola, dalle
Beatitudini) separandolo dalle caduche tradizioni umane e da condiscendenze col
peccato, ormai non più attuali, perché con l’incarnazione il Figlio di Dio si
è unito in qualche modo ad ogni uomo,
con il Battesimo si è diventati figli nel Figlio e quindi il dono della grazia
è presente. Egli, come Figlio unigenito che conosce e manifesta la volontà del
Padre (Gv 1,18), come Primogenito di ogni creatura, nel quale tutto è stato
creato (Col 1,15-20), può rivelare finalmente nella sua integrità il disegno sapiente di Dio e l’altissima
vocazione di ogni uomo, senza riduzioni e senza compromessi, dovuti alla cecità spirituale, alla schiavitù
di Satana e al peccato.
· Ma Egli, della legge è anche e
soprattutto il compimento.
Gesù, infatti, è Colui che fa la volontà del Padre, realizzandola fino in
fondo nella sua esistenza umana. Egli è il Figlio che vive di ogni parola che
esce dalla bocca del Padre. Il suo cuore è quello in cui si realizza la
promessa di Ger 31 e di Ez 36: è il cuore in cui è scritta la legge di Dio, in
cui l’obbedienza è amicizia, è libertà. Per questo in Lui e con Lui è anche
aperta finalmente la possibilità di vivere all’altezza della verità umana, di
adempiere alle esigenze della legge, cioè di riuscire, di essere coerenti, ma
mediante il dono di grazia di poter
partecipare alla sua morte e risurrezione ed essere così rigenerati nello Spirito.
In tal senso Veritatis splendor ricorda: “L’osservanza della legge di Dio, in
determinate situazioni, può essere difficile, difficilissima: non è mai però
impossibile” (n. 102).
Solo nel mistero della Redenzione di Cristo stanno
le concrete possibilità dell’uomo. Sarebbe un errore gravissimo concludere… che
la norma insegnata dalla Chiesa è in se stessa solo un ideale che deve essere
adattato, proporzionato, graduato, si dice, alle concrete possibilità
dell’uomo… Ma quali sono le concrete possibilità dell’uomo? E di quale uomo si
parla? Dell’uomo dominato dalla concupiscenza o dell’uomo redento da Cristo?
Perché è di questo che si tratta: della realtà della redenzione di Cristo.
Cristo ci ha redenti! Ciò significa: Egli ci ha donato la possibilità di
realizzare l’intera verità del nostro essere.
Conversione e crescita nella carità
I pilastri di una proposta
pedagogica, educativa cristiana fanno perno, dunque, sulla conversione e sulla
crescita nella carità. La pienezza della vita cristiana accade là dove Egli è
amato e dove il suo amore ci raggiunge e ci spinge ad amare sempre più
gratuitamente i fratelli. Si tratta di una virtù teologale, cioè di una partecipazione nello Spirito del Risorto
alla stessa carità, allo stesso amore di Dio, che è Amore e non costringe mai e
attende la libera risposta, cioè una risposta di amore.
C’è un momento di incontro
consapevole con la Persona di Gesù Cristo che dà alla vita un nuovo orizzonte,
la direzione decisiva ed è quindi un momento di conversione iniziale per un cammino di tensione morale. E’
l’accoglienza della carità, che comporta la liberazione da ogni condizione
maligna e che comporta il ripudio radicale del peccato. La vita cristiana
inizia per un dono di grazia che provoca alla conversione senza compromessi da
tutto ciò che si oppone a Dio. A questo livello non possono esserci gradi: si
tratta di una soglia minima di cui non si può far a meno: e qui l’insistenza
del cardinale Martini ha tutta la sua urgenza, come sottolinea a pp. 93-94: “Apriamo il vangelo e ascoltiamo
la voce di Gesù che chiama all’abnegazione. Chi si sacrifica avrà la vita. Dov’è
che qualcuno sacrifica se stesso per formare altre persone? E’ questo il
problema di fondo nei rapporti umani, anche nella sfera della sessualità. Se
viene richiesta una rinuncia,
essa può essere
solo la conseguenza di amore
e di abnegazione. Non posso pretendere alcun sacrificio senza mostrare quanto
sia allettante il traguardo. Per l’amore
vale la pena affrontare la rinuncia”.
Propriamente parlando non si tratta neppure di una prima tappa, ma della
condizione previa del cammino, della tensione morale. Si chiede il
riconoscimento onesto e chiaro della verità del proprio e altrui essere dono
del Donatore divino, che gli sposi
capiscano con il cuore il meraviglioso disegno che Dio ha scritto nel corpo
umano maschile e femminile con la conseguente tensione morale di accoglierlo:
chiamare le cose con il loro nome (dire bene al bene e male al male) e pentirsi
del peccato, ricominciare, tentare e ritentare, sapendo che la riuscita, la
coerenza va invocata nella preghiera.
Vi è poi la crescita nella carità, attraverso il consolidamento e il perfezionamento
della propria risposta positiva a Dio. Essa
avviene non per aggiunta di qualcosa che manca, ma per intensificazione,
per organico incremento interno di ciò che ci è dato tutto fin dall’inizio.
In questa dinamica della carità, i precetti negativi indicano il livello
minimo indispensabile da rispettare, al di sotto del quale si è in contrasto
con l’amore di Dio, non più desiderosi della verità e indisponibili ad amare,
con il rischio di non avere più niente di rimediabile nel proprio essere per
cui la distruzione del bene sarebbe irrevocabile: è questo che si indica con la
parola inferno. In tal senso la
carità implica necessariamente sempre il rispetto delle esigenze minimali dei
precetti di giustizia della legge naturale, cui appartengono a livello sociale
i “valori non negoziabili”. Invece i precetti
positivi della legge morale e i consigli
mostrano rispettivamente le vie di una crescita mai conclusa e i modi di un
più facile conseguimento della perfezione nella carità.
Principi essenziali per la soluzione dei “casi
difficili”
· Innanzitutto è
importante riconoscere
francamente le difficoltà, così
come fa anche la Familiaris consortio
al n. 33:
quando vengono prese sul serio le circostanze e le
difficoltà, uno si sente accolto, compreso nella sua vita e non invece
pregiudizialmente giudicato e respinto. Sorge così quella reciproca fiducia e
simpatia, che è necessaria per mettersi in dialogo e iniziare insieme un
cammino di ascolto, di sequela, di comprensione, di obbedienza.
· In
secondo luogo è importante avere
il coraggio dell’evidenza della realtà, cioè della
verità in tutti i fattori. Il primo passo per un cammino di ascolto, di
sequela, di comprensione con il cuore, di obbedienza è identificare la meta a
cui si deve arrivare, cioè il meraviglioso disegno che Dio ha scritto nel corpo
umano nella reciprocità di maschio – femmina, aiutando ad accogliere come tensione morale, come legge della gradualità
quanto comporta un autentico cammino di maturazione, sapendo che la riuscita,
la coerenza va invocata nella preghiera. Questo meraviglioso progetto di
Dio va riconosciuto non solo come ideale astratto, ma come giudizio vincolante
nel concreto di tutti i comportamenti. Quei comportamenti che violano dei
precetti morali negativi sono sempre passi nella direzione opposta alla meta,
che allontano dal cammino. Ad esempio, per gli sposi che praticano la
contraccezione o il coito interrotto, si tratta di ammettere che essi sono
sempre una deformazione della verità del loro amore e mai un aiuto e che
occorre tentare e ritentare di non ammetterli, anche quando non si riesce,
pentendosi, lasciandosi riconciliare e ricominciando il cammino, la tensione morale.
· In terzo luogo occorre porre le
condizioni possibili subito per mettersi nella
prospettiva di un autentico
cammino di maturazione
nella prospettiva della meta. Non basta
infatti volere l’ideale con una scelta fondamentale, occorre anche porre le
condizioni per realizzarlo. Non basta l’aspetto soggettivo di una generica
buona intenzione, occorrono gesti, magari piccoli, ma continui e progressivi
secondo la legge della gradualità nella
direzione giusta. Il n.
10 di Humanae vitae, dedicato alla “paternità responsabile” segnala le
varie dimensioni della crescita da realizzare: autodominio delle pulsioni
mediante la virtù della castità coniugale (che non significa solo astensione
dagli atti genitali), da stimare come virtù dell’amore vero; dialogo rispettoso
e accogliente tra i coniugi nella luce della verità; autoconoscenza, anche
mediante una informazione adeguata sui metodi naturali diagnostici della
fertilità; ed anche le condizioni spirituali di fiducia nel Signore, mediante
la preghiera e il frequente ricorso ai sacramenti, consapevoli che non basta la
tensione morale per la riuscita e la coerenza
che va sempre invocata nella preghiera. Come senza radici un albero non porta
frutto, così, senza le condizioni umane e soprannaturali di un cammino di
conversione e di crescita non si può arrivare alla meta.
· Teorizzare il riconoscimento della
“verità fondamentale” per l’ethos
della sessualità è la base ma non basta l’oggettività senza la
soggettività. Occorre trovare a livello soggettivo le strade possibili di una continua
e liberamente convinta, fiduciosa, amata tensione morale, adeguata al cammino
dei coniugi e alla attuale promiscuità tra i giovani nel loro incontro fisico.
· Positiva, necessaria
la denuncia del
cardinale Carlo
Maria Martini in Conversazioni
Notturne a Gerusalemme Su
rischio
della fede, sull’insufficienza
educativa per la tensione morale del solo richiamo alle norme oggettive per cui
molte persone, molti giovani, non comprendendole e non amandole, si sono
allontanati dalla Chiesa e la Chiesa sembra lontana da loro con la conseguenza
di un grave danno. Non condivisibile la via della gradualità della legge, già esclusa dal Sinodo sulla
Famiglia e dall’esortazione post- sinodale che propone la via della legge della
gradualità, della tensione morale.
· Così Mons. Luigi Giussani, in
Appartenere a Cristo oggi, presentava
la tensione morale il 30 maggio 1992: “Perché
la coerenza nell’uomo è un miracolo della presenza di Dio, non opera dell’uomo:
“Tua, o Signore, è la grazia”. La coerenza è un miracolo, la moralità è un miracolo.
Che presunzione insopportabile altrimenti! Segno della moralità autentica
allora non è la riuscita – non c’è nessuna misura nel Regno di Dio –, ma
l’atteggiamento del cuore che cerca di essere fedele a come è stato fatto
all’origine: si chiama povertà di spirito. La moralità è una tensione, come
quella di un bambino che impara a camminare e
cade dieci volte nei dieci metri che deve percorrere, ma tende a sua
madre, si rialza e tende (una esemplificazione meravigliosa della legge della
gradualità!). E chi può giudicare se nel
mio compagno di cammino umano c’è questa tensione morale? Lo giudico io?
“Nessuno giudichi, perché Dio solo giudica” diceva san Paolo “io non giudico
nessuno: neanche me stesso”. La moralità è tensione, perciò il
male non ci fermi. Sì, è vero, possiamo cadere mille volte, ma il male
non ci definisce, come invece definisce gli uomini della mentalità mondana, che
sono costretti a giustificare quello che non riescono a non fare (gradualità
della legge!). Il segno supremo della moralità, perciò, è la misericordia. Solo
Dio misura tutti i fattori dell’uomo che agisce: per noi c’è soltanto lo spazio
della misericordia. Come l’uomo Gesù che rivolgendosi al Padre disse: “Padre,
perdona loro perché non sanno quello che
fanno”: sull’infinitesimo margine della loro ignoranza costruiva, morendo, la
loro difesa. Caratteristica della vera moralità è il desiderio della correzione
– correggere vuol dire “reggersi
insieme”, camminare insieme –, e il suo sintomo ultimo è l’assenza di scandalo.
Un cristiano che vive la compagnia non si scandalizza di nulla, ha dolore: non
sente lo scandalo, ma il dolore del male”. Con questa fedeltà al Magistero
oggettivo e con questa via da esso indicato e da mons. Giussani esperimentata
quante persone si sono avvicinate alla Chiesa e quanto la Chiesa si avvicina a
tutti, con un bene grandissimo. Per
chi volesse una argomentazione organica sui fondamenti della morale cristiana
come tensione alla luce dell’Humanae vitae di Paolo VI, di Giovanni
Paolo II, il Papa della Veritatis
splendor, di Benedetto XVI che hanno insegnato l’unità di verità e amore in
cui si sviluppa la vita cristiana è provvidenziale di Livio Melina, José
Norega, Juan José Perez-Soba Camminare
nella luce dell’amore (Cantagalli).
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