Ecumenismo: cosa possono imparare i cattolici
Si conclude la Settimana per l'unità dei cristiani: parla il teologo Goyret,
di ANDREA
ACALI.
La celebrazione dei Vespri presieduta da Papa
Francesco nella Basilica di S. Paolo fuori le mura conclude oggi
la Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani. Ostacoli,
progressi, prospettive dell'ecumenismo: In Terris ne ha
parlato con don Philip
Goyret, ordinario di Ecclesiologia e decano
della Facoltà di teologia della Pontificia università della S. Croce.
Il dialogo ecumenico non è allo stesso livello con tutte le confessioni
cristiane. Quali sono le principali differenze e i principali ostacoli con
ortodossi e protestanti?
"E' corretto dire che il dialogo ecumenico non procede a velocità
uniforme. Tra l'altro anche all'interno dei protestanti ci sono varie realtà:
luterani, anglicani, riformati e così via, come pure ci sono gli ortodossi in
senso stretto ma anche le antiche Chiese orientali: monofisiti, nestoriani
eccetera. E' vero che le velocità sono diverse ma non è semplice spiegarlo. Con
gli ortodossi la strada è più facile in linea di massima, perché gli elementi
in comune sono moltissimi, molti di più che con i protestanti. Però proprio lì
le posizioni sono arrivate a una fase di stallo perché sono più inamovibili.
Entrambi abbiamo una consapevolezza, cattolici e ortodossi ciascuno a modo suo,
di essere la vera Chiesa di Cristo e per questo ulteriori avvicinamenti sono
più difficili. Con i protestanti, invece, ci sono più fattori di diversità ma
forse proprio per quello l'avvicinamento è stato più rapido. Una questione
comune a tutti, comunque, è quella della metodologia del dialogo
ecumenico".
Vale a dire?
"Le questioni sono soprattutto due. Lo scopo finale del dialogo è
l'unità visibile della Chiesa. La prima questione è proprio relativa a quale
unità stiamo cercando. In casa cattolica diciamo che è quella visibile e
invisibile. Visibile perché è riferita a come è strutturata nell'unità di fede,
liturgica e gerarchica. Ma questa è già una presa di posizione non
necessariamente condivisa: altri sostengono che è sufficiente l'unità
invisibile, nella carità, poi ognuno è governato da chi vuole. Il secondo
problema è l'interlocutore. I cattolici hanno una struttura di governo in cui
la S. Sede rappresenta la posizione della Chiesa, con un magistero condiviso.
Questo non esiste né in ambito ortodosso né in ambito protestante. Di
conseguenza l'interlocutore dell'altra parte non è sempre ben definito. Questo
si nota soprattutto con i protestanti. Ad esempio è stato da poco firmato un
importante documento, che si chiama "Growth in Communion", tra i
luterani e i cattolici finlandesi. E' un testo molto buono nel senso che le
posizioni si sono avvicinate in temi tradizionalmente conflittuali. Ma io mi
domando: è un documento condiviso da altri luterani? Anche nella parte
cattolica succede che i documenti firmati da una commissione non sono magistero
e dunque c'è una certa diversità di pareri. E' una questione molto articolata.
Qualcosa di simile accade con gli ortodossi, dove il patriarca di
Costantinopoli è un 'primus inter pares' e non ha una potestà di giurisdizione,
termine che in quelle Chiese non è affatto gradito. Anche lì è difficile
individuare un interlocutore per tutta l'ortodossia".
Cosa è cambiato nel dialogo con le Chiese riformate dopo la visita del S.
Padre a Lund?
"E' stato un passo che ha determinato un cambiamento molto positivo.
In realtà non è che si sia firmato un accordo dottrinale, è un atto molto
pragmatico per lavorare insieme su temi comuni contro la povertà, la fame, ecc.
Però si è visto che possiamo e dobbiamo lavorare insieme su questi ambiti. Poi
c'è stata la comune consapevolezza che la secolarizzazione investe tanto la
Chiesa cattolica come quelle luterane e riformate (ma vale anche per gli
ortodossi). Perciò se noi cristiani non ci diamo una bella regolata, la
secolarizzazione ci mangerà vivi... Poi è stato percepito nel Papa un
atteggiamento molto aperto. Teniamo presente che già quando era arcivescovo di
Buenos Aires aveva un rapporto con le comunità pentecostali molto diretto.
Quindi il S. Padre viene visto come una persona molto aperta che non inciampa
su inutili bizantinismi teologici ma va al sodo delle questioni. In fondo la
strada ecumenica si può sintetizzare nel tornare all'essenziale".
E con gli ortodossi?
"Direi che anche con loro c'è stato un grande feeling, fin
dall'inizio, da quando il nuovo Pontefice si è affacciato dal balcone di S.
Pietro, dalle sue prime parole quando si è presentato come vescovo di Roma, un
titolo molto amato nell'ambito del dialogo con gli ortodossi"
Il Papa ricorda spesso la frase di Atenagora a Paolo VI "lasciamo i
teologi su un'isola e facciamo l'unità", così come spesso richiama
l'ecumenismo del sangue. Ma non c'è il rischio di privilegiare gli aspetti
sociali "annacquando" la dottrina?
"Da teologo difendo un po' la mia categoria... Per me il dialogo
teologico è molto importante. Lo si voglia o no, la comunione piena fra
cristiani deve fondarsi su una comunione piena nella fede. Altrimenti è una
menzogna. Però è vero che i teologi hanno i loro difetti: a volte ci
incastriamo in cose per le quali in realtà non vale la pena spendere tante
energie. Il Papa va più sulla linea dell'ecumenismo dei martiri, della carità.
Ma penso che non lo faccia in alternativa esclusiva. Anzi, in realtà
l'ecumenismo dell'azione congiunta se è autentico porta necessariamente
all'ecumenismo della teologia, altrimenti resta in un contesto sociologico.
Possiamo lavorare insieme ma se ci limitiamo a questo, significa pensare la Chiesa
come una specie di Ong".
Il card. Koch in occasione dell'apertura della Settimana per l'unità dei
cristiani a Ginevra ha detto, riferendosi all'Eucarestia, "da lungo tempo
desideriamo celebrare insieme" e "verso la quale dobbiamo compiere
passi in avanti". Quali possono essere tali passi?
"Celebrare insieme l'Eucarestia è il traguardo finale. Vorrebbe dire
essere arrivati alla piena comunione. Per questo non sono molto amico di quelli
che hanno fretta di concelebrare insieme l'Eucarestia perché in fondo è voglia
di manifestare una cosa che ancora non è realtà e dunque è un inganno. La
questione è molto articolata. Bisogna distinguere tra ortodossi e protestanti.
Nel primo caso ci sono già accordi, la 'communicatio in sacris': in determinate
condizioni i cattolici possono ricevere la Comunione dagli ortodossi e
viceversa. Con i protestanti invece questo non è ancora possibile perché la
Chiesa cattolica non ritiene che la Cena del Signore celebrata da riformati,
anglicani e luterani sia un'Eucarestia valida secondo la teologia cattolica. E
questo ci porta a parlare del ministero".
Prego.
"E' la madre di tutte le battaglie... Finora abbiamo parlato dei
fedeli ma la questione è anche concelebrare l'Eucarestia con ministri di varie
Chiese. Il primo aspetto è il riconoscimento nell'altro della
validità del suo ministero. Al momento un luterano non diventa ministro
attraverso un'ordinazione sacramentale che sia valida secondo la teologia
cattolica. Quindi quando celebra la Cena del Signore dal punto di vista cattolico
non rende presente sacramentalmente Cristo nelle specie eucaristiche. Questo è
un grandissimo ostacolo. Di questo si sta discutendo, ci sono problematiche
storiche, è diverso quello che pensano i luterani di oggi da quelli del tempo
della Riforma. Nel documento firmato in Finlandia che ho citato prima, ad
esempio, ci sono dichiarazioni condivisibili. Altra questione è che ci sia un
vescovo che dal punto di vista teologico ed ecclesiologico sia vescovo in senso
pieno e che ordini in modo sacramentalmente valido un ministro di una delle
confessioni non cattoliche. L'altro requisito per la concelebrazione è che
comunque, anche con ministri validi, come nel caso degli ortodossi, ci sia una
comunione gerarchica. E' una condicio sine qua non, altrimenti stiamo
ingannando. Condivido quindi l'aspirazione del cardinale Koch di arrivare a
quel traguardo ma dobbiamo superare prima tutti questi altri ostacoli".
Il panorama delle Chiese protestanti è molto ampio. Ce ne sono alcune che
sembrano piuttosto delle sette. Come si pone la Chiesa cattolica nei loro
confronti? Quali sono i pericoli?
"Ovviamente loro non si definiscono così, perché il termine è
considerato dispregiativo. Ma è anche molto difficile definire cosa sia una
setta, sul piano giuridico, teologico e pastorale. La Chiesa cattolica ha un
rapporto diverso con quelle che comunemente vengono chiamate sette rispetto
alle Chiese della Riforma, dai cui rami principali sono poi scaturite varie
confessioni, come avventisti, metodisti, battisti e così via. Con queste la
relazione è pacifica, ci sono dialoghi ufficiali, bilaterali e multilaterali.
Con le sette manca invece la volontà di dialogo, nella stragrande maggioranza
dei casi. Poi il problema dell'interlocutore valido qui è ancora più acuto
proprio perché l'elemento istituzionale è molto più debole. Va sottolineato
peraltro che il rapporto con il mondo pentecostale è cambiato in senso
favorevole. Va preso atto che sono cresciuti molto di numero e fanno un gran
lavoro di evangelizzazione, molto serio e la Chiesa cattolica non può
ignorarlo. Molte volte invece le sette non solo sono prive della volontà di un
dialogo ma sono molto aggressive. Cosa può fare la Chiesa? E' una domanda da un
milione di euro... Non vorrei che la mia risposta fosse interpretata come una
sorta di scappatoia spirituale ma ciò che sempre vince è la carità. A volte ci
mette un po' di tempo ma alla lunga vince... Vivere la carità, anche
eroicamente, la gente non è tonta, lo capisce. Prendiamo l'esempio di quel che
fanno le missionarie di Madre Teresa in India, dove si muovono in un
contesto multireligioso: sono molto apprezzate proprio perché vivono la
carità. Le persone lo comprendono e questo modo di fare le interpella su dove
sia il vero Dio".
Alcune frange di cattolici temono una sorta di "deriva
protestante" della Chiesa. Lei vede davvero questo pericolo?
"Vedo quella possibilità ma non necessariamente come un pericolo.
Intendo dire che la Chiesa cattolica non può smettere di essere cattolica; ciò
non toglie che alcuni elementi cattolici possono risplendere con più luce fuori
della Chiesa cattolica, anche in ambito protestante".
Può spiegarsi meglio?
"Faccio qualche esempio. Primo: la predicazione. Noi pastori cattolici
dobbiamo imparare molto dai riformati per predicare meglio. Ci sono ragioni
storiche: nei secoli XVIII e XIX si predicava poco o nulla, bastavano i
sacramenti. Per la Chiesa riformata la parola ha un ruolo fondamentale. Il Papa
nella Evangelii Gaudium dedica molto spazio alle omelie, al modo di prepararle
e così via. Secondo: la Bibbia. Conoscenza e diffusione, anche dell'Antico
Testamento. E' l'inizio di tutto quindi noi dobbiamo essere cristiani che
attingono da quella fonte che è la Parola di Dio tramandata e la dobbiamo
padroneggiare in modo più profondo. Terzo: la sinodalità. Dal Concilio abbiamo
imparato un po' la collegialità però non basta. Un mio amico ortodosso quando
vuole prendermi in giro mi dice 'voi cattolici parlate tanto di collegialità ma
la esercitate una volta ogni 100 anni: 20 concili ecumenici in venti secoli di
storia'. La sinodalità, amata in ambito ortodosso e riformato ma anche dal
S. Padre, è poco esercitata nella Chiesa cattolica. Dovrebbe essere più
compresa. Non mi riferisco solo al Sinodo dei vescovi o a quelli diocesani ma
alla categoria ecclesiologica: in ciò che riguarda tutti, tutti devono
avere voce in capitolo. C'entrano anche la corresponsabilità di tutti i
fedeli, il 'sensus fidei' come patrimonio universale e il sacerdozio
comune dei fedeli. E' un conto in sospeso nella Chiesa cattolica mentre la
sinodalità è più attiva nelle altre confessioni cristiane".
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