Un solo caso di accesso alla comunione
Il cardinale Muller prospetta un solo caso di eventuale accesso
alla comunione da parte di un cattolico
passato a una nuova unione e con il primo coniuge ancora in vita
E’ il caso in cui il primo
matrimonio, pur celebrato in chiesa, sia da considerare invalido per l’assenza
di fede o di altri requisiti essenziali nel momento della celebrazione, ma tale
invalidità “non può essere provata canonicamente” ipotizzando una decisione
presa “in foro interno” attraverso
un
discernimento col confessore, attenta a non generare pubblico scandalo. Stando
a quanto scrive nella prefazione al libro di Rocco Buttiglione, è dunque questa
la soglia – che lui ritiene del tutto tradizionale – su cui il cardinale Muller
si attesta al di là decisamente del libro di Buttiglione e di quanto aveva
prospettato e discusso Joseph Ratzinger, Benedetto XVI.
Durante la visita del 5 dicembre
2011 di Benedetto XVI in Germania, molti si aspettavano dal papa delle
“aperture” ai cattolici in situazioni irregolari: non l’attenuazione, se non la
revoca, del divieto dell’accesso ai sacramenti.
Tale attesa fu espressa dallo
stesso presidente della repubblica federale tedesca, Christian Wulff, cattolico
divorziato e in situazione irregolare, nel benvenuto ufficiale dato al papa al
suo arrivo a Berlino.
Nei quattro giorni del viaggio in
Germania, però, e neppure dopo, papa Joseph Ratzinger non ha detto nulla
sull’argomento.
Ma che la questione gli sia stata
molto a cuore, lo si sa. Ne ha parlato più volte in passato, e ha detto che “il
problema è molto difficile e deve essere ancora approfondito”.
Il 30 novembre 2011 Benedetto XVI
è tornato sull’argomento in forma indiretta: con il rilancio su l’”Osservatore
Romano” di un suo saggio “poco conosciuto” del 1998, arricchito da una nota che
riporta le parole da lui dette sull’argomento al clero della diocesi di Aosta,
il 25 luglio 2005.
Una nota importante,
quest’ultima. Perché riguarda proprio un punto sul quale Benedetto XVI ritiene
che il problema vada approfondito.
Nella prima parte del suo saggio il
papa ribadisce che questo divieto non è un’invenzione della Chiesa cattolica.
La Chiesa non può che attenersi all’insegnamento di Cristo, che
sull’indissolubilità del matrimonio si è espresso con assoluta chiarezza.
Ma di quale matrimonio? San Paolo
– ricorda il papa – riconosce l’indissolubilità assoluta al solo matrimonio
sacramentale, tra cristiani. Per il matrimonio tra un cristiano e un non
cristiano l’apostolo ammette la possibilità della separazione, se il fine è di
salvaguardare la fede del coniuge battezzato. E così fa anche oggi la Chiesa
con il così detto “privilegium paulinum”, quando ammette lo scioglimento di un
matrimonio non sacramentale.
Nella seconda parte del saggio,
papa Ratzinger affronta l’obiezione di chi sostiene che la Chiesa cattolica
dovrebbe imitare la prassi più flessibile della Chiesa antica e delle Chiese
orientali separate da Roma.
Nei primi secoli, il papa ricorda
che alcuni Padri “cercarono soluzioni ‘ pastorali’ per casi limite”, e fa il
nome di san Leone Magno. Ma nell’insieme, dice, “i fedeli divorziati risposati
non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione”, nemmeno dopo un
tempo di penitenza.
Nei secoli successivi, però, il
papa riferisce che si ebbero due sviluppi contrapposti:
“Nella Chiesa imperiale dopo
Costantino si cercò, a seguito dell’intreccio sempre più forte di Stato e
Chiesa, una maggiore flessibilità e disponibilità al compromesso in situazioni
matrimoniali difficili. Fino alla riforma gregoriana (del secolo XI) una simile
tendenza si manifestò anche nell’ambito gallico e germanico. Nelle Chiese
orientali separate da Roma questo sviluppo continuò ulteriormente nel secondo
millennio e condusse a una prassi sempre più liberale”.
In Occidente, invece, “fu
recuperata grazie alla riforma gregoriana la concezione originale dei Padri.
Questo sviluppo trovò in qualche modo una sanazione nel Concilio di Trento e fu
riproposto come dottrina della Chiesa nel concilio Vaticano II”.
Nella terza parte del suo saggio,
papa Benedetto replica a chi esige dalla Chiesa cattolica di rispettare la
scelta dei divorziati e risposati quando “in coscienza” ritengono giusto fare
la comunione, in contrasto con la norma giuridica che la vieta.
Benedetto XVI parte da una
considerazione che sembra chiudere qualsiasi varco.
“Se il matrimoni precedente di
fedeli divorziati risposati era valido, la loro nuova unione in nessuna
circostanza può essere considerata come conforme al diritto, e pertanto per
motivi intrinseci non è possibile una recezione dei sacramenti. La coscienza del
singolo è vincolata senza eccezioni a questa norma”. Una norma,
l’indissolubilità del matrimonio, che è di “diritto divino” e “sulla quale la
Chiesa non ha nessun potere discrezionale”.
Ma subito dopo aggiunge:
“La Chiesa ha invece il potere di
chiarire a quali condizioni devono essere adempiute perché il matrimonio possa
essere considerato come indissolubile secondo l’insegnamento di Gesù”.
E non sempre – scrive – i
tribunali ecclesiastici che dovrebbero accertare se un matrimonio è valido o no
funzionano bene. Talora i processi “durano in modo eccessivamente lungo”. In
alcuni casi “terminano con sentenze problematiche”. In altri ancora
“intervengono errori”.
In questi casi, quindi –
riconosce il papa -, “non sembra in linea di principio esclusa l’applicazione
della ‘epikeia’ in foro interno”, una decisione di coscienza.
“Molti teologi sono dell’opinione
che i fedeli debbano assolutamente attenersi anche in ‘foro interno ’ ai
giudizi del tribunale a loro parere falsi. Altri ritengono che qui ‘in foro interno
’ sono pensabili eccezioni, perché nell’orientamento processuale non si tratta
di norme di diritto divino, ma di norme di diritto ecclesiastico. Dovrebbero
infatti essere chiarite in modo molto preciso le condizioni per il verificarsi
di una ‘eccezione’, allo scopo di evitare arbitri e di proteggere il carattere pubblico – sottratto al giudizio soggettivo di coscienza – del
matrimonio”. Occorre vigilare per non cadere nel rischio di teorizzare una
coscienza creativa di ciò che è bene e ciò che è male nel singolo caso, pur
ritenendo fideisticamente sotto l’azione illuminante dello Spirito Santo.
Nella quarta parte del saggio
Benedetto XVI indica precisamente un nuovo campo da esplorare, riguardo ai
motivi che rendono nullo un matrimonio.
Il papa esclude tassativamente
che un matrimonio possa cessare di valere semplicemente “quando il legame
personale dell’amore fra due sposi non esiste più”.
Ma prosegue:
“Ulteriori studi approfonditi
esige invece la questione se cristiani non credenti – battezzati, che non hanno
mai creduto o non credono più in Dio – veramente possano contrarre un
matrimonio sacramentale. In altre parole: si dovrebbe chiarire se veramente
ogni matrimonio tra due battezzati è ‘ipso facto’ un matrimonio sacramentale.
Di fatto anche il Codice indica che solo il contratto matrimoniale ‘valido’ fra
battezzati è allo stesso tempo sacramento (can. 1055,§ 2). All’essenza del
sacramento appartiene la fede. Resta da chiarire la questione giuridica circa
quale evidenza di ‘non fede’ abbia come conseguenza che un sacramento non si
realizzi”.
In una nota aggiunta in coda al
saggio c’è la frase ai preti di Aosta nella quale il papa ha ripreso e
sviluppato tale ragionamento.
“Particolarmente dolorosa è la
situazione di quanti si erano sposati in Chiesa, ma non erano veramente
credenti e lo hanno fatto per tradizione, e poi trovandosi in un nuovo
matrimonio non valido si convertono, trovano la fede e si sentono esclusi dal
sacramento dell’eucaristia. Questa è realmente una sofferenza grande e quando
sono stato prefetto della Congregazione per la dottrina della fede ho invitato
diverse conferenze episcopali e specialisti a studiare questo problema: un
sacramento celebrato senza la fede. Se realmente si possa trovare qui un
momento di invalidità perché al sacramento manca una dimensione fondamentale
non oso dire. Io personalmente lo pensavo, ma dalle discussioni che abbiamo
avuto ho capito che il problema è molto difficile e deve essere ancora
approfondito”.
Nella quinta e ultima parte del
saggio, infine, papa Benedetto mette di nuovo in guardia, in questo clima
culturale post-metafisico o a-metafisico relativista, dall’”annacquare” in nome
della misericordia quella verità rivelata che è l’indissolubilità del
matrimonio non un ideale ma un reale dono sacramentale.
E conclude:
“Certamente la parola della
verità può far male ed essere scomoda. Ma è la via verso la guarigione, verso
la pace, verso la libertà interiore cioè verso l’amore. Una pastorale, che
voglia veramente aiutare le persone in situazioni irregolare, deve sempre
fondarsi sulla verità. Solo ciò che è vero può in definitiva essere anche pastorale. ‘Allora conoscerete
la verità e la verità vi farà liberi’ (Giovanni 8,32)” cioè capaci di essere
amati e di amare.
Fin qui il pensiero di Benedetto
XVI sulla comunione ai cattolici divorziati e in stato irregolare, che egli ha
voluto ribadire con la pubblicazione di questo suo saggio del 1998.
Le “aperture” nel 2011 indicate
dal papa nel saggio e nella nota aggiunta sono almeno due:
la prima è il possibile
ampliamento dei riconoscimenti canonici di nullità dei matrimoni celebrai
“senza fede” da almeno uno dei coniugi, pur battezzato.
La seconda è il possibile ricorso
a una decisione “in foro interno” di accedere alla comunione, da parte di un
cattolico divorziato e risposato, qualora il mancato riconoscimento di nullità
del suo precedente matrimonio (per effetto di una sentenza ritenuta erronea o
per l’impossibilità di provarne la nullità in via processuale) contrasti con la
sua ferma convinzione di coscienza che quel matrimonio era oggettivamente
nullo.
Nel qual caso Muller scrive:
“E’ possibile che la tensione che
qui si verifica fra lo status pubblico – oggettivo del ‘secondo’ matrimonio e
la colpa soggettiva possa aprire, nelle condizioni descritte, la via al sacramento
della penitenza e alla santa comunione, passando attraverso un discernimento
pastorale in foro interno” col confessore.
Dove potrei trovarla?
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