Il Card. Sarah alla settimana liturgica
Verso un nuovo rito comune per una riconciliazione liturgica
Da l’espresso Settimo Cielo di Sandro Magister 29 agosto
2017
"La liturgia della Chiesa è stata per me
l'attività centrale della mia vita, è divenuta il centro del mio lavoro
teologico", afferma Benedetto XVI. Le sue omelie rimarranno documenti
insuperabili per generazioni. Ma bisogna anche sottolineare la grande importanza
del motu proprio "Summorum
pontificum". Lungi dal riguardare
solamente la questione giuridica dello statuto dell'antico messale romano, il
motu proprio pone la questione dell'essenza stessa della liturgia e del suo
posto nella Chiesa.
Ciò che è in causa è il posto di Dio, il
primato di Dio. Come sottolinea il "papa della liturgia": "Il
vero rinnovamento della liturgia è la condizione fondamentale per il
rinnovamento della Chiesa": Il motu proprio è un documento magisteriale
capitale sul senso profondo della liturgia e di conseguenza di tutta la vita
della Chiesa. Dieci anni dopo la sua pubblicazione, occorre fare un bilancio:
abbiamo messo in opera questi insegnamenti? L'abbiamo compreso in profondità?
Sono intimamente persuaso che non si è ancora
finito di scoprire tutte le implicazioni pratiche di questo insegnamento.. Ne
voglio tirare qui alcune conseguenze.
VERSO UN NUOVO RITO COMUNE
Poiché c'è continuità profonda e unità tra le
due forme del rito romano, allora necessariamente le due forme devono
illuminarsi e arricchirsi reciprocamente. È prioritario che, con l'aiuto dello
Spirito Santo, esaminiamo, nella preghiera e nello studio, come ritornare a un
rito comune riformato, sempre con la finalità di una riconciliazione
all'interno della Chiesa.
Sarebbe bello che coloro che utilizzano il
messale antico osservino i criteri essenziali della costituzione sulla sacra
liturgia del Concilio. È indispensabile che queste celebrazioni integrino una
giusta concezione della "participatio actuosa" dei fedeli presenti
(SC 30). La proclamazione delle letture deve poter essere capita dal popolo (SC
36). Così pure, i fedeli devono poter rispondere al celebrante e non
contentarsi di essere degli spettatori estranei e muti (SC 48). Infine, il
Concilio fa appello a una nobile semplicità del cerimoniale, senza ripetizioni
inutili (SC 50).
Toccherà alla commissione pontificia
"Ecclesia Dei" procedere in questa maniera con prudenza e in forma
organica. Si può auspicare, là dove è possibile, se delle comunità ne fanno la
domanda, una armonizzazione dei calendari liturgici. Si devono studiare le vie
verso una convergenza dei lezionari.
IL PRIMATO DI DIO
Le due forme liturgiche fanno parte della
medesima "lex orandi". Che cos'è questa legge fondamentale della
liturgia? Permettetemi di citare ancora papa Benedetto: "La cattiva
interpretazione della riforma liturgica che è stata a lungo propagata nel seno
della Chiesa cattolica ha portato sempre di più a mettere al primo posto
l'aspetto dell'istruzione, e quello della nostra attività e creatività. Il
'fare' dell'uomo ha quasi provocato l'oblio della presenza d Dio. L'esistenza
della Chiesa prende vita dalla celebrazione corretta della liturgia. La Chiesa
è in pericolo quando il primato di Dio non appare più nella liturgia e, di conseguenza,
nella vita. La causa più profonda della della crisi che ha sconvolto la Chiesa
si trova nell'oscuramento della priorità di Dio nella liturgia".
Ecco dunque ciò che la forma ordinaria deve
tornare ad apprendere per prima cosa: il primato di Dio.
Consentitemi di esprimere umilmente il mio
timore: la liturgia della forma ordinaria potrebbe farci correre il rischio di
allontanarci da Dio a motivo della presenza massiccia e centrale del prete.
Egli è costantemente davanti al suo microfono e ha senza interruzione lo
sguardo e l'attenzione rivolti verso il popolo. È come uno schermo opaco tra
Dio e l'uomo. Quando celebriamo la messa, allora, mettiamo sempre sull'altare
una grande croce, una croce bene in vista, come punto di riferimento per tutti,
per il prete come per i fedeli. Così abbiamo il nostro Oriente, perché in
definitiva l'Oriente cristiano è il Crocifisso, dice Benedetto XVI.
"AD ORIENTEM"
Sono persuaso che la liturgia può arricchirsi
delle attitudini sacre che caratterizzano la forma extraordinaria, tutti quei
gesti che manifestano la nostra adorazione della santa eucaristia: tenere le
mani giunte dopo la consacrazione, fare la genuflessione prima dell'elevazione
o dopo il "Per ipsum", comunicarsi in ginocchio, ricevere la
comunione sulle labbra lasciandosi nutrire come un bambino, come Dio stesso ci
dice: "Sono io il Signore tuo Dio. Apri la tua bocca, la voglio
riempire" (Salmo 81, 11).
"Quando lo sguardo su Dio non è
determinante, tutto il resto perde il suo orientamento", ci dice Benedetto
XVI. È vero anche l'opposto: quando si perde l'orientamento del cuore e del
corpo verso Dio, si cessa di determinarsi in rapporto con lui, letteralmente,
si perde il senso della liturgia. Orientarsi verso Dio è prima di tutto un
fatto interiore, una conversione della nostra anima verso il Dio unico. La
liturgia deve operare in noi questa conversione verso il Signore che è la Via,
la Verità, la Vita. Per questo essa utilizza dei segni, dei mezzi semplici. La
celebrazione "ad orientem" è uno di questi. È un tesoro del popolo
cristiano che ci permette di tener vivo lo spirito della liturgia. La
celebrazione orientata non deve diventare l'espressione di un'attitudine
partigiana e polemica. Deve al contrario restare l'espressione del movimento
più intimo e più essenziale di ogni liturgia: rivolgerci verso il Signore che
viene.
IL SILENZIO LITURGICO
Ho avuto occasione di sottolineare
l'importanza del silenzio liturgico. Nel suo libro "Lo spirito della
liturgia", il cardinale Ratzinger scriveva: "Chiunque fa l'esperienza
di una comunità unita nella preghiera silenziosa del Canone sa che ciò
rappresenta un silenzio autentico. Qui il silenzio è al tempo stesso un grido
possente, penetrante, lanciato verso Dio, e una comunione di preghiera riempita
dallo Spirito". A suo tempo, egli aveva affermato con forza che la
recitazione a voce alta dell'intera preghiera eucaristica non era l'unico mezzo
per ottenere la partecipazione di tutti. Dobbiamo lavorare a una soluzione
equilibrata e aprire degli spazi di silenzio in questo campo.
LA VERA "RIFORMA DELLA
RIFORMA"
Faccio appello con tutto il mio cuore perché
si metta in opera la riconciliazione liturgica insegnata da papa Benedetto,
nello spirito pastorale di papa Francesco! Mai la liturgia deve diventare lo
stendardo di un partito. Per alcuni, l'espressione "riforma della
riforma" è diventata sinonimo di dominio di un partito sull'altro, questa
espressione rischia allora di diventare inopportuna. Preferisco dunque parlare
di riconciliazione liturgica. Nella Chiesa, il cristiano non ha avversari!
Come scriveva il cardinale Ratzinger,
"dobbiamo ritrovare il senso del sacro, il coraggio di distinguere ciò che
è cristiano da ciò che non lo è; non per innalzare barricate, ma per
trasformare, per essere veramente dinamici". Più che di "riforma
della riforma", si tratta di una riforma dei cuori! Si tratta di una
riconciliazione delle due forme del medesimo rito, di un arricchimento
reciproco. La liturgia deve sempre riconciliarsi con se stessa, con il suo
essere profondo!
Illuminati dall'insegnamento del motu proprio
di Benedetto XVI, confortati dall'audacia di papa Francesco, è tempo di venire
a capo di questo processo di riconciliazione della liturgia con se stessa.
Quale segno magnifico sarebbe se potessimo, in una prossima edizione del
messale romano riformato, inserire in appendice le preghiere alla base
dell'altare della forma extraordinaria, forse in una versione semplificata e
adattata, e le preghiere dell'offertorio che contengono una epiclesi così bella
che completa il Canone romano. Sarebbe finalmente manifesto che le due forme
liturgiche si illuminano reciprocamente, in continuità e senza opposizione!
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