Domenica XV anno A

Dio non ci costringe a credere in Lui, ma ci attira a Sé con la verità e la bontà del Figlio incarnato: l’amore non può accadere senza verità e libertà

Nel Vangelo dell’odierna Domenica (Mt 13, 1-23), Gesù si rivolge alla folla con la celebre parabola del seminatore. E’ una pagina in qualche modo “autobiografica”, perché riflette l’esperienza stessa di Gesù, della sua predicazione: Egli si identifica con il seminatore, che sparge il buon seme della
Parola di Dio, e si accorge dei diversi effetti che ottiene, a seconda del tipo di accoglienza riservata all’annuncio. C’è chi ascolta superficialmente la Parola cioè Uno dei Tre, il Verbo del Padre nello Spirito santo, ma non l’accoglie anteponendola a tutti e a tutto; c’è chi l’accoglie sul momento ma non ha costanza e perde tutto; c’è chi viene sopraffatto dalle preoccupazioni e seduzioni del mondo; e c’è chi ascolta in modo recettivo come terreno buono: qui la Parola porta frutto in abbondanza perché realizza ciò che annuncia: fa cogliere la verità e quindi rende liberi capaci di essere amati e di amare.
Ma questo Vangelo insiste anche sul “metodo” della predicazione di Gesù, cioè appunto, sull’uso delle parabole. “Perché a loro parli in parabole?” – domandano i discepoli, cioè a coloro che si sono già decisi per Lui anteponendolo a tutti e a tutto, Egli può parlare del Regno di Dio apertamente, invece agli altri deve annunciarlo in parabole, per stimolare appunto nel loro intimo personale la decisione, la conversione del cuore; le parabole, infatti, per loro natura richiedono uno sforzo di interpretazione, interpellano l’intelligenza ma anche la volontà, la libertà cioè l’amore. Spiega San Giovanni Crisostomo: “Gesù ha pronunciato queste parole con l’intento di attirare a sé i suoi ascoltatori e di sollecitarli assicurando che, se si rivolgeranno a Lui, Egli li guarirà (Comm. Al Vang. Di Matt., 45,1-2). In fondo, la vera “Parabola” di Dio è Gesù stesso, la sua Persona divina che, nel segno della sua umanità, nasconde e al tempo stesso rivela la divinità. In questo modo Dio cioè il Padre non ci costringe a credere in Lui, ma ci attira a Sé con la verità e la bontà del suo Figlio consustanziale a Lui, che ha assunto un volto umano nel grembo verginale di Maria per opera dello Spirito Santo: l’amore, infatti, avviene sempre attraverso la libertà.
Abbiamo celebrato l’11 luglio la festa di San Benedetto, Abate e Patrono d’Europa. Alla luce di questo Vangelo, guardando a lui come maestro dell’ascolto della Parola di Dio, un ascolto profondo e perseverante non anteponendo nessuno e niente in un momento storico difficilissimo per la caduta dell’impero romano, per l’invasione dei barbari, per la mancanza di lavoro e la denatalità. Possiamo sempre imparare dal grande Patriarca del monachesimo occidentale cui l’Europa deve molto a dare a Dio il posto che gli spetta, il primo posto, offrendo a Lui, con l’appuntamento almeno festivo della Messa anche in ferie e con la preghiera del mattino e della sera, con la carità, tutte le attività quotidiane. La Vergine Maria ci aiuti ad essere nell’attuale clima culturale secolarizzato di silenzio su Dio e con Dio, “terra buona” dove il seme della Parola possa portare molto frutto a livello personale, familiare, sociale e pubblico.

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