Rilanciare il movimento liturgico
Rilanciare il “movimento liturgico” voluto dal Concilio Vaticano II, e
al quale ci invita con vigore papa Francesco
Testo integrale della relazione del card. Sarah dalla
rivista Studi cattolici (n. 674, aprile 2017, pp. 244-249)
Restaurare la liturgia
Quello che, dall’inizio del XX secolo,
viene chiamato «movimento liturgico» è scaturito dalla volontà del papa san Pio
X, espressa nel Motu proprio «Tra le sollecitudini» (1903), di restaurare la
liturgia per renderne più accessibili i tesori, facendola quindi tornare a
essere fonte di vita
autenticamente cristiana. Da qui la definizione della
liturgia come «culmine e fonte della vita e della missione della Chiesa»
espressa nella Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium del
Vaticano II (cfr n. 10).
Non ripeteremo mai abbastanza che la
Liturgia come fonte e culmine della Chiesa trova il suo fondamento in Cristo
stesso. Infatti, nostro Signore Gesù Cristo è Sommo ed Eterno Sacerdote della
Nuova ed eterna Alleanza, dal momento che si è offerto in sacrificio, e «con
un’unica offerta ha reso perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10,
14). Come dice il Catechismo della Chiesa Cattolica, «questo
mistero di Cristo la Chiesa annuncia e celebra nella sua liturgia, affinché i
fedeli ne vivano e ne rendano testimonianza nel mondo» (n. 1068). È nel
contesto del «movimento liturgico», del quale uno dei più bei frutti è la
Costituzione Sacrosanctum Concilium, che conviene considerare il
Motu Proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, del quale
siamo lieti di celebrare quest’anno, con grande gioia e riconoscenza, il decimo
anniversario della sua promulgazione. Possiamo dunque affermare che il
«movimento liturgico», avviato da san Pio X non si è mai interrotto, e continua
ancora oggi per l’impulso conferitogli da papa Benedetto XVI. A questo
proposito, possiamo ricordare la particolare cura e l’attenzione personale, di
cui egli dava prova nel celebrare la sacra Liturgia da Papa, nonché i frequenti
riferimenti nei suoi discorsi alla centralità della liturgia nella vita della
Chiesa e, infine, i suoi due documenti magisteriali: Sacramentum
Caritatis eSummorum Pontificum. In altre parole, il cosiddetto
«aggiornamento liturgico» è in qualche modo completato dal Motu Proprio Summorum
Pontificum di Benedetto XVI. Di che cosa si tratta? Il Papa emerito ha
stabilito la distinzione tra due forme dello stesso rito romano: una forma
chiamata «ordinaria» con i testi Liturgici del Messale Romano rivisto seguendo
le indicazioni del Concilio Vaticano II, e una forma «straordinaria», che
corrisponde alla liturgia in vigore prima dell’«aggiornamento» liturgico. Così
ora, nel rito romano o latino, sono in vigore due Messali: quello del Beato
papa Paolo VI, la cui terza edizione è del 2002, e quello di san Pio V, la cui
ultima edizione, promulgata da San Giovanni XXIII, è del 1962.
Per un reciproco arricchimento delle due
forme
Nella lettera ai vescovi che accompagna il
Motu Proprio, papa Benedetto XVI ha dichiarato che la sua decisione di far
coesistere entrambi i messali non aveva solo lo scopo di soddisfare il
desiderio di alcuni gruppi di fedeli, legati alle forme liturgiche prima del
Vaticano II, ma anche per permettere un arricchimento reciproco delle due forme
dello stesso rito romano, vale a dire non solo la convivenza pacifica, ma anche
l’opportunità di sviluppo, evidenziando i migliori elementi che li
caratterizzano. Ha scritto chiaramente che «le due forme dell’uso del rito
romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere
inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. Nella celebrazione della Messa
secondo il Messale di Paolo VI potrà manifestarsi, in maniera più forte di
quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico
uso». È dunque in questi termini che il Papa emerito manifestava il suo
desiderio di rilanciare il «movimento liturgico». Nelle parrocchie dove è stato
applicato il Motu Proprio, i sacerdoti testimoniano un aumento di fervore sia
tra i fedeli sia tra i sacerdoti. Si è anche notata una ripercussione e
un’evoluzione spirituale positiva nel modo di vivere le celebrazioni
eucaristiche secondo la forma ordinaria, in particolare la riscoperta di
atteggiamenti di adorazione verso il Santissimo Sacramento: stare in ginocchio,
genuflessione... e anche un più grande raccoglimento caratterizzato dal sacro
silenzio che deve segnare i momenti salienti del Santo Sacrificio della Messa,
per consentire a sacerdoti e fedeli di interiorizzare il mistero della fede che
viene celebrato. È anche vero che bisogna fortemente incoraggiare e fare opera
di formazione liturgica e spirituale. Analogamente, bisognerà pro- muovere una
pedagogia perfettamente adatta a superare un certo «rubricismo» troppo formale,
spiegando i riti del Messale tridentino a coloro che ancora non lo conoscono o
lo conoscono in modo parziale, o a volte... di parte. Per questo, è urgente e
opportuno predisporre un messale bilingue latino-volgare per una piena,
consapevole e intima partecipazione dei fedeli alle celebrazioni eucaristiche.
È anche molto importante sottolineare la continuità tra i due messali con
catechesi liturgiche appropriate... Molti sacerdoti testimoniano che si tratta
di un compito stimolante, perché sono coscienti di lavorare al rinnovamento
liturgico, portando la propria pietra al «movimento liturgico», cioè, in
realtà, al rinnovamento spirituale e mistico, e dunque missionario, voluto dal
Concilio Vaticano II, e al quale ci invita con vigore papa Francesco.
La liturgia deve sempre essere riformata
per essere più fedele alla sua essenza mistica. Ma per lo più, questa
«riforma», che ha sostituito il vero «restauro» voluto dal Concilio Vaticano
II, è stato realizzato con uno spirito superficiale e sulla base di un unico
criterio: sopprimere a tutti i costi un patrimonio visto come totalmente
negativo e obsoleto per scavare un abisso tra un prima e un dopo il Concilio.
Invece, basta prendere la Costituzione sulla Sacra Liturgia e leggerla
onestamente, senza tradirne il senso, per vedere che il vero scopo del Vaticano
II non era di avviare una riforma che potesse diventare occasione di rottura
con la Tradizione, bensì, di ritrovare e confermare la Tradizione nel
significato più profondo.
In realtà, la cosiddetta «riforma della
riforma», che dovrebbe forse essere chiamata più esattamente «reciproco
arricchimento dei riti» per usare un’espressione del Magistero di Benedetto
XVI, è una necessità prima di tutto spirituale. Essa riguarda evidentemente le
due forme del rito romano. La cura particolare da prestare alla liturgia,
l’urgenza di tenerla in grande considerazione e di lavorare alla sua bellezza,
alla sua sacralità e al mantenimento di un giusto equilibro tra fedeltà alla
Tradizione e legittima evoluzione, e dunque rigettando assolutamente e
radicalmente ogni ermeneutica di discontinuità e di rottura: questi sono il
cuore e gli elementi essenziali di qualsiasi autentica liturgia cristiana. Il
cardinal Joseph Ratzinger ha instancabilmente ripetuto che la crisi che scuote
la Chiesa, da una cinquantina d’anni, soprattutto a partire dal Concilio
Vaticano II, è legata alla crisi della liturgia, e quindi alla mancanza di
rispetto, alla desacralizzazione e all’orizzontalismo degli elementi essenziali
del culto divino. «Sono convinto», ha scritto, «che la crisi ecclesiale in cui oggi
ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia» [1].
Certamente il Vaticano II ha voluto promuovere una maggiore partecipazione
attiva del popolo di Dio e far progredire giorno per giorno la vita cristiana
dei fedeli (cfr Sacrosanctum Concilium, n. 1). Certamente belle
iniziative sono state promosse in quella direzione. Eppure non possiamo
chiudere gli occhi di fronte al disastro, alla devastazione e allo scisma che i
moderni sostenitori di una liturgia viva hanno causato, tanto da rimodellare la
liturgia della Chiesa secondo le loro idee. Hanno dimenticato che l’atto
liturgico non è solo una preghiera, ma anche e soprattutto unmistero in
cui si realizza per noi qualcosa che non possiamo comprendere completamente, e
che dobbiamo accettare e ricevere nella fede, nell’amore, nell’obbedienza e nel
silenzio adorante. Questo è il vero significato della partecipazione attiva dei
fedeli. Non si tratta soltanto di un’attività esteriore, di una ridistribuzione
di ruoli o funzioni nella liturgia, bensì di una ricettività intensamente
attiva: la ricezione è in Cristo e con Cristo, l’umile offerta di sé nella
preghiera silenziosa, e un atteggiamento pienamente contemplativo. La grave
crisi di fede, non solo tra i fedeli, ma anche e soprattutto tra molti sacerdoti
e vescovi, ci ha resi incapaci di comprendere la liturgia eucaristica come un
sacrificio, come l’identico atto, compiuto una volta per tutte da Gesù Cristo,
rendendo presente il Sacrificio della Croce in modo incruento, ovunque nella
Chiesa, nei vari tempi, luoghi, popoli e nazioni.
Spesso assistiamo alla tendenza sacrilega
di ridurre la santa Messa a un semplice pasto conviviale, alla celebrazione di
una festa profana e a un’autocelebrazione della comunità o, peggio ancora, a un
intrattenimento mostruoso contro l’angoscia di una vita che non ha più alcun
significato o contro la paura di incontrare Dio faccia a faccia, perché il suo
sguardo rivela e costringe a guardare con verità la bruttezza della nostra
interiorità. Ma la Santa Messa non è un intrattenimento. Essa è il sacrificio
vivente di Cristo, morto sulla croce per liberarci dal peccato e dalla morte
per rivelarci l’amore e la gloria di Dio Padre. Molti ignorano che il fine di
ogni celebrazione è la gloria e l’adorazione di Dio, la salvezza e la
santificazione degli uomini, dal momento che, nella liturgia, «viene resa a Dio
una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati» (Sacrosanctum
Concilium, n. 7). Questo insegnamento del Concilio è ignorato dalla
maggioranza dei fedeli, sacerdoti e vescovi compresi. Così come si ignora che i
veri adoratori di Dio non sono coloro che, secondo le loro idee e la loro
creatività, riformano la liturgia per farne qualcosa che piaccia al mondo, ma
coloro che con il Vangelo, riformano in profondità il mondo, per consentirgli
l’accesso a una liturgia che riflette la liturgia celebrata da tutta l’eternità
nella Gerusalemme celeste. Come ha spesso sottolineato Benedetto XVI, alla
radice della liturgia si trova l’adorazione, e quindi Dio. Quindi deve essere
riconosciuto che la crisi grave e profonda che, dopo il Concilio, colpisce e
continua a influenzare la liturgia e la Chiesa stessa è dovuta al fatto che il
suo centro non è più Dio e il suo culto, ma gli uomini e la
loro presunta capacità di «fare» qualcosa durante le celebrazioni eucaristiche.
Anche oggi, un numero significativo di ecclesiastici sottovalutano la grave
crisi che sta attraversando la Chiesa: relativismo nell’insegnamento
dottrinale, morale e disciplinare, gravi abusi, dissacrazione e banalizzazione
della sacra liturgia, visione meramente sociale e orizzontale della missione
della Chiesa. Molti credono e affermano a gran voce che il Vaticano II ha
suscitato una vera e propria primavera della Chiesa. Tuttavia, un numero
crescente di ecclesiastici stanno considerando questa «primavera» come un
rigetto, una rinuncia al suo retaggio plurisecolare, o addirittura come una
sfida radicale al suo passato e alla sua Tradizione. Si rimprovera all’Europa
politica di abbandonare o negare le sue radici cristiane. Ma la prima ad aver
abbandonato le sue radici e il suo passato cristiano è senza dubbio la Chiesa
cattolica post-conciliare. Alcune Conferenze episcopali addirittura si
rifiutano di tradurre fedelmente il testo originale latino del Messale romano.
Alcuni sostengono che ogni Chiesa locale può tradurre il Messale romano non
secondo la sacra eredità della Chiesa, seguendo il metodo e i princìpi
stabiliti dalla Liturgiam authenticam (la Quinta Istruzione
per la retta Applicazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio
Vaticano II, emanata dalla Congregazione per il Culto divino nel 2001), ma
secondo le fantasie, le ideologie e le espressioni culturali che, si dice,
possono essere comprese e accettate dal popolo. Ma il popolo vuole essere
iniziato al linguaggio sacro di Dio. Perfino il Vangelo e la Rivelazione sono
«reinterpretati», «contestualizzati» e adattati alla cultura occidentale
decadente. Nel 1968, il vescovo di Metz, in Francia, ha scritto nel suo
Bollettino diocesano un’enormità spaventosa, quasi la volontà e l’espressione
di una rottura completa con il passato della Chiesa. Secondo questo vescovo,
dobbiamo oggi ripensare la concezione stessa di salvezza apportata da Gesù
Cristo, poiché la Chiesa apostolica e le comunità cristiane dei primi secoli
non avevano capito nulla del Vangelo. È soltanto a partire dalla nostra epoca
che abbiamo compreso il disegno di salvezza apportato da Gesù. Ecco
l’affermazione audace e sorprendente del vescovo di Metz: «La trasformazione
del mondo (cambiamento di civiltà) insegna e richiede un cambiamento nella
concezione della salvezza portata da Gesù Cristo; questa trasformazione rivela
che il pensiero della Chiesa sul disegno di Dio era, prima di questo
cambiamento, non sufficientemente evangelica... Non c’è epoca in grado di
comprendere l’ideale evangelico della vita fraterna quanto la nostra» [2].
Con una tale visione, non sono sorprendenti la devastazione, la distruzione e
le guerre che seguirono e che persistono tuttora a livello liturgico, dottrinale
e morale, perché si pretende che nessun’epoca quanto la nostra sia in grado di
capire «l’ideale evangelico».
Molti si rifiutano di vedere l’opera di
auto-distruzione della Chiesa con la demolizione pianificata delle sue basi
dottrinali, liturgiche, morali e pastorali. Mentre le voci di chierici di alto
rango si moltiplicano, affermando ostinatamente i loro manifesti errori
dottrinali, morali e liturgici, anche se cento volte condannati, e lavorano
alla demolizione della poca fede rimasta nel popolo di Dio, mentre la barca
della Chiesa naviga nel mare tempestoso di questo mondo decadente, e le onde si
infrangono sulla barca, già quasi piena d’acqua, un numero crescente di
ecclesiastici e fedeli grida: «Tutto va ben, madama la marchesa!». Ma la realtà
è ben diversa: infatti, come diceva il cardinal Ratzinger, «i Papi e i Padri
conciliari si aspettavano una nuova unità cattolica e si è invece andati
incontro a un dissenso che – per usare le parole di Paolo VI –
sembra essersi spostato dall’autocritica all’autodistruzione. Ci si aspettava
un nuovo entusiasmo e ci si è invece finiti troppo spesso nella noia e nello
sconforto. Ci si aspettava un balzo in avanti e ci si è invece trovati di
fronte a un processo progressivo di decadenza che si è venuto sviluppando in
larga misura sotto il segno di un richiamo a un presunto “spirito del Concilio”
e in tal modo lo ha screditato» [3]. «Nessuno oggi osa onestamente e
seriamente contestare le manifestazioni di crisi e le guerre liturgiche alle
quali il Concilio Vaticano II ha portato» [4].
Oggi, si procede alla frammentazione e
demolizione del santo Missale Romanum abbandonandolo alle
diversità culturali e ai fabbricanti di testi liturgici. Sono contento e mi
congratulo per l’enorme e meraviglioso lavoro svolto, attraverso Vox clara,
dalla Conferenze episcopali di lingua inglese, dalle Conferenze Episcopali
spagnola e coreana, ecc..., che hanno tradotto fedelmente e nel pieno rispetto
delle istruzioni e dei princìpi di Liturgiam authenticam, il Missale
Romanum, e la Congregazione per il Culto divino e la Disciplina dei
sacramenti ha concesso loro la recognitio.
Una guerra liturgica
A seguito della pubblicazione del mio
libro Dio o nulla, mi sono state rivolte domande sulla «guerra
liturgica», che da decenni troppo spesso divide i cattolici. Ho risposto che si
tratta di un’aberrazione, perché la liturgia è il campo per eccellenza dove i
cattolici dovrebbero fare esperienza dell’unità nella verità, nella fede e
nell’amore, e che, pertanto, è inconcepibile celebrare la liturgia avendo nel
cuore sentimenti di lotte fratricide e di rancore. Del resto, non ha Gesù
stesso pronunciato parole molto impegnative sulla necessità di riconciliarsi
con il fratello prima di presentare il proprio dono all’altare? (cfr Mt 5,
23-24). Perché «la liturgia spinge i fedeli, nutriti dei “sacramenti pasquali”,
a vivere “in perfetta unione” [5], e prega che “esprimano nella vita
quanto hanno ricevuto mediante la fede” [6]; la rinnovazione poi
dell’alleanza di Dio con gli uomini nell’Eucaristia introduce i fedeli nella
pressante carità di Cristo e li infiamma con essa. Dalla liturgia, dunque, e
particolarmente dall’Eucaristia, deriva in noi, come da sorgente, la grazia, e
si ottiene con la massima efficacia quella santificazione degli uomini nel
Cristo e quella glorificazione di Dio, alla quale tendono, come a loro fine,
tutte le altre attività della Chiesa» (Sacrosanctum Concilium, n. 10).
Nel «faccia a faccia» con Dio che è la liturgia, il nostro cuore deve essere
puro da ogni inimicizia, il che significa che ciascuno deve essere rispettato
nella propria sensibilità. Questo significa concretamente, ribadendo che il
Vaticano II non ha mai chiesto di fare tabula rasa del passato
e quindi di abbandonare il Messale di san Pio V, il quale ha generato tanti
santi – basti citare tre sacerdoti ammirevoli come san Giovanni Maria Vianney,
il Curato d’Ars, san Padre Pio e san Josemaría Escrivá –, allo stesso tempo è
indispensabile promuovere il rinnovamento liturgico voluto dal Concilio stesso,
e quindi i libri liturgici aggiornati dopo la Costituzione Sacrosanctum
Concilium, in particolare il Messale del Beato papa Paolo VI. E aggiungerei
che ciò che più conta, sia che si celebri nella forma ordinaria o in quella
straordinaria, è offrire ai fedeli ciò a cui hanno diritto: la bellezza della
liturgia, la sua sacralità, il silenzio, il raccoglimento, la dimensione
mistica e l’adorazione. La liturgia deve metterci faccia a faccia con Dio in un
rapporto personale e di intensa intimità. Deve immergerci nell’intimità della
Santissima Trinità.
Parlando dell’usus antiquior nella
lettera d’accompagnamento a Summorum Pontificum, papa Benedetto XVI
ha scritto che «subito dopo il Concilio Vaticano II si poteva supporre che la
richiesta dell’uso del Messale del 1962 si limitasse alla generazione più
anziana che era cresciuta con esso, ma nel frattempo è emerso chiaramente che
anche giovani persone scoprono questa forma liturgica, si sentono attirate da
essa e vi trovano una forma, particolarmente appropriata per loro, di incontro
con il Mistero della Santissima Eucaristia». Si tratta di una realtà
incontestabile, un vero segno del nostro tempo. Quando i giovani sono assenti
alla sacra liturgia, dobbiamo chiederci: perché? Dobbiamo vegliare affinché le
celebrazioni secondo l’usus recentior facilitino anch’esse questo
incontro, conducano le persone sul percorso della via pulchritudinis che
conduce al Cristo vivente e operante nella sua Chiesa di oggi attraverso i suoi
sacri riti. In effetti, l’Eucaristia non è una sorta di «cena con gli amici»,
un pasto conviviale della comunità, bensì un Mistero sacro, il grande Mistero
della nostra fede, la celebrazione della redenzione compiuta da nostro Signore
Gesù Cristo, la commemorazione della morte di Gesù sulla croce per liberarci
dai nostri peccati. Conviene dunque celebrare la Santa Messa con la bellezza e
il fervore del santo Curato d’Ars, di Padre Pio o di san Josemaría; è questa la
condizione sine qua non per giungere «dall’alto», per così
dire, a una riconciliazione liturgica [7]. Quindi rifiuto con forza di
sprecare il nostro tempo a contrapporre una liturgia a un’altra, o il Messale
di san Pio V a quello del beato Paolo VI. Si tratta piuttosto di entrare nel
grande silenzio della liturgia, lasciandoci arricchire da tutte le forme
liturgiche, latine o orientali. Infatti, senza la dimensione mistica del
silenzio e senza spirito contemplativo, la liturgia diverrebbe occasione di
lacerazioni odiose, di scontri ideologici e di umiliazione pubblica dei deboli
da parte di coloro che affermano di detenere l’autorità, invece di essere il
luogo dell’unità e della nostra comunione nel Signore. Così, invece di
affrontarci e di detestarci, la liturgia deve farci pervenire tutti insieme
all’unità nella fede e alla vera conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo
perfetto, fino alla misura della pienezza di Cristo... e vivendo la verità
nell’amore, cresceremo in ogni cosa tendendo a Lui che è il capo, Cristo (Ef 4,
13-15) [8].
La liturgia «casa comune» o «piccola
patria»
Come sapete, il grande liturgista tedesco
mons. Klaus Gamber (1919-1989) designava con la parola Heimat la
casa comune o «piccola patria», quella dei cattolici radunati intorno
all’altare del Santo Sacrificio. Il senso del sacro, che permea e irriga i riti
della Chiesa, è correlativo, inseparabile dalla liturgia. Ebbene, in questi
ultimi decenni, numerosi fedeli sono stati scossi o profondamente turbati da
celebrazioni segnate da una soggettività superficiale e devastante al punto di
non riconoscere la loro Heimat, la loro casa comune, e per i più
giovani, di non averla mai conosciuta! Quanti se ne sono andati in punta di
piedi, soprattutto i più piccoli e più poveri di loro! Essi sono diventati una
sorta di «apolidi liturgici». Il «movimento liturgico», nel quale le due forme
sono associate, mira a restituire loro l’Heimat, e così
a reintrodurli nella loro casa comune, poiché ben sappiamo che
nella sua opera di teologia sacramentaria, il cardinal Joseph Ratzinger, ben
prima della pubblicazione del Summorum Pontificum, aveva messo in
evidenza che la crisi della Chiesa, e quindi la crisi e l’annacquamento della
fede, sono in gran parte causati dal modo in cui trattiamo la liturgia, secondo
il vecchio adagio: lex orandi, lex credendi. Nella prefazione che
egli aveva scritto in apertura del magistrale lavoro di mons Gamber, Die
Reform der römischen Liturgie (Riforma della liturgia romana), il
futuro Papa Benedetto XVI affermava: «Un giovane sacerdote mi ha detto di
recente che ora abbiamo bisogno di un nuovo movimento liturgico. Esprimeva così
un’espressione di preoccupazione che, al giorno d’oggi, solo menti
deliberatamente superficiali potrebbero scartare. Ciò che contava per il
sacerdote non era la conquista di nuove e audaci libertà: quale libertà non ci
si è già arrogata? Sentiva che avevamo bisogno di un nuovo inizio scaturito
dall’intimo della liturgia, come aveva voluto il movimento liturgico quando era
al culmine della sua vera natura, quando non si trattava di fabbricare dei
testi, di inventare azioni e forme, ma di riscoprire il centro vivente, di
penetrare nel tessuto propriamente detto della liturgia, affinché il compimento
di essa scaturisse dalla sua stessa sostanza. La riforma liturgica, nella sua
realizzazione concreta, si è sempre più allontanata da tale origine. Il
risultato non è stato una rianimazione, ma una devastazione. Da un lato,
abbiamo una liturgia degenerata in show, dove si cerca di rendere
interessante la religione con l’aiuto di invenzioni alla moda e con aforismi
morali seducenti, creando un successo momentaneo nel gruppo dei fabbricanti
liturgici, e un atteggiamento di ripulsa ancora più netto tra coloro che
cercano nella liturgia non lo showmaster spirituale, ma
l’incontro con il Dio vivente davanti al quale ogni “fare” diventa
insignificante, solo questo incontro essendo in grado di farci accedere alle
vere ricchezze dell’essere. Dall’altro lato, v’è la conservazione delle forme
rituali la cui grandezza commuove sempre, ma che, spinte all’estremo,
manifestano un isolamento testardo che, alla fine, non lascia che tristezza.
Certamente rimangono tra i due estremi tutti quei sacerdoti e fedeli che
celebrano la nuova liturgia con rispetto e solennità; ma sono turbati dalla
contraddizione tra i due estremi, e la mancanza di unità interna della Chiesa
fa sembrare la loro fedeltà, a torto molte volte, come una semplice varietà
personale di neo-conservatorismo. Stando così le cose, è necessario, un nuovo
impulso spirituale perché la liturgia sia di nuovo per noi un’attività
comunitaria della Chiesa, strappata all’arbitrarietà. Non si può “fabbricare”
un movimento liturgico di questo tipo – non più di quanto si possa “fabbricare”
qualche cosa di vivente – ma possiamo contribuire al suo sviluppo, sforzandoci
di assimilare di nuovo lo spirito della liturgia e difendendo pubblicamente
quello che abbiamo ricevuto».
Penso che la lunga citazione, così giusta
e limpida, dovrebbe interessarvi, all’inizio del Simposio, e anche contribuire
ad avviare il vostro pensiero sulla «fonte del futuro» (Die Quelle der
Zukunft) del Motu Proprio Summorum Pontificum. In effetti,
permettetemi di trasmettervi una convinzione che da molto tempo mi sta a cuore:
la liturgia romana, riconciliata nelle sue due forme, che a sua volta è «il
frutto di uno sviluppo», secondo le parole di un altro grande liturgista
tedesco, Joseph Jungmann (1889-1975), può lanciare il processo decisivo del
«movimento liturgico» che tanti sacerdoti e fedeli attendono da lungo tempo. Da
dove cominciare? Mi si permetta di offrire le tre tracce riassunte in queste
tre lettere: SAF, Silence - Adoration - Formation in francese
e in italiano; in tedesco, SAA: Stille-Anbetung-Ausabilung. In
primo luogo, il sacro silenzio, senza il quale non si può incontrare Dio. Nel
mio libro La force du silence, ho scritto: «Nel silenzio l’uomo conquista
la sua nobiltà e la sua grandezza solo se è in ginocchio per ascoltare e
adorare Dio» (n. 66). Poi, l’adorazione; a questo proposito, nello stesso libro
esprimo la mia esperienza spirituale: «Per quanto mi riguarda, so che i momenti
più grandi della mia giornata si trovano nelle ore incomparabili che passo in
ginocchio, al buio davanti al Santissimo Sacramento del Corpo e Sangue di
Nostro Signore Gesù Cristo. Sono come inghiottito in Dio e circondato da tutti
i lati dalla sua presenza silenziosa. Non vorrei appartenere che a Dio solo, e
immergermi nella purezza del suo Amore. E tuttavia mi rendo conto di quanto io
sia povero, così lontano dall’amare il Signore come Egli mi ha amato fino a
darsi tutto per me» (n. 54).
Infine, la formazione liturgica, a partire
da un annuncio di fede o catechesi che abbia come riferimento il Catechismo
della Chiesa Cattolica, ci protegge da possibili elucubrazioni negative più
o meno sapienti di qualche teologo assetato di «novità». Ecco quello che ho
detto a questo riguardo in quello che è ora comunemente chiamato, non senza un
certo umorismo, il «Discorso di Londra» del
5 luglio 2016, pronunciato durante la terza Conferenza internazionale
dell’Associazione Sacra Liturgia: «La formazione liturgica è prima
di tutto ed essenzialmente un’immersione nella liturgia, nel profondo mistero
di Dio, nostro Padre amoroso. Si tratta di vivere la liturgia in tutta la sua
ricchezza, per inebriarsi bevendo a una sorgente che non esaurisce mai la
nostra sete di ricchezza, ordine e bellezza, di silenzio contemplativo,
d’esultanza e di adorazione, della forza che ci permette d’incontrare
intimamente Colui che opera nei e attraverso i riti sacri della
Chiesa» [9].
È dunque in questo contesto generale e in
uno spirito di fede e di profonda comunione con l’obbedienza di Cristo sulla
croce che, umilmente, vi chiedo di applicare con grande cura Summorum
Pontificum; non in maniera negativa e retrograda, rivolta al passato, o
come qualcosa che costruisce muri e crea un ghetto, ma come un importante e
significativo contributo all’attuale e alla futura vita liturgica della Chiesa,
nonché al «movimento liturgico» del nostro tempo, al quale sempre più persone,
particolarmente i giovani, attingono tante cose vere, buone e belle.
Vorrei concludere questa introduzione con
le parole luminose di Benedetto XVI pronunciate al termine dell’omelia per la
solennità dei Santi Pietro e Paolo, nel 2008: «Quando il mondo nel suo insieme
sarà diventato liturgia di Dio, quando nella sua realtà sarà diventato
adorazione, allora avrà raggiunto la sua meta, allora sarà sano e salvo».
[1] Joseph Ratzinger, La mia
vita, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 1997, pp. 112-113.
[2] Citato da Jean Madiran, L’hérésie
du XX siècle, Nouvelles Editions Latines (NEL) 1968, p. 166.
[3] Joseph Ratzinger, Rapporto
sulla fede, a cura di Vittorio Messori, Edizioni San Paolo, Cinisello
Balsamo 1985, pp. 27-28.
[4] Joseph Ratzinger, Principes
de la Théologie catholique, Téqui 1985, p. 413.
[5] Messale romano, orazione
dopo la Comunione della Veglia Pasquale e della domenica della Risurrezione
[nel Messale di Paolo VI solo nella Veglia].
[6] Messale romano, colletta
del martedì nell’ottava di Pasqua [nel Messale di Paolo VI il giorno prima].
[7] Cfr Intervista al sito internet
cattolico Aleteia, 4 marzo 2015.
[8] Cfr Intervista a La Nef,
ottobre 2016, d.9.
[9] Card. Robert Sarah, “Verso un’autentica attuazione di Sacrosanctum
Concilium”, Terza Conferenza
internazionale dell’Associazione Sacra Liturgia, Londra. Discorso
del 5 luglio 2016. Trad. it. in Cristianità,
n. 382, ottobre-dicembre 2016, pp. 21-40.
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