L'urgenza del carisma della certezza di Papa Francesco

Chi pone domande su Familiaris laetitia non sono farisei ma pastori interessati al bene delle loro pecore
Intervista de La Verità al filosofo e giornalista francese Thibaud Collin che parlerà del ruolo della coscienza nel discernimento al Convegno del 22 aprile sul tema “A un anno dall’uscita di Amoris laetitia. Bisogno di chiarezza”
Alcuni sostengono che i critici dell’esortazione post-sinodale Amoris laetitia sono limitati, perché si concentrano solo sul capitolo VIII, quello dedicato all’ammissione dei divorziati risposati ai sacramenti. Cosa risponde?
“Non si tratta di concentrarsi unicamente sul capitolo VIII, né di ridurre Amoris laetitia alla sola questione dei divorziati
risposati. Questo testo è molto ricco sulla vita coniugale e familiare per i pastori e i fedeli. Tuttavia, non possiamo negare l’importanza di questo capitolo. Ricordiamo che lo stesso papa Francesco ha rilanciato il dibattito sull’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati sull’aereo di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù di Rio de Janeiro nell’estate 2013; che ha affidato al cardinale Walter Kasper, oppositore storico di san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI su questo tema, il compito di porre il problema e orientare la riflessione nel concistoro del febbraio 2014. Quindi è chiaro per tutti che questo capitolo dell’esortazione è fondamentale e non può essere altrimenti perché riguarda l’architettura della vita sacramentale”.
Cosa significa?
“Che ci sono tre sacramenti in ballo: il matrimonio, l’eucaristia e la confessione. E’ chiaramente un fatto imprescindibile nell’economia della vita dei fedeli e della chiesa cattolica. Di qui la gravità della confusione delle interpretazioni su questo tema, confusione dovuta al carattere indeterminato di certe formulazioni dell’esortazione”.
Ma si dice che tutto ciò è lontano dal vissuto dei fedeli divorziati risposati, che magari soffrono proprio per l’impossibilità di accedere alla comunione. Non è possibile rivedere le cose?
“No, è una questione centrale perché la vita cristiana è una vita secondo il Logos. Il pensiero e la vita umana e cristiana sono regolate dal principio di non contraddizione. Gesù è “il segno di contraddizione” che esige una scelta chiara, che “il tuo sì sia sì, che il tuo no sia no”. Ora, i divorziati risposati vivono in contradizione oggettiva con quello che si erano promessi con il loro coniuge e con ciò che significa il matrimonio, niente di meno che l’alleanza (o storia di amore) tra il Cristo e la Chiesa. Assolverli in confessionale e ammetterli così alla Comunione, senza pentimento e senza un cambiamento di vita, vuol dire che i pastori non adempiono alla loro missione di pastori. Il pastore è colui che è pieno di amore per le sue pecore. Come può l’amore  fondarsi sulla menzogna? La misericordia implica la miseria più profonda che è il peccato. Se, nei fatti, c’è negazione del peccato, in questo caso l’adulterio, la misericordia è vana e vana è la Croce di Cristo. Questa potrebbe davvero essere la tentazione più pericolosa del nostro tempo. L’uomo contemporaneo pensa di non aver bisogno di un Salvatore perché pensa di non aver peccato”.
Però i quattro cardinali che hanno posto cinque dubia al pontefice sono stati spesso accusati di essere “dottrinari”, figli di un tempo passato (che poneva la dottrina per la pastorale anziché il discernimento caso per caso).
“I cardinali che hanno domandato chiarimenti al Papa l’hanno fatto per una sollecitudine verso il popolo di Dio che ha il diritto di essere illuminato dai suoi pastori. Bisogna riconoscere che le interpretazioni di certi passaggi del capitolo VIII non sono solamente diverse, talvolta contraddittorie. Il beato Paolo VI diceva che il papa deve esercitare il “carisma della certezza”. Quando ci sono dubbi a riguardo di orientamenti pastorali, è un atto di cortesia toglierli. I quattro cardinali non sono dunque dei farisei che gettano delle pietre, ma dei pastori interessati al bene delle loro pecore. Solo chi ha una concezione legalista della legge può immaginare che la manifestazione della legge di Dio allontani dalla misericordia. Rileggiamo e meditiamo il salmo 118 e il meraviglioso commento che ne ha dato sant’Agostino! Il pelagianesimo non è là dove certuni credono di vederlo”.
Il suo contributo al convegno di Roma riguarda il ruolo della coscienza nel discernimento. In che misura la coscienza può auto determinarsi?

“La coscienza non è una facoltà, ma un atto della ragione per il quale la legge di Dio si manifesta a me e mi obbliga. L’autonomia della coscienza non significa che essa decide quello che è bene e quello che è male. Ma l’autonomia della coscienza vuol dire che essa deve essere libera da tutte le pressioni esterne, le passioni o le costrizioni fisiche. Bisogna seguire la propria coscienza fintanto che essa è manifestazione del Bene, della legge di Dio, su quella precisa azione. Può esserci il caso in cui la coscienza sia invincibilmente erronea e mi obblighi, a torto, a porre tale atto come determinato dalla legge di Dio. In questo caso non è colpevole se l’ignoranza è involontaria. Allora il pastore deve fare di tutto per chiarire il vero contenuto della legge morale. Il discernimento della volontà di Dio su di me non può dunque mai opporsi alla legge di Dio, perché Dio non può contraddirsi. La legge morale è universale, ma questo non significa astratta. Essa indica il vero bene umano da realizzare, quindi è eminentemente pratica”.

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