Concezioni non cristiane dello stato
“Il confronto fra concezioni radicalmente atee dello Stato e il sorgere
di uno Stato radicalmente religioso nei movimenti islamici conduce il nostro
tempo in una situazione esplosiva, le
cui conseguenze sperimentiamo ogni giorno” (Joseph Ratzinger - Benedetto XVI)
Si è tenuto a Varsavia, presso la sede della Conferenza
dell’Episcopato polacco, il Simposio “Il
concetto di Stato nella prospettiva dell’insegnamento del Cardinal Joseph Ratzinger-Benedetto XVI”.
L’iniziativa, così attuale per il futuro del nostro Continente e addirittura
per il mondo, promossa in occasione del
90.mo compleanno del Papa
emerito, ha avuto il patrocinio dei Vescovi polacchi,
della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, del presidente
polacco dell’Agenzia d’informazione cattolica Kai.
In un messaggio ai partecipanti, Papa Francesco esprime
“apprezzamento per l’iniziativa svolta a riconoscere la benemerita opera del
Suo amato Predecessore” e “auspica che l’incontro susciti rinnovato impegno per
un dialogo rispettoso e fecondo tra Stato e Chiesa in vista della costruzione
della civiltà dell’amore” mai rassegnati di fronte a tutte le difficoltà.
Ha inviato un messaggio anche Benedetto XVI. “Il tema –
scrive il Papa emerito – porta Autorità statali ed ecclesiali a dialogare
insieme su una questione essenziale per il futuro del nostro Continente. Il confronto fra
concezioni radicalmente atee dello Stato e il sorgere di uno Stato radicalmente
religioso nei movimenti islamistici – spiega – conduce il nostro mondo in una situazione
esplosiva, le cui conseguenze sperimentiamo ogni giorno. Questi radicalismi
esigono urgentemente che noi sviluppiamo una concezione convincente dello
Stato, che sostenga il confronto con queste sfide e possa superarle. Nel travaglio
dell’ultimo mezzo secolo, con il Vescovo- Testimone Cardinale Wyszynski e con il Santo Papa Giovanni Paolo II, che
non solo hanno riflettuto su tale questione, ma ne hanno portato su di sé la
sofferenza e l’esperienza viva, e perciò continuano ad indicare la via verso il
futuro”.
Il presidente della Fondazione Ratzinger, padre Federico
Lombardi, ha tenuto l’intervento introduttivo del Simposio sottolineando che la
profonda convinzione di Benedetto XVI è che “il vero fondamento, la garanzia
più solida di un ordinamento capace di tutelare la dignità e il valore di ogni
persona umana stia nel riconoscimento da parte della ragione umana della verità
di un ordine oggettivo, basato ultimamente sulla ragione creatrice di Dio, e
che quindi la negazione di Dio o il suo oblio, la emarginazione della religione
dalla vita pubblica e di ogni trascendenza della cultura, siano in realtà cause
di un processo molto negativo e di gravi rischi per la difesa della società e
per la difesa della dignità di ogni persona umana”. C’è il rischio di divenire
schiavi di concezioni ateistiche con la dittatura del positivismo democratico e
in reazione del fondamentalismo religioso di movimenti islamici. Per Ratzinger-
Benedetto XVI si tratta di quell’istituzione che all’interno di un certo
territorio non ammette poteri superiori ed è costituita da una comunità che si
coagula per cultura, valori e linguaggio. E’ il pericolo delle due concezioni
radicalmente atee e quelle del fondamentalismo religioso, sono le due facce
della stessa medaglia per la crisi della ragione come epicentro. Nello Stato di
orientamento ateistico e laicista, la crisi della ragione porta inevitabilmente
con sé uno svuotamento del diritto naturale come riferimento
pre-democratico, pre-politico, e così il
popolo rimane in balìa del vento di
maggioranze. Il diritto viene ridotto a una specie di convenzione, con il
rischio concretissimo di leggi che finiscono per essere radicalmente ingiuste.
Nel discorso che Benedetto tenne al Bundestag nel settembre 1911, mise a fuoco
che “dove vige il dominio esclusivo della ragione positivista – e ciò è in gran
parte il caso della nostra coscienza pubblica – le fonti classiche dell’ethos e
del diritto sono messe fuori gioco. Questa è una situazione drammatica che
interessa tutti, mette a rischio la stessa democrazia e su cui è necessaria una
discussione pubblica”. E’ la cultura che ormai predomina in Occidente e che
vorrebbe porsi come universale e autosufficiente, generando un nuovo costume di
vita. Ne deriva una nuova ondata di illuminismo e di laicismo, per la quale
sarebbe razionalmente valido soltanto ciò che è sperimentabile e calcolabile,
mentre sul paino della prassi – Benedetto XVI a Verona nel 2006 - la libertà individuale viene eretta a valore
fondamentale al quale tutti gli altri dovrebbero sottostare. Così Dio rimane
escluso dalla cultura, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché
viviamo in un mondo che si presenta quasi sempre come opera nostra, nel quale,
per cos’ dire, Dio non compare più direttamente, sembra divenire superfluo ed
estraneo. In stretto rapporto con
tutto questo, ha luogo una riduzione
dell’uomo, considerato un semplice prodotto della natura, come tale non
realmente libero e di per sé suscettibile di essere trattato come ogni altro
animale. Si ha così un autentico capovolgimento del punto di partenza della
stessa cultura illuminista, moderna, che era una rivendicazione della
centralità dell’uomo e della sua libertà. Nella medesima linea l’etica viene
ricondotta entro i confini del relativismo e dell’utilitarismo, con
l’esclusione di ogni principio morale che sia valido per se stesso. Non è
difficile vedere come questo tipo di cultura rappresenti un taglio radicale e
profondo non solo con il cristianesimo per il quale non c’è Verità senza
libertà e non c’è libertà senza Verità, ma più in generale con le tradizioni
religiose e morali dell’umanità: non sia quindi in grado di instaurare un vero
dialogo con le altre culture, nelle quali la dimensione religiosa è fortemente
presente, oltre a non poter rispondere alle domande fondamentali sul senso e
sulla direzione della nostra vita. Perciò questa cultura è contrassegnata da
una profonda carenza, ma anche da un grande e inutilmente nascosto bisogno di
speranza”.
In reazione accade uno Stato religioso fondamentalista
perché la crisi della ragione si ripercuote sul fenomeno religioso perché come
Ratzinger- Benedetto XVI disse a Ratisbona nel 2006, è “necessario e ragionevole interrogarsi su Dio per mezzo della ragione”.
Altrimenti, anche la violenza e il terrorismo diventano volontà di Dio,
mentre “non agire secondo ragione è
contrario alla natura di Dio”. Ma questa convinzione, si chiedeva
Ratzinger, “è soltanto una pensiero greco, o vale sempre e per sé
stesso?”. Così si comprende come la richiesta di uno Stato che sia
convincente contro le sue derive e contraffazioni è in realtà un richiamo al
recupero di una sana razionalità. “Nel
sottofondo”, diceva Ratzinger Benedetto a Ratisbona, “c’è l’autolimitazione moderna della ragione, espressa in modo classico
nelle ‘critiche di Kant’, nel frattempo però ulteriormente radicalizzate dal
pensiero delle scienze naturali”. E’ una ragione incapace del trascendente,
rifiutando la metafisica come sottocultura e quindi la verità della fede
cristiana. Occorre allora superare “la
limitazione auto decretata della ragione a ciò che è verificabile
nell’esperimento”, e dischiudere “ad
essa nuovamente tutta la sua ampiezza”. Solo così si riaprono le vie a Dio
di ogni concezione ateistica, e nello stesso tempo, la religione cessa di
essere un fenomeno in cui la ragionevolezza, il Logos direbbe Papa Benedetto
rifacendosi al Vangelo di Giovanni, pare esclusa. E nel discorso al IV Convegno
Ecclesiale Nazionale di Verona nel 2006 ha offerto una argomentazione del
rapporto tra Fede cattolica e ragione: “Come
ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est, all’inizio dell’essere cristiano –
e quindi all’origine della nostra testimonianza di credenti – non c’è una decisione
etica o una grande idea, ma l’incontro con la persona di Gesù Cristo, ‘che dà
alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva’ (n.1). La
fecondità di questo incontro si manifesta, in maniera peculiare e creativa,
anche nell’attuale contesto umano e culturale, anzitutto in rapporto alla
ragione che ha dato vita alle scienze moderne e alle relative tecnologie. Una
caratteristica fondamentale di queste ultime è infatti l’impiego sistematico
degli strumenti della matematica per poter operare con la natura e mettere al nostro
servizio le sue immense energie. La matematica come tale è una creazione della
nostra intelligenza: la corrispondenza tra le sue strutture e le strutture
reali dell’universo – che è il presupposto di tutti i moderni sviluppi
scientifici e tecnologici, già espressamente formulato da Galileo Galilei con
la celebra affermazione che il libro della natura è scritto in linguaggio
matematico – suscita la nostra ammirazione e pone una grande domanda. Implica
infatti che l’universo stesso sia strutturato in maniera intelligente, in modo
che esista una corrispondenza profonda tra la nostra ragione soggettiva e la
ragione oggettivata nella natura. Diventa allora inevitabile chiedersi se non
debba esservi un’unica intelligenza originaria, che sia la comune fonte
dell’una e dell’altra. Così proprio la riflessione sullo sviluppo delle scienze
ci riporta verso il Logos creatore. Viene capovolta la tendenza a dare il
primato all’irrazionale, al caso o senza ragione e alla necessità, a ricondurre
ad esso anche la nostra intelligenza e la nostra libertà. Su queste basi
diventa di nuovo possibile allargare gli spazi della nostra razionalità,
riaprirla alle grandi questioni del vero e del bene, coniugare tra loro la
teologia, la filosofia e le scienze, nel pieno rispetto dei loro metodi propri
e della loro reciproca autonomia, ma anche nella consapevolezza del
compito che sta davanti a noi, un’avventura
affascinante nella quale merita spendersi, per dare nuovo slancio alla cultura
del nostro tempo e per restituire in essa alla fede cristiana piena
cittadinanza”, in dialogo con tutte le religioni.
Proprio il patrimonio dell’Europa potrebbe venire in
soccorso, come Ratzinger Benedetto XVI indicò nel 2001 concludendo il suo
intervento al Parlamento tedesco. ”Sulla
base della convinzione circa l’esistenza di un Dio creatore sono state
sviluppate l’idea dei diritti umani, l’idea dell’uguaglianza di tutti gli
uomini davanti alla legge, la conoscenza dell’inviolabilità della dignità umana
in ogni singola persona e la consapevolezza della responsabilità degli uomini
per il loro agire. Queste conoscenze della ragione costituiscono la nostra
memoria culturale. Ignorarla o considerarla come mero passato sarebbe un’amputazione
della nostra cultura nel suo insieme e la priverebbe della sua interezza, (come
priverebbe il fondamento etico del metodo democratico). La cultura dell’Europa
è nata dall’incontro tra Gerusalemme, Atene e Roma – dall’incontro tra la fede
in Dio di Israele, la ragione filosofica dei greci e il pensiero giuridico di
Roma. Questo triplice incontro forma l’intima identità dell’Europa. Nella
consapevolezza della responsabilità dell’uomo davanti a Dio e nel
riconoscimento della dignità inviolabile dell’uomo, di ogni uomo, questo
incontro ha fissato dei criteri del diritto, difendere i quali è nostro compito
in questo momento storico”.
“La persona umana –
Benedetto XVI a Verona 2006 – non è,
d’altra parte, soltanto ragione e intelligenza. Porta dentro di sé, iscritto
nel più profondo del suo essere, il bisogno di amore, di essere amata e di
amare a sua volta. Perciò si interroga e spesso si smarrisce di fronte alla
durezza della vita, al male che esiste nel mondo e che appare tanto forte e, al
contempo, radicalmente privo di senso. In particolare nella nostra epoca,
nonostante tutti i progressi compiuti, il male non è affatto vinto; anzi, il
suo potere sembra rafforzarsi e vengono spesso smascherati tutti i tentativi di
nasconderlo, come dimostrano sia l’esperienza quotidiana sia le grandi vicende
storiche. Ritorna dunque, insistente, la domanda se nella nostra vita ci possa
essere uno spazio sicuro per l’amore autentico e, in ultima analisi, se il
mondo sia davvero l’opera della sapienza di Dio. Qui, molto di più di ogni
ragionamento umano, ci soccorre la novità storica sconvolgente della rivelazione
biblica: il Creatore del cielo e della terra, l’unico Dio che è la sorgente di
ogni essere ama personalmente l’uomo, ogni uomo, lo ama appassionatamente e vuole
essere a sua volta amato da lui liberamente poiché senza libertà, senza il
rischio del libero arbitrio non c’è amore. Dà vita perciò a una storia di
amore, ad una alleanza con Israele, il suo popolo come luce delle genti, e in
questa vicenda storica, di fronte ai tradimenti del popolo, il suo amore si
mostra ricco di inesauribile fedeltà e misericordia, è l’amore che perdona al
di là di ogni limite. In Gesù Cristo un tale atteggiamento raggiunge la sua
forma estrema, inaudita e drammatica: in Lui infatti Dio si fa uno di noi,
nostro fratello in umanità, e addirittura sacrifica la sua vita per noi. Nella
morte in croce si compie dunque “quel
volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e
salvarlo – amore, questo, nella sua forma più radicale”, nel quale si manifesta
cosa significhi che “Dio è amore” (1 Gv 4,8) e si comprende anche come debba
definirsi l’amore autentico. Proprio perché ci ama veramente, Dio rispetta e
salva la nostra libertà. Al potere del male e del peccato non oppone un
potere più grande ma…preferisce porre il limite della sua pazienza e della sua
misericordia, quel limite che è, in concreto, la sofferenza del Figlio di Dio.
Così anche la nostra sofferenza è trasformata dal di dentro, è introdotta nella
dimensione dell’amore e racchiude una promessa di salvezza…E la Chiesa, alla
sequela di Cristo verso tutti, fin dalle origini rimane quindi “segno di contraddizione”,
sulle orme del suo Maestro (Lc 2,34), anche nel nostro tempo…Dobbiamo
rispondere “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza” (Lettera di san
Pietro 3,15-16), con quella forza mite che viene dall’unione con la presenza
continua di Cristo. Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e
dell’azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica. La forte unità che si è realizzata nella
Chiesa dei primis secoli tra una fede amica dell’intelligenza e una prassi di
vita caratterizzata dall’amore reciproco e dall’attenzione premurosa ai poveri
e ai sofferenti ha reso possibile, come in altri periodi, la più grande
espansione missionaria del cristianesimo nel mondo ellenistico-romano. Così è
avvenuto anche in seguito, in diversi contesti culturali e situazioni storiche.
Questa rimane la strada maestra per l’evangelizzazione anche oggi come lievito
per la massa: Il Signore ci guidi a vivere questa unità tra verità e amore nelle
condizioni proprie del nostro tempo, per l’evangelizzazione dell’Italia e del
mondo d’oggi”, anche per la salvezza dell’Europa, magari dall’Atlantico agli
Urali.
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