Un nuovo umanesimo fondato su fede e ragione
di Giovanni Fighera 26-02-2017, in “La Nuova Bussola” quotidiano
Per la prima volta dopo duemila anni, come scrive già C. Peguy (1873-1914) nell’Ottocento, si nasce oggi in un ambiente che non è più cristiano. Si è voluto realizzare l’uomo nuovo senza Dio, si è proposto un umanesimo che ponesse l’uomo sul piedistallo al posto di Dio. Non che quest’ultimo sia stato apertamente negato, ma è stato confinato nell’ambito del privato. Il grande filosofo russo
contemporaneo N. A. Berdjaev (1874-1948) si è espresso al riguardo: «L’affermazione dell’individualità umana presuppone l’universalismo; lo dimostrano tutti i risultati della cultura e della storia moderna nella scienza, nella filosofia, nell’arte, nella morale, nello Stato, nella vita economica, nella tecnica, lo dimostrano e lo provano con l’esperienza. È provato e dimostrato che l’ateismo umanistico porta all’autonegazione dell’umanesimo, alla degenerazione dell’umanesimo in antiumanesimo, al passaggio della libertà in costrizione. Così finisce la storia moderna e incomincia una storia diversa che io per analogia ho chiamato nuovo Medioevo. In essa l’uomo deve di nuovo legarsi per raccogliersi, deve sottomettersi al supremo per non perdersi definitivamente».
Nella prima parte del percorso sulla crisi epocale cui oggi assistiamo abbiamo cercato di sorprendere le caratteristiche del mondo contemporaneo e di una cultura che sembra sempre più congiurare a nascondere o a censurare la natura più propriamente umana. Nella seconda parte abbiamo evidenziato il cammino dell’uomo nella storia e l’evoluzione della sua consapevolezza di essere creatura a immagine e somiglianza di Dio, il mutamento del rapporto di appartenenza dell’uomo al proprio popolo, alla propria tradizione. Nell’epoca moderna la crisi dell’appartenenza e l’intensificarsi dell’individualismo hanno portato da un lato ad una percezione sempre più diffusa della solitudine, dall’altro alla dimenticanza della tradizione e della cultura. Da dove può nascere la speranza? Nella terza parte l’attenzione si è spostata sull’uomo e sulla sua natura, sullo stupore e sul desiderio che desta la realtà, se guardata con occhio limpido e scevro da pregiudizi. Allora l’uomo si sorprende bambino, bisognoso di un abbraccio e di qualcuno che lo possa perdonare e salvare. Solo i malati hanno bisogno del medico, ovvero solo l’uomo che chiede di essere sanato e salvato può davvero incontrare la salvezza. L’uomo ha bisogno di porsi la domanda sul destino con la speranza che qualcuno possa dare risposta alla propria inquietudine. Non si può censurare la natura «di questo essere enigmatico che racchiude in sé la nostra esistenza per natura gioconda, ma oltre natura misera e dolorosa. È ben comprensibile che il suo mistero formi l'alfa e l'omega di tutti i nostri discorsi e di tutte le nostre domande, dia fuoco e tensione a ogni nostra parola, urgenza a ogni nostro problema». Così lo scrittore tedesco Thomas Mann (1875-1955) descrive il mistero dell’uomo. Eppure, la cultura in cui viviamo tende ad obnubilare questa tensione dell’uomo a capirsi e a trovare una risposta.
Quale umanesimo è, dunque, oggi ancora possibile? Un umanesimo che si riappropri della legge morale universale nel coraggio di guardare di nuovo alla ragione umana. La legge naturale è «partecipazione alla legge eterna», secondo san Tommaso. «L’agire umano ha come regola sua propria la ragione umana. Ma essa deriva la sua capacità regolativa dalla stessa natura – sapienza - ragione divina» (C. Caffarra).
Per questo «agire contro la ragione è contrario alla natura di Dio, di cui la legge della ragione è la partecipazione propria dell’uomo. Agire contro la ragione è agire contro Dio. Non nel senso che Dio ci dona la sua legge alla maniera di un legislatore esterno. Egli promulga a noi la sua legge semplicemente perché ci ha donato la ragione» (C. Caffarra). E ancora «nella fedeltà alla coscienza i cristiani si uniscono agli altri uomini per cercare la verità e per risolvere secondo verità tanti problemi morali, che sorgono tanto nella vita dei singoli quanto in quella sociale» (C. Caffarra). La conferenza di Ratisbona di Papa Benedetto XVI «è stata un grido profetico, un grande avvertimento […], perché l’uomo cammini senza zoppicare appoggiandosi sulla fede e la ragione. Diversamente dovremmo accontentarci di una ragione che non domanda, e di una fede che non risponde» (C. Caffarra). In effetti, Papa Benedetto XVI ha proposto «un allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa. Perché con tutta la gioia di fronte alle possibilità dell’uomo, vediamo anche le minacce che emergono da queste possibilità e dobbiamo chiederci come possiamo dominarle. Ci riusciamo solo se ragione e fede si ritrovano unite in un modo nuovo; se superiamo la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell’esperimento, e dischiudiamo ad essa nuovamente tutta la sua ampiezza».
Già san Paolo con il suo richiamo «Vagliate tutto, trattenete quello che è buono!» ci propone una ragione aperta a tutto, che dialoga con tutti, che non misura, ma si spalanca al vero e al bene. La ragione spalancata e non ridotta arriva a cogliere che l’uomo non può capire tutto il Mistero della realtà. Si protende così a percepire l’inadeguatezza della condizione umana di fronte all’infinito, a capire il limite nella conoscenza e la necessità che sia il Mistero a rivelarsi. Ragione e fede sono comunicanti e in continuo dialogo. La storia stessa della cultura e dell’evoluzione tecnico-scientifica è fondata sul metodo della fede, sulla fiducia tributata a testimoni credibili. Senza la fede ogni uomo dovrebbe ripercorrere ogni passaggio compiuto nella storia dell’umanità sia nel campo culturale che tecnologico - scientifico. Non esisterebbero, quindi, progressi e cambiamenti.
La fede nell’ambito religioso è, poi, della stessa natura di quella propria dell’ambito umano e culturale: è una fiducia conferita a testimoni del fatto cristiano in ogni tempo. L’avventura della fede cristiana è iniziata duemila anni fa e continua ancora oggi. Già quattro secoli prima di Cristo Platone aveva espresso la necessità che il Mistero si rivelasse nel celebre racconto della zattera nel Fedone. La ragione dell’uomo coglie al suo vertice che nella vita dell’uomo, per dirla con Montale, «un imprevisto è la sola speranza». L’augurio per ogni uomo è che si imbatta, camminando «fra cotanto dolore/ Quanto all’umana età propose il fato», in qualcosa di nuovo, così bello da ridestare il nostro cuore, così presente da permettere di mantenere desta la nostra esigenza umana, così amichevole da farci compagnia. La ragione si spalanca, quindi, alla categoria della possibilità e dell’imprevisto. Qui sta la differenza tra la ragione nel pieno della sua potenzialità e il razionalismo contemporaneo, che preclude, non ammette, non domanda, ma riconosce solo le risposte che riesce a formulare.
Questa differenza tra uso corretto della ragione e abuso della stessa che sfocia nel razionalismo connota tutto lo sviluppo del pensiero. Oggi, come all’epoca di Gesù, si può rimanere aperti alla possibilità del miracolo e della rivelazione o negarla aprioristicamente. Il medico ateo Alexis Carrell, di fronte ad un miracolo cui assistette a Lourdes, si convertì. Lo scrittore Emile Zolà, che ebbe la grazia di vedere la guarigione di due malati, conservò il suo atteggiamento derisorio di fronte al fatto cristiano e alle apparizioni nella cittadina francese.
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