San Giuseppe
Nell’incarnazione ci sono tre abissi in sé sono insondabili e li
conosceremo completamente solo nella vita eterna, Cristo, Maria e san Giuseppe
In
chiesaepostconcilio 23 gennaio 2017
La teologia e San Giuseppe
Il principio fondamentale da cui derivano tutti
i privilegi della Madonna è la sua Maternità divina. Il principio primo da cui
derivano i privilegi di S. Giuseppe è di lui l’inserzione nell’ordine
dell’Unione Ipostatica, ossia l’unione della natura umana alla Persona divina
in Cristo[1] in quanto sposo di Maria e padre verginale del Verbo
Incarnato.
S. Tommaso d’Aquino insegna che “una
missione eccezionale affidata da Dio ad una persona richiede in lei una santità
e una dignità proporzionata” (S. Th., III, q. 7, a. 9). Ora il compito
di Giuseppe verso il Verbo Incarnato è
stato il più alto dopo quello di Maria.
Quindi la dignità e santità di Giuseppe è la più alta dopo quella della
BVM, essa è “unica al mondo in ogni tempo” (R. Garrigou-Lagrange, La
Mère du Sauver et notre vie intérieure, Parigi, 1941, p. 346).
S. Giuseppe vero sposo di Maria
S. Giuseppe fu vero sposo di
Maria anche se verginale. Per S. Tommaso
d’Aquino (S. Th., III, q. 29, a. 2; In IV Sent., dist. 30,
q. 2, a. 2) è teologicamente certo e quindi negarlo sarebbe temerario, per Benedetto
XIV (De festis BVM, lib. II, cap. 2),
Francisco Suarez (In IIIam S. Th., q. 29, dist. 7,
sect. 1) è di fede e quindi chi lo nega è eretico, mentre per il card. Alessio
Maria Lépicier (Tractatus de Sancto Josepho, Parigi, 1908, parte I, a.
4, p. 68) è prossimo alla fede e chi lo nega è prossimo all’eresia.
Questo titolo è il principio e fondamento
della Teologia di San Giuseppe. Maria si congiunge intrinsecamente e
fisicamente al Verbo Incarnato, essendo sua vera Madre fisica. S.
Giuseppe solo estrinsecamente e moralmente (R.
Garrigou-Lagrange, La Mère du Sauver…, cit., p. 350) essendo padre
reale ma soltanto putativo e non fisico di Gesù.
Giuseppe padre reale di Gesù
Dal vero matrimonio di S.
Giuseppe con Maria SS. ne segue la sua speciale e reale paternità verso Gesù,
che è il secondo principio e fondamento della dignità di S. Giuseppe.
Giuseppe non è padre fittizio di Gesù anche se non è
suo padre carnale. Tale paternità poggia su un fondamento reale che è il
vero matrimonio tra Maria e Giuseppe. Per cui vi è una paternità reale
anche se non fisica.
Giuseppe in quanto discendente di Davide dà a Gesù il
titolo messianico
I Vangeli (Mt., I, 20; Lc.,
II, 4) fanno discendere S. Giuseppe da Davide. Ora il Messia doveva essere
discendente di Davide, sia S. Luca che S. Matteo indicano l’albero genealogico
di Gesù, riportando quello di Giuseppe in quanto discendente di Davide.
La paternità di S. Giuseppe è servita ad
aver introdotto Gesù nel mondo come discendente di Davide e quindi come legittimo
possibile Messia. Dunque è Giuseppe in quanto discendente
di Davide e sposo di Maria a dare a Gesù il titolo messianico.
“Per mezzo di Giuseppe, e di lui
solamente, Gesù era legalmente la discendenza davidica. La genealogia delle
donne, infatti non contava affatto presso gli ebrei [dell’Antico Testamento],
dal punto di vista legale” (G. Roschini, @ Vita di Maria, Roma,
Bibliotheca Fides, II ed. 1959, p. 86)[2]
Padre reale ma non fisico di Gesù
Tuttavia S. Giuseppe fu padre di
Gesù, non fisicamente, ma in una maniera eccelsa e singolare
che non si può definire positivamente ma solo negativamente (L.
Billot, De Verbo Incarnato, Roma, IV ed., 1904, p. 400 ss.), ossia
S. Giuseppe non è padre naturale, fisico di
Gesù. In breve, la paternità di Giuseppe è unica, singolare, nuova, di
ordine superiore a quella umana naturale e adottiva. Con il card.
Louis Billot (De Verbo Incarnato, Roma, 1904, p. 400 ss.) occorre
riconoscere che “nel nostro vocabolario non c’è un titolo proprio e completo
per esprimere adeguatamente la singolare paternità di Giuseppe”. Infatti
essa è diversa da ogni altra paternità naturale sia fisica che adottiva. È vera
paternità ma singolarissima, non procede da generazione naturale, ma è
una relazione tra due termini (Giuseppe e Gesù) la quale sussiste
su un fondamento morale realissimo, che è il vero matrimonio di Giuseppe e
Maria e la discendenza messianico/davidica garantita a Gesù da Giuseppe e
non la generazione fisica come avviene umanamente parlando.
“S. Giuseppe è realmente padre di
Gesù come è realmente sposo di Maria e figlio di Davide,
questo è il doppio fondamento reale su cui si basa la relazione di paternità
morale tra Giuseppe e Gesù. La relazione avendo un fondamento reale è anch’essa
reale e non logica o metaforica” (G. Sinibaldi, La grandezza di
S. Giuseppe, Roma, 1927, p. 125).
La relazione di paternità e di figliolanza fra
Giuseppe e Gesù
Secondo S. Tommaso (S. Th., I, q.
13, a. 7) gli elementi della relazione, ossia rapporto di una cosa ad un’altra,
sono quattro:
1.
soggetto: l’ente al quale la relazione
inerisce (padre);
2.
termine: l’ente con il quale il soggetto sta in
rapporto (figlio);
3.
fondamento:
ciò che sostiene il rapporto tra soggetto e termine (generazione);
4.
rapporto: il
vincolo che lega soggetto a termine (paternità/figliolanza). La relazione è
reale se soggetto, termine e fondamento sono reali e il rapporto o vincolo è
reale da ambo le parti. Ora ne caso della relazione di paternità di S.
Giuseppe, il soggetto è reale (Giuseppe), il termine pure (Gesù/Messia), il
fondamento anche (vero matrimonio tra Giuseppe e Maria e vera discendenza
davidico/messianica di Giuseppe; fondamento morale ma vero e reale, che
esiste in re anche se non fisico o carnale), infine il vincolo
tra Giuseppe e Gesù/Messia è reale da parte di Giuseppe (realmente padre morale
di Gesù in quanto in re sposo di Maria e figlio di Davide) e
da parte di Gesù (vero figlio di Maria, che è vera sposa di Giuseppe e vera
discendenza davidico/messianica di Gesù tramite il matrimonio di Giuseppe con
Maria).
Per cui, con il Dottore Comune della
Chiesa, possiamo concludere tranquillamente che “Giuseppe è nello stesso modo
tanto padre di Gesù quanto sposo di Maria, in virtù del diritto matrimoniale e
non dell’unione carnale” (S. Th., III, q. 28, a. 1, ad 1). Quindi
è almeno teologicamente certo che Giuseppe è realmente
padre verginale e morale di Gesù nei sensi comunemente esposti dai
teologi approvati (putativo, nutrizio, adottivo)[3].
Corredenzione di Maria e di Giuseppe
Gesù apparteneva a Maria ed anche a
Giuseppe, vero sposo di Maria, per diritto matrimoniale, perciò tale diritto
autorizza a chiamare Giuseppe veramente padre di Gesù. Ora tale
matrimonio è stato decretato da Dio in vista della Redenzione di Cristo e della
Corredenzione subordinata di Maria. A tale decreto ha concorso anche Giuseppe
con il suo libero consenso.
Pio XI conferma col Magistero autentico
pontificio (Discorso nella sala concistoriale, 19 marzo 1928) tale
asserto insegnando che “la missione di Giuseppe è la più alta (…), unica (…),
quale Cooperatore all’Incarnazione e Redenzione”.
Secondo S. Tommaso vi è un nesso di
causalità tra il decreto divino e il consenso di Giuseppe e di Maria in virtù
del quale Cristo è frutto ed effetto del matrimonio reale tra Maria e Giuseppe.
Infatti “questo matrimonio fu ordinato specialmente a ricevere ed educare la
prole. La prole non è effetto del matrimonio solo in quanto è generata in esso,
ma anche in quanto è ricevuta ed educata in esso, e, in questo
secondo senso, Cristo è stato frutto di questo matrimonio tra Giuseppe e Maria
” (In IV Sent., dist. 30, q. 2, a. 2, ad 4). Perciò un figlio dipende
dai genitori:
1.
in quanto generato da loro nel
matrimonio,
2.
in quanto ricevuto e educato nel
matrimonio. Ora Gesù è realmente figlio di Giuseppe in questo secondo
modo.
Giuseppe è perciò unito con Gesù in un
vincolo morale e strettissimo, che gli conferisce una paternità unica più che
singolare, nuova e superiore. Infatti la paternità umana è grande e sorpassa
quella degli animali in ragione del vincolo morale più ancora di quello fisico.
Ora nel caso di Giuseppe la paternità non si fonda nel vincolo fisico, ma
morale per volontà esplicita di Dio che ha decretato il matrimonio tra Maria e
Giuseppe in vista dell’Incarnazione del Verbo, garantendogli il buon nome e la
messianicità davidica. Come Giuseppe è unito moralmente e verginalmente
a Maria quale vero suo sposo, così Giuseppe è unito a Gesù
moralmente quale suo padre reale e verginale. Onde per negare la paternità
reale, morale e non fisica, che unisce Giuseppe e Gesù, bisogna negare
il vincolo morale e non fisico che unisce Giuseppe a Maria, il
che è impossibile.
Infine la paternità di Giuseppe è
elevatissima in dignità e perfezione morale per l’obbedienza che Gesù gli
prestò volontariamente come capo della S. Famiglia, legittimo
sposo di Maria e suo reale padre. Giuseppe godeva di una certa superiorità di
autorità di pater familias, decretata da Dio, sopra Maria e Gesù
(in quanto vero uomo).
Il Vangelo di San Matteo e il tormento di San Giuseppe
Il Vangelo di San Matteo (I,
18-25) è il più ricco di notizie riguardo all’Annunciazione, all’Incarnazione e
alla Nascita di Gesù e presenta la figura di San Giuseppe più
dettagliatamente degli altri Vangeli sinottici.
Giuseppe è discendente del re David, padre
secondo la Legge di Gesù[4], capo della Sacra Famiglia. Inoltre San Matteo
descrive quella che monsignor Pier Carlo Landucci (1900-1986) chiama “L’annunciazione
del virgineo sposo di Maria”[5] facendo un’analogia tra l’Annunciazione di S.
Gabriele a Maria e quella dell’Angelo a Giuseppe.
Contemplando il Vangelo di Matteo potremo
conoscere e gustare con amore soprannaturale l’atteggiamento di Maria e di
Giuseppe riguardo al fatto miracoloso di Maria, che aspetta visibilmente un
bambino tornando dalla casa di sua cugina S. Elisabetta a Nazareth circa
tre/quattro mesi dopo l’Incarnazione del Verbo.
Il silenzio di Maria
Maria ci è presentata da San Matteo (I,
18)[6] come una donna profondamente saggia, riflessiva, prudente, giudiziosa,
assennata e oculata. Durante l’Annunciazione da parte dell’Arcangelo Gabriele
di essere stata scelta come Madre del Verbo Incarnato, Maria non dice che
pochissime parole, inoltre nel frangente della sua visibile aspettazione di un
figlio si resta stupiti davanti al suo assoluto silenzio anche nei riguardi del
suo legittimo sposo, San Giuseppe, quanto al Mistero che si era compiuto in lei
circa sei mesi prima.
Solo un Angelo, si reputa comunemente lo
stesso San Gabriele, rivelerà il Mistero che Maria portava chiuso in sé e
toglierà Giuseppe da tutte le ambasce che lo avevano tormentato durante quei
penosissimi giorni.
Infatti si notarono in Maria di ritorno da
Santa Elisabetta i segni esteriori della maternità, ma nel medesimo tempo
Ella era “fidanzata” verginalmente con Giuseppe.
Il fidanzamento nell’Antico Testamento non
era come nel Nuovo Testamento una promessa di matrimonio, ma era un contratto
perfetto e legale di matrimonio. Quindi Giuseppe e Maria erano legalmente
marito e moglie (G. Ricciotti, Vita di Gesù, Milano, Rizzoli, 1946,
§ 231; U. Holzmeister, De Sancto Josepho quaestiones biblicae,
Roma, 1945, p. 69 e 71), che potevano lecitamente avere relazioni matrimoniali,
ma non avevano ancora compiuto il passo dell’entrata solenne della sposa nella
casa dello sposo, la quale avveniva dopo un anno dal matrimonio o
“fidanzamento”, l’unica novità era la coabitazione pubblica e stabile. È per
questo motivo che San Matteo (I, 19) chiama Giuseppe e Maria “marito e moglie”
(cfr. Lc., I, 27; II, 5)
Ora era proprio solo questa coabitazione
che mancava a Maria e Giuseppe quando la prima tornò dal suo viaggio e
soggiorno da sua cugina Santa Elisabetta, che aspettava nonostante l’età
avanzata un figlio: S. Giovanni Battista.
Umanamente il silenzio di Maria specialmente
con il suo legittimo sposo ci pone degli interrogativi. Infatti Ella avrebbe
dovuto parlarne con Giuseppe
1.
per la sua autorità di marito (il
femminismo non esisteva ancora);
2.
per la sua dignità di capo famiglia, cui
apparteneva la persona della sposa e la prole (anche la parità dei sessi era
una “conquista democratica” non ancora avvenuta) e
3.
per impedire lo strazio e il tormento di
Giuseppe.
Infatti Giuseppe era stato prescelto da
Dio come vero sposo di Maria e padre legale di Gesù. Quindi lo aveva dotato
delle grazie necessarie per svolgere bene una così sublime missione.
Inoltre tra Maria e Giuseppe regnava un’armonia di sentimenti e di
spirito perfetta e pienissima, senza la quale la Sacra Famiglia avrebbe avuto
una grave mancanza nel suo perno. Quindi da un punto di vista naturale
Maria si sentiva inclinata ad aprirsi con Giuseppe, confidandogli il segreto
dell’Annunciazione angelica e impedendo il tormento del cuore del suo
castissimo sposo.
Eppure Maria taceva totalmente, capiva lo
strazio del suo sposo, avrebbe potuto intonare un’altra volta il Magnificat per
spiegare - come aveva fatto con S. Elisabetta - il Mistero dell’Incarnazione
del Verbo nel suo seno, ma non lo fece. A noi potrebbe sembrare insensibilità,
durezza di cuore, ma vi doveva essere una ragione profondamente soprannaturale
per permettere tanto dolore per i due sposi. Infatti è impossibile che Maria
non soffrisse anch’essa di questa situazione. Qui vi è un Mistero profondissimo
da scandagliare alla luce della divina Rivelazione.
È impossibile che si sia trattato di un
silenzio pudico di una giovane riservata divenuta miracolosamente madre “per
opera dello Spirito Santo”, anzi la natura avrebbe spinto Maria ad onorare
l’autorità maritale di Giuseppe, a sgravarsi il cuore in pena rivelando
l’Incarnazione del Verbo nel suo seno come aveva fatto, mossa da Dio, con S.
Elisabetta.
Il motivo di questo silenzio va cercato
nell’uniformità totale di Maria alla volontà di Dio amato sopra
ogni cosa. E siccome era ben conscia che tutto ciò che le era avvenuto era
stato preparato da Dio, così lasciò a Dio lo svolgimento e il compimento del
Mistero dell’Incarnazione del Verbo. Ella si abbandonò totalmente al Signore e
se Dio non aveva voluto rivelar nulla a Giuseppe, mentre lo aveva rivelato ad
Elisabetta non appena Maria entrò nella sua casa, Ella ritenne saggiamente di
lasciar fare al Signore poiché un motivo, che a lei sfuggiva, doveva pur
esserci e bisognava lasciar fare a Dio e aspettare con fiducia e pieno
abbandono alla divina Provvidenza.
Padre Gabriele Roschini († 1977) scrive:
“allorché Maria ritornò a Nazareth, e incominciarono a rendersi visibili i
segni della maternità, Ella dovette chiedersi in che modo Dio avrebbe
salvaguardato davanti a Giuseppe la sua verginale purezza. […]. Questo
pensiero capace di sconvolgere un’anima meno elevata, lasciò nella più
grande pace e serenità d’animo Maria. Ella sentiva di essere uno strumento
nelle mani del Signore. Si abbandonò quindi completamente a Lui. La Vergine
Santissima pensava che Dio stesso si sarebbe dato pensiero di regolare la sua
posizione di fronte a Giuseppe. […]. Ella ritornò a Nazareth e si
presentò a Giuseppe con la sua solita imperturbabile calma e serenità,
senza il più lieve segno di imbarazzo. […]. Maria, però, dovette sùbito
notare il turbamento di Giuseppe, ma non sentendosi autorizzata a
rivelare il grande segreto del Re, che l’esaltava al disopra di ogni creatura
umana, tacque” (Vita di Maria, Roma, Bibliotheca Fides, 1959, pp.
131-132).
Gli esempi di S. Elisabetta, di S. Zaccaria, di S.
Giuseppe e della Madonna
Nei Vangeli si legge come Dio ha stabilito
di intervenire direttamente in tutti i minimi particolari della nascita del
Salvatore. La visitazione a Santa Elisabetta era stata suggerita da S. Gabriele
a Maria ed Elisabetta aveva mantenuto un contegno tutto ripieno di
riservatezza, come poi farà Maria, il Vangelo ci rivela che Elisabetta “si
tenne nascosta per cinque mesi” (Lc., I, 24), vale a dire per tutto il
tempo in cui si iniziava a vedere la sua gravidanza. Il motivo di tale
nascondimento, secondo mons. Landucci (Maria Santissima nel Vangelo,
cit., p. 104), non era la vergogna di essere diventata madre in tarda età, anzi
la maternità nell’Antico Testamento toglieva la vergogna alla sterile, tant’è
vero che Elisabetta fece una gran festa pubblica alla nascita di suo figlio (Lc.,
I, 58). La vera ragione era il gran rispetto di Elisabetta verso
il Mistero che Dio aveva operato in lei, rispetto e riservatezza che
ritroviamo in Maria. Allo stesso modo la mutolezza temporanea di
Zaccaria è analoga al silenzio di Giuseppe che non
vuol chiedere nulla a Maria. Giuseppe e Maria rimisero nelle mani di Dio il
momento della rivelazione del Mistero. Non si mettono in primo piano, non si
scattano i “selfi”, non propagandano la loro melliflua “umiltà”, ma tacciono,
si nascondono, pregano e aspettano l’azione di Dio.
“Fuge, tace et quiesce!”
Ecco la grandezza del silenzio, che noi
uomini moderni non sappiamo più concepire. Sant’Agostino ci insegna: “Silentium
Christus est / il Silenzio è Gesù Cristo”. Il silenzio di Dio che non
dice nulla a Giuseppe se non dopo qualche tempo di atroce sofferenza interiore.
Silenzio di Maria che imita Dio e di Giuseppe che capendo il Mistero
verificatosi in Maria aspetta tacendo.
L’insegnamento che ci offre la divina
Rivelazione in questo frangente è il saper attendere con fiducia il
momento di Dio, cosa che non seppero fare gli Apostoli quando la barca di
Pietro stava per essere inghiottita dalle onde del Lago di Genezareth e che
costò loro il severo rimprovero di Gesù: “perché avete dubitato, uomini di poca
fede!”.
Le angosce di San Giuseppe
La virtù di Giuseppe è correlativa a quella di
Maria come quella di costei lo è a quella di Gesù. Essi formano una specie di
santa “Triade”, considerando l’umanità di Cristo. Giuseppe è il Padre, Gesù il
Figlio e Maria è l’Amore verso l’uno e l’altro.
Mons. Landucci dimostra in maniera
magnificamente apodittica come San Giuseppe non era per nulla convinto della
minima colpevolezza di Maria. Infatti il Vangelo ci narra che Giuseppe “essendo
giusto non voleva esporre Maria ad infamia” (Mt., I, 19). Siccome
nell’Antico Testamento (Deut., XXII, 20-24) rimandare l’adultera a casa
era un dovere sanzionato dalla legge, se Giuseppe fosse stato convinto di ciò,
essendo “giusto” l’avrebbe dovuta rinviare.
Anzi, prosegue il Landucci, il dubbio in
Giuseppe sarebbe stato un’assurdità morale e psicologica. Infatti nella sacra
Famiglia sarebbe rimasta sempre la momentanea macchia del dubbio del
capo famiglia sull’onestà della Madre di Dio e conseguentemente su Gesù stesso.
Ora come Maria è Immacolata sin dal primo istante della sua Concezione
poiché non era conveniente che la Madre di Dio fosse stata anche per
poco tempo priva di grazia santificante e quindi schiava di satana per
la macchia del peccato originale così non conveniva che la Sacra
Famiglia fosse maculata anche per poco dal dubbio sull’onestà della Madre di
Dio da parte del più grande dei Santi, cui si deve il culto di primo-dulia.
Quindi ciò significa che Dio non solo ha
permesso, ma ha voluto positivamente sottomettere Giuseppe alla prova del
tormento non avendogli voluto inviare l’Angelo un po’ prima a rivelargli il
Mistero e senza aver ispirato Maria a rivelare l’Arcano.
Maria aveva fatto il voto di castità e
certamente lo aveva detto a Giuseppe quando si “fidanzarono”, il suo contegno
durante la gravidanza non rivelata a Giuseppe, ma notata da lui fu sempre
improntato ad un’espressione luminosa di perfetta castità ed assoluta serenità.
Ora se Ella avesse peccato nascostamente, il suo candore e la sua serenità
sarebbero state una menzogna ancor più rivoltante e ipocrita. Perciò un dubbio
da parte di Giuseppe avrebbe significato che secondo lui Ella non solo era una
peccatrice, ma anche una spudorata mentitrice. Quindi restava solo l’ipotesi di
un intervento divino su Maria, che Giuseppe intravedeva, ma non conosceva nei
dettagli. Egli non volle chieder nulla a Maria, pur avendone il diritto come
legittimo sposo, per rispettare il di Lei silenzio, il che esclude il minimo
dubbio da parte di Giuseppe su Maria.
Padre Gabriele Roschini concorda
sostanzialmente col Landucci ed inoltre spiega: “Giuseppe giudicò cosa
prudente non emettere giudizio alcuno. […]. Giuseppe si mostrò
giusto nel pensare, poiché sospese prudentemente ogni giudizio. Si mostrò
giusto nel decidere, poiché si attenne ad una via di mezzo, salvando i diritti
di Maria e quelli della Legge ” (Vita di Maria, Roma, 1959, p. 135 e
137).
Tolto ogni dubbio sull’onestà di Maria,
che appariva eccellentemente dal suo contegno celestiale, resta da “spiegare”
il Mistero divino. San Girolamo (In Matt., I, 19) scrive: “Giuseppe
conoscendo la castità di Maria e stupito di ciò che stava accadendo, nasconde
nel silenzio ciò di cui ignora il Mistero”. Certamente Giuseppe capiva che si
trattava di un Mistero divino. Infatti esclusa una causa naturale della
gravidanza di Maria non restava che l’intervento miracoloso dell’Onnipotenza
divina e il silenzio, unito alla calma e serenità, di Maria
confermavano questa tesi. Certamente Giuseppe era conscio di ciò e da una parte
se ne rallegrava. Tuttavia restavano le angosce sul cosa fare.
L’atteggiamento di Giuseppe è simile a
quello di Maria: silenzio, riflessione, pace mista a grande tormento. Maria
soffriva alla vista dei turbamenti di Giuseppe. Giuseppe non sapeva con
certezza cosa fare di fronte ad un avvenimento miracoloso che lo riguardava
così da vicino.
S. Giuseppe, come Maria, era saggio,
riflessivo, prudente, giudizioso, assennato e oculato. Anch’egli è pensoso,
ripieno del dono del consiglio, che perfeziona la virtù di prudenza e raccolto
in profonda riflessione “non volle esporre ad infamia Maria” e “decise di
separarsi da Lei occultamente” (Mt., I, 18-19). Quindi egli aveva una
volontà ferma e ben decisa, frutto di un profondo ragionamento accompagnato
dalla preghiera, di non infamare Maria, inoltre aveva in cuor suo - mista ad
un’una interna trepidazione ricolma di santa umiltà - l’idea
di rinviarla occultamente, come ci fanno capire meglio le parole che gli
rivolgerà l’Angelo “non temere Giuseppe” (Mt., I, 20), le quali ci
mostrano Giuseppe addolorato di rimandarla nascostamente in preda ad una
certa umile trepidazione e solo le parole dell’Angelo gli
faranno cambiare opinione.
Si noti l’analogia con il timore di Maria
quando l’Angelo le appare e le dice che il Messia nascerà da Lei, Ella ne fu
turbata e ne provò un certo timore d’umiltà: “come avverrà ciò? io
non conosco uomo” e solo quando l’Angelo la rassicura che concepirà
verginalmente per opera dello Spirito Santo Maria pronuncia senza esitare il
suo “fiat”. L’analogo turbamento di Giuseppe riguarda il fatto, non il
principio. Egli è convinto quanto al principio che in Maria non c’è colpa,
ma umilmente è fortemente inclinato in pratica a rimandarla a
casa occultamente per non infangarla e non sentendosi degno di stare
assieme a due creature così eccelse come Maria e il di Lei figlio. Il suo
atteggiamento richiama la domanda di Maria: “come avverrà questo?”… io non sono
all’altezza.
Si ammirano in Giuseppe la grande fede nel
credere al miracoloso intervento divino riguardo alla gravidanza di Maria,
l’inchinarsi davanti al silenzio di Dio e di Maria, l’umiltà nel rinunciare al
diritto maritale di chiedere spiegazioni ad una sposa che è eccezionalmente
toccata da Dio e infine la conformità alla volontà di Dio, che rappresenta il
vertice della carità, ossia della perfezione spirituale.
Questo abbandono a Dio non toglieva la
sofferenza o il tormento dai cuori di Maria e di Giuseppe, sino a che Dio
Padre, mediante l’Angelo, non rivelerà il Mistero compiutosi
in Maria: è Madre di Dio Figlio per opera dello Spirito Santo e gli ordina di
prenderla con sé.
Dio ha domandato a Giuseppe come ad Abramo
una sorta di “sacrificio di Isacco”, che Abramo avrebbe immolato se l’Angelo
non avesse bloccato il suo braccio, così Giuseppe avrebbe rinviato
occultamente Maria se Dio non gli avesse ordinato, tramite l’Angelo, di
tenerla con sé.
Maria tacendo lascia fare alla Provvidenza
e a Giuseppe. Giuseppe tacendo sta per rinviare Maria. Ma tutti e due
sanno che al momento opportuno Dio interverrà e attendono, come fece il
povero Giobbe abbandonato da tutti e insultato dalla moglie.
La quiete dopo la tempesta
“Miscens gaudia fletibus / Dio
ha mischiato le gioie con i dolori”. Infatti quando le cose erano giunte ad un
punto umanamente critico Iddio intervenne e dissipò ogni turbamento, un Angelo
apparve a Giuseppe e gli disse: “Non temere di prendere Maria con te […]. Ella
darà alla luce un Figlio e lo chiamerai col nome di Gesù” (Mt.,
I, 20). E il sole tornò a splendere.
In sogno l’Angelo rivela il Mistero a
Giuseppe e lo incoraggia a tenere con sé Maria, non un istante prima né uno
dopo il permesso di Dio, che ricompensa così color che sanno attendere e sperare.
Il motivo per cui Giuseppe riteneva di
doversi separare da Maria è la sua profonda umiltà che non gli consentiva di
stare accanto ad una creatura così intimamente toccata, innalzata e beneficata
da Dio[7].
Giuseppe dopo il sogno “destatosi fece
come gli aveva comandato l’Angelo e prese con sé la sua sposa” (Mt., I,
24). Nessuna scomposta manifestazione di esultanza egocentrica, nessuna
ovazione da papa-boys, nessun ripiegamento trionfante su di sé, finalmente
sgravato da ogni ambascia egli si dimentica di sé e sùbito agisce per fare ciò
che gli è stato comandato, senza perdere tempo e sprecare fiato. Che lezione
per noi in questi tempi di carnevalate continue.
Giuseppe abbraccia la sua missione
onorevolissima ma delicatissima e ripiena di responsabilità e foriera di
dolore. Egli è stato prescelto ad essere padre putativo dell’Uomo dei dolori,
una spada trapasserà anche il suo cuore come quello di Maria Addolorata.
La dignità e il culto di S. Giuseppe
La dignità di Giuseppe non è come quella di
Maria, ossia un mondo speciale che sta in mezzo tra Dio e i Santi, terminando
fisicamente e intrinsecamente all’ordine dell’Unione Ipostatica. Giuseppe
appartiene all’ordine della grazia come tutti i Santi, ma in maniera più alta
di tutti loro.
Infatti avendo partecipato all’Unione
Ipostatica o all’Incarnazione del Verbo in maniera reale,
formale/esplicita (coscientemente e volontariamente), ma solo
morale, estrinseca ed indiretta, non fisica e diretta come
Maria (S. Tommaso, S. Th., III, q. 7, a. 13, ad 3; Cajetanus, In IIam-IIae,
q. 103, a. 4 ), è il primo di tutti i Santi.
Giuseppe ad imitazione di Maria e Gesù, si
sottomise pienamente al Volere di Dio, offrì se stesso in Sacrificio
dolorosissimo assieme e subordinatamente a quello secondario di Maria SS. e
principale di Gesù per la Redenzione (R. Garrigou-Lagrange, De
praesentia S. Joseph, in «Angelicum», n. 5, aprile-giugno 1928, p. 211 ss.;
Id., La Mère du Sauver et notre vie intérieure, Parigi, 1941, pp.
342-361). Perciò con l’Angelico possiamo concludere che Giuseppe “partecipò
più di ogni altro, dopo la Madonna, alla Passione di Cristo” (S. Th.,
III, q. 46, a. 5, a. 6).
Leone XIII (Enciclica Quamquam
pluries, 15 agosto 1889) insegna: “non vi è dubbio che Giuseppe si sia
avvicinato più di qualsiasi altro alla altissima dignità della Madre di Dio”.
Pio XI (Discorso del 2 aprile 1926) insegna: “tra Dio e Giuseppe
non c’è né può esservi un’altra persona se non Maria vera Madre di Dio”.
All’obiezione esegetico/teologica che la
S. Scrittura rivela: “tra i nati da donna non ve n’è nessuno superiore a
Giovanni Battista” (Mt., XI, 11) si risponde che bisogna bene
interpretare il significato del versetto evangelico.
Cornelio A Lapide insegna che “è più degno
essere padre e nutrizio di Cristo che il suo precursore” (Comm. in Matth.,
XI, 11).
Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange (De
praesentia S. Joseph, in «Angelicum», n. 5, aprile-giugno 1928, p. 195 e
202) riprende la distinzione operata da p. Cornelius A Lapide.
Inoltre i Padri, i Dottori e gli Esegeti
approvati leggono questo versetto di Matteo applicandolo solo al dono di
profezia e non alla santità. Quindi Giovanni Battista è stato il massimo dei
profeti o meglio “precursore” perché indicò Cristo presente e venuto mentre gli
altri Profeti lo annunziavano venturo (S. Ilario, Comm. in Matth.,
XI, 6, PL 9, 981; S. Girolamo, Comm. in Matth., XI, 9, PL 26, 78;
S. Giovanni Crisostomo, Homil. XXXVII in Matth., PG 57, 421; S.
Agostino, Sermo CXCVII, PL 39, 211; S. Cirillo d’Alessandria, Thesaurus,
n. 101-106, PG 75, 167-175; S. Tommaso d’Aquino, Comm. in Matth., XI, 11;
Cajetanus, Comm. in Luc., XVII, 24-30). Quindi la lode di Giovanni
non è relativa alla santità di tutti gli uomini, ma alla grandezza di tutti i
profeti (L. Billot, De Ecclesia Christi, Roma, 1909, p. 74; M. J.
Lagrange, Evangile selon St. Luc, Parigi, 1925, p. 221).
All’obiezione liturgica secondo cui nelle
Litanie dei Santi Giuseppe viene dopo il Battista si risponde che l’ordine
delle Litanie non cerca di stabilire il grado di maggiore santità. Anzi proprio
per evitare questo disordine (per esempio, voler sapere se S. Antonio è più
santo di S. Francesco) il card. Prospero Lambertini ha scritto: “non si deve
ammettere come certo che la Chiesa segua, nelle Litanie dei Santi, un ordine il
quale va da una maggiore ad una minore santità, la qual cosa è pericolosa.
Infatti chi potrebbe dire che S. Antonio è stato più grande in santità di S.
Lucia?” (De canoniz. Sanct., lib. IV, parte II, cap. 20).
Da ciò segue che il culto (cfr. S.
Tommaso, S. Th., II-II, q. 102, a. 2), dovuto a S. Giuseppe non è
di latria (adorazione), che spetta solo a Dio, neppure
di iperdulia (super-venerazione), che spetta solo a Maria (S.
Th., II-II, q. 103, a. 4, ad 2; III, q. 25, a. 5; Sacra Congregazione dei
Riti, Decreto del 1° giugno 1884) come ordine specificamente diverso da quello
divino e quello della grazia dei santi (dulia), ma è quello di proto,
prima o somma dulia, S. Giuseppe è il primo dei Santi. Quindi Giuseppe è
nel medesimo ordine dei Santi, quello della dulia e non in quello
specificatamente diverso della partecipazione all’ordine dell’Unione Ipostatica
che è quello di iperdulia che spetta a Maria. Cfr. S.
Bernardino da Siena (Sermo de Sancto Joseph, a. 2); Cornelio Alapide (Comm.
in quatuor Evangelia, tomo IV, parte I, cap. 4, par. 7 ); A. M. Lépicier (Tractatus
de S. Joepho., cit., parte III, a. 2, p. 274); R. Garrigou-Lagrange (De
praesentia S. Joseph, in «Angelicum», n. 5, aprile-giugno 1928, pp.
207-208.
Conclusione
La proclamazione di S. Giuseppe a Patrono
della Chiesa universale fatta da Pio IX (8 dicembre 1870, Decreto S.
Congregazione dei Riti Quaemadmodum Deus) è il riconoscimento
solenne della sua singolare anzi unica grandezza. “Per tal motivo il Santo
continua nella Chiesa il suo alto ufficio di capo della S. Famiglia, e prosegue
nel Corpo Mistico di Cristo quella missione che svolse, insieme con Maria,
intorno alla Persona del Salvatore. Per la sua universalità questo
patrocinio ha delle analogie con la Maternità spirituale di Maria e la sua
universale Mediazione nella Distribuzione di tutte le grazie” (Gaetano
Stano, voce “Giuseppe, santo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del
Vaticano, 1951, vol. VI, col. 802).
All’inizio del Novecento Leone XIII ci ha
dato un labaro sotto cui combattere la modernità: il Sacro Cuore di
Gesù, nella prima metà del Novecento a Fatima la Madonna ci
ha spronati a ricorrere anche al suo Cuore Immacolato come
vessillo di trionfo, arrivati al 2000 forse è necessario pure ad essi anche la
bandiera di S. Giuseppe per sostenere l’ultima battaglia verso “la Sinagoga di
satana” (Apoc., II, 9) che è oramai scatenata nella lotta contro la
Chiesa di Cristo. Non scordiamoci che S. Giuseppe è il Patrono Universale della
Chiesa. Questa è la “Triade” santa alla quale dobbiamo ricorrere oggi, sicuri
della vittoria finale. Iniziamo il 2107, centenario dell’apparizione
della Madonna a Fatima, sotto il manto di San Giuseppe suo castissimo sposo e
protettore della S. Famiglia e della Chiesa.
“Nell’Incarnazione ci sono tre abissi che
in sé sono insondabili e li conosceremo solo nella vita eterna: Cristo, la BVM
e S. Giuseppe” (E. Hugon, El Rosario y la santitad, Barcellona,
1935, p. 113).
In questa vita cerchiamo di unirci a Gesù
per vederlo faccia a faccia nell’eternità tramite la vera devozione alla
Vergine Maria e a San Giuseppe.
Raccomando, perciò, al lettore lo studio
accurato di Maria Santissima nel Vangelo di mons. Pier Carlo
Landucci (Roma, Paoline, ultima edizione 2000).
d. Curzio Nitoglia
_______________________________
1. S. Th., III, q. 1, a. 1.
2. La Vita di Maria del
famoso mariologo Gabriele Roschini (1900-1977) ha avuto una prima edizione in
Roma nel 1945 in una forma molto ampia e ricca di notizie e delucidazioni
relative, corredata da un abbondantissimo apparato critico e da una
sovrabbondanza di citazioni e di bibliografia. Nel 1947 l’Autore ne ha fatto
un’edizione ridotta che conservava della prima, pur ridotta all’essenziale, una
sostanzialmente completezza rendendola accessibile a tutti. Nel 1959 è
uscita la seconda edizione del compendio del ‘47 edita dalla Bibliotheca
Fides di Roma che è quella da me citata e che sarebbe opportuno ristampare.
3. Il card. Cajetanus commenta: “Giuseppe
era sposo della BVM, e quindi, giustamente si chiama padre reale e
legale di Gesù” (Super Lucam II).
4. Si noti la differenza tra Giudaismo
veterotestamentario (buono ma imperfetto) e Giudaismo talmudico
(intrinsecamente anticristiano e quindi perverso). Infatti il primo fa
risultare la discendenza dal padre, mentre il secondo dalla madre. Il perché è
semplice e molto “carnale” come è “carnale” il Giudaismo talmudico ed
anti-biblico. “Mater semper certa, pater numquam”, volendo essere
assolutamente certi della discendenza ebraica, che sola concederebbe il diritto
al dominio su questo mondo non esistendo un aldilà, i talmudisti si basano
sulla certezza biologica assoluta di essere figlio di madre ebrea. È il culto
della razza messo al di sopra il culto del Messia, che per i talmudisti non è
una persona divina, la quale dà la salvezza dell’anima a tutti gli uomini di
ogni Nazione, ma solo all’etnia israelitica per la sola supremazia temporale su
questa terra. Invece nell’Antico Testamento, perfezionato dal Nuovo ed Eterno
Testamento, la discendenza dipendeva dal padre, che avrebbe assicurato la
figliolanza davidica e quindi la messianicità spirituale del Salvatore delle
anime del mondo intero. Siccome il Messia è vero Dio e vero uomo, l’elemento
biologico o razziale è secondario nella Bibbia (spirituale) e principale nel
Talmud (carnale), che rappresenta la contro-chiesa o “Sinagoga di satana” come
la chiama l’Apostolo S. Giovanni (Apoc., II, 9; III, 9). Di qui
l’inconciliabilità tra il Giudaismo attuale o post-biblico e il Giudaismo
mosaico veterotestamentario e il Cristianesimo, che perfeziona e presuppone
l’Antico Testamento, con il quale forma la Bibbia intera.
5. Maria Santissima nel Vangelo,
Roma, Paoline, (1945), IV edizione, 1954, p. 99.
6. “Essendo la madre di Lui, Maria,
sposata a Giuseppe, fu trovata incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe,
suo sposo, essendo giusto e non volendo esporla, deliberò di rimandarla
segretamente”.
7. Mons. Landucci (op. cit., p. 116) non
segue questa ipotesi, a me tuttavia sembra la più plausibile e in questo mi
discosto riverentemente dall’Autore.
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