Domenica XIX C

Per la vita cristiana l’atteggiamento morale fondamentale è essere pronti per aspettare una persona, il Signore
Nel brano evangelico di questa Domenica, continua il discorso di Gesù sul valore di ogni persona agli occhi di Dio e sull’inutilità di idolatrare le preoccupazioni terrene. Non si tratta di un elogio al disimpegno. Anzi, ascoltando l’invito rassicurante di Gesù “Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto dare a voi il Regno” (Lc 12,32), il nostro cuore viene aperto ad una speranza che illumina e anima l’esistenza concreta: abbiamo la certezza che
“il Vangelo non è soltanto una comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che produce fatti, avvenimenti, incontri, amicizie, preferenze e cambia la vita. La porta oscura del tempo, del futuro, è stata spalancata verso la vita veramente vita di amore, con ogni bene senza più alcun male che raggiungerà il suo compimento nel giorno natalizio al cielo ma con anticipi già significativi in questa vita. Chi ha speranza anche in tutti i limiti, in tutte le tribolazioni vive diversamente e con gioia; gli è stata donata una vita nuova (Spe Salvi, 2). Come leggiamo nel brano della Lettera agli Ebrei nella liturgia odierna, Abramo si inoltra con cuore fiducioso nella speranza che Dio gli apre: la promessa di una terra e di una “discendenza numerosa” e parte “senza sapere dove andava”, confidando solo in Dio (11,8-12). E Gesù nel Vangelo di oggi – attraverso tre parabole – illustra come l’attesa del compimento della “beata speranza”, la sua venuta, deve spingere di più ad una vita intensa, ricca di relazioni e di opere buone, di esperienze anche piccole di amore: “Vendete ciò che possedete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro sicuro nei cieli cioè nella vita trinitaria di Dio, dove ladro non arriva e tarlo non consuma” (Lc 12,33). E’ un invito a non trasformare in idoli anche beni e esperienze temporali buone, di felicità, ad usare le cose senza egoismo, sete di possesso o di dominio, ma secondo la logica di Dio, la logica dell’attenzione all’altro, del rispetto della sua libertà che rende possibile l’amore vero: nella forma d’una relazione vera, non possessiva e sempre nel rimando a Dio come fonte e come meta.
La fede suscita la capacità di eroismo, quando ci si accorge che la volontà di Dio è molto esigente: “Per fede, Abramo, messo alla prova, offrì Isacco”. Isacco era il figlio unico di Abramo, per mezzo del quale egli doveva avere quella discendenza innumerevole che Dio gli aveva promesso. Ma Abramo non esitò ad andare verso il monte sul quale Dio gli chiedeva di offrire suo figlio.
L’autore della Lettera agli Ebrei spiega: “Egli pensava infatti che Dio è capace di far risorgere anche dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo”.
Perciò la fede è una base eccellente per tutti i limiti dell’esistenza. Comunica la forza per sostenere tutte le prove e andare avanti con coraggio e generosità.
La fede è la condizione per essere pronti, sempre pronti come i santi che celebriamo in questa settimana: 8 agosto san Domenico di Guzman, fondatore, nel XIII secolo, dell’Ordine Domenicano, l’11 santa Chiara di Assisi, il dieci il santo diacono San Lorenzo, il 14  agosto san Massimiliano Kolbe. Ma vorrei ricordare soprattutto il 9 agosto, giorno del mio compleanno e che celebrerò alle 9 la Messa a Telepace, la festa della santa carmelitana Teresa della Croce, Edith Stein. Ha attraversato l’oscuro tempo della Seconda Guerra Mondiale, senza mai perdere mai, come scrive nella sua opera Scientia Crucis,  di vista la speranza, il Dio della vita e dell’amore.

Ci stiamo preparando al 15 agosto, la solennità dell’Assunta, segno di sicura speranza e di consolazione anche sapendo di dover morire.

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