Rerum Novarum a 125 anni
Leone
XIII e quella “militanza cattolica” che oggi qualcuno vorrebbe estinguere.
Intervista a S. E. Mons. Crepadi
A cura di Federico
Cenci
La seconda metà del XIX secolo fu un periodo della
storia turbolento. Dinanzi all’incedere del capitalismo, un ampio complesso di
ideologie venne alla luce con l’intento di trasformare radicalmente la società.
Il mondo cattolico fu investito dal flusso imponente
del dinamismo sociale. Molti cattolici furono sedotti da sirene
ideologiche che
non avevano, tuttavia, lo scopo soltanto di correggere le ingiustizie sociali,
bensì la pretesa di introdurre un’antropologia innovativa.
È in questo contesto che papa Leone XIII decise di
promulgare l’enciclica Rerum Novarum. Era il 15 maggio 1891, 125 anni
fa, quando con questo documento la Chiesa prende posizione in modo netto sui
gravi problemi sociali del tempo, getta una luce di verità in un campo
costellato di dubbi, si pone come guida delle coscienze.
Con la Rerum Novarum, il cattolico possiede
finalmente una bussola da seguire per dirimere la confusione d’ordine sociale
ed economico. Una “Magna Carta della Dottrina sociale della Chiesa che è ancora
attuale”, per usare le parole di mons. Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di
Trieste, che nella sua Diocesi guida una Scuola di Dottrina sociale della
Chiesa per la Formazione all’impegno sociale e politico. Intervistato da
ZENIT, mons. Crepaldi spiega la Rerum Novarum, il senso del dovere dei
cattolici in politica, l’importanza della “militanza cattolica”,
che moderne correnti teologiche che vorrebbero invece estinguere.
***
Eccellenza, in quale contesto storico viene promulgata
la Rerum Novarum?
Lo scopo della Rerum novarum non era solo di
attrezzare i credenti ad affrontare le novità che la storia poneva loro
davanti. Non è un elenco di sfide sociali, economiche o politiche, una specie
di inventario delle cose da fare. L’enciclica di Leone XIII si inserisce nel
complesso degli insegnamenti sociali di questo grande Papa. In un momento
storico in cui la religione e la Chiesa venivano espulse dallo spazio pubblico,
il Papa propose la Dottrina sociale come strumento per ridare a Dio il suo
posto nella costruzione della società degli uomini. Nella seconda metà
dell’Ottocento gli Stati liberali – tali erano anche se le Costituzioni richiamavano
espressamente l’origine divina dell’autorità politica – toglievano alla
religione la materia matrimoniale, e quindi familiare, approvando il matrimonio
civile e il divorzio, eliminavano dalla società civile tutte le forme di
solidarietà gestite dalla Chiesa e animate dalla religione come le
confraternite, le opere pie o le corporazioni, espellevano la religione
dall’educazione chiudendo le scuole in mano alla Chiesa, concentrando
l’istruzione pubblica nello Stato e animandola con una religione civile improntata
al positivismo materialista. Si trattava di un progetto di secolarizzazione
completa della società. La risposta di Leone XIII fu un insieme di documenti
sociali, tra cui la Rerum novarum, tendenti a fornire il quadro
dottrinale, etico e operativo per la resistenza e la ripresa.
Qual è l’attualità di questa Enciclica a 125 anni di
distanza?
Certamente, il tema centrale della Rerum novarum
è la questione operaia. Ma non dobbiamo ingannarci, quello che da ultimo stava
a cuore a Leone XIII era che la Chiesa riconquistasse pienamente il proprio
“statuto di cittadinanza” nella società e nella politica, come poi riconobbe,
cento anni dopo, Giovanni Paolo II rileggendo l’enciclica leonina nella Centesimus
annus. La Rerum novarum è stata definita la Magna Carta della
Dottrina sociale della Chiesa. Essa ha il grande merito di aver costruito, in
poche ed efficaci pagine, un quadro di pensiero e di azione che rimane
insuperabile per chiarezza e lungimiranza. La famiglia, la società, i
conflitti, il lavoro, il fisco, lo Stato, i corpi intermedi, i poveri, le
associazioni di lavoratori, la carità cristiana, lo sciopero, la destinazione
universale dei beni, l’uso dei beni materiali, il diritto di proprietà, la
sussidiarietà, il bene comune, le virtù sociali e cristiane… nella Rerum
novarum tutto è sistemato al suo posto in un quadro coerente. In questo
quadro si sono inserite le altre encicliche successive le quali, se è vero che
hanno ampliato e sviluppato la Rerum novarum affrontando tanti temi che
allora non erano percepiti, è altrettanto vero che l’hanno approfondita, non
uscendo da essa, ma rimanendo al suo interno. Ecco perché è stata la Magna
Carta e lo è tuttora. Tutto questo però va perduto se staccato dall’intento da
cui sono partito. Leone XIII non esalta le cose nuove, ma lamenta che esse
siano state adoperate per allontanare Dio dalla pubblica piazza. La Dottrina
sociale della Chiesa doveva servire a correggere le tendenze in atto, non a
sposarne le idee di fondo.
Leone XIII plaude all’associazionismo dei lavoratori,
invitando tuttavia gli operai cattolici a creare associazioni di categoria
proprie, per evitare di ingrossare le fila di “società rette da capi occulti”,
nonché “pericolose per la religione”. Che valore assume, ancora oggi, questa
indicazione?
Il valore di un monito e di una indicazione. I
cattolici, quando si associano e si impegnano nella società, non possono
collaborare con tutti, diversamente da quanto in genere si sostiene oggi. Ai
nostri giorni prevale infatti l’idea che il cattolico debba aprirsi alla
collaborazione generale, mentre invece, secondo Leone XIII, così facendo
rischia di collaborare a finalità sbagliate, negative sia per l’uomo che per la
religione cattolica. Non è sufficiente che una associazione persegua alcune
finalità buone accanto ad altre cattive per meritare la collaborazione dei
cattolici. Siccome non si può perseguire il bene facendo il male, il cattolico
non può aderirvi, non potendo egli scorporare le finalità buone da quelle
cattive e contribuendo quindi con la sua collaborazione e alle une e alle
altre.
Sbagliano, dunque, quei cattolici che per iniziative
nobili si trovano a braccetto con associazioni, Ong, partiti che perseguono
anche obiettivi come aborto, eutanasia, gender, legalizzazione della droga..?
Faccio un esempio pratico. Nel campo dell’assistenza
internazionale le Ong cattoliche si trovano a collaborare con altre Ong o con
organismi e agenzie internazionali che non condividono la stessa antropologia.
L’impegno per i diritti umani viene inteso da queste Ong anche come estensibile
alla cosiddetta “salute riproduttiva”, che prevede sterilizzazione forzata e
aborto. L’Onu ha associato il Consenso del Cairo, comprendente appunto la
salute riproduttiva estesa anche al gender, al rinnovo degli obiettivi del Millennio
per il periodo 2016-2030. Ciò significa che l’impegno per i diritti umani
(accesso all’acqua potabile oppure accesso delle donne all’istruzione) sarà
istituzionalmente collegato con la promozione dell’aborto, anche chimico: in
questi casi si tratterebbe indifferentemente di promuovere dei diritti. Si pone
dunque il problema segnalato sopra: le Ong cattoliche possono collaborare? Ove
il fine buono è scorporabile da quello cattivo sì, ma in altri casi no. Il
cattolico è convinto che bisogna promuovere la parità di dignità tra uomo e
donna, però non può collaborare con associazioni che stravolgono questo
discorso con un femminismo ideologico o con l’ideologia del gender. Il
cattolico sa di doversi impegnare nella lotta contro l’Aids, ma non aiutando
associazioni che pensano di farlo distribuendo contraccettivi – compresi quelli
cosiddetti di emergenza che possono risultare abortivi – facendo gli interessi
dei grandi gruppi farmaceutici. L’antropologia cristiana non glielo permette.
È un problema, questo, che ravvede anche nel contesto
politico?
Certo. È possibile per una associazione cattolica
gestire un progetto di intervento sociale in convenzione con un Comune, ma se
poi questo comporta di sostenere una giunta comunale che con le sue politiche
distrugge la famiglia, la cosa diventa illecita. A quanto detto si può poi
aggiungere un altro aspetto, oggi particolarmente evidente. I cristiani danno
la loro collaborazione a tante iniziative di solidarietà e di umanesimo
orizzontale senza portare il loro contributo per innalzarle al livello
verticale e trascendente. È il caso della militanza cattolica per l’ambiente o
per la pace, anche in collaborazione con altre organizzazioni che dell’ambiente
danno una versione solo naturalistica e della pace danno una versione solo
sociologica. Ci si chiede: i cattolici non dovrebbero collaborare? Bisogna dire
che in certi casi l’impegno per l’ambiente e la pace è talmente carico di
significati panteisti, naturalisti, animalisti, ideologici che la
collaborazione risulta improponibile. In qualche caso essa è possibile, a patto
che i cattolici non dimentichino di apportare la loro specificità. Per
l’ecologia questa specificità consiste nel parlare non della natura ma del
creato, per la pace questa specificità consiste nel dire che il mondo non se la
può dare da sé.
Papa Pecci chiedeva inoltre ai lavoratori cattolici di
“infondere speranza e facilità di ravvedimento a quegli operai ai quali o manca
la fede o la buona condotta secondo la fede”. Un appello al proselitismo?
Nel passaggio della Rerum novarum da lei
ricordato, Leone XIII presenta già la Dottrina sociale della Chiesa come
“strumento di evangelizzazione”, come dirà poi Giovanni Paolo II. Certamente,
non si tratta di fare proselitismo, ossia di scambiare la solidarietà sociale,
che va data a tutti, con l’adesione alla religione cattolica, ma di dare
testimonianza e di annunciare, anche all’interno dell’azione sociale, economica
e politica, la fede cattolica in tutte le sue esigenze. Lavorare nella società
solo per i cattolici, dare assistenza solo ai cattolici e indurre a farsi
cattolico per usufruire di aiuti e benefici sarebbe una inaccettabile forma di
proselitismo. Se una associazione cattolica che distribuisce pasti ai senza
tetto lo facesse solo per chi si dichiarasse cattolico, sarebbe meschino
proselitismo.
Aprirsi alla carità per tutti non vuol dire però
censurarsi dall’esprimere la propria identità cattolica. Quella associazione
che distribuisce pasti ai bisognosi non deve nascondere di essere cattolica e
di farlo perché è cattolica, non deve tirar via dalle pareti i simboli
cattolici e non deve tirarsi indietro, una volta stabilito un rapporto umano
con i beneficiati, di fare loro anche la proposta cattolica, non come
condizione per usufruire di servizi ma come frutto e sviluppo di un incontro.
Alla luce di questa sua considerazione, ritiene allora
che il concetto di proselitismo venga oggi malinteso?
Pensare di influire sui costumi e le leggi di una
società, sui provvedimenti e le scelte politiche viene interpretato spesso come
proselitismo, nel tentativo di accaparrarsi fette di potere “cattolico”
trasformando però la fede in ideologia. Più in generale ogni pretesa della
Chiesa di portare al mondo una luce che non nasca dal mondo stesso si ritiene
sia un proselitismo, non un annuncio, ma una conquista. Sappiamo però che
così non è. Diffondere l’annuncio della liberazione di Cristo nel mondo non è
indice di proselitismo ma di evangelizzazione, di cui la Dottrina sociale della
Chiesa è strumento ed espressione.
I cosiddetti “corpi sociali intermedi”, promossi dalla
Rerum novarum, sono oggi in pericolo?
Se la sua domanda si riferisce all’Italia, direi di
sì. Questo è dovuto al fatto che il principio di sussidiarietà proposto dalla
Dottrina sociale della Chiesa non è stato compreso bene e fino in fondo.
Per esempio, quando negli anni scorsi è stato cambiato il titolo V della
Costituzione proprio per far entrare la sussidiarietà nel testo costituzionale,
si parlava di federalismo e di devolution. Il progetto fu quindi concepito
per decentrare, trasferendo dallo Stato agli enti locali, soprattutto le
regioni, alcune funzioni. Il processo corretto però era il contrario: non
chiedersi cosa lo Stato avrebbe potuto decentrare (partendo quindi dallo Stato)
ma chiedersi cosa possono fare i comuni e le regioni e, partendo dal basso e
non dall’alto, ridefinire le funzioni di ogni livello. In questo modo i corpi
intermedi sarebbero stati maggiormente valorizzati, tenendo sempre presente,
tra l’altro, che la sussidiarietà non è solo quella verticale ma anche quella
orizzontale, non solo delle istituzioni della repubblica ma anche dei corpi
sociali attivi dentro la comunità.
A ottobre il popolo dovrà pronunciarsi con un
referendum su una nuova riforma della Costituzione…
Questa riforma, al contrario di quella sull’articolo
V, riaccentra molte funzioni nel governo centrale, togliendole alle regioni e
soprattutto senza distinguere le regioni che si sono comportate in modo
“virtuoso” da quelle che invece hanno alimentato sprechi e clientelismo. È in
pratica lo stesso errore di allora rovesciato: allora si voleva decentrare ora
si vuole riaccentrare, ma senza mai percorrere la strada corretta, ossia dal
basso verso l’alto. Con la vecchia riforma costituzionale sono state devolute
funzioni importanti alle regioni, funzioni legislative o nel campo della sanità
per esempio, ma le regioni a loro volta si sono spesso trasformate in piccoli
Stati, attuando un accentramento altrettanto forte. In altri casi si sono
devolute competenze senza accertarsi che ci fossero le capacità e le condizioni
per poterle esercitare. Con lo stesso pressapochismo oggi si riaccentra.
Quanto alla cosiddetta sussidiarietà orizzontale va
lamentato che non c’è stata una valorizzazione dell’associazionismo familiare o
cooperativo. Basti pensare, per esempio, a come il sistema scolastico sia
ancora molto chiuso e fortemente dipendente dalle istituzioni, tramite le quali
e in dispregio della partecipazione dei genitori, spesso vengono impartiti
insegnamenti – si pensi alla questione gender – tanto sbagliati quanto imposti
con pervicacia. C’è molto da fare perché i corpi intermedi vengano veramente
valorizzati come chiedeva Leone XIII.
Nel suo libro A compromesso alcuno. Fede e politica
dei principi non negoziabili, scrive che “nella mente di tanti cristiani”
non esiste più il concetto di militanza cattolica. La Rerum Novarum è
minata dunque a causa di una certa ritrosia del mondo cattolico a promuovere la
dimensione pubblica della fede?
Il concetto di “militanza” sembra appartenere
all’epoca delle ideologie e delle grandi contrapposizioni di paradigmi sociali
che abbiamo vissuto ma che ora sono superate. Anche allora, però, i cattolici
non combattevano tanto contro le ideologie o contro i paradigmi sociali del
tempo quanto contro il male. Si opponevano al male e alla sua
istituzionalizzazione politica tramite le leggi e le politiche appunto. Ora, le
ideologie possono essere finite, almeno nella forma di macrovisioni della
realtà che abbiamo conosciuto in passato, ma il male non è finito. Non è più
portato avanti da eserciti di militanti, sotto bandiere e striscioni, con
marce, simboli, adunanze oceaniche, stampa organica, gerarchie rigide e così
via. Ma è ugualmente portato avanti. Sembra quasi che la fine delle ideologie
dispensi i cattolici dall’impegno non tanto contro le ideologie quanto contro
il male che in altre forme continua ad essere promosso. E, ciò che conta per il
nostro discorso, che continua a venire istituzionalizzato in leggi e politiche.
Qui si inserisce il discorso della dimensione pubblica
della fede. Molti la riducono ad una testimonianza personale con la quale i
cristiani dovrebbero “animare” la società e la politica. Vivendo una vita
spirituale personale religiosa intensa e autentica, i cattolici indirettamente animerebbero
anche gli ambiti sociali della loro presenza, dal lavoro alla scuola, dalla
famiglia alla politica. Ma questa è una concezione debole della dimensione
pubblica della fede. Partendo da qui si capisce che il concetto di militanza
sia messo da parte, sgradito perché ritenuto troppo invasivo e prepotente. Non
ci sarebbero più mali da combattere ma solo beni da testimoniare personalmente.
Bisogna però chiedersi se le esigenze della dimensione pubblica della fede non
siano anche altre. Il Concilio non si limita a chiedere ai laici una
testimonianza personale di fede vissuta, ma chiede loro anche di ordinare a Dio
le cose del mondo. Ordinare a Dio vuol dire ordinare al fine ultimo, perché il
senso delle cose deriva loro dal fine cui sono ordinate e ciò vale anche per la
società, la quale è ordinata sì all’uomo, ma non come fine ultimo, come tale
essa è ordinata a Dio. Ordinare vuol dire mettere in ordine, disporre secondo
un ordine. Questo ordine è quello della creazione ed è quello della
ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Questo richiede non solo una
testimonianza personale per essere “sale”, ma un impegno ad ordinare, anche con
le leggi e le politiche, la comunità degli uomini a Dio. La Dottrina sociale
della Chiesa è in fondo lo strumento per collaborare alla realizzazione del
progetto di Dio nel mondo. In questo senso il concetto di “militanza” non è
superato.
Ma ravvede la volontà di rendere vivo e concreto
questo concetto?
Come ho già accennato, se partire
dal progetto di Dio sull’uomo e sul mondo viene inteso come proselitismo,
violenza, occupazione di spazi, lesione della laicità e dei diritti della
secolarizzazione, allora l’atteggiamento cambia. Ci si limiterà ad una
testimonianza personale in un mondo pluralista, senza più pretese di ordinamento
e di militanza. Per alcuni teologi che non si rifanno ai presupposti filosofici
e teologici a cui si rifaceva di Leone XIII, il mondo è il luogo in cui Dio si
rivela nel cammino della storia dell’umanità a cui anche la Chiesa appartiene.
Questa deve, quindi, stare pienamente nel mondo, imparare dal mondo, camminare
insieme con tutti sapendo che in questa storia non ci è mai dato di vedere
pienamente la verità. Per questo motivo sparisce la stessa necessità espressa
da Leone XIII di avere delle associazioni cattoliche a difesa della prospettiva
cattolica considerata nella sua completezza e sparisce quindi anche il concetto
di “militanza”. A ciò si aggiunge un altro elemento. Siccome ogni persona – si
dice – è una realtà molto complessa e nessuna è completamente santa o
peccatrice, bianca o nera, buona o cattiva, ci si deve accompagnare con tutti,
discernendo nel dialogo le vie da seguire e le cose da fare. Credo che sia per
questi due motivi che la militanza oggi viene intesa come atteggiamento settario
e quindi inopportuno.
Osservatorio Internazionale
Cardinale Van Thuân
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