Preghiera 68
10 maggio 2016
Per la fede nella preghiera di liberazione, di guarigione, di consolazione abbiamo bisogno di invocare nella Novena di Pentecoste: Vieni Spirito Santo, vieni per Maria
Liturgia della solennità dell’Ascensione anno C
All’inizio: 234 - Nei cieli un grido risuonò
Alla Comunione: 307 – Sei tu Signore il pane
All’esposizione: 193 – Inni e canti
Omelia
Per un verso la fede è un contatto profondamente personale non con un qualsiasi dio, ma con quel Dio che possiede un volto umano Gesù Cristo figlio di Maria, e che ci ha amati sino alla fine, sino al perdono: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il Risorto, col dono del Suo Spirito, mi mette di fronte al Dio vivente in assoluta immediatezza in modo cioè
che io possa ascoltarlo, parlargli, sentirmi amato e amarlo, perdonato e capace di perdono e così entrare in continuità in comunione con Lui sempre più forte del Maligno, liberarmi, guarirmi, consolarmi in tutte le tribolazioni. Ma questo modo personale con cui Egli arriva al mio cuore avviene all’interno della comunità dove Lui risorto si fa sacramentalmente presente nei riti, in una realtà concreta di amicizia, di fraternità come figli nel Figlio del Padre, a cominciare dalla Chiesa domestica della famiglia, dalla Chiesa locale della parrocchia nella Chiesa particolare della diocesi in comunione con il Vescovo unito al Papa. E quando in parrocchia convengo nella Messa almeno di ogni Domenica, come anche in ogni secondo martedì del mese come in tanti incontri di preghiera, io stesso vengo aperto, strappato dalla mia chiusa solitudine che mi espone a soccombere alla tentazione e all’azione malefica. E mi sento accolto nella vivente comunità della Chiesa che è il Corpo di Cristo di cui Lei è pure Madre dal Calvario, dove il Maligno non può farmi soccombere. “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). Viene cambiata la mia identità essenziale e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io solo, esposto al Maligno, mi viene tolto e viene inserito, vive in un soggetto più grande, nel quale il mio io c’è di nuovo, ma trasformato, purificato, non più solo, non più esposto al Maligno, “aperto” mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il nuovo spazio di esistenza sponsale, familiare, parrocchiale, di amicizia fraterna, nella particolarità di una amicizia preferita, unica e irripetibile. Diventiamo così “uno in Cristo” (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. “Io, ma non più io”, non più solo perché non si può credere, avere fede da soli, pur tuttavia anche se Dio arriva al mio cuore in modo del tutto personale. La fede accade nell’ascolto e l’ascolto implica sempre un patner concreto. La fede non è un prodotto logico della mia riflessione, anche se fa riflettere, e neppure un cercare di penetrare nella profondità del mio essere dono del Donatore divino che fonda il senso religioso della vita che apre alla fede. Entrambe le cose possono essere presenti, ma esse restano insufficienti senza l’ascolto mediante il quale Dio dal di fuori, a partire dalla storia dell’Antico e del Nuovo Testamento da Lui stesso storicamente creata per tutti e per tutto, mi interpella. “Io, ma non più io”: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata sul Battesimo, la formula della risurrezione, del Risorto dentro al tempo nell’Eucarestia e della sua azione nei Suoi sacramenti e nei Sacramentali della Chiesa, la formula della “novità” cristiana chiamata a liberare dal Maligno, dal peccato e a trasformare il mondo. Qui sta la nostra gioia, la nostra sicurezza pasquale. La nostra vocazione e il nostro compito di cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra vita, ciò che lo Spirito santo ha intrapreso in noi col Battesimo fin da bambini e rivissuto solennemente ogni anno nella Veglia pasquale: siamo chiamati a divenire donne e uomini nuovi per poter essere veri testimoni del Risorto più forte del Maligno e in tal modo portatori della gioia e della speranza cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini entro la quale viviamo con il suo amore fino al perdono di cui Lei è Madre.
E tutto è iniziato nel giorno dell’Ascensione del Signore al Cielo, che abbiamo celebrato Domenica e si è compiuto fin dalla prima Pentecoste, che liturgicamente celebreremo Domenica prossima. E la Mamma ci ricorda che anche quel mistero pasquale dell’Ascensione ebbe un impatto molto vivo nel suo cuore e ce lo fa rivivere in questo mese di maggio: fu il giorno in cui Gesù ci ha lasciato per tornare al Padre e per stare sempre con noi sacramentalmente: sarò sempre sacramentalmente con voi, fino al compimento della storia. Quella mattina ci volle tutti riuniti sul monte degli Ulivi poco lontano da Betania. C’erano tutti gli Apostoli, il gruppo delle donne che lo hanno assistito nella sua vita e i discepoli più vicini, più intimi che lo hanno seguito durante la sua attività in Galilea. Gesù aveva completato il suo compito, quel “tutto è realizzato” sulla Croce, voleva dire “tutto è stato portato a compimento” con la morte, risurrezione, ascensione e invio dello Spirito che mi rende sacramentalmente presente. Si era concluso tutto: aveva preparato la sua Chiesa, sacramento universale con cui rimane presente e operante, suo corpo, aveva dato ai suoi Apostoli i mezzi della salvezza per tutti e per tutto, i sacramenti, aveva consegnato loro il suo insegnamento e aveva chiesto di aspettare il dono dell’Amore in persona nella vita trinitaria, il dono dello Spirito santo che celebreremo Domenica perché la Chiesa doveva ricevere la sua anima in continuità o tradizione ed essere sacramentalmente il Cristo vivo sempre per opera dello Spirito Santo, completamente vivo per poter unirsi ad ogni uomo nella libertà, nell’uguaglianza e nella fraternità. La sua Risurrezione e Ascensione esigeva con la Pentecoste la nascita della Chiesa che libera dal peccato e dal Maligno, guarisce, consola.
Ci salutò uno a uno, ci benedisse tutti, ci assicurò di rimanere sempre sacramentalmente con noi, con tutti gli uomini e cominciò a staccarsi da noi e salire fuori dello spazio e del tempo per venire in continuità o tradizione nello spazio e nel tempo sacramentalmente, facendo risuonare la Sua Parola e la sua azione sacramentale di perdono e di amore. E, in questo mese di maggio, il mese della preghiera del rosario insieme in parrocchia o in famiglia, in gruppi contemplando quel distacco. E Maria ricorda altri momenti in parte dolci e felici e in parte dolorosi esperimentati con Lui. Ho pensato al giorno in cui Gesù lasciò la nostra casetta di Nazareth dove l’ho concepito verginalmente per opera dello Spirito santo, fatto crescere e scomparve nelle strade di Galilea per compiere la sua missione di rivelarci il pensiero del Padre, di rivelarci il suo nome e chi è ogni io che il Padre ama fino al perdono. Gesù infatti non parlò mai di Dio chiamandolo “Jahvè”, il “Dio dei Patriarchi”, ma chiamandolo “Padre” di ognuno di noi figli nel Figlio per opera dello Spirito Santo. Anche il giorno in cui ci sentimmo dire, a Giuseppe e a me: “Perché mi cercavate? Non sapevate che devo occuparmi del cose del Padre mio?” e Padre vostro. Così altri momenti in cui Gesù fece rimarcare la sua appartenenza al Padre che lo ha mandato, come se volesse ricordarmi “Io sono anche figlio tuo, ma prima di tutto sono il Figlio del Padre”. Non mi apparteneva. Figlio mio, durante le dieci Ave Maria del Rosario, contempla i misteri della gioia, della luce, del dolore, della gloria per avere un cuore libero e quindi capace di essere amato e di amare veramente tutti e tutto. Ogni attaccamento anche il più piccolo, può impedirci di poter essere liberi e quindi di essere amati e di amare. Ogni attaccamento alle creature anche le più care e amabili come un amico preferito, un fidanzato, un genitore, o un figlio, o un bene che sia frutto di tanta fatica e di tanti sacrifici, può non essere vissuto non sacramentalmente cioè nel rimando come dono di Lui, può trasformarsi nella pretesa di sostituire il tutto che solo Lui può essere nel tuo cuore. E così facile che si nasconda qualche idoletto nelle pieghe più segrete della tua anima e rendere possibile l’azione del Maligno. L’idolo più pericoloso che è sempre presente dentro di te e che si fa sentire anche improvvisamente in ogni circostanza è il tuo Io. Egli le prova tutte per attirare su di sé la tua attenzione e quella degli altri, facendoti dimenticare di vivere come dono nel tuo e altrui essere dono come di tutto il mondo che ti circonda, facendoti dono soprattutto a chi ha bisogno nell’attesa del paradiso. Tenta continuamente di appropriarsi del bene che il Signore ha compiuto per mezzo tuo attribuendolo a te stesso quello che è sempre e proprio soltanto di Lui. Pregando le dieci Ave Maria con questa contemplazione il Rosaro insieme diventa scuola di vita, di liberazione, di misericordia. E la Mamma ci dice: in quei giorni tornavano continuamente dentro l’anima mia pensieri di lode al Signore perché grandi cose ha fatto in me Colui che è potente. Egli ha guardato all’umiltà e alla povertà della sua serva, perciò tutte le generazioni mi chiameranno Beata, a lode e gloria di Dio Padre e del Figlio suo, Gesù. Figlio mio, ogni attaccamento bello, che è un dono che rimanda a Lui concretamente, ma se diventa idolatrato, sostitutivo di Lui, è fonte di tristezza, ti prende la paura di perdere quel riferimento che consideri indispensabile per la tua vita, il timore che venga meno quel bene o quella persona che sentivi come assolutamente necessaria per la tua felicità. Gesù dunque, come lo avevamo conosciuto e goduto, si era staccato da noi. Io però non mi sentivo staccato da Lui nella nuova presenza sacramentale della Chiesa. Sentivo che la sua presenza era sempre viva e posso dirti, figlio mio, che c’è un unico mezzo per sentire la presenza intima e viva di Gesù che ci dona l’amore del Padre più grande di ogni peccato perché ci lasciamo perdonare ed è la preghiera. Non per nulla Gesù ci raccomandò di attendere il dono dello Spirito Santo e questa sera ci invita alla novena per la Pentecoste che inizia giovedì 12 maggio: Vieni Spirito Santo, vieni per Maria. Tutti dopo l’apparizione dell’Ascensione, avendo compreso che sarebbe rimasto sempre presente sacramentalmente, se ne tornarono felici nel Cenacolo per la prima Pentecoste.
Preghiera e catechesi
322 R) Soffio di vita, forza di Dio, vieni Spirito Santo! Irrompi nel mondo, rinnova la terra, converti il cuore! All’anime nostre ferite da colpa tu sei perdono. R) Soffio di vita…
In quella novena di attesa della prima Pentecoste nella preghiera insieme, io, Maria andavo frequentemente col pensiero ai profeti che nei secoli passati avevano parlato del Regno messianico descrivendo con immagini ricche di figure e immagini che si applicano normalmente ai regni della terra. Questo linguaggio, ampiamente utilizzato anche nei Salmi, aveva indotto nel pensiero del popolo e soprattutto dei suoi capi la convinzione che il regno messianico avrebbe avuto un carattere di successo storico, politico: la tentazione diabolica che gli stessi profeti denunciavano.
Anche gli Apostoli, nonostante i ripetuti richiami di Gesù a un regno che non sarebbe stato di questo mondo pur avvenendo nell’amore in questo mondo, non avevano saputo interpretare le parole e i gesti di Gesù profeticamente e soprattutto alcuni di loro, Giuda zelota in particolare, pensavano addirittura a un nuovo davidico nel quale Dio avrebbe liberato il suo popolo dai suoi nemici, dai Romani e avrebbe instaurato un regno di giustizia e di pace.
Lusinghe terrene ci oscuran la mente: tu sei la luce. Arcani misteri agli umili sveli: tu sei sapienza. R)Soffio di vita…
Figlio mio, Gesù ci ha parlato del Regno dei cieli che avviene dentro di noi. Gesù ci ha avvertito che esso esige un radicale cambiamento di mentalità, di prospettiva e di vita, cioè una conversione di fronte alla tentazione di fare di questa vita la vita veramente vita , assimilandoci a Lui nella morte e risurrezione. Tutto questo lasciandoci trasformare dalla Spirito Santo, dall’Amore in persona. Infatti in quella novena di preghiera e di attesa, mi tornavano continuamente alla memoria con chiarezza e forza le parole che l’Angelo mi aveva rivolto a Nazareth trentacinque anni prima: “Non temere, Maria, lo Spirito santo scenderà su te, la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra, perciò colui che nascerà da te sarà Santo, Figlio di Dio e il Signore gli darà il trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà per sempre perché il suo regno non avrà fine”. Come avrei potuto io spiegare, o peggio, far capire agli Apostoli queste cose, se dopo tre anni di catechesi del mio Gesù non erano riusciti a capire? Non mi restava che rendere più forte e intima la mia preghiera interiore e improntare il mio comportamento esteriore a quella serenità e pace della fede che sempre mi hanno accompagnato nei momenti più difficili, fin sul calvario. La mia serenità di fede costituiva per gli Apostoli un motivo di fiduciosa speranza.
Lavoro e fatica consumano l’uomo: tu sei riposo. C’impegnano a lotta le forze del male. Tu sei soccorso. R) Soffio di vita…
Essi sapevano che il Padre aveva messo nel mio cuore una luce per cui potevo leggere interpretare nel Dio che ha assunto un volto umano nel mio grembo verginale cioè Gesù il compiersi del disegno di salvezza universale che il Padre aveva preparato per tutti gli uomini e per tutto il cosmo. I miei silenzi nascevano dal meditare nel mio cuore i vari momenti di questo lungo cammino. A me, come a tutti, il compito di collaborare con piccole occasioni a questo disegno meraviglioso, grandioso del Padre, rimanendo vicina agli Apostoli come Madre e ai discepoli per aiutarli, a fidarsi di Gesù e a fidarsi anche di me, nonostante tutte le difficoltà che gli uomini avevano di dar credito alla testimonianza di noi donne.
I miei silenzi erano eloquenti contro il Maligno che spingeva alla disperazione nelle difficoltà, come per me sotto la croce, e parlavano agli apostoli che erano diventati docili come bambini verso la Mamma data da Gesù in croce. Perfino l’Apostolo Pietro, al quale avevo dedicato una particolare attenzione, si ricordò dell’incarico ricevuto da Gesù, quello, dopo che si era ravveduto “confermare nelle fede i suoi fratelli” cioè gli altri Apostoli e gli altri discepoli. Il rumore di tanti pensieri inutili, di tante ansie e timori, o preoccupazioni, o incertezze o dubbi non ti permette di ascoltare la voce del Signore, la voce dello Spirto Santo, dell’Amore in persona. In quei giorni di preghiera e di attesa nel Cenacolo di Gerusalemme, come state vivendo anche voi, mi tornavano alla memoria con insistenza e sotto una luce nuova le parole dell’Angelo: “Lo Spirito santo scenderà su di te…” e ciò che nascerà da te sarà una folla di figli nel Figlio sempre per opera dello Spirito santo, la tua Chiesa, o Gesù, quella che tu hai concepito dal cuore trafitto e fatta nascere a Pentecoste. Germoglierà nel mio grembo verginale e saranno tanti figli del Padre senza numero, la mia maternità si estenderà senza limiti nei secoli, schiacciando il Maligno, liberando, sanando, consolando. Lo Spirito santo sarà la forza vitale che mi renderà feconda per sempre: ripetete Vieni Spirito santo, vieni per Maria, la vostra Mamma.
A Nazareth la discesa dello Spirito Santo annunciatami dall’Angelo non fu accompagnata da segni esteriori perché si trattava di un fatto personale che aveva lo scopo di offrire al Figlio del Padre la nostra natura umana, nel silenzio di una Incarnazione attraverso il sigillo della verginità. Nel Cenacolo invece l’effusione dello Spirito Santo, che avrebbe fatto nascere la Chiesa, fu accompagna da segni sensibili. Lo Spirito Santo fu presente con la sua onnipotenza non solo nell’Incarnazione, ma anche già nella creazione dell’Universo, nella redenzione dell’umanità perché fu Lui a condurre Gesù nel darsi fino alla fine, fino al sacrificio della Croce, fu lui a risuscitarlo dal sepolcro, fu lui a glorificarlo facendolo entrare nello spazio divino del Padre anche con il corpo ed è Lui che lo rende continuamente presente e operante sacramentalmente per essere in ciascuno di noi; anche nella tua anima figlio mio. Lo Spirito santo opera continuamente: è luce che illumina la tua mente per capire le cose di Dio; è vento gagliardo che spazza via tante foglie morte dall’albero del tuo io; è tuono che fa risuonare la voce del Padre sulla tua sordità interiore; ma lo Spirito santo è soprattutto fuoco che ti rende possibile di amare anche chi non ti ama e di perdonare come Lui ama e perdona.
Nel Cenacolo Egli si era posato sul mio capo come un globo di fuoco dal quale partirono poi dodici fiamme che, come lingue di fuoco, si posarono sul capo degli Apostoli. In quel momento nacque la Chiesa, quella vera, quella unica, fondata da Gesù e animata continuamente dallo Spirito santo. La Chiesa, quella vera, Una, Santa, Cattolica e Apostolica.
L’effusione dello Spirito santo avvenuta nel Cenacolo aveva dunque un significato diverso dall’effusione avvenuta a Nazareth. A Nazareth l’effusione dello Spirito Santo riguarda la mia maternità sul corpo fisico di Gesù, del Figlio di Dio che ha assunto un volto umano uguale a noi per rivelare chi è Dio, Padre, e chi è ogni uomo che egli ama fino al perdono, mentre nel Cenacolo riguardava la mia maternità divina riguardo al “Corpo Mistico” dove il Risorto si fa presente sacramentalmente, cioè la Chiesa dove il Risorto punta a generare figli nel Figlio per opera dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo non mi aveva mai abbandonata lungo il cammino della mia vita, mi faceva comprendere le azioni e le parole compiute da Gesù, i suoi miracoli, la sua passione, la sua morte. Lo Spirito santo mi accompagnò lungo tutta la mia vita, con Gesù e Giuseppe.
Nel nostro cammino al porto celeste: tu sei la guida. Al padre e al Figlio, gloria e lode: tu sei la guida. R) Soffio di vita…
Lo Spirito santo mi illuminò ancora più profondamente in quel mattino della Pentecoste quando vidi gli Apostoli dapprima timidi, quasi paurosi, trasformarsi improvvisamente, in uomini coraggiosi, capaci di non soccombere all’azione del Maligno. Avevano perso ogni timore, ogni incertezza, a tal punto che si precipitarono addirittura nel Tempio a testimoniare apertamente che Gesù è il Dio che possiede un volto umano, che ci ha amato sino alla fine, l’umanità e ogni singolo, il vincitore del Maligno, che ricrea ciò che il peccato distrugge. Il mio cuore si riempì di gioia e si riempie di gioia nella prossima vostra Pentecoste di liberazione, di guarigione, di consolazione.
Venite processionalmente, incominciando da quelli in fondo alla Chiesa
67. O Gesù ti adoro, ostia candida, sotto un vel di pane, nutri l’anima, solo in Te il mio cuore si abbandonerà. Perché tutto è vano se contemplo Te. Ora guardo l’Ostia che si cela a me. Ardo dalla sete di vedere Te: Quando questa carne si dissolverà, il tuo viso luce, si disvelerà. Amen.
Preghiamo. Ascolta o Padre chi è convenuto in questa preghiera di liberazione, di guarigione, di consolazione e continua questa sera i prodigi che hai operato agli inizi della predicazione del Vangelo. Per il nostro Signore Gesù Cristo…
Amen
Dio sia benedetto…
Ed ora il sacramentale dell’acqua benedetta ed esorcizzata
Preghiamo. Signore Dio onnipotente, fonte e origine dell’anima e del corpo, Benedici + quest’acqua e fa che ce ne serviamo con fede per implorare il perdono dei nostri peccati e la grazia di essere sorretti in ogni infermità e difesi da ogni insidia del nemico. La tua misericordia, o Padre, faccia scaturire per noi l’acqua viva della salvezza, perché possiamo accostarci a Te, con cuore puro, e fuggire ogni pericolo dell’anima e del corpo. Per Cristo nostro Signore.
Amen
Prossimo e ultimo incontro di quest’anno martedì 14 giugno 285 – Regina coeli…
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