Norme dottrinali per un disernimento pastorale

AMORIS LAETITIA
Norme dottrinali per un discernimento pastorale in continuità dinamica con il magistero cattolico
Angel Rodriguez Luňo
IV.20.2016

L’Esortazione Apostolica Amoris laetitia offre le basi per dare un nuovo impulso molto necessario alla pastorale familiare in tutti i suoi aspetti. Nell’VIII capitolo si parla delle situazioni delicate nelle quali si manifesta maggiormente la debolezza umana. La linea proposta da Papa Francesco si può riassumere con le parole che  costituiscono il titolo del capitolo: ”Accompagnare, discernere e integrare la fragilità”. Siamo invitati a evitare giudizi sommari e atteggiamenti di rifiuto o esclusione, e ad assumere invece il compito di discernere le diverse situazioni, avviando con gli interessati un dialogo sincero e pieno di misericordia. “Si tratta di un
itinerario di accompagnamento e di discernimento che ‘orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla  vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere. Dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cfr. Familiaris Consortio, 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità e di carità del Vangelo proposte dalla Chiesa “’ . 
Sembra utile ricordare alcuni punti che conviene tenere presenti affinché il processo di discernimento sia conforme agli insegnamenti della Chiesa , che il Santo Padre presuppone e che non ha assolutamente voluto cambiare.

Per quanto si riferisce ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, la Chiesa ha insegnato sempre e in ogni luogo che “chi è consapevole di aver commesso un peccato grave, deve ricevere il sacramento della Riconciliazione prima di accedere alla Comunione” . La struttura fondamentale del sacramento della Riconciliazione “comporta due elementi ugualmente essenziali: da una parte, gli atti dell’uomo che si converte sotto l’azione dello Spirito Santo, cioè la contrizione, la confessione e la soddisfazione; e dall’altra parte, l’azione di Dio attraverso l’intervento della Chiesa” . Se mancasse del tutto la contrizione perfetta o imperfetta (attrizione), che include il proposito di cambiar vita ed evitare il peccato, i peccati non potrebbero essere perdonati, e se malgrado ciò fosse impartita l’assoluzione, essa sarebbe invalida .

Il processo di discernimento deve essere coerente anche con la dottrina cattolica sulla indissolubilità del matrimonio, il cui valore e attualità il Papa Francesco sottolinea fortemente. L’dea che le relazioni sessuali nel contesto di una seconda unione civile sono lecite, comporta che questa seconda unione sia considerata un vero matrimonio, e allora si entra in contraddizione oggettiva con la dottrina sull’indissolubilità, secondo la quale il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto neppure dalla potestà vicaria del Romano Pontefice ; se, invece, si riconosce che la seconda unione non è un vero matrimonio, perché il vero matrimonio è, e continua ad essere solo il primo, allora si accetta uno stato e una condizione di vita che “contraddicono oggettivamente  a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata nell’Eucaristia” . Se, inoltre, la vita more uxorio nella seconda unione si considerasse moralmente accettabile, si negherebbe il principio fondamentale della morale cristiana secondo il quale le relazioni sessuali sono lecite solo dentro al matrimonio legittimo. Per questo motivo, la Lettera della Congregazione della Dottrina della Fede del 14 settembre 1994 diceva: “Il fedele che convive abitualmente ‘more uxorio’ con una persona che non è la legittima sposa né il legittimo marito, non può accedere alla Comunione Eucaristica. Nel caso che egli lo consideri legittimo, i pastori e i confessori, data la gravità della materia e le esigenze del bene spirituale della persona e del bene comune della Chiesa, hanno il grave dovere di avvertire che un tale giudizio di coscienza è completamente contrario alla dottrina della Chiesa ”. 

Il Papa Francesco ricorda giustamente che possono esistere azioni gravemente immorali dal punto di vista oggettivo che, sul piano soggettivo e formale non siano imputabili o non lo siano pienamente, a causa dell’ignoranza, della paura o di altre attenuanti che la Chiesa ha sempre tenuto in conto. Alla luce di questa possibilità, non si potrebbe affermare che chi vive in una situazione matrimoniale “irregolare” sia necessariamente in stato di peccato mortale . La questione è delicata e difficile perché si è sempre riconosciuto che “de internis neque Ecclesia iudicat”, circa lo stato più intimo della coscienza neppure la Chiesa può giudicare. Per questo la Dichiarazione del Consiglio Pontificio per i Testi legislativi, rispetto al canone 915, citata da Papa Francesco  nella quale si diceva che la proibizione di ricevere l’Eucarestia  comprende anche i fedeli divorziati risposati, ha messo ogni cura nel precisare che cosa si deve intendere per peccato grave nel contesto di questo canone. Il testo della dichiarazione dice. “La formula ‘e coloro che ostinatamente persistono in un manifesto peccato grave’ è chiara, e si deve intendere in modo che non si deformi il suo significato rendendo inapplicabile la norma. Le tre condizioni che ci devono essere per l’applicabilità della norma, sono: a) il peccato grave, inteso oggettivamente, perché il ministro della Comunione non può giudicare l’imputabilità soggettiva; b) l’ostinata perseveranza, che significa l’esistenza di una situazione oggettiva di peccato che dura nel tempo e alla quale la volontà del fedele non mette fine; c) il carattere manifesto della situazione di peccato grave abituale” .

La stessa Dichiarazione chiarisce che non si trovano in questa situazione di peccato grave abituale i fedeli divorziati risposati che, non potendo interrompere la convivenza per cause gravi, si astengono dagli atti propri dei coniugi, rimanendo l’obbligo di evitare lo scandalo, dal momento che il fatto di non vivere more uxorio, è di per sé occulto . Al di fuori di questo caso, nell’attenzione pastorale di questi fedeli si dovrà tenere in conto anche che sembra molto difficile che coloro che vivono in una seconda unione abbiano la certezza morale soggettiva dello stato di grazia, poiché solo mediante l’interpretazione di segni oggettivi questo stato potrebbe essere conosciuto dalla propria coscienza e da quella del confessore. Inoltre, si dovrebbe distinguere tra una vera certezza morale soggettiva e un errore di coscienza che il confessore ha l’obbligo di correggere come si è detto prima, poiché nell’amministrazione del sacramento il confessore è non solo padre e medico, ma anche maestro e giudice, tutti compiti che deve certamente compiere con la massima misericordia e delicatezza, e cercando innanzitutto il bene spirituale di chi si avvicina alla confessione.

Gli aspetti dottrinali menzionati che appartengono all’insegnamento multisecolare della Chiesa, e molti di essi al magistero ordinario e universale, non devono impedire ai sacerdoti di impegnarsi con spirito aperto e cuore grande in un dialogo cordiale di discernimento. Come scrive Papa Francesco, si tratta di “evitare il grave rischio di messaggi sbagliati, come l’idea che qualche sacerdote possa concedere rapidamente «eccezioni», o che esistano persone che possano ottenere privilegi sacramentali in cambio di favori. Quando si trova una persona responsabile e discreta, che non pretende di mettere i propri desideri al di sopra del bene comune della Chiesa, con un Pastore che sa riconoscere la serietà della questione che sta trattando, si evita il rischio che un determinato discernimento porti a pensare che la Chiesa sostenga una doppia morale” . Al contrario, sapendo che la varietà delle circostanze particolari è molto grande, come è molto grande pure la sua complessità, i principi dottrinali sopra menzionati dovranno aiutare a discernere il modo di aiutare le persone interessate a intraprendere un cammino di conversione che le conduca a una maggiore integrazione nella vita della Chiesa e, quando sia possibile, ad accedere ai sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia.
La novità in Amoris Laetitia è la maggiore integrazione di tutti i fedeli nella vita della Chiesa

15 aprile 2016

Intervista a Miguel Ángel Ortíz, Professore di Diritto Matrimoniale Canonico all’Università Pontificia della Santa Croce a Roma sulla recente esortazione apostolica pubblicata dal Papa.

Due anni di lavoro sinodale si concludono ora con questo documento. Che cosa si può dire per predisporci alla lettura di ‘Amoris Laetitia’?.

Credo che l’esortazione, come la stessa celebrazione delle due assemblee del Sinodo dei Vescovi, obbedisce alla convinzione del Papa Francesco circa il ruolo fondamentale che gioca la famiglia nella vita della società e della Chiesa. Poco dopo essere stato eletto, il Papa doveva decidere il tema dell’assemblea del Sinodo prevista per l’anno 2015 e scelse quello della pastorale familiare: qualche volta, riferendosi al modo con cui era arrivato a questa decisione, ha detto: “Sono sicuro che è stato lo Spirito del Signore che mi ha portato alla scelta di questo titolo: ne sono sicuro perché oggi la famiglia ha bisogno di molto aiuto pastorale”.

Il Papa ha voluto offrire una riflessione eminentemente positiva, come rivela lo stesso titolo: la gioia dell’amore, proprio perché solo presentando la sua bellezza il matrimonio può risultare attraente, in un mondo che sembra cogliere solo la cultura di ciò che è provvisorio, di ciò che è da scartare.

L’impressione che lascia, terminandone la lettura, è quella di un panorama pieno di speranza: attraente e allo stesso tempo realista, “con i piedi per terra”, come dice graficamente all’inizio dell’esortazione.

Quali sono i punti più importanti di questo documento?

Il punto di partenza è la presentazione del Vangelo della famiglia (“Alla luce della Parola”), poi riflette sulla situazione attuale delle famiglie “con l’obiettivo di tenere i piedi per terra”, come ho appena indicato, ricorda alcune questioni fondamentali dell’insegnamento della Chiesa sul matrimonio e la famiglia e si sofferma su ciò che il Papa considera i capitoli centrali del documento: l’amore nel matrimonio (cap. 4) e l’amore che diventa fecondo (cap. 5). Propone una riflessione sulla pastorale familiare (prima e dopo la celebrazione delle nozze) e l’educazione dei figli e di seguito affronta la questione che ha suscitato maggiore interesse nei mezzi di comunicazione: il discernimento pastorale di fronte alle cosiddette situazioni irregolari. Nell’ultimo breve capitolo offre alcune considerazioni di spiritualità familiare.

Mi sembra che il Papa abbia voluto evitare che si centri l’attenzione esclusivamente sulla questione dell’ammissione dei divorziati all’Eucarestia, e soprattutto che lo si faccia con una impostazione puramente casuistica. Per questo si estende minuziosamente sugli aspetti teologici, antropologici, pastorali che ci mettono davanti agli occhi un ideale davvero attraente: un amore che realizza la vocazione più radicale dell’uomo al dono di sé, che diventa possibile perché si basa sulla fedeltà di Dio, che sostiene le famiglie anche nei momenti di difficoltà.

Qui trova le sue radici, a mio parere, una delle chiavi di interpretazione del documento. Da un lato, presentare la bellezza del matrimonio e della famiglia anche a rischio che le sue esigenze non siano comprese né accettate. “Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio in modo tale da non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti d’inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire (n. 35).

Dall’altro, questo modello non è solo un ideale da ammirare, ma rappresenta una meta realmente raggiungibile, anche se talvolta può risultare ardua. Quando contempla “le famiglie ferite” lo fa con uno sguardo incoraggiante; chiama le “situazioni matrimoniali irregolari” “situazioni che non rispondono pienamente a ciò che il Signore ci propone”, proprio perché l’obiettivo è di aiutare tutte le persone a vivere in accordo con la volontà di Dio.

Ritiene che sia un documento ‘rivoluzionario’?

Certamente non è rivoluzionario per il fatto di proporre una dottrina nuova. Infatti il Papa manifesta in varie occasioni la continuità del suo magistero con quello precedente, specialmente con la Familiaris consortio. Rispetto alle questioni dottrinali fondamentali o a quelle che stanno al centro dei dibattiti dell’opinione pubblica, il Papa manifesta espressamente la vigenza della dottrina della Chiesa, alla quale ricorre spesso mediante citazioni del Catechismo della Chiesa Cattolica e del magistero dei suoi predecessori. Ugualmente manifesta la sua volontà di non modificare la normativa vigente.

A questo riguardo, si può citare ciò che il Papa Francesco scrisse nell’esortazione Evangelii gaudium a proposito del modo di trasmettere il messaggio cristiano: così come tutte le virtù si vivono in maniera armonica, anche “ogni verità si comprende meglio se la si mette in relazione con l’armoniosa totalità del messaggio cristiano, e in questo contesto tutte le verità hanno la loro importanza e si illuminano reciprocamente”(n.39). Ossia non è necessario riaffermare continuamente qual è la dottrina comune.  Se non si afferma un principio, non vuol dire che lo si sta negando.

Appare invece una novità, l’accento che il Papa mette sul discernimento della situazioni che devono essere illuminate alla luce del Vangelo. Per riferirmi alla questione che probabilmente provocherà maggiore quantità di commenti nell’opinione pubblica, quella dei divorziati che si sono risposati, il Papa rimanda –come faceva la Relatio del 2015 – al criterio della Familiaris consortio 84. Lì, San Giovanni Paolo II sottolineava la necessità di discernere fra le diverse situazioni irregolari: “I pastori, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C'è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell'educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”.

Dov’è la novità?

La novità non è tanto nella valutazione morale dei comportamenti – diversa in rapporto alla responsabilità che i fedeli hanno avuto nella rottura del matrimonio precedente e nella costruzione di una nuova unione – né nel giudizio disciplinare delle situazioni, ma nella prospettiva di una maggiore integrazione dei fedeli, di tutti i fedeli, nella vita della Chiesa.

Il Papa sottolinea chiaramente che “si tratta di integrare tutti, si tratta di aiutare tutti a trovare il proprio modo di partecipare alla comunità ecclesiale, perché si sentano oggetto di una misericordia «immediata, incondizionata e gratuita». Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del Vangelo” (n. 297)
La limitazione che possono incontrare alcuni fedeli – concretamente i divorziati che si sono risposati –  per accedere ai sacramenti non deriva da una presunzione che sono in peccato –questione questa che devono discernere in ciascun caso con l’aiuto del confessore – ma della incompatibilità oggettiva che c’è tra il significato del sacramento dell’Eucaristia e la loro situazione matrimoniale.

Ma ciò non vuol dire che siano fuori dalla Chiesa. Come già aveva sottolineato la Familiaris consortio, non solo non sono scomunicati, ma sono chiamati a partecipare alla vita della Chiesa. Dovranno discernere in ogni caso – e qui si coglie buona parte della novità del presente documento – come concretare questa partecipazione.

Il documento fa pure un’autocritica su come la Chiesa ha presentato fino ad ora il matrimonio e offre un nuovo linguaggio, nuove mete. Dunque, che cosa dovrebbe cambiare adesso?

La proposta del Papa è molto attraente, e allo stesso tempo esigente. Il Papa presenta un modello che riempie di gioia, proprio perché ricorda la donazione di Cristo, che è allo stesso tempo attraente ed esigente.

Secondo me, il frutto più auspicabile dell’esortazione sarebbe che la nuova prospettiva, la pastorale di integrazione di cui parla la Amoris Laetitia, incoraggi tutti i fedeli a proporsi la meta alta della pienezza della vita cristiana, alla quale forse si dirigeranno poco a poco, gradualmente. Disgraziatamente, riferendomi specificatamente ai divorziati risposati, oggigiorno la maggioranza dei fedeli mostra indifferenza circa la possibilità di frequentare i sacramenti. Magari fossero molti i divorziati risposati che sentono la necessità di ricevere la comunione, poiché manca loro la piena partecipazione alla comunione eucaristica. Alimentare questo desiderio sincero ritengo che sarebbe il miglior frutto dell’esortazione. Più che offrire loro un “certificato di normalità”, il pastore deve aiutarli a discernere qual è il cammino che devono percorrere per vivere in accordo con la volontà di Dio.

Si noti bene, che il discernimento richiesto - che esige una retta formazione della coscienza e una docilità alla grazia - non verte sul fatto se possono accedere o no alla comunione, impostazione che facilmente cadrebbe nella casuistica, che Francesco ha denunciato in più di una occasione come un inganno simile a quello che i farisei tendono a Gesù, quando esigono da lui una risposta sulla legge del ripudio. No: il discernimento è più serio, verte sulla volontà di Dio per la persona, nelle sue  circostanze, passa attraverso la conversione e il desiderio di cambiare e di accogliere la sua misericordia.

Ossia, il pastore aiuterà il fedele a riconoscere – con una coscienza formata – qual è il cammino che il Signore gli indica per fare la sua volontà. Lo aiuterà a riconoscere la sua responsabilità nella distruzione del precedente matrimonio (responsabilità che può non avere, se è stato abbandonato dal coniuge), nel modo di compiere gli obblighi sorti dall’unione precedente, specialmente se da quell’unione sono nati dei figli, nella decisione di sposarsi civilmente, nella costruzione della nuova relazione, nell’educazione dei figli…

Nell’esaminare ogni caso bisogna distinguere bene la responsabilità morale delle decisioni del passato dalla situazione attuale. Ciò che impedisce l’accesso ai sacramenti non sono i peccati passati (che si possono perdonare), ma la situazione attuale che contraddice il significato di comunione che hanno il matrimonio e l’Eucaristia. Per questo, il compito del discernimento e della scoperta del miglior modo di partecipare alla vita della Chiesa implica, ma non in modo esclusivo, la prospettiva di una possibile ammissione si sacramenti. Il Signore offre il suo aiuto ai fedeli in modi che ci possono apparire insospettati: come piace al Papa di ripetere: Dio “non finisce di sorprenderci”.

Nel recente viaggio del Papa in Messico, Francesco si è commosso per la testimonianza di una coppia che si trovava in una situazione irregolare. Gli dissero: “Non possiamo accedere all’Eucaristia, ma possiamo comunicarci mediante il fratello bisognoso, il fratello malato, il fratello privato della sua libertà; in questo modo cerchiamo di trasmettere l’amore di Dio”.

Perché crede che questo documento abbia risvegliato tanto interesse nella società?

Credo in effetti che l’interesse suscitato sia stato grande, anche se non sempre sono state uguali le aspettative. Per la maggioranza dei fedeli sarà uno stimolo per riscoprire la bellezza, la gioia dell’amore famigliare che rende presente e si sostiene grazie all’amore di Dio. Aiuterà costoro a vivere la vocazione familiare e a superare le difficoltà con maggiore speranza, confidando nell’aiuto misericordioso di Dio.

Ma quanti si aspettavano una soluzione nuova alla questione dell’ammissione ai sacramenti dei divorziati risposati temo che rimarranno delusi. Il Papa ha voluto espressamente evitare di dare una nuova norma a cui ricorrere per risolvere i casi che si presentino: dice insomma che questo sarebbe troppo comodo.

Il rimando espresso alla soluzione della Familiaris consortio, con il profondo richiamo al compito di discernimento e di formazione della coscienza, apre prospettive pastorali enormemente ambiziose. Se si presume la buona volontà di chi cerca non il consenso degli uomini ma quello di Dio, questo cammino di continuo  ritorno verso la casa del Padre riempie i cuori di gioia anche se il cammino non è necessariamente facile.

Nel n. 84 della Familiaris consortio, ripetutamente citato da Francesco, San Giovanni Paolo II alludeva alla diversità di situazioni in cui si trovano i fedeli che cercano un aiuto pastorale. C’è il divorziato che era stato abbandonato, c’è chi è stato colpevole del disastro, ma che poi si è convertito, c’è chi è convinto in coscienza della nullità del suo precedente matrimonio.

San Giovanni Paolo II chiedeva di accogliere tutti con misericordia, mentre allo stesso tempo suggeriva la possibilità che, in qualche caso, alcuni possano essere ammessi alla penitenza e all’Eucaristia: quando “pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti a una forma di vita che non contraddica l’indissolubilità del matrimonio. Ciò significa concretamente che quando l’uomo e la donna, per motivi seri, - come per esempio l’educazione dei figli -, non possono compiere l’obbligo della separazione, «si impegnano a vivere in piena continenza, ossia astenendosi dagli atti propri degli sposi»”.

Potrebbe sembrare che questa soluzione sia poco realista. Ma quando il fedele si mette seriamente alla ricerca della volontà di Dio e non alla ricerca del riconoscimento degli altri, questa soluzione non è in assoluto illusoria. Tutti noi sacerdoti abbiamo l’esperienza di aver conosciuto coppie che con sforzo, fiducia nella grazia e con il proprio impegno hanno preso questa decisione e – meraviglie della pedagogia e della misericordia divine – si sono visti confortate dalla grazia di Dio. 

Il Papa ricorda pure nell’esortazione i suoi due recenti documenti che hanno portato a semplificare le procedure per una eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Secondo la sua esperienza professionale in questo ambito, in che modo questo potrà essere di aiuto nella pastorale familiare?

In effetti, nel numero 244 sono menzionati i recenti motu proprio con i quali il Papa ha modificato il processo di nullità del matrimonio. Come egli stesso ha sottolineato in più di un’occasione, questa riforma ha come obiettivo di rendere più agevoli i processi, di farli più vicini ai fedeli, ma non intende di rendere relativa l’indissolubilità del matrimonio..

Il Papa ha deciso di sopprimere alcuni elementi del processo (la necessità di ottenere due sentenze affermative, principalmente) e ha facilitato un procedimento più breve nei casi in cui la nullità risulta più chiara per la presenza di elementi –alcune circostanze, documenti, ecc. – e (congiunzione da eliminare)  che la presentano come manifesta fin da primo momento.
L’elemento che non può essere modificato invece è quello che costituisce la stessa essenza del processo di nullità: il suo carattere dichiarativo (il giudice non scioglie né rompe il matrimonio, ma dichiara che fin dall’inizio c’è stato un vizio che ha impedito che realmente si desse un consenso efficace) e la certezza che il giudice deve raggiungere quando detta la sentenza. Il giudice deve essere moralmente certo della nullità del matrimonio, senza avere dubbi ragionevoli circa la sua validità; infatti in questo caso sarebbe obbligato a dare una sentenza negativa.

Come è evidente, e lo stesso Papa lo ricorda nel numero menzionato, la riforma appena promulgata costituisce “una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare essi stessi alcune cause e a garantire, in ogni modo, un’accessibilità più facile per i fedeli alla giustizia”.

Desidera mettere in luce qualche altro punto?

Sì, in realtà vorrei segnalare due cose. Da un lato la necessità di evitare il pregiudizio di leggere tutto il documento in chiave casuistica, intorno alla questione dell’ammissione dei divorziati ai sacramenti. Il Papa vuole evitare questo riduzionismo, proprio offrendo un modello ambizioso, attraente e realizzabile, con l’aiuto della grazia.

D’altro lato, una questione alla quale si può dare inavvertitamente poca importanza, che invece, secondo me, costituisce la grande sfida della pastorale familiare: quella della preparazione al matrimonio.  Inoltre, sembra ovvio che, migliorando la preparazione che porti i fedeli a sposarsi con una maggiore maturità umana e soprannaturale, si potrebbero evitare più efficacemente le crisi coniugali.

Il vero problema non è se ammettere i divorziati ai sacramenti; occorre chiedersi perché sono tanti i matrimoni che falliscono. La pastorale deve andare alla radice del problema, e puntare ad evitare la moltiplicazione dei fallimenti, con una migliore preparazione al matrimonio e un più serio accompagnamento pastorale delle coppie e delle famiglie.

Intervista di Rocío Lancho García (via almudi.org) 

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