Domenica di Pasqua
È un “segno dei tempi” che in quest’anno giubilare la misericordia di Dio diventi sempre più centrale e dominante
A partire da Santa Faustina, le cui visioni riflettono in profondità l’immagine di Dio accolta dall’uomo d’oggi nel suo desiderio della bontà divina, dal venerdì santo la novena della Divina misericordia e la festa nella seconda domenica di Pasqua. Costatando tutta la crudeltà degli uomini, la misericordia è l’unica vera e ultima reazione efficace contro la potenza del male. Solo là dove c’è misericordia finisce la
crudeltà, finiscono il male e la violenza e si riconoscono i propri peccati. E’ la misericordia quello che ci muove verso Dio, mentre la giustizia ci spaventa al suo cospetto. Sotto la patina della sicurezza di sé e della propria giustizia l’uomo di oggi nasconde una profonda conoscenza delle sue ferite e della sua indegnità di fronte a Dio. Egli è in attesa della misericordia. Non è di certo un caso che la parabola del buon samaritano sia particolarmente attraente per noi contemporanei. Noi uomini nel nostro intimo aspettiamo che Dio da buon samaritano venga in nostro aiuto, si curvi su di noi, versi olio sulle nostre ferite, si prenda cura di noi e ci porti al riparo. Sappiamo di aver bisogno della misericordia di Dio e della sua delicatezza, della sua tenerezza nella concretezza di un volto umano. Nella durezza del mondo tecnicizzato che impietrisce il cuore, nel quale i sentimenti rischiano di non contare più niente nemmeno nel rapporto originario uomo-donna, aumenta però l’attesa di un amore salvifico che venga donato gratuitamente. Nel rapporto con Dio al centro non è il peccato ma la misericordia che perdona. E tutto in questi tre giorni ha parlato di misericordia, come nel sacramento della Riconciliazione, della Confessione nel quale il padre ricrea nella morte e risurrezione di Cristo, con il dono dello Spirito santo ciò che il peccato mortale ha distrutto, il peccato veniale ha rovinato. Il racconto della Passione secondo Giovanni ha offerto la chiave per comprendere il senso profondo del Triduo pasquale dicendo: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”, fino a lasciarsi uccidere come malfattore. L’amore di Dio non ha limiti, è un amore che va fino alla fine senza fine. Nella Passione, Dio con un volto umano si è offerto veramente tutto per ciascuno di noi e non si risparmia in nulla. Il Mistero, che nel bacio del Crocefisso, abbiamo adorato è una grande storia di amore che non conosce ostacoli. La Passione cioè l’amore di Gesù dura fino alla fine del mondo, perché è una storia di condivisione con le sofferenze di tutta l’umanità e una permanente presenza nelle vicende della vita personale di ognuno e dell’umanità nel suo insieme.
Tutto il Triduo Pasquale è memoriale di un dramma d’amore che ci dona la certezza che non saremo mai abbandonati nelle prove della vita. Con l’Istituzione dell’Eucarestia e del Sacerdozio nel Giovedì Santo Gesù ha anticipato il sacrificio del Golgota che rende attuale in ogni Messa. Per far comprendere ai discepoli l’amore che lo anima, ha lavato loro i piedi, offrendo ancora una volta l’esempio in prima persona come loro stessi dovranno agire. L’Eucarestia almeno della Domenica è amore che si fa servizio tutta la settimana. E’ la presenza sublime di Cristo risorto che desidera sfamare ogni uomo, soprattutto i più deboli, per renderli capaci di un cammino di testimonianza tra le difficoltà del mondo. Nello stesso tempo, nel darsi a noi come cibo nella comunione, Gesù attesta che dobbiamo divenire capaci di spezzare con altri questo nutrimento perché diventi in famiglia, in parrocchia, nella società, una vera comunione di vita con quanti sono nel bisogno. Lui si dona a noi e ci chiede di rimanere in Lui per poter fare altrettanto.
Il Venerdì Santo abbiamo vissuto il vertice dell’amore e della misericordia del Signore. Un amore che intende abbracciare tutti, nessuno escluso. Un amore che si estende ad ogni tempo e luogo, a cui ognuno di noi, peccatori, può attingere.
Abbiamo vissuto il sabato santo, il giorno del silenzio di Dio. Gesù deposto nel sepolcro condivide con tutta l’umanità il dramma della morte. Quell’amore silenzioso diventa attesa della risurrezione di cui Maria è già giunta, per noi segno di speranza e di consolazione.
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