La giustizia più grande è la misericordia
L’uomo vive di quell’amore che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza
Papa Francesco ci invita in quest’Anno straordinario del Giubileo a una sincera revisione della nostra vita alla luce degli insegnamenti evangelici. Uno dei temi è il tema della giustizia in rapporto alla misericordia. E San Paolo afferma: “La giustizia di Dio si è manifestata per mezzo della fede in Cristo” (Rm 3,21-22).
Nel linguaggio comune – traggo queste riflessioni dalla
Catechesi di Benedetto XVI sulle tre virtù teologali e le quattro cardinali – la “giustizia” implica “dare a ciascuno il suo”, secondo la nota espressione di Ulpiano, giurista romano del III secolo. Ma in cosa consiste quel “suo” da assicurare a ciascuno? Ciò di cui ogni uomo ha bisogno non può essergli garantito solo per legge, dalla sola ragione. Per godere di un’esistenza in pienezza, gli è necessario qualcosa di più intimo che può essergli accordato solo gratuitamente: l’uomo vive di quell’amore che arriva fino al perdono che solo Dio può comunicargli avendolo creato a sua immagine e somiglianza, libero e quindi capace di amare e di essere amato: siate perfetti cioè misericordiosi com’è il Padre vostro. Sono certamente utili e necessari i beni materiali – del resto Gesù stesso si è preoccupato di guarire gli ammalati, di sfamare le folle che lo seguivano e di certo condanna l’indifferenza che anche oggi costringe centinaia di milioni di esseri umani alla morte per mancanza di cibo, di acqua e di medicine - , ma la giustizia “distributiva” non rende all’essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto. Come e più del pane, egli ha infatti bisogno di Dio, del Dio che possiede un volto umano, che ci ha amati sino alla fine, l’umanità e ogni singolo. La cultura illuminista, pur rifacendosi a tanti elementi di antropologia che la ragione umana può cogliere, non dando spazio pubblico all’elemento della trascendenza storicamente incarnata nel Dio che possiede un volto umano rivelando la verità di chi è Dio e chi è ogni uomo del suo compiacimento, si muove nel nichilismo del provenire dal nulla e finire verso il nulla della polverizzazione e la giustizia garantita solo per legge. E questa non è la giustizia di dare ad ogni essere umano tutto il “suo” che gli è dovuto che solo Dio gli può dare.
L’annuncio cristiano, la storia del cristianesimo risponde positivamente alla sete di giustizia di ogni uomo, come afferma l’apostolo Paolo nella Lettera ai Romani: “Ora invece, indipendentemente dalla Legge, si è manifestata la giustizia di Dio …per mezzo della fede in Gesù Cristo, per tutti quelli che credono. Infatti non c’è differenza, perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio, ma sono giustificati gratuitamente per la sua grazia, per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù. E’ lui che Dio ha stabilito apertamente come strumento di espiazione, per mezzo della fede, nel suo sangue” (3,21-25).
Qual è dunque la giustizia di Cristo che offre a ciascuno il “suo” rivelando il volto del Padre che manifesta la sua onnipotenza con il perdono, con la misericordia ricreando ciò che il male, il peccato ha provocato? E’ anzitutto la giustizia che viene dalla grazia, dove non è l’uomo che ripara, guarisce se stesso e gli altri. Il fatto che l’”espiazione” avvenga nel “sangue” di Gesù significa che non sono i sacrifici dell’uomo a liberarlo dal peso delle colpe, ma il gesto dell’amore misericordioso di Dio che si apre fino all’estremo, fino a far passare in sé la “maledizione” che spetta all’uomo, per trasmettergli in cambio la “benedizione” che spetta a Dio (Gal 3,13-14). Ma ciò solleva subito un’obiezione: quale giustizia vi è la dove il giusto muore per il colpevole e il colpevole riceve in cambio la benedizione che spetta al giusto? Ciascuno non viene così a ricevere il contrario che spetta al ”suo”?
In realtà qui si dischiude la giustizia divina, profondamente diversa da quella umana. Dio ha pagato per tutti noi nel suo Figlio il prezzo del riscatto, un prezzo davvero esorbitante rivelando la sua misericordia. Di fronte alla giustizia della Croce l’uomo si può ribellare, perché essa mette in evidenza che ogni uomo non è un essere autarchico, ma ha bisogno di un Altro per essere pienamente se stesso. Convertirsi a Cristo volto della misericordia del Padre, credere al vangelo, significa in fondo proprio questo: uscire dall’illusione dell’autosufficienza per scoprire e accettare la propria indigenza: indigenza degli altri e di Dio, esigenza del suo perdono, della sua misericordia e della sua amicizia. Questa è l’antropologia cristiana che ha creato originariamente la cultura dell’Europa, dissolta e che continuamente viene dissolta dall’illuminismo e post-illuminismo nichilista, secolarizzato. Benedetto XVI in Spe salvi (n. 19) riporta due scritti di Immanuel Kant. Il primo che esalta la religione nei puri limiti della ragione, la legge per la legge cioè la giustizia garantita solo dalla legge: ”Il passaggio graduale dalla fede ecclesiastica al dominio esclusivo della pura fede religiosa costituisce l’avvicinamento del regno di Dio”. Ci dice che anche le rivoluzioni possono accelerare i tempi di questo passaggio dalla fede ecclesiastica alla fede razionale. Il “regno di Dio”, di cui Gesù aveva parlato ha qui ricevuto una nuova definizione e assunto anche una nuova presenza; esiste, per così dire, una nuova “attesa immediata”: il “regno di Dio” arriva là dove la “fede ecclesiastica” viene superata e rimpiazzata dalla “fede religiosa”, vale a dire dalla semplice fede razionale. Nel 1795, nello scritto “La fine di tutte le cose” appare un’immagine mutata. Ora Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro natura, perversa. Scrive al riguardo: “Se il cristianesimo un giorno dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il suo, pur breve regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo, pur essendo stato destinato ad essere la religione universale, di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo, potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine (perversa) di tutte le cose”.
Il Concilio Vaticano II alla condanna dell’illuminismo ha sostituito il dialogo riconoscendo il valore della ragione ma non disgiunta dalla fede.
Si capisce allora come la fede, con il suo connubio di misericordia e giustizia, sia tutt’altro che un fatto naturale, comodo, ovvio: occorre umiltà per accettare di aver bisogno che un Altro mi liberi del “mio”, per darmi gratuitamente il “suo”. Ciò avviene particolarmente nella celebrazione eucaristica nella quale Dio che ha assunto un volto umano mi rende attuale la sua nascita, la vittima della passione, morte, risurrezione, ascensione, invio dello Spirito e agisce nei sacramenti della penitenza e della comunione necessari per il Giubileo. Grazie all’azione attuale in ogni tempo e luogo di Cristo, noi possiamo entrare nella, giustizia “ più grande”, che è quella dell’amore misericordioso (Rm 13,8-10), la giustizia di chi si sente in ogni caso sempre più debitore che creditore, perché ha ricevuto più di quanto si possa aspettare. Di conseguenza punta con tutti, nella società, nel mondo a questa giustizia “più grande” nel mondo per garantire a ciascuno il “suo”.
Proprio forte di questa esperienza ecclesiale distinta ma lievito di quella socio-politica, ogni cristiano è spinto a contribuire a formare società sempre più giuste, dove tutti ricevono il necessario per vivere secondo la propria dignità di uomini del compiacimento di Dio e dove la giustizia è vivificata dall’amore che giunge fino al perdono, a ricreare ciò che il male ha distrutto o rovinato cioè alla misericordia. “La scienza – sempre Benedetto XVI in Spe salvi (n. 25) – può contribuire molto all’umanizzazione dle mondo e dell’umanità. Essa però può anche distruggere l’uomo e il mondo, se non viene orientata da forze che si trovano al di fuori di essa. D’altra parte, dobbiamo constatare che il cristianesimo moderno, di fronte ai successi della scienza nella progressiva strutturazione del mondo, si era in gran parte concentrato soltanto sull’individuo e sulla sua salvezza. Con ciò ha ristretto l’orizzonte della sua speranza e non ha neppure riconosciuto sufficientemente la grandezza del suo compito – anche se resta grande ciò che ha continuato a fare nella formazione dell’uomo e nella cura dei deboli e dei sofferenti”.
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