Il giubileo della misericordia fa tornare al confessionale
Il Giubileo straordinario della misericordia fa tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il sacramento della riconciliazione, ma anche come luogo in cui “abitare” più spesso per trovare misericordia, consiglio, conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della misericordia divina, accanto alla presenza reale nell’Eucarestia la cui celebrazione non può mancare ogni Domenica
L’anno giubilare è un tempo quanto mai propizio per meditare sulla realtà del peccato alla luce dell’infinita misericordia di Dio, sull’azione sacramentale del Crocefisso risorto nella Sua Chiesa attraverso il Sacramento della penitenza nella sua forma più alta. Mi rifaccio alla catechesi di Benedetto XVI sui
Sacramenti, sul Sacramento della Riconciliazione nella nostra epoca, che purtroppo va sempre più smarrendo il senso del peccato e quindi la gioia del lasciarsi perdonare. In preparazione a questo Natale giubilare esperimento un aumento delle confessioni e punto a far esperimentare a chi si confessa, come invita Papa Francesco, quella tenerezza divina verso i peccatori pentiti che tanti episodi evangelici mostrano con accenti di intensa commozione.
Prendiamo per esempio la pagina famosa del vangelo di Luca che presenta la peccatrice perdonata (Lc 7,36-50). Simone, fariseo e ricco “notabile” della città, tiene in casa sua un banchetto in onore di Gesù. Inaspettatamente dal fondo della sala entra un’ospite non invitata né prevista: una nota prostituta. Comprensibile il disagio dei presenti, di cui tuttavia la donna non pare preoccuparsi. Essa avanza e, in modo piuttosto furtivo, si ferma ai piedi di Gesù. Le sono giunte all’orecchio le sue parole di perdono e di speranza per tutti, anche per le prostitute: è commossa e se ne sta lì silenziosa. Bagna con le lacrime i piedi di Gesù, li asciuga con i capelli, li bacia e li unge di un soave profumo. Così facendo la peccatrice vuole esprimere l’affetto e la riconoscenza che nutre verso il Signore con gesti a lei familiari, anche se socialmente censurati.
Di fronte all’imbarazzo generale, è proprio Gesù ad affrontare la situazione: “Simone, ho una cosa da dirti”. “Parla pure, Maestro”, gli risponde il padrone di casa. Conosciamo tutti la risposta di Gesù con una parabola che potremmo riassumere nelle seguenti parole che il Signore sostanzialmente dice a Simone: “Vedi? Questa donna sa di essere peccatrice e, mossa dall’amore, chiede comprensione e perdono. Tu, invece, presumi di essere giusto e sei forse convinto di non aver nulla di grave da farti perdonare”.
Meraviglioso il lieto annuncio, il Vangelo che traspare dal brano evangelico: a chi molto ama, Iddio tutto perdona. Chi confida in se stesso e nei propri meriti è come accecato dal suo io e il suo cuore si indurisce nella propria situazione di peccato. Chi invece, non soccombendo alla tentazione del Serpente antico che oscura la coscienza, si riconosce debole e peccatore si affida a Dio e da Lui ottiene grazia e perdono. E’ proprio questa l’evangelizzazione da far risuonare nell’anno giubilare della misericordia: ciò che più conta è di far comprendere che nel Sacramento della Riconciliazione, qualsiasi peccato si sia commesso, se lo si riconosce umilmente e ci si accosta fiduciosi al Padre attraverso la Chiesa nel sacerdote confessore, si sperimenta sempre la gioia pacificatrice del perdono di Dio. Urge avere confessori ben formati dal punto di vista dottrinale alla luce della Veritatis splendor e di far esperimentare ai penitenti l’amore misericordioso del Padre celeste attraverso Cristo che ne è il volto. Oggi si assiste ad una certa disaffezione nei confronti di questo sacramento a volte anche per il modo di celebrarlo. Quando si insiste solo sull’accusa dei peccati, che pure deve esserci e occorre aiutare i fedeli a comprenderne l’importanza, si rischia di relegare in secondo piano ciò che in esso è centrale, e cioè l’incontro personale con Dio, Padre di bontà e di misericordia nella larghezza del suo amore cioè non esclude nessuno, nella lunghezza cioè è perseverante e nessuna difficoltà lo vince, l’altezza cioè si propone un fine altissimo, riportare ogni uomo a essere in Cristo figlio nel Figlio, la profondità cioè condivide fino in fondo le miserie di ogni uomo. Nel cuore della celebrazione sacramentale non sta il peccato, ma la misericordia di Dio sul peccato, misericordia che è infinitamente più grande di ogni nostra colpa. Il Padre prova gioia ed esercita la sua onnipotenza nel perdonare, non guarda quante volte cadiamo, ma quante volte, con il suo perdono ci rialziamo e tentiamo, ritentiamo con fiducia e speranza anche non riuscendo nella fede che Cristo porterà a compimento, non noi.
La predicazione dei pastori e specialmente lo stile die confessori è quello di porre in evidenza il legame stretto che esiste tra il sacramento della riconciliazione e un’esistenza tutta orientata decisamente alla conversione. Nell’Anno giubilare della misericordia occorre promuovere una mentalità di rapporto tra misericordia e conversione, tra sacramento della confessione e una vita tesa a tentare e ritentare di assimilarci a Cristo nell’amore con il dono del Suo Spirito che sostenga ed alimenti l’impegno ad essere fedeli discepoli del Signore. Papa Francesco ricorda che nel Giubileo della misericordia occorre ravvivare una vita cristiana che tenda continuamente alla conversione, alla riforma della Chiesa e quando ci si accosta mensilmente al sacramento della riconciliazione resti vivo nel credente l’anelito al cammino di perfezione evangelica. Se viene meno quest’anelito incessante, la celebrazione del sacramento rischia purtroppo di diventare qualcosa di formale che non incide nel tessuto della vita quotidiana. D’altra parte, se, pur essendo animati dal desiderio di seguire Gesù, non ci si confessa regolarmente, frequentemente, mensilmente, si rischia poco a poco di rallentare il ritmo spirituale sino a indebolirlo sempre di più e forse anche a spegnerlo.
Quale gioia per il sacerdote essere nella Chiesa, attraverso il suo ministero, dispensatore della misericordia divina per la salvezza delle anime. Quando penso al santi Curator d’Ars, a San Leopoldo, a San Pio, a tutte le ore di confessionale, al loro intuito spirituale che aiutava i penitenti a rendersi conto che nel sacramento il Padre attraverso Cristo con il dono dello Spirito ricrea ciò che il peccato mortale ha distrutto, il peccato veniale ha ferito e quindi Dio, con il vero perdono, non ricorda i peccati perdonati nella confessione e a noi di non ceder alla tentazione del Maligno di ricordarli. E questo è anche un grande beneficio psicologico di fronte ai rischi di nevrosi per i sensi di colpa. Da un punto di vista antropologico è importante il senso di colpa che manifesta dove moralmente non si è a posto e dall’altra il perdono che impedisce di cadere nella nevrosi. Il perdono di Dio è completo cioè non ricorda. La diffusa mancanza di una consapevolezza della colpa è un fenomeno preoccupante del nostro tempo, inculcata dalle posizioni froidiane. Il dono del sacramento della penitenza consiste quindi non soltanto nel fatto che ci rendiamo conto, innanzitutto, del nostro bisogno del perdono, ma anche nel fatto che ci rendiamo conto, innanzitutto, del nostro bisogno di perdono; già con ciò veniamo purificati, puliti interiormente, ci trasformiamo e possiamo poi comprendere meglio anche gli altri e perdonarli. Il riconoscimento della colpa è una cosa elementare per l’uomo – è malato se non l’avverte più – e altrettanto importante è per lui l’esperienza liberatrice di ricevere il perdono. Per ambedue le cose il sacramento della riconciliazione è il luogo decisivo di esercizio. Inoltre la fede diventa una cosa del tutto personale, non si nasconde più nella collettività. Se l’uomo affronta la sfida e, nella sua situazione di bisogno di perdono, si presenta, per così dire, indifeso davanti a Dio, allora fa l’esperienza commovente di un incontro del tutto personale con l’amore di Gesù Cristo.
L’amore alla Eucarestia, la fedeltà all’appuntamento eucaristico della Domenica, porta ad apprezzare sempre più anche il sacramento della riconciliazione. A causa del legame tra questi sacramenti con l’opera della carità, come richiama Papa Francesco, un’autentica catechesi, un completo annuncio dottrinale, riguarda il senso dell’Eucarestia non può essere disgiunta dalla proposta di un continuo cammino penitenziale (1 Cor 11,27-29). Certo, constatiamo come nel nostro tempo i fedeli si trovino immersi in una cultura che tende a cancellare il senso del peccato (Reconciliatio et paenitentia, 18), favorendo un atteggiamento superficiale, che porta a dimenticare la necessità di essere sempre in grazia di Dio per accostarsi degnamente alla comunione sacramentale (CCC 1385).
In realtà, perdere la coscienza del peccato e delle pene conseguenti da riparare anche con l’indulgenza, comporta sempre una certa superficialità, una carenza dell’annuncio dottrinale, nell’intendere l’amore stesso di Dio, la sua misericordia. Giova molto ai fedeli richiamare quegli elementi che, all’interno del rito della santa Messa esplicitano la coscienza del proprio peccato e, contemporaneamente, della misericordia di Dio. Inoltre, la relazione tra Eucarestia e riconciliazione ci ricorda che il peccato non è mai una realtà esclusivamente individuale, anche commesso da soli; esso comporta sempre anche una ferita all’interno della comunione ecclesiale e della realtà sociale, nella quale siamo inseriti grazie al battesimo. Per questo la riconciliazione, come dicevano i padri della Chiesa è un secondo battesimo, una laborioso battesimo, sottolineando che l’esito del cammino di conversione è anche il ristabilimento della piena comunione ecclesiale e della solidarietà sociale, che si esprime nel riaccostarsi all’Eucarestia almeno ogni Domenica (Reconciliatio et paenitentia, 30) e nell’impegno delle opere di misericordia corporale e spirituale.
E’ necessario nell’Anno giubilare della misericordia tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il sacramento della riconciliazione, ma anche come luogo in cui “abitare” più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto, sentirsi amato e compreso da Dio e sperimentare la presenza della misericordia divina, accanto alla presenza reale nell’Eucarestia. La “crisi” del sacramento della penitenza interpella, sempre nell’Anno giubilare della misericordia, i sacerdoti e la loro grande responsabilità di educare il popolo di Dio alle radicali esigenze del vangelo. In particolare chiede loro di dedicarsi generosamente all’ascolto delle confessioni sacramentali proponendo un orario; di guidare con coraggio il gregge, perché non si conformi alla mentalità di questo mondo secolarizzato (Rm 12,2), ma sappia compiere scelte anche contro corrente, evitando accomodamenti o compromessi. Per questo è importante che il sacerdote abbia una permanente tensione ascetica, nutrita dalla continua comunione con Dio, e si dedichi ad un costante aggiornamento nello studio della teologia morale e delle scienze umane.
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