Chi ha visto me ha visto il Padre
“Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14,9), il volto della sua misericordia nel Giubileo della misericordia
Punto di arrivo e di partenza di ogni convenire liturgico è incontrare insieme Lui, il Signore, la sua presenza che si preoccupa, che ama non solo l’umanità nel suo insieme ma ogni persona, si preoccupa e ama me, una presenza irriducibile che io non posso ridurre alle mie preoccupazioni, alle mie aspettative o anche al mio scetticismo. Lui non guarda a tutto questo negativo e nel silenzio mi posso rendere conto e aprirmi a Lui. Quando può accadere il
cogliere l’avvenimento dell’incontro con Cristo cioè un avvenimento che suscita la fede, la speranza, l’amore? Quando conveniamo guardando a noi stessi in rapporto con Lui e ridestando negli altri il desiderio di Lui, del suo amore, del suo perdono, della misericordia del Padre. Centrale nella natura del cristianesimo è l’amore fino al perdono come essenza dell’onnipotenza di Dio, la sofferenza accolta con semplicità purifica e in Cristo si rivela la relazione trinitaria di amore misericordioso in tutte le creature.
1. La natura dell’amore
A. Il mistero della luna
Guardare alla vita della Chiesa come mistero cioè come visibilità della presenza e dell’azione dell’invisibile crocefisso risorto, Chiesa alla quale siamo stati consegnati come figli nel Figlio fin dal Battesimo, è madre che ci aiuta a vivere e ad assimilarci a Cristo nella santità del volto della misericordia del Padre. Cristo cioè Dio che possiede un volto umano e che ci ha amato sino alla fine rivela, attraverso il dono dello Spirito il Padre e fa conoscere l’uomo a se stesso e ci offre la strada perché la vita si possa compiere (Gv 1,1-49. Ciò a cui siamo stati consegnati con questa vita è la vita veramente vita, la vita eterna. Come figli nel Figlio del Padre per opera dello Spirito santo è comunione di persone che sono state afferrate da Cristo, sacramento che rende visibile e comunica la comunione del Padre con il Figlio nello Spirito Santo.
Incontrare e quindi conoscere Cristo è coglierlo come Figlio del Padre, la Parola che nella vita trinitaria è Persona e in Lui, attraverso il dono dello Spirito Santo che nella vita trinitaria è Persona, amiamo gli altri uomini liberi, uguali, fratelli e li amiamo come ci sentiamo amati per quello che originariamente sono per la loro destinazione eterna e non solo per quello che fanno o dicono.
Ecco perché i Padri descrivevano il mistero, il sacramento universale della Chiesa come “il mistero della luna”, così come la sua luce riflette nella notte la luce del sole, così la Chiesa comunica visibilmente nello spazio e nel tempo la luce invisibile, fuori della spazio e del tempo, di Cristo, del crocefisso risorto alla destra del Padre.
B. Comunione con Dio
La Chiesa parla al mondo ricordando la verità di ogni uomo: “L’aspetto più sublime della dignità di ogni uomo è la sua comunione con Dio” (GS 19).
Possibile quindi la comunione con Dio e quindi tra gli uomini uguali in dignità, liberi e fratelli: perché è così difficile? La rivelazione ci riporta alle origini storiche non naturali del male rilevando che c’è in noi una solitudine che ci costituisce (Non è bene che l’uomo sia solo) e uno dei desideri fondamentali di ogni uomo è l’unità nell’uguaglianza, nella libertà, nella fraternità con il frutto della comunione con il noi della comunione divina trinitaria.
Platone ricercando la verità dell’uomo con la ragione giungeva a dire che gli uomini possono essere loro stessi sono quando vivono in comunione con gli altri e con gli dei.
Nell’AT si riteneva impossibile la comunione con Dio perché nessuno è come Dio. Gli ebrei riconoscono che unico è l’essere divino pur con accenni di vita trinitaria “facciamo…”, “tre ne vide e uno ne adorò…”, quindi geloso di questa unicità dell’essere divino, vuole essere amato di un amore esclusivo. Lui è il Santo (Os 15,9). Il suo intervenire personale, il farsi vicino rivela la sua altezza. “Dio disse ad Abramo…” e quindi Dio è persona e si rivolge agli uomini, come persone libere, capaci quindi di rispondere al suo amore, di parlargli, di pregare: non è un principio astratto come l’essere da cui tutto dipende, per cui inutile sarebbe pregarlo, come affermavano in grandi filosofi greci.
Nell’Antico Testamento non si parla di comunione ma di alleanza. La comunione riguarda solo i rapporti degli uomini tra di loro cioè il realizzarsi di una unione feconda tra persone che hanno la stessa dignità.
La rivelazione di Cristo: Dio, unico nel suo essere divino, è comunione di persone: Padre, Figlio, Spirito Santo. Il mistero che crea tutte le cose è relazione, è comunione e l’essere divino che crea segnando tutte le creature come relazione ad immagine delle relazioni trinitarie è più intimo a noi che noi a noi stessi.
C. Cristo mandato dal Padre
La verità esistenzialmente decisiva nel rapporto tra Cristo e la Chiesa è la realtà di Cristo inviato dal Padre, il suo proprio essere come missione (Gv 5,30). Dio ci rivela che Dio è una comunione di amore perché è inviato dal Padre (Gv 17,3).
San Tommaso d’Aquino: la missione è lo stesso che la processione divina cioè l’unico essere divino nella relazione trinitaria di comunione resa visibile cioè sacramentale. Dio è amore in se stesso cioè non solo ama ma è l’Amore, è infinita comunione di amore che passa da una persona all’altra. L’identità di Cristo come inviato dal Padre rende chiaro non solo chi è Dio ma anche chi è ogni uomo che Dio ama fino al perdono, la sua identità: la vita è chiamata a questa comunione, è vocazione a partecipare alla vita divina di comunione.
La nostra vocazione è una partecipazione alle missione del Dio che possiede un volto umano, che ci ha amati sino alla fine, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme e il suo regno si fa presente là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge.
Il contenuto della sua missione (Gv 10,10), ha un orizzonte totalizzante, attraverso una obbedienza totale al progetto del Padre: inno ai Filippesi. La gratuità divina del darsi è un dono commosso di sé.
La Kenosi di Dio assumendo in volto umano nel grembo verginale di Maria donandosi fino alla morte è espressione dell’amore divino, è affermare un Altro e il valore di ogni uomo che il Padre ama, è lasciar essere. La potenza dell’amore si rivela nell’umiltà divina del Dio che si abbassa, assumendo un volto umano e oggi risorto una particola per realizzare tra gli uomini comunione fraterna. L’obbedienza del Figlio porta Cristo alla morte per la salvezza dell’umanità (Rm 8,32).
D. L’oggetto della paternità di Dio
La verità di ogni uomo è che Dio è tutto, l’unico fondamento della speranza, non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Dio è l’Amore, crea tutto dal Figlio, ogni uomo è fatto da Dio ed è continuamente fatto da Lui: “io sono Tu che mi fai”. Tutto, nella verità del mio e di ogni essere dono del Donatore divino è dato perché si compia il suo disegno. Eppure l’uomo che nega questa evidenza del proprio e altrui essere dono che è una categoria ontologica nega il suo essere e la possibilità del suo divenire. L’uomo mente a se stesso mentendo la verità del suo essere dono del Donatore divino (Gn 3)): è il rischio del libero arbitrio in creature create libere per poter amare, poiché senza libertà non c’è amore. Occorre abbracciare la nostra “orfanità” per giungere a riconoscere che Dio è tutto come telos e come metodo, come via alla verità che rende liberi. La paternità come figli nel Figlio attraverso il dono dello Spirito è partecipazione alla vita di Dio Padre, è lasciare che la paternità di Dio si comunichi attraverso di me nella libertà, nell’uguaglianza, nella fraternità. Ma senza il fondamento divino del Dio che possiede un volto umano, presente risorto nel suo corpo che è la Chiesa, non c’è libertà, uguaglianza, fraternità nella storia, cioè non c’è umaneismo.
La tentazione di creature libere per rispondere con amore all’amore di Dio è ridurre tutto all’autoreferenzialità del proprio io dissolvendo ogni relazione nel noi. Questo è il peccato che provoca frammentazione, solitudine, sofferenza infernale.
E. “Quando sarò innalzato da terra in croce (il massimo della relazione divina per ogni uomo che Dio ama fino al perdono) attirerò tutti a me”
Cristo riporta in relazione con il Padre attraverso il sacrificio di sé in croce, riportando tutto ad unità, come unico è l’essere divino nella Trinità e nella relazione con le creature. Perché la misericordia sia efficace occorre che avvenga nella verità, la menzogna deve essere bruciata. Dio è fuoco. Il Figlio si lascia toccare nella sua carne dalla menzogna di Satana, si lascia bruciare per amore, si dona tutto, è una relazione trinitaria, un atto di amore libero. Il sacrificio, il dolore e la morte non sono più il segno della vittoria di Satana, nella Croce si rivela la relazione, l’amore di Dio Trinità.
La redenzione del male ci rivela dove agisce l’onnipotenza divina che si è autolimitata nella creazione degli angeli e degli uomini per renderli liberi e quindi capaci di una risposta di amore con il rischio del rifiuto e che nel perdono ricrea ciò che il peccato ha rovinato. L’amore divino fino al perdono è comunione e in questa figliolanza di figli nel Figlio, quindi di fratelli, uguali, liberi si trova la verità di ogni uomo; il male ci fa percepire l’adeguatezza di un aiuto divino che viene a noi e ricrea ciò che il peccato ha distrutto rivelando il connubio di onnipotenza nel perdono.
Dio attira tutti e tutto a sé: la consapevolezza di una positività totale deve guidare il nostro sguardo avendo Dio creato tutti gli esseri per il bene anche se questa positività sembra, talvolta, essere messa a dura prova dalle tempeste della vita provocate dal rischio dell’odio contro la fedeltà di Dio che, però, sa trarre il bene anche dal male.
Come cogliere, vedere questa positività? Accettando il disegno di un Altro cioè disponibili al disegno di Dio.
La vocazione è la stella che brilla nella notte oscura di tante circostanze.
2. Come testimoniare l’amore nella missione del sacerdote. Cosa significa essere mandati da Cristo nelle sfide di oggi.
1. Mandati da Cristo
In Cristo il Padre “ci ha scelti prima della creazione del mondo, per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo” (Ef 1, 4-5). Dalla realtà, dalla verità di questo argomentare ispirato, da queste divine parole siamo condotti all’origine del nostro esserci nello spazio e nel tempo, alla sua radice eterna fuori dello spazio e del tempo nel rapporto metafisico tra Creatore e creatura. “ci ha creati” ci scopriamo dono nel nostro esserci, dono nel nostro e altrui essere, in tutto il mondo che ci circonda, siamo persone::ciascuno di noi è stato pensato e voluto fra tante possibili persone umane. La sguardo del Padre si è posato su di te, ti ha abbracciato, a preferenza di tanti altri: sei stato scelto. Quando è accaduto questo? “…prima della creazione del mondo”: il mondo pure dono nel suo esserci, questo universo immenso entro cui ti senti come un granello di polvere, non esisteva ancora e il Padre ti ha pensato e voluto liberamente cioè per amore, ha scelto te. Se dunque esisti, non è per caso, senza una ragione di dono, di amore, senza una meta. Ma ci ha scelti, pensati e voluti in Cristo. Cioè: quando il Padre ha pensato e voluto il Figlio di Dio in un volto umano cioè il Cristo, ha pensato e voluto ciascuno di noi. Con lo stesso atto di pensiero e con la stessa decisione di volontà con cui ha pensato e voluto Cristo, ha pensato e voluto ciascuno di noi, singolarmente presi, predestinandoci ad essere suoi figli adottivi. Nella sua bontà impensabile il Padre ha voluto che l’Unigenito generato nell’identica natura divina fosse il primogenito di molti fratelli nella natura umana. Il primo dunque che è stato scelto prima della creazione del mondo è il Verbo, il Figlio di Dio nel volto umano, che ci ha amato fino a lasciarsi crocifiggere e risorgere, e in Lui ciascuno di noi è stato pensato e voluto, creato a sua immagine: “ ha assunto una forma uguale alla tua”, scrive un Padre della Chiesa e in Cristo, crocefisso e risorto “ti ha adattato di nuovo alla bellezza originaria”. . E’ quanto argomenta e scrive in modo ispirato Paolo presentando il nuovo umanesimo in Gesù Cristo: “Egli ci ha salvato e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle nostre opere, ma secondo il suo proposito e la sua grazia: grazia che ci è stata data in Cristo Gesù fin dall’eternità” (2 Tim 1,9) e ci raggiunge e ci libera dalla tendenza al male con cui veniamo tutti concepiti tranne Maria, concepita senza questa tendenza al male. Paolo ha esperimentato che quel Gesù, crocifisso e risorto, che egli ha carismaticamente incontrato sulla via di Damasco con l’invito al Battesimo, è colui nel quale e conformemente al quale la sua persona è stata “graziata”: pensata e voluta per amore, fin dall’eternità e raggiunta con il battesimo.
Ogni persona umana realizza se stessa solamente in Cristo: è questo il vero umanesimo. Se siamo stati pensati e voluti nel Verro incarnato, nel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati sino alla fine, ogni singolo e l’umanità nel suo insieme, questa è la nostra piena intelligibilità, la verità, il significato ultimo del nostro esserci, il tutto cioè la verità dell’umano in rapporto al quale valutiamo e scegliamo ogni azione o moralità cristiana. Pensare un umanesimo cioè una comprensione del significato nel nostro esserci nello spazio e nel tempo fuori da questa intrinseca e originaria destinazione in Cristo crocifisso e risorto, anche proponendo, come ha fatto la rivoluzione francese illuminista i valori cristiani della libertà, uguaglianza e fraternità equivale pori fuori dalla realtà, dalla verità, illudersi e illudere e quindi fallire. Quindi l’incontro sacramentale fin dal Battesimo con Cristo non è un “opzional” nei confronti del quale la nostra persona può essere neutrale: una specie di “dopolavoro” che inizia nel privato quando il lavoro pubblico dell’esistere e del rapportarsi si interrompe. Così si esprime un grande teologo della Chiesa orientale, n. Cabasilas, “Mente e desiderio sono stati forgiati in funzione di Lui: per conoscere il Cristo abbiamo ricevuto il pensiero; per correre verso di Lui il desiderio, e la memoria per potarlo in noi”.
Missionariamente, pastoralmente quanto è importante la parola, il significato di “incontro”, soprattutto nell’evangelizzazione, nell’educare alla fede, nel promuovere umanità. Incontro significa un ingresso di Cristo in noi, per cui siamo trasformati in Lui, viviamo in Lui e di Lui, un cammino catecumenale per renderci conto di quello che è avvenuto o può avvenire nella nuova nascita del Battesimo: l’Archetipo configura a Sé totalmente la persona umana e la rende in atto, pienamente umana. La Sacra Scrittura usa tante immagini: la vite e i tralci, la comunione coniugale, la mutua inabitazione e a altre ancora. Perché un incontro del genere possa accadere attraverso l’incontro con chi è già accaduto e lo vive con gioia, Cristo infonde nell’uomo ciò che di più intimo, di più proprio c’è in Lui, il suo stesso Spirito. E’ Lui che nella vita trinitaria è Persona, lo Spirito, che realizza, attraverso chi lo vive in missione e con la preghiera glielo permette, l’incontro dell’uomo con il Dio che possiede un volto umano, che risorto è presente e agisce sacramentalmente nella sua Chiesa per tutti e per tutto.
Nel battesimo troviamo la nostra identità, il cristiano è se stesso e per se stesso, figlio nel Figlio, solo in quanto è in Cristo e per Cristo. Dio è amore, l’essere se stesso è un essere in relazione per l’Altro, il dono totale di sé all’Altro. La nostra identità, io e non più io nel noi della Chiesa, è la partecipazione alla missione di Cristo e questa non è una alienazione. Con la fede e il Battesimo, avviene realmente morte e risurrezione, rinascita, trasformazione in una vita nuova. E’ ciò che rileva san Paolo nella Lettera ai Galati: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (2,20). E’ stata cambiata così la mia identità essenziale e io continuo ad esistere soltanto in questo cambiamento. Il mio proprio io mi viene tolto e viene inserito in un nuovo soggetto più grande, nel quale il mio io personale c’è di nuovo, ma trasformato, purificato, “aperto” mediante l’inserimento nell’altro, nel quale acquista il suo nuovo spazio di esistenza. Diventiamo così “uno in Cristo” (Gal 3,28), un unico soggetto nuovo, e il nostro io viene liberato dal suo isolamento. “Io, ma non più io”: è questa la formula dell’esistenza cristiana fondata sul Battesimo, la formula della risurrezione dentro allo spazio e al tempo, la formula della “novità” cristiana chiamata a trasformare il mondo con il nuovo umanesimo di libertà, uguaglianza e fraternità. La nostra vocazione cristiana e il nostro compito di cristiani consistono nel cooperare perché giunga a compimento effettivo, nella realtà quotidiana della nostra e altrui vita, ciò che lo Spirito santo ha intrapreso in noi col battesimo: siamo chiamati infatti a divenire donne e uomini nuovi, per poter essere veri testimoni del Risorto e in tal modo portatori della gioia cristiana nel mondo, in concreto, in quella comunità di uomini entro la quale viviamo, nonostante tutto quello che sembra contrario..
“Rimanete nel mio amore”, in Gv Gesù è l’amico che rivela i disegni di Dio (Gv 14,23). L’amore unisce l’altro a sé e sé all’altro (Fil 13,14). Dimensione unitiva e dimensione drammatica dell’amore, un amore che punta alla fecondità anche a volte senza constatarlo.
Il nostro volto nel mondo è Lui, è un mistero cioè la presenza invisibile di Lui risorto nella visibilità del nostro volto, Lui che sceglie noi per farsi continuamente conoscere e così partecipiamo del suo essere mandato dal Padre, perché il mondo se ne renda conto e viva di amore. E’ un rapporto, come quello del Crocefisso risorto, drammatico. Perché la verità di Cristo vinca in noi, perché gli uomini non siano mai abbandonati al loro male.
La missione alla quale siamo chiamati non si può ridurre a ciò che facciamo, altrimenti perdiamo la consapevolezza di ciò che Dio ci chiede, non è una nostra attività.
Prima che uomo di Dio o guida della comunità il prete nel suo stesso essere di ordinato è segno continuo della Misericordia che Cristo, volto della misericordia del Padre. In questo consiste la sua identità da rinnovare continuamente.
Per capire in che senso il prete è padre, segno della misericordia, occorre guardare Maria, è lei che ci porta al volto della misericordia del Padre cioè a Cristo. Il rapporto con Maria non è solo devozionale, ci insegna ad essere terra assetata, ci aiuta ad essere spazio aperto per Lui, come donna ci dà la certezza dell’amore del Figlio non solo quando e perché siamo buoni ma per farci diventare buoni. Lei raccoglie le nostre povere vite e intercede per noi; il rapporto con Maria è fondamentale, ci aiuta ad essere sacerdoti per accogliere suo Figlio. Nell’Eucarestia invochiamo lo Spirito perché Cristo diventi carne, è quanto Maria ha fatto. Sacerdozio e verginità feconda vanno sempre insieme. Non possiamo pensare al nostro fare senza pensare che è sempre un ricevere, nessuno può generare figli nel Figlio e quindi fratelli se non è generato adesso, in continuità dinamica o Tradizione.
La nostra testimonianza non è mai di un singolo, il sacerdote è frutto della preghiera del noi della Chiesa. La missione di testimoniare l’amore misericordioso di Cristo è comunicare la comunione, noi possiamo farlo perché partecipiamo a questa comunione.
2. La sfida della carità
A. Siamo chiamati a vivere e insegnare la fede in un mondo nichilista.
La prima opera di misericordia è la predicazione della verità, l’uomo non sa a chi appartiene. ".“.erano come pecore senza pastore…”. Per fare questo dobbiamo sapere dove siamo (GS 19): è il nichilismo che pervade il nostro modo attuale di pensare, è la conseguenza inevitabile della presunzione antropocentrica. L’uomo pensa di essere dio senza Dio. Il mondo non viene riconosciuto come è cioè dono del Donatore divino ma semplicemente un dato da analizzare. Come fa l’uomo a vivere in questo orizzonte secolarizzato con la sete di infinito nel cuore?
L’antropologia occidentale con l’ondata illuminista di ritenere i valori fondati sull’incontro con Cristo, valori di libertà, uguaglianza, fraternità solo pensati, è giunta a ritenere che ogni cosa avviene dopo la scelta della nostra libertà, oggi inclusa addirittura la nostra corporeità, non c’è la natura prima, uno è non il suo essere dono ma il suo farsi, l’agire viene prima dell’essere e l’essere ne è conseguenza. Così l’uomo organizza il suo vivere nel mondo. Cediamo l’esercizio della libertà allo stato che deve garantire la nostra libertà. Questa concezione democratica genera un totalitarismo (Veritatis splendor 20).
Il sacerdote in questa cultura nichilista è chiamato a disegnare la fede, come riconoscimento dell’amore di Dio presente nella storia e la consegna di sé a Cristo. Le evidenze originarie non si percepiscono più, noi per primi dobbiamo riconoscere che Dio è un Padre buono e paziente con noi che nella preghiera possiamo permettergli di agire nella storia , con ciascuno di noi e l’umanità nel suo insieme, vivere la fede significa anche accettare di vivere il sacrificio di Abramo: prendi il tuo figlio, l’unico che hai, quello che ti concretizza la promessa e la speranza, sacrificalo…Che Dio non ci chieda mai cose irrazionali non vuol dire che le capiamo subito: se Dio me la dato, oggi me lo chiede, me lo ridarà meglio…Dio, sapienza infinita non può sbagliarsi, bontà infinita, non mi può ingannare. Carta bianca a Lui, sai fatta la sua volontà e diventa padre della nostra fede ragionevole. Per poter vivere momenti di questo sacrificio la Chiesa ci chiede: il silenzio, la liturgia e l’offerta.
1. Silenzio: ogni giorno un’ora, di fronte ad una immagine di Cristo il Dio che possiede un volto umano, che ci ha amato sino alla fine il singolo, me, e l’umanità nel suo insieme, potendolo in ginocchio, vedere le cose come le vede Dio e lasciarsi vedere dallo sguardo di Dio, entrare in un rapporto affettivo con Cristo che ci ama con tutta la carica di emozioni che lo caratterizza, dare credito al silenzio su tutto quello che ci invade dal di fuori del nostro io in relazione con Lui. Ci sono tanti rumori nella nostra vita, dobbiamo evitare di cadere nell’illusione che è la nostra azione che salva il mondo: piomberemo nello scetticismo.
2. La liturgia con cui il crocefisso risorto fuori dello spazio e del tempo giunto alla destra del Padre si fa sacramentalmente, ecclesialmente parlante, presente e operante nello spazio e nel tempo. Lasciare che il suo parlarci venga partorito in noi, nel noi della Chiesa che prega in me, quindi Cristo che prega in me. E’ Dio con dono del suo Spirito che cambia il cuore delle persone.
3. Non anteponendo nessuno e nulla a Lui verginalmente mi offro nel volto di tutti, in quello che faccio, non in modo istintivo: “ti offro Signore” e la celebrazione eucaristica è fonte e culmine per ripetere “Vieni Gesù!”.
B. Inquietudine e scetticismo
Essere padri è sostenere la speranza degli uomini. Due nemici: l’inquietudine e lo scetticismo. Oggi la nostra inquietudine nasce dal fatto che pensiamo che Dio non risponde al nostro bisogno, la tecnologia ci illude che sia possibile fare del bene e farne sempre di più, eliminando la sofferenza e il male. La tecnologia crea dei fini…Questa inquietudine raggiunge ogni aspetto della vita umana, e viviamo nell’ansia di non poter fare di più. Nel capitolo 3 della Laudato sì che si ispira a Guardini si dice che le nuove tecnologie cambiano il modo di pensare. La ragione come misura delle cose, gli affetti si fanno più emotivi. La ragione come misura, vede la realtà come frammenti e non come tutto. Questo modo di pensare è una chiusura alla globalità, alla verità e quindi a Dio. La tecnologia assicura la dimenticanza di Dio. E questo porta allo scetticismo.
Oggi lo scetticismo ha radici molto profonde, dal punto di vista culturale i rapporti non ci sono più, non sono rapporti di amore ma rapporti legali. Viviamo in un mondo in cui i rapporti sono tutti concepiti allo stesso modo, questo vuol dire che mancano i rapporti fondamentali !
La domanda non è cosa fare, ma è riscoprire la propria vocazione, la vocazione è la stella attraverso la quale il Padre fa risplendere la sua luce anche in momenti bui. Per poter crescere in questa speranza non c’è aiuto più grande che lasciarci continuamente perdonare in Cristo.
Le persone hanno bisogno di vedere nel prete uno che non antepone nessuno e niente a Cristo, che Lui è tutto, questa è la povertà.
C. Il potere
Il mondo pensa che avere il potere sia la cosa migliore. Noi siamo chiamati a vivere il paradosso della carità, è il piccolo che salva il forte, è il malato che salva il sano. Nell’amore di Cristo si rivela l’onnipotenza dell’amore come piccolezza. Avere la domanda di vivere la verginità, amare le persone per Cristo e in Cristo, servirle in Lui, noi non siamo il loro fine ma è Cristo. Non difendersi, Cristo si è consegnato. L’Eucarestia: comunicare l’amore di Cristo nell’umiltà totale. San Francesco: l’umiltà non è una virtù umana, ma è la natura di Dio, è la gratuità divina.
L’Eucarestia è stata istituita dal Signore per rendere possibile in tutti i luoghi e in tutti i tempi la comunione con la sua Pasqua di morte e risurrezione, perché Cristo possa congiungere a Sé ogni uomo e fargli rivivere il suo mistero. Partecipando all’Eucarestia almeno della Domenica abbiamo tutto ciò che ci è necessario per vivere interamente la nostra verità di persone create in Cristo: non ci manca più nulla per la nostra beatitudine. Il sacrificio di Cristo, sempre eucaristicamente presente, è il fine e la fine del mondo e della storia: non è possibile andare oltre (2 Gv .), né raggiungere altro. Nella partecipazione fraterna all’Eucarestia la nostra misura è piena. Occorre ravvivare una fede fermissima nella presenza reale, ontologica del Risorto nell’Eucarestia. Grazie all’azione trasformante dello Spirito santo per le parole consacratorie del sacerdote, che agisce ministerialmente in persona di Cristo, il pane e il vino diventano ontologicamente “veramente, realmente e sostanzialmente” il Corpo e il angue del Signore.
L’Eucarestia è affidata in primo luogo a noi preti, come la custodiamo nella comunione di un noi fraterno? Come la celebriamo? Come la veneriamo? Come educhiamo tutti? La dimensione eucaristica si radica in primo luogo nella nostra coscienza perché il pane è realmente il corpo di Cristo offerto, ed il vino è realmente il sangue effuso, attualizzazione in tutti i luoghi e tempi del sacrificio di Cristo. Non soltanto la celebrazione del suo ricordo come di un avvenimento solo passato.
C’è un‘intima armonia, logica che governa l’insieme dei misteri della nostra fede. E’ una armonia che, per la sua bellezza e ragionevolezza, ci riempie sempre di stupore e di commozione.
La persona del Verbo del Padre, dopo averci parlato e dato storicamente in tanti modi, a cominciare dal suo essere la Ragione creativa del Padre nello Spirito santo, assume un volto umano per poter essere “incontrato” da ogni uomo con materie sensibili (i sacramenti) e nel volto carnale dei suoi, gerarchicamente strutturati. Nella sua morte, risurrezione e ascensione al cielo, il Verbo incarnato introduce la sua umanità nella stessa gloria del Padre e, in essa destina ciascuno di noi col suo vissuto temporale di gioia e di dolore, di peccato e di perdono, di vita e di morte (Ef 2,6).
Ogni persona umana è stata pensata e voluta per amore dal Padre in Cristo, la Ragione creativa: è “l’arte del Padre…l’esemplare della creazione e glorificazione” (San Tommaso). Essa diviene quello che originariamente è, cioè corpo-persona in atto o pienezza di umanità, divenendo come Cristo, amando con il suo amore, rivivendo in sé i misteri cioè i fatti e i detti di Cristo memorizzati nel Vangelo.
L’Eucarestia è il sacramento che rende possibile questo incontro del Verbo incarnato, del Dio che possiede un volto umano, con ogni uomo corpo-persona e di ogni uomo con il Verbo incarnato.
E’ il grsnde mistero della salvezza e della divinizzazione dell’uomo: E’ mistero che ha una sola ragione e spiegazione: la “filantropia” divina, come dicevano i Padri orientali. “Solo misericordia tua”…è questo mistero, il mistero della Misericordia del Padre nel perdono delle colpe con la confessione e nella liberazione dalle loro conseguenze temporali con l’indulgenza, che noi celebriamo nell’Anno Santo della misericordia.. In un’omelia del II secolo c’è questo appello: “Fratelli, prendiamo questa bella occasione per far penitenza, e mentre ne abbiamo tempo, convertiamoci a Dio che ci ha chiamati e che è pronto ad accoglierci. Se lasceremo tutte le voluttà e non permetteremo che la nostra anima rimanga preda dei cattivi desideri, saremmo partecipi della misericordia di Gesù”. L’anno giubilare è un chiaro invito alla continua conversione. San Giovanni Paolo II richiamava per l’indulgenza giubilare le visioni di Santa Faustina, che dinnanzi al purgatorio, esclama: “una prigione di dolore”, della quale il Signore le fece intendere il tipo di dono della Croce: “La mia misericordia non vuole questo, ma lo esige la giustizia”.
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