Il falso zelo

“Non abbandonarci nella tentazione. Liberaci dal Male”. 

Di fronte all’azione primaria del Maligno, la tentazione, non abbandonarci. “Noi domandiamo a Dio Padre di non lasciarci soli e in balìa della tentazione. Domandiamo allo Spirito di saper discernere, da una parte fra la prova che fa crescere nel bene e la tentazione che conduce al peccato e alla morte, e, dall’altra, fra essere tentati e consentire alla tentazione.. Questa domanda ci unisce a Gesù che ha vinto la tentazione
con la sua preghiera. Essa sollecita la grazia della vigilanza e della perseveranza finale” (Compendio, n. 596).
Di fonte all’zione secondaria del Maligno cioè la vessazione, l’ossessione, la  possessione, l’infestazione, liberaci dal Male. “Il Male indica la persona di Satana, che si oppone a Dio e che è “il seduttore di tutta la terra” (Ap 12, 9). La vittoria sul diavolo è già conseguita da Cristo. Ma noi preghiamo affinché la famiglia umana sia liberata da Satana e dalle sue opere. Domandiamo anche il dono prezioso della pace e la grazia dell’attesa perseverante della venuta di Cristo, che ci libererà definitivamente dal Maligno” (Compendio n.597).
In questo orizzonte dottrinale, catechetico, ritengo culturalmente utile pubblicare gran parte  del capitolo 10 del volume Il Diavolo di padre Raffaelle Talmelli e Luciano Regolo cioè un modo di pensare che ritengo pastoralmente utile nel momento attuale.
“Alla fine dei tempi il Figlio dell’uomo “manderà i suoi angeli, con una grande tromba, e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all’altro dei cieli” (Mt 24,31). Ci sarà un grande richiamo grazie al quale tutti “saremo trasformati” (1 Cor 15,51). Ma prima di quella grande celestiale tromba che segna la nostra salvezza ne squilla un’altra, quella che dovremmo imparare a non suonare (Mt 6,2) e a non ascoltare: è la tromba del Diavolo. Al suo suono si “raccoglieranno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità” (Mt 13,41) per diffonderli “ai quattro venti”. C’è uno zelo buono che ci impone di “denunciare il male, quando siamo tenuti a farlo” (CCC n.1868); fa parte della virtù della giustizia e segue le vie della giustizia. C’è uno zelo cattivo che, invece, non è animato dalla virtù della giustizia, ma dallo spirito di rivalità, “come i mercenari, che, ogni grazia che essi ricevono, gli pare aver per debito, e con difetti d’altrui spesse volte vogliono ricoprire il loro” (Santa Caterina, Lettere) e, come si conviene ai mercanti, segue la via della piazza.
Una delle arti del Maligno per squalificare l’opera di Dio e quella della Chiesa – ricordiamo che è l’unico Sposo – sia quella di infamare. Sappiamo con certezza che il Corpo di Cristo non è composto da persone illibate. Abbiamo sviscerato la grave tentazione di vagheggiare una “Chiesa dei puri”. Ci siamo così resi conto che il grembo della propaganda atta a squalificare la Chiesa è sempre molto fecondo. Ancor più, abbiamo preso coscienza dell’azione paralizzante che il maligno vuole realizzare inducendo una sorta di “colpa esistenziale” derivata dagli errori, veri e presunti, commessi dai cristiani di tutte le epoche. L’ipertrofia del senso di colpa e di rimorso è il veleno migliore per portare al suicidio; il rimorso toglie al peccatore il coraggio necessario per tornare sulla retta via e rende indelebile il suo peccato. E tale veleno, bisogna ammetterlo, il Diavolo lo ha inculcato nelle vene della Chiesa.
Alexis Curvers cit. in Vittorio Messori, Pensare la storia…pp.411-412 dice: Quel rimorso è il germe di morte che l’Impresa di Sovversione insinua da tempo, in mille maniere, nell’anima della Chiesa e di quella Europa che così profondamente la Chiesa stessa ha contribuito a creare. I duemila anni di storia della cristianità non sono certo immuni da macchie. Ma sono macchie antiche, che non hanno impedito al fulgore di manifestarsi di nuovo. Eppure, quelle chiazze sbiadite sono di continuo ravvivate, segnate con segni indelebili, mostrate senza posa agli occhi dei credenti, e, in genere, degli europei di tradizione cristiana, in modo che ciò che dovrebbe costituire solo un ricordo deplorevole si fissi nelle coscienze e vi diventi ossessione (…). Inventate e gestite da persone intelligenti, lucide nel loro programma di distruzione del cristianesimo e propagate da una folla di sciocchi, di disinformati, di masochisti all’interno stesso della Chiesa, queste mitologie, queste “leggende nere” trionfano in un organismo ecclesiale in cui si è inoculato il germe del rimorso. Tutte le tecniche di condizionamento degli spiriti contribuiscono all’impresa di infezione morale, magistralmente abbozzata fin dalla scuola elementare e sorretta dal sistema dei media, concepiti espressamente per distogliere dalla possibilità di saper leggere e, per conseguenza pensare”.
Che tutto questo avvenga per opera dell’”Impresa di Sovversione” individuata da Curvers, per opera dei nemici della Chiesa, non c’è da meravigliarsi. Diciamo pure che fa parte del normale gioco del Maligno.
Ma il Diavolo ha escogitato un metodo meno rozzo, una tentazione più raffinata e ben trasvestita da potente rimedio, con la quale ingannare meglio i cristiani zelanti che, credendo di dare gloria a Dio, contribuiscono in realtà ai tentativi messi in atto per distruggere la Chiesa. E danno fiato, per così dire, alla tromba del Diavolo.
Diffondere i peccati altrui
Un modo sorprendente per colpire la Chiesa è lo zelo maldestro che spinge i cristiani a diffondere “ai quattro venti” i peccati altrui. Difficile trattare questo argomento nel secolo delle comunicazioni…Per riconoscere l’albero, bisogna esaminare il frutto (Mt 7,16): forse che l’aver divulgato in tutti i modi possibili gli orrori commessi dagli uomini ha diminuito il livello di violenza nel mondo così bene informato? Non si dovrebbe cadere in un simile trabocchetto! Eppure…anche all’interno del mondo cristiano troviamo tanti fedeli, persino tra le file del clero, pronti a puntare l’infuocato indice contro gli altri peccatori. Sono “gli uomini privi di speranza. Essi, quanto meno badano ai propri peccati, tanto più si occupano di quelli altrui. Infatti cercano non che cosa correggere, ma che cosa biasimare negli altri. E siccome non possono scusare se stessi, sono pronti ad accusare gli altri. Non è questa la maniera di pregare e implorare il perdono di Dio” secondo Agostino. San Giovanni della Croce, poi, avverte che “il demonio rappresenta con grande chiarezza i peccati altrui, la cattiva coscienza e la malvagità delle anime, con lo scopo di diffamare e con l’intenzione di divulgare i peccati e il motivo per cui vengono commessi”. E’ giusto denunciare il male, ma la giustizia ha le sue vie ben disciplinate. La giustizia sommaria è il frutto della cultura del sospetto e del terrorismo psicologico. San Paolo ammoniva: “Ma se vi morderete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri” (Gal 5,15).
La giustizia di piazza non è dunque il metodo insegnato da Cristo che, anzi, ne fu vittima (Gv 19, 1-16). Pensiamo a Gesù di fronte alla donna “sorpresa in flagrante adulterio” (Gv 8,4). La parola “flagrante” ci lascia ben intendere che, come buona probabilità, la donna ebbe a malapena il tempo di indossare un lenzuolo. Gesù abbassò lo sguardo ( Gv 8,6-8), a differenza degli interlocutori che fissavano con occhi ingordi l’evidenza di quel peccato, e pronunciò quel salutare monito: “Chi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei (Gv 8,7)”. Commenta sant’Agostino: “Quali punture hai inflitto, Signore, nel cuore di quegli uomini spietati quando dicesti: ‘Chi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei’. Eccitati nell’intimo dalla parola grave e penetrante, conobbero lo stato della loro coscienza e arrossirono davanti alla giustizia che era presente; quindi, allontanandosi l’uno dopo l’altro, lasciarono sola l’infelice donna (Gv 8,9). Ma la colpevole non si trovò sola, era con lei il giudice, non ancora in funzione di giudice, ma dispensatore di misericordia. Partiti gli accusatori, sono state lasciate infatti la miseria e la misericordia”.
La lente di ingrandimento poi viene puntata specialmente sui peccati del clero. Magari nella speranza di ottenere un clero migliore! Ma è ancora questione di metodo.
L’evangelista Giovanni non risparmia di informarci che un apostolo era ladro (12,6). Luca racconta il rinnegamento di Pietro (22,57-62). Matteo, in una parabola, afferma che su dieci vergini ben “cinque erano stolte” (Mt 25,2). Tutti gli evangelisti poi dichiarano che Giuda Iscariota fu il traditore. Non è un quadro idilliaco. Chi vive nella Chiesa deve sapere da subito chi sono i suoi compagni di viaggio. Gesù cercò di scuotere amabilmente Giuda fino alla fine;  persino quando disse: “uno di voi mi tradirà” (Gv 13,21), lo fece in modo che i commensali non capissero (Gv 13,28). Il perdo, con cui si rivela l’onnipotenza di Dio, non sostituisce la giustizia, ma ancora una volta Gesù non sceglie la giustizia di piazza.
Diciamo con franchezza che dagli Apostoli in poi un certa fragilità non è mai venuta meno. Origene, nel secondo secolo, considerava: “La Chiesa è un tempio costruito con pietre vive; in essa ci sono alcuni che non vivono come si addice alla Chiesa, ma militano secondo la carne; anzi con il loro vizio riducono la casa di preghiera in una spelonca di ladri. (…)Metti a confronto questo passo con quello in cui è scritto che Gesù, alla vista di Gerusalemme, pianse su di essa (Lc 19,41); e se a ragione pianse su Gerusalemme, a maggior ragione piangerà sulla Chiesa costruita bensì per essere casa di preghiera, ma diventata spelonca di ladri per colpa del turpe lucro e il lusso di certuni (e voglia Iddio che non siano i capi del popolo)”.
In tutti i secoli ci sono stati santi che hanno sottolineato le piaghe che affliggono la Chiesa. Ma una cosa è esporre al medico le ferite per guarirle, altra è diffondere lo scandalo. Gesù pianse amare lacrime su Gerusalemme, e dopo di lui tutti i santi hanno sofferto per le colpe die cristiani. Benedetto XVI, con grande dolore, ricordò una visione di sant’Idelgarda del 1170. In essa una donna bellissima aveva il volto impolverato, il vestito strappato e le scarpe insudiciate. E disse: Ero nascosta nel cuore del Padre, finché il Figlio dell’Uomo, concepito e partorito nella verginità, sparse il suo sangue. Con questo sangue, quale sua dote, mi ha preso come sua sposa. Le stimmate del mio sposo rimangono fresche e aperte, finché sono aperte le ferite dei peccati degli uomini. Proprio questo restare aperte delle ferite di Cristo è la colpa dei sacerdoti. Essi stracciano la mia veste poiché sono trasgressori della Legge, del Vangelo e del loro dovere sacerdotale. Tolgono lo splendore al mio mantello, perché trascurano totalmente i precetti loro imposti. Insudiciano le mie scarpe, perché non camminano sulle vie dritte, cioè su quelle dure e severe della giustizia, e anche non danno buon esempio ai loro sudditi. Tuttavia trovo in alcuni lo splendore della verità. E sentii una voce dal cielo che diceva: “Questa immagine rappresenta la Chiesa. Per questo, o essere umano che vedi tutto ciò e che ascolti le parole di lamento, annuncialo ai sacerdoti che sono destinati alla guida e all’istruzione del popolo di Dio e ai quali, come agli Apostoli, è stato detto: Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura”.
La risposta cristiana al male presente nel mondo e nella Chiesa non è però la diffusione di inchieste scandalistiche. Non è l’essere ossessionati dal bene che dovrebbero fare gli altri. E’ invece una risposta molto personale, un amore fraterno talora eroico, che si riassume nelle parole di papa Benedetto, il quale così bene spiegò il vero senso del terzo segreto di Fatima: “Conversione permanente, penitenza, preghiera, e le tre virtù teologali: fede, speranza e carità”. E’ certamente più comodo gridare a tutti le colpe degli altri; preoccuparsi dei peccati degli altri diventa la scusante per non emendarsi dai propri, e così si vanifica il senso profondo di ogni richiamo del Cielo. Ma nella fede cristiana Il Signore ci ha lasciato una grave responsabilità personale: riparare al male altrui con la propria preghiera e la penitenza.
I messaggi autentici sono un richiamo alla conversione personale di cui la penitenza è espressione. Ma anche su questa parola il Maligno suggerisce la sua interpretazione, al punto di avere aggiunto “penitenza”, parola cardine di ogni conversione, al vocabolario antilingua. Il significato corrente della parola “penitenza”, infatti, ci porta a pensare a qualcosa di sgradevole, a un castigo espiatorio imposto al perdente dal vincitore, a comunque qualcosa di scomodo, ridicolo e soprattutto inutile. Insomma a una sofferenza che, potendo si scansa volentieri. Nel linguaggio cristiano invece non è così. “Penitenza” è l’ardente invito alla conversione che ci viene dal Battista (Mt 3,2), da Gesù (Mt 4,17; Mc 1,15) e dalla Madonna! Il “fare penitenza” è la traduzione del verbo greco metanoéo (in latino paenitère) che indica un rovesciamento di mentalità, un cambiamento radicale del proprio modo di pensare e, di conseguenza, anche del proprio agire. Insomma, la conversione. E’ chiaro che se c’è una vera conversione, c’è anche l’impellente desiderio di astenersi dal male e di riparare, ove possibile, al danno arrecato al prossimo., “per esempio restituire le cose rubate, ristabilire la reputazione di chi è stato calunniato, risanare le ferite (Paolo VI, Paenitemini)” Commettendo il peccato però, come abbiamo visto, entriamo nella prospettiva diabolica in cui il Redentore, il fautore  della “nuova ed eterna alleanza” con l’uomo, nella mente suggestionata diviene un rivale da combattere. Ecco allora la possibilità di ristabilire la giusta relazione con Dio, l’opportunità di riparare, per noi e per gli altri, la relazione lesionata dal peccato. L’accezione diabolica della parola “penitenza” ha invece separato la fatica dal suo frutto, il mezzo dal suo fine. E così, di quella salutare astinenza che premunisce dal pericolo di lasciarsi trattenere, nel pellegrinaggio verso la patria celeste, dalle cose di questo mondo è avanzato soltanto un brutto guscio vuoto.
Comunque, il possibile fraintendimento, grazie a Dio non si conta il numero di coloro che, comprendendo a fondo il significato della penitenza e della propria responsabilità, hanno deciso di consacrare la vita proprio nell’ottica riparatrice. Il modo migliore di riformare la Chiesa e rendere più  buono il mondo è nella conversione personale. Suor Lucia dos Santos avvertiva: “E’ già tempo che ognuno, di sua iniziativa, compia opere sante, e riformi al sua vita secondo i richiami della Madonna Santissima”. In risposta alle tante rivelazioni sui mali della Chiesa e del mondo, la beata Maria Bolognesi (1924 – 1980) replicava: “Oggi cosa potrò fare per il bene delle anime, perché non piombino su di noi altri castighi? Voglio lavorare sempre per il bene delle anime, lavorare per i poveri, cercare l’ufficio che più mi pesa per farne un fioretto da offrire a Gesù in riparazione per tutta l’umanità”.
Il Diavolo ci fa proiettare la responsabilità del male sempre sugli altri; Gesù, invece, dà a noi il potere ma anche al responsabilità di fare qualcosa. Ma “questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?” (Gv 6,60). Le opere della fede non hanno davanti a sé la tromba che suona in piazza. Avvengono nel silenzio e, spesso, nel segreto della propria camera (Mt 6,6). Il papa san Pio X, nel 1908, in occasione del suo cinquantesimo di sacerdozio, aveva promulgato una accorata  Esortazione apostolica dedicata al clero cattolico; in essa affermava con forza che l’avvenire della Chiesa dipende dalla santità del suo clero: “Che i sacerdoti siano tali, quali li esige la dignità del loro ministero, poiché a nostro avviso, per questa via principalmente, possiamo nutrire liete speranze dell’avvenire della religione”. Ma aggiunse anche che, per corroborare l’auspicata santità del clero, era necessaria la collaborazione di tutto il Corpo Mistico, collaborazione che in realtà non era mai venuta meno: “E’ pure gradito balsamo al nostro animo che non poche sono le anime di più generosa virtù, le quali non solo nei sacri chiostri, ma altresì in mezzo al mondo per la stessa causa vanno a gara nell’offrirsi a Dio perenni vittime votive. Accolga il sommo Dio le pure e preziose loro preci in profumo di soavità, né rigetti le umilissime nostre preci, clemente e provvido. Egli, come imploriamo, ci esaudisca; e dal Cuore sacratissimo di suo Figlio diffonda sopra tutto il clero tesori di grazia, di carità e di ogni virtù (n. 37)”. L’ultimo documento conciliare, la Costituzione dogmatica Gaudium et spesa, rinnova il richiamo della grave responsabilità personale di ogni fedele anche di fronte ai grandi problemi che travagliano il mondo. 
“La pace terrena, che nasce dall’amore del prossimo, è essa stessa immagine ed effetto della pace di Cristo che promana dal Padre. (…)Gli uomini, in quanto peccatori, sono e saranno sempre sotto la minaccia della guerra fino alla venuta di Cristo; ma in quanto riescono, uniti nell’amore, a  vincere il peccato essi vincono la violenza, fino alla realizzazione di quella parola divina “Con le loro spade costruiranno aratri e felci con le loro lance; nessun popolo prenderà più le armi contro un altro popolo, né si eserciteranno più per la guerra” (Is 2,4) (…)E’ inutile, infatti, che essi si adoperino con la tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. (…)E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore (n. 78 e 82).
E’ dunque una questione di fede: grazie alla fede ci si sente membra vive del Corpo Mistico e quindi si entra nell’ottica dell’intercessione e della riparazione; senza la fede si prende la strada dei “giustizieri dell’Apocalisse” del cinema, o si innesca la “caccia alle streghe” deplorata da Papa Francesco.
“Mi fa tanto amale riscontrare come in alcune comunità cristiane, e persino tra persone consacrate, si dia spazio a diverse forme di odio, divisione, calunnia, diffamazione, vendetta, gelosia, desiderio di imporre le proprie idee a qualsiasi costo, fino a persecuzioni che sembrano una implacabile caccia alle streghe. Chi vogliamo evangelizzare con questi comportamenti? Chiediamo al Signore che ci faccia comprendere la legge dell’amore. Che buona cosa è avere questa legge! Quanto ci fa bene amarci gli uni e gli altri al di là di tutto! Sì, al di là di tutto! A ciascuno di noi è diretta l’esortazione paolina: “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene” (Rm 12,21). E ancora: “Non stanchiamoci di fare il bene” (Gal 6,9). (…) Non lasciamoci rubare l’ideale dell’amore fraterno! (…). Più che come esperti di diagnosi apocalittiche o giudici oscuri che si compiacciono di individuare ogni pericolo o deviazione, è bene che gli uomini possano vederci come gioiosi messaggeri di proposte alte, custodi del bene e della bellezza che risplendono in una vita fedele al Vangelo” (Evangelii gaudium, n. 100; 101; 168).
Travestito da amore per la Chiesa, il falso zelo finisce con alimentare le file di coloro che scagliano pietre e dilaniano il Corpo di Cristo.
L’eco degli inferi
Come non bastasse uno zelo cattivo, tutto terreno, il Diavolo ne offre ancora uno più sottile, e lo manda direttamente dal suo “cielo” tramite i falsi messaggi di veggenti, di “anime particolari”. Esiste un falso zelo “apostolico” che – non ritenendo sufficiente la Parola di Dio e la voce della Chiesa – pensa di lodare Dio e la Madonna e di propagare la fede affidando la catechesi al Diavolo. In altre parole, si ritiene implicitamente la sua testimonianza sia più credibile di quella dei santi. Ecco allora la pubblicazione di lettere di dannati, interviste a Satana, voci dall’Inferno. Gesù non ha mai gradito una siffatta catechesi. Nei Vangeli sentiamo al voce adulante dei demoni che riconoscono il Messia ancor prima die discepoli e gridano: “Io so chi tu sei: il santo di Dio”. Eppure, la risposta di Gesù è solo una: “Taci!” (Mc 1,25; Lc 4,35). E, sempre nel Vangelo, c’è una risposta anche per coloro che sono convinti che le affermazioni dei dannati possano avere un benefico effetto sulle anime degli increduli. Anzi ci viene fornita una vera e propria intervista:
“(Il ricco) stando negli inferi trai tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse (…): ‘Padre Abramo, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormenti. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti” (Lc 16, 23.27-31).
Luca, poi, negli Atti degli Apostoli, narra l’episodio accorso a Paolo e Sila nella città di Filippi, dove una giovane schiava, posseduta da un demone, li seguiva “gridando: ‘Questi uomini sono servi del Dio Altissimo e vi annunciano la via della salvezza’. Così fece per giorni, finché Paolo, mal sopportando la cosa, si rivolse alo spirito e disse, (esorcizzò): ‘In nome di Gesù Cristo ti ordino di partire da lei’. E all’istante lo spirito partì” (At 16,17-18).
Distratti dall’eco degli inferi, rischiamo di non accorgerci della voce chiara e tonante del Diavolo che, omicida fin da principio, in ogni epoca spinge gli uomini a trasformare il delitto in diritto.
I segreti delle tenebre
Esiste poi un falso zelo decisamente “spudorato”. Leggendo i trattati di teologia mistica, si trova che, per poter discernere la veridicità del contenuto delle rivelazioni private, sono stati codificati criteri ben precisi. Il contenuto, per esempio, non deve opporsi alle verità di fede né chiedere cose impossibili. C’è pure un criterio che, di primo acchito, lascia perplessi per la sua apparente ovvietà: il contenuto non deve essere “contrario alla decenza”. In realtà il problema è più serio di quanto non sembri. Si è già detto che molte rivelazioni private contengono un’analisi dei mali della Chiesa; quelle autentiche esortano al rimedio responsabilizzando personalmente i fedeli. Ma ce ne sono altre che arricchiscono l’analisi dei mali con accurate spiegazioni esemplificative, specialmente quando si tratti di peccati contro il sesto comandamento.
E’ rimasto famoso il caso di una presunta veggente di metà ottocento, una certa Canzianilla. La donna riuscì a carpire la fiducia del suo vescovo riguardo all’autenticità delle rivelazioni di cui lei si diceva beneficiaria e a pubblicarle in libelli; in esse, la Madonna chiedeva preghiere e penitenza per la santificazione del clero, ma nel contempo dava “una pittura orribile dei costumi di sacerdoti e religiosi. Ne seguì uno scandalo e il vescovo dovette dimettersi; così Satana ottenne il suo scopo.
Nello stesso periodo, anche il Segreto di Melania, condannato definitivamente il 21 dicembre 1915 e poi inserito nell’Indice dei libri proibiti nel 1923, contiene accuse sommarie e senza pudore contro il clero e le comunità cristiane degli anni che vanno dal 1846 al 1865 (anni in cui, tra l’altro, vivevano il beato Pio IX, san Giovanni Bosco, il santo Curato d’Ars).
San Pio X, poi, fra le varie motivazioni dalle quali si poteva comprendere la falsità dei messaggi che portarono allo scisma dei Mariaviti, annoverò il fatto che in essi fossero contenute “le più grandi accuse contro tutti i sacerdoti e i vescovi che hanno osato esprimere dubbi circa la santità e la divina elezione della veggente, o hanno mostrato una qualche riserva nei confronti della società dei Mariaviti”.
“In una civiltà paradossalmente ferita dall’anonimato e, al tempo stesso, ossessionata per i dettagli della vita degli altri, spudoratamente malata di curiosità morbosa,  la Chiesa ha bisogno di uno sguardo di vicinanza per contemplare, commuoversi e fermarsi davanti all’altro tutte le volte che sia necessario” (Evangelii gaudium n.169).
Messaggi che squalificano in modo sommario intere categorie di persone e manifestano spudoratamente peccati nascosti degli altri, finendo con il mancare di carità e favorire gravi giudizi temerari, non sono certamente nello stile di Dio che, solo alla fine die tempi, “svelerà i segreti delle tenebre e le intenzioni dei cuori” (1 Cor 4,5).
La crepa nella Roccia
Esiste infine un terzo tipo di zelo demoniaco, uno zelo più intellettuale che potremo definire “antiereticale”. Il vescovo di Roma riveste il grandissimo ruolo di essere la “Petra”, la Roccia, il punto fermo su cui è costruita la Chiesa e contro cui si infrangono le potenze degli inferi. “Meglio ci è di stare appoggiati alla colonna ferma – la quale, se è percossa con molte persecuzioni, non è però rotta – piuttosto che alla paglia che, siamo certi, ella vien meno, e ogni piccolo vento la caccia a terra”, scriveva santa Caterina riferendosi al papa di Roma in quel tempo di massima confusione ecclesiale che fu il grande scisma d’Occidente. Nella Chiesa c’è sempre stata la certezza che l’autorità del papa sia legata non alla sua personale impeccabilità, ma a quella delle “Chiavi che Dio gli ha date”. In mezzo agli sconvolgimenti del mondo resta un punto di riferimento, un uomo a cui Dio dono il carisma di non poter insegnare errori in materia di fede e morale. Abbiamo già analizzato la confusione creata dal Diavolo giocando sulle parole “infallibile” e “impeccabile” (quinto capitolo). Il problema, comunque, riguarda soprattutto chi, non accettando il dogma – che si è rivelato una vera “cruna dell’ago” -, giudica la Chiesa standone all’esterno. Per infettare le pecore dell’ovile era dunque necessaria una tentazione meno scontata.
Non potendo intaccare apertamente l’infallibilità del papa – sarebbe una manovra troppo evidente –il diavolo ha trovato il modo di entrare nell’ovile senza passare per la porta, ma salendo “da un’altra parte” (Gv 10,1). Ha tentato di insinuare una crepa nella Roccia: l’idea, che poi si trasforma in convinzione, che il papa regnante non sia quello vero. Storicamente, chi ha coltivato tale idea si è poi stretto attorno a un antipapa. Cominciò il prete romano Ippolito Eletto antipapa  nel 217), sostenendo che papa Callisto fosse caduto nell’eresia e quindi non potesse essere legittimo. In seguito nel periodo della “lotta per le investiture” (che contrappose il papato e l’impero nei secoli undicesimo e dodicesimo), con analoghe motivazioni vennero eletti numerosi antipapi sostenuti dalla fazione imperiale. Tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento vi furono vari papi rivali.. Dal 1449, grazie a Dio, non ci sono stati più antipapi, ma ha preso vita il bizzarro fenomeno dei “sede vacantisti”: l’ultimo vero papa sarebbe morto quel dì, e il trono di Pietro è usurpato da un eretico, da un apostata o addirittura da un demone. In nome dello zelo antiereticale, per la difesa della vera fede, si è fatto così passare il cammello per la “cruna dell’ago”.
Ebbene, molti “messaggi” – con suadente linguaggio mascherato a difesa dell’ortodossia cattolica – vanno a minare la stabilità del primato di Pietro: la Beata Vergine, o qualche altra creatura celeste, piange perché Roma o “i vertici della chiesa – nominare esplicitamente il papa sarebbe un attacco troppo palese – hanno abbandonato la vera fede, e ora Satana dirige la Chiesa. In altre parole, il papa e i vescovi in comunione con lui non sono più infallibili e stanno insegnando eresie o, peggio, sono caduti nella apostasia. Da quel momento i fedeli sono quindi autorizzati a non fidarsi né dei vescovi né del papa; e l’azione di dispersione comincia. A chi si riferirebbe la profezia? Al segretario di Stato? Al suo sostituto? Al prefetto della Congregazione per la dottrina della fede? Al papa in persona? O ai residenti nelle mura vaticane? Compaiono così le liste dei vescovi (soprattutto cardinali) sospettati di appartenere all’organizzazione sovversiva che complotta contro la “vera Chiesa”; compare l’elenco delle eresie di cui si sarebbe macchiato il pontefice; compaiono i veggenti – quelli non mancano mai – che, a nome della Madonna o di Gesù, guidano il gregge disperso finché non giunge la divina legittimazione di abbandonare scismaticamente la Chiesa reale.
In tempi recenti, le false versioni del terzo segreto di Fatima e il Segreto di Melania sono stati utilizzati per alimentare filoni apocalittici di carattere scismatico. Emblematica in tal senso è l’esistenza di alcune frange tradizionaliste sul presunto occultamento del “vero terzo segreto di Fatima”. Che sarebbe stato operato dagli ultimi papi, allo scopo di nascondere la loro demoniaca identità di “Anticristi sul trono di Pietro”. Benché, in prospettiva, le posizioni deliranti siano facilmente riconoscibili, numerosi fedeli sono caduti nella trappola. Negli anni successivi al Concilio Vaticano II ci fu una vera epidemia di rivelazioni private. Fra le tante, per il legame con il presunto terzo segreto, meritano di essere ricordate la false apparizioni avvenute a Bayside, un quartiere di  New York. La “veggente”, Veronica Lueken, dal 1968 fino alla morte avvenuta nel 1995) dichiarò di ricevere messaggi da santa Teresa di Lisieux e dalla Madonna. Nonostante i pronunciamenti dei vescovi di Brooklyn (1975 e 1986)  in cui si avvertono i fedeli che “le presunte visioni di Bayside sono assolutamente destituite di autenticità e i ‘messaggi’ contengono affermazioni contrarie agli insegnamenti della Chiesa cattolica che minano la legittima autorità die vescovi e concili instillando dubbi nelle menti dei fedeli”, attorno a Veronica si strutturarono un centinaio di gruppi di “rosarianti”, Naturalmente Veronica sosteneva di detenere il terzo segreto di Fatima e di essere un’anima vittima per il bene della Chiesa. Nel 1975 la Madonna avrebbe rivelato a Veronica che tre anni prima un gruppo di cardinali aveva avvelenato Paolo VI e insediato al suo posto un impostore, un “agente di Satana”; il terribile contenuto del segreto era proprio questo: Satana papa e guida la Chiesa. Si narra che anche a fine Ottocento – quando Leone XIII adottò un atteggiamento più dialogante con il neonato Stato italiano e scrisse le encicliche sociali -  una banda di fedeli armati fosse partita dalla Francia con l’intenzione di liberare il vero Papa Leone XIII, imprigionato nelle segrete del Vaticano. In tempi recentissimi , le “veggenti” Filomena e Marina – pure loro istruite sul terzo segreto dalla Madonna in persona -, quando Giovanni Paolo II – contradicendo clamorosamente le loro profezie – promosse  l’incontro interreligioso di Assisi, sostenendo che la massoneria avesse segregato il vero papa, sostituendolo con un sosia. Contro corrente, il terzo segreto ispira anche l’Opera cenacolo familiare, fondata da don Salvatore Paparo nel 1946: il messaggio di Fatima inaugura l’”età del cristianesimo”, il trionfo della Chiesa cattolica in cui “vescovi sposati e preti sposati saranno un fulgido esempio per le altre famiglie cristiane”.
Possiamo capire come qui non sia in gioco tanto l’autorità del pontefice, ma la Parola del Signore: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno su di essa”.
La barca di Pietro
Nel Vangelo di Matteo, abbiamo due situazioni iconografiche in qualche modo speculari. In entrambe, la barca di Pietro è nel mare in gran tempesta, ricoperta dalle onde. Nella prima icona, finché Pietro tiene lo sguardo fisso su Gesù, riesce a camminare sulle acque ma, appena si concentra sulla tempesta, comincia ad affondare. Distogliere lo sguardo da Gesù provoca il dramma.
“La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario (…)Ed egli disse: “Vieni!”. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, per la violenza del vento, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: “Signore, salvami!”. E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: “Uomo di poca fede, perché hai dubitato?”. Appena saliti sulla barca, il vento cessò” (Mt 14, 24-32).
Nella seconda, gli Apostoli finché tengono lo sguardo verso la tempesta sono sommersi dalle onde ma, appena si rivolgono a Gesù, si fa una grande bonaccia. Dirigere lo sguardo verso Gesù risolve il dramma.
“Ed ecco, scatenarsi nel mare una tempesta così violenta chela barca era ricoperta dalle onde; ma egli dormiva. Allora accostatisi a lui lo svegliarono, dicendo: “Salvaci, Signore, siamo perduti!”. Ed egli disse loro: “Perché avete paura, uomini di poca fede?”. Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia” (Mt 8,24-26).
Con il linguaggio essenziale, l’evangelista ci fa ben comprendere che è la poca fede a renderci sempre più vittime del mare di problemi che inonda la vita; finché l’attenzione resta polarizzata sugli eventi negativi, sull’infinita analisi del problema, ne siamo sommersi.
Noi dobbiamo credere che Gesù ha già vinto. Gesù è già vincitore. Anche la Madre è venuta a dirci che il suo Cuore Immacolato trionferà. Se ne siamo davvero convinti, allora dobbiamo collaborare con la vittoria di Dio cooperando con la grazia che Lui ci manda. Bisogna cambiare ottica: anziché investigare perennemente sul problema e analizzare tutte le sfumature, dobbiamo cercare le tracce della Sua vittoria e attaccarci a quelle. Anche se talora la barca è in mezzo alla tempesta, con vento forte e contrario, non bisogna aver paura: Lui ha già vinto. Ma è solo con gli occhi della fede che vediamo la sua vittoria. Con gli occhi della fede riusciamo a scorgere quale sia la Sua grazia in mezzo al grande problema, quali siano i piccoli segnali della Sua vittoria …Probabilmente, la migliore soluzione prospettata dagli Apostoli sarebbe stata l’aver un secchio in più con cui svuotare la barca; ma capiamo bene che, buttato fuori il primo secchio d’acqua, sarebbe arrivata una nuova onda e poi un’altra e un’altra ancora. La vera grazia, invece, era Gesù lì con loro, anche se stava dormendo. Avere Gesù “inerte” sulla barca poteva sembrare una piccola cosa, ma è solo quando lo hanno guardato con gli occhi della fede che lo hanno svegliato: anziché guardare verso la tempesta hanno guardato a Lui, e Lui ha risolto il problema. Talora, ai nostro occhi, la grazia può sembrare piccola cosa rispetto alla grandezza del problema; ma se noi cooperiamo con essa, pian piano essa cresce in noi fino a superare il problema. A Paolo, tribolato da ogni parte e schiaffeggiato da Satana, il Signore disse: “Ti basta la mia grazia” (2 Cor 12,9). Nutrendoci ogni girono della grazia che Dio ci manda, col tempo finiamo per essere trasformati dalla grazia stessa, una trasformazione cos’ profonda che la nostra volontà si troverà tutta orientata a desiderare quello che Dio vuole. Saremo allora giunti sul terzo “scalone” , nella bocca del Signore, veri figli che parlano con le sue Parole e si nutrono del Suo cibo: “la volontà di colui che lo ha mandato” (Gv 4,34).
….Il “semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore” aveva concluso il suo grande e mite servizio di governo e di chiarezza dottrinale. “Sentiamo che Benedetto XVI – Papa Francesco ai cardinali il 15 marzo 2015 – ha acceso nel profondo dei nostri cuori una fiamma: essa continuerà ad ardere perché sarà alimentata dalla sua preghiera, che sosterrà ancora la Chiesa nel suo cammino spirituale e missionario”.
Ma la  luce della fede non si è spenta, anzi! Il Lumen fidei ha continuato a brillare, nelle mani di Papa Francesco. La vera Tradizione si era trasmessa in modo unico nella storia della Chiesa, con una consegna viva e visibile a tutti, persino concretizzata in una lettera enciclica scritta a quattro mani. “Il successore di Pietro, ieri, oggi e domani – Lumen fidei n.7 -, è infatti sempre chiamato a ‘confermare i fratelli’ in quell’incommensurabile tesoro della fede che Dio dona come luce sulla strada di ogni uomo”.
L’ombra del diavolo non ha oscurato la barca di Pietro: “Guardate a Lui e sarete raggianti” (Sal 34).
E il Risorto, ora con voce tremula, ora con voce più vigorosa, continua ad annunciare a ogni uomo e in ogni tempo: 
Coraggio! Non cedete al pessimismo di chi vi fa credere che la mia Sposa è vecchia e moribonda. La Chiesa è sempre giovane! Non lasciatevi rubare la speranza.
Non abbiate paura! Io sono il primo e l’Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi (Ap 1,17-18).

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