Domenica XXIV
Rimanere fedeli al Vangelo della carità, certi che nulla va perso di quanto abbiamo dato in dono
In questa domenica – la 24.ma del Tempo Ordinario – la Parola di Dio ci interpella con due questioni cruciali che riassumerei così: “Chi è per te Gesù di Nazareth che ogni Domenica risorto incontri, ascolti, accogli, ricevi nella comunione?” E poi “coglierlo presente e credere si traduce in opere tutta la settimana, tutta la vita?”
La prima domanda la troviamo nel Vangelo odierno, là dove Gesù chiede ai suoi discepoli: “Voi, chi dite che io sia?” (Mc 8,29). La risposta di Pietro è netta e immediata: “Tu sei il
Cristo”, cioè il Messia, il Dio che possiede un volto umano tra noi per salvare il suo popolo, tutta l’umanità, ciascuno di noi. Pietro e gli apostoli, dunque a differenza della maggior parte della gente, credono che Gesù non sia solo uno dei grandi maestri, un profeta che fa risuonare la parola di Dio, ma molto di più cioè la stessa Parola di Dio che nella vita trinitaria è persona, Verbo del Padre, che ha fatto risuonare la sua parola in tanti modi e tante maniere nella creazione e nella storia del suo popolo e finalmente si è incarnata in un volto umano. Sono giunti alla fede cioè credono che in Lui è presente e opera Dio stesso nella storia.
Subito dopo questa professione di fede che anche noi siamo invitati a fare, però, quando Gesù per la prima volta annuncia apertamente che per amore, rivelando che Dio è amore, dovrà patire ed essere ucciso come via alla vita veramente vita da risorti, lo stesso Pietro si oppone alla prospettiva di sofferenza, di farsi dono sino alla fine, sino a lasciarsi uccidere per amore, anzi di dover anche noi passare attraverso il morire di questa vita per la vita veramente vita. Gesù allora deve rimproverarlo con forza, per fargli capire, e in questo momento per far capire anche a noi che non basta credere e professare anche pubblicamente che Lui è Dio che possiede un volto umano, che ci ha amato asino alla fine, l’umanità e ciascuno personalmente, ma spinti dal suo amore occorre seguirlo sulla stessa strada, quella della croce (Mc 8,31-33), del farci dono nel nostro e altrui essere suo dono. Gesù non è venuto a insegnarci una filosofia tra le tante, ma a mostraci una vita, anzi l’unica via che conduce alla vita veramente vita per tutto il nostro essere, anima e corpo per l’eternità.
Questa via, fatti ad immagine di Dio che è Amore, è l’amore, che è l’espressione della vera fede. Se uno ama il prossimo con cuore puro e generoso in famiglia e nella società, vuol dire che conosce veramente Dio che possiede un volto umano, Gesù Cristo, centro della storia e del mondo. Se invece uno dice di avere fede, fa la sua professione di Fede nella Trinità e nell’Incarnazione, ma poi non ama con il Suo amore, dato sacramentalmente in dono, i fratelli, non è un vero credente, non giungerà alla felicità della conoscenza e dell’esperienza concreta di Dio con noi. Dio non abita in lui e senza Dio siamo niente. Lo abbiamo sentito chiaramente da san Giacomo nella seconda lettura: ”Se non è seguita dalle opere, (la fede) in se stessa è morta” (Gc 2,17). San Giovanni Crisostomo, uno dei grandi Padri della Chiesa, commentando il passo citato della Lettera di Giacomo scrive: “Uno può anche avere una retta fede nel Padre e nel Figlio, così come nello Spirito santo, ma se non punta a una retta vita e non ama, la sua fede non gli servirà per la salvezza”.
Domani celebreremo la festa dell’Esaltazione della Santa Croce e il giorno seguente la Madonna Addolorata. La Vergine Maria, che credente alla Parola del Signore, non perse la sua fede In Dio quando vide il Figlio del Padre e suo figlio respinto, oltraggiato e messo in croce. Rimase piuttosto in piedi a accanto a Gesù, soffrendo e pregando, fino alla fine. E vide l’alba della vita oltre questa vita nella Risurrezione. Certi che oltre questa vita bio-chimica c’è la vita veramente vita che dura sempre non anteponiamo nulla al Vangelo della carità e della verità certi che nulla che abbiamo dato in dono va perduto.
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