Viaggio apostolico a Sarajevo
Viaggio apostolico a Sarajevo (Bosnia ed
Erzegovina) di
Papa
Francesco
Penso utile riportare alcuni interventi magisteriali,
pastorali del Santo Padre a cominciare dal mattino del 6 giugno con il saluto ai giornalisti: “Sarajevo è chiamata la Gerusalemme
dell’Occidente, è una città di culture religiose, ed etniche tanto diverse; è
anche una città che ha sofferto tanto nella storia e adeso è in un bel cammino
di pace.
E’ per parlare di questo
che io faccio il viaggio: come segno di pace e come preghiera di pace”.
E nell’incontro con le autorità: “”E’ per me motivo
di gioia trovarmi in questa città che ha tanto
sofferto per i sanguinosi conflitti del secolo scorso e che è tornata ad essere
luogo di dialogo e pacifica convivenza. E’ passata da una cultura dello scontro,
della guerra, a una cultura dell’incontro.
Sarajevo e la Bosnia
ed Erzegovina rivestono uno speciale significato per l’Europa e per il mondo
intero. Da secoli in questi territori sono presenti comunità che professano
religioni diverse e appartengono a diverse etnie e culture, ciascuna delle
quali è ricca delle sue peculiari caratteristiche e gelosa delle sue specifiche
tradizioni, senza che questo abbia impedito per lungo tempo l’instaurarsi di
relazioni reciproche amichevoli e cordiali.
Anche la stessa
struttura architettonica di Sarajevo ne porta visibili e consistenti tracce,
perché nel suo tessuto urbanistico sorgono, a breve distanza una dall’altra,
sinagoghe, chiese e moschee, tanto che la città ricevette l’appellativo di “Gerusalemme
d’Europa”. Essa infatti rappresenta un crocevia di culture, nazioni e religioni; e tale ruolo richiede di costruire
sempre nuovi ponti e di curare e restaurare quelli esistenti, perché sia
assicurata un’agevole, sicura e civile comunicazione.
Abbiamo bisogno di
comunicare, di scoprire le ricchezze di ognuno, di valorizzare ciò che ci
unisce e di guardare alle differenze come possibilità di crescita nel rispetto
di tutti. E’ necessario un dialogo paziente e fiducioso, in modo che le persone,
le famiglie e le comunità possano trasmettere i valori della propria cultura e
accogliere il bene proveniente dalle esperienze altrui.
In tal modo, anche le
gravi ferite del recente passato possono essere rimarginate e si può guardare
al futuro con speranza affrontando con animo libero da paure e rancori i
quotidiani problemi che ogni comunità civile è chiamata ad affrontare”.
Papa Francesco ha ricordato la visita di San Giovanni Paolo
II 18 anni fa dopo la firma degli Accordi di Pace di Dayton: “E’ però importante non accontentarsi di
quanto finora realizzato, ma cercare di compiere passi ulteriori per rinsaldare
la fiducia e creare occasioni di accrescere la mutua conoscenza e stima. Per
favorire questo percorso sono fondamentali la vicinanza – la vicinanza! – e la
collaborazione della Comunità internazionale, in particolare dell’Unione
Europea, e di tutti i Paesi e le Organizzazioni presenti e operanti sul
territorio della Bosnia ed Erzegovina.
La Bosnia ed Erzegovina
è infatti parte integrante dell’Europa; i suoi successi e i suoi drammi si inseriscono
a pieno titolo nella storia dei successi e dei drammi europei, e sono nel
medesimo tempo un serio monito a compiere ogni sforzo perché i processi di pace
avviati diventino più solidi e irreversibili.
In questa terra, la
pace e la concordia tra Croati, Serbi e Bosgnacchi, le iniziative volte ad
accrescerle ulteriormente, le relazioni cordiali e fraterne fra musulmani,
ebrei e cristiani e alter minoranze religiose, rivestono un’importanza che va
ben al di là dei suoi confini. Esse testimoniano al mondo intero che la
collaborazione tra varie etnie e religioni in vista del bene comune è
possibile, che un pluralismo di culture e tradizioni può sussistere e care vita
a soluzioni originali ed efficaci dei problemi, che anche le ferite più
profonde possono essere sanate da un percorso che purifichi la memoria e dia
speranza per l’avvenire. Io ho visto oggi questa speranza in quei bambini che
ho salutato all’aereo porto – islamici, ortodossi, ebrei, cattolici e altre
minoranze – tutti insieme, gioiosi! Questa è la speranza! Facciamo la scommessa
su questo.
Abbiamo tutti bisogno,
per opporci con successo alla barbarie di chi vorrebbe fare di ogni differenza
l’occasione e il pretesto di violenze sempre più efferate, di riconoscere i valori
fondamentali della comune umanità, valori in nome dei quali si può e si deve
collaborare, costruire e dialogare, perdonare e crescere, permettendo all’insieme
delle diverse voci di formare un nobile e armonioso canto, piuttosto che urla
fanatiche di odio.
I responsabili
politici sono chiamati al nobile compito di essere i primi servitori delle loro
comunità con un’azione che salvaguardi in primo luogo i diritti fondamentali
della persona umana, tra i quali spicca quello della libertà religiosa.
In tal modo sarà possibile costruire, con concretezza d’impegno, una società
più pacifica e giusta, avviando a soluzione, con l’aiuto di ogni componente, i
molteplici problemi della vita quotidiana del popolo.
Perché ciò avvenga è
indispensabile l’effettiva uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla
legge e nella sua attuazione, qualunque sia la loro appartenenza etnica, religiosa
e geografica: così tutti indistintamente si sentiranno pienamente partecipi della
vita pubblica e, godendo dei medesimi diritti, potranno attivamente dare il
loro specifico contributo al bene comune”.
E’ un orizzonte quello tracciato da Papa Francesco che pur
muovendosi da un patrimonio di fede è comprensibile razionalmente cui tutti si possono ritrovare e “la Chiesa Cattolica è partecipe attraverso
la preghiera e l’azione dei suoi fedeli e delle sue istituzioni, all’opera di
ricostruzione materiale e morale della Bosnia ed Erzegovina, condividendo le
gioie e le preoccupazioni, desiderosa di testimoniare con impegno la sua
speciale vicinanza verso i poveri e i bisognosi, mossa nel fare questo
dall’insegnamento del suo divino Maestro, Gesù”.
Nell’incontro con i sacerdoti, religiose, religiosi e
seminaristi in Cattedrale, dopo aver sentito le testimonianze di un sacerdote, di una religiosa, di un religioso
ha messo da parte il discorso preparato, sentendo il bisogno di parlare a
braccio.
“Le testimonianze
parlano da sole. E’ questa la memoria del vostro popolo! Un popolo che
dimentica la sua memoria non ha futuro. Questa è la memoria die vostri padri e
madri nella fede: qui hanno parlato solo tre persone, ma dietro di loro ci sono
tanti e tante che hanno sofferto le stesse cose.
Care sorelle, cari
fratelli, non avete diritto di dimenticare la vostra storia. Non per vendicarvi,
ma per fare pace. Non per guardare a queste testimonianze come a una cosa
strana, ma per amare come loro hanno amato. Nel vostro sangue, nella vostra
vocazione, c’è la vocazione, c’è il sangue di questi tre martiri. E c’è il
sangue e c’è la vocazione di tante religiose, tanti preti, tanti seminaristi.
L’autore della Lettera agli Ebrei ci dice: Mi raccomando, non dimenticatevi dei
vostri antenati, quelli che vi hanno trasmesso la fede; questi vi hanno
trasmesso come si vive la fede. Lo stesso Paolo ci dice: “Non dimenticatevi di
Gesù Cristo”, il primo Martire. E questi sono andati sulle tracce di Gesù.
Riprendere la memoria
per fare pace. Alcune parole mi sono rimaste cuore. Una, ripetuta: “perdono”.
Un uomo, una donna che si consacra al servizio del Signore e non sa perdonare,
non serve. Perdonare un amico che ti ha detto una parolaccia, con il quale
avevi litigato, o una suora che è gelosa di te, non è tanto difficile. Ma perdonare
chi ti picchia, chi ti tortura, chi ti calpesta, chi ti minaccia con il fucile
per ucciderti, questo è difficile. E loro lo hanno fatto, e loro predicano di
farlo.
Un’altra parola che mi
è rimasta è quella di 120 giorni del campo di concentramento. Quante volte lo
spirito del mondo ci fa dimenticare questi nostri antenati, le sofferenze dei
nostri antenati! Quei gironi sono contati, non giorno per giorno, ma per
minuti, perché ogni minuto, ogni ora è una tortura. Vivere tutti insieme,
sporchi, senza pasto, senza acqua, con il caldo o con il freddo, e questo per tanto
tempo! E noi, ci lamentiamo quando abbiamo un dente che ci fa male, o che vogliamo
la tv nella nostra stanza con tante comodità, e che chiaccheriamo della superiora
o del superiore quando il pasto non è tanto buono…Non dimenticate, per favore,
le testimonianze dei vostri antenati. Pensate a quanto hanno sofferto queste
persone; penaste a quei sei litri di sangue che ha ricevuto il padre – il primo
che ha parlato – per sopravvivere. E fate una vita degna della Croce di Gesù
Cristo.
Suore, sacerdoti, vescovi,
seminaristi mondani, sono una caricatura, non servono. Non hanno la memoria dei
martiri. Hanno perso la memoria di Gesù Cristo crocifisso, l’unica gloria
nostra….
Cercate il bene di
tutti. Tutti hanno la possibilità, il seme del bene. Tutti siamo figli di Dio”.
Nel discorso preparato non è
mancato il riferimento alla Madonna, in una terra così prediletta da
Lei: “La Vergine Maria è sempre accanto a
noi .come madre premurosa. Lei è la prima discepola del Signore ed esempio di
vita dedicata a Lui e ai fratelli. Quando ci troviamo in una difficoltà, o
incontriamo una situazione di fronte alla quale sentiamo tutta la nostra impotenza,
ci rivolgiamo a lei con fiducia di figli. E lei sempre ci dice – come alle
nozze di Cana -:”Qualsiasi cosa vi dica, fatela” (Gv 2,5). Ci insegna ad
ascoltare Gesù e seguire la sua Parola, ma con fede! Questo è il suo segreto,
che come madre ci vuole trasmettere: la fede, quella genuina, tanto che ne
basta una briciola per spostare le montagne”.
E alla Messa nello Stadio strapieno di Kosevo: “Nelle Letture bibliche che abbiamo ascoltato
è risuonata più volte la parola “pace”. Parola profetica per eccellenza! Pace è
il sogno di Dio, è il progetto di Dio per l’umanità, per la storia, con tutto
il creato. Ed è un progetto che incontra sempre opposizione da parte dell’uomo
e da parte del maligno. Anche nel nostro tempo l’aspirazione alla pace e
l’impegno per costruirla si scontrano col fatto che nel mondo sono in atto
numerosi conflitti armati. E’ una sorta di terza guerra mondiale combattuta “a
pezzi”; e, nel contesto della comunicazione globale, si percepisce un clima di
guerra.
C’è chi questo clima
vuole crearlo e fomentarlo deliberatamente, in particolare coloro che cercano
lo scontro tra diverse culture e civiltà, e anche coloro che speculano sulle
guerre per vendere armi. Ma la guerra significa bambini, donne e anziani
nei campi profughi; significa dislocamenti forzati; significa case, strade,
fabbriche distrutte; significa soprattutto vite spezzate. Voi lo sapete bene,
per averlo sperimentato proprio qui: quanta sofferenza, quanta distruzione,
quanto dolore! Oggi, cari fratelli e sorelle, si leva ancora una volta da
questa città il grido del popolo di Dio e di tutti gli uomini e le donne di
buona volontà: Mai più la guerra!
All’interno di questo
clima di guerra, come un raggio di sole attraversa le nubi, risuona la parola
di Gesù nel Vangelo: “Beati gli operatori di pace” (Mt 5,)9. E’ un appello
sempre attuale, che vale per ogni generazione. Non dice: “Beati i predicatori
di pace”: tutti sono capaci di proclamarla,
anche in maniera ipocrita o addirittura menzognera. No. Dice: “Beati gli
operatori di pace”, cioè coloro che la fanno. Fare la pace è un lavoro
artigianale: richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Beati coloro che
seminano pace con le loro azioni quotidiane, con atteggiamenti e gesti di
servizio, di fraternità, di dialogo, di misericordia…Questi sì “saranno
chiamati figli di Dio”, perché Dio semina la pace, sempre, dovunque; nella
pienezza dei tempi ha seminato nel mondo il suo Figlio perché avessimo la pace!
Fare la pace è un lavoro da portare avanti tutti i giorni, passo dopo passo,
senza mai stancarsi.
E come si fa, come si costruisce
la pace? Ce lo ha ricordato, in maniera essenziale, il profeta Isaia: “Praticare
la giustizia darà pace” (32,17). “Opus iustitiae pax”…diventata un celebre
motto adottato anche profeticamente dal Papa Pio XII. La pace è opera della
giustizia. Anche qui: non una giustizia declamata, teorizzata, pianificata…ma
la giustizia praticata, vissuta. E il Nuovo testamento ci insegna che il pieno
compimento della giustizia è amare il prossimo come se stessi (Mt 22,39; Rm
13,9).
Quando, con la grazia
di Dio, noi seguiamo questo comandamento, come cambiano le cose! Perché
cambiamo noi! Quella persona, quel popolo, che vedevo come nemico, in realtà ha
il mio stesso volto, il mio stesso cuore, la mia stessa anima. Abbiamo lo
stesso Padre nei cieli. Allora la vera giustizia è fare a quella persona, a
quel popolo, ciò che vorrei fosse fatto a me, al mio popolo (Mt 7,12).
San Paolo, nella
seconda Lettura, ci ha indicato gli atteggiamenti necessari per fare la pace:
“Rivestitevi di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine,
di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se
qualcuno avesse di che lamentarsi nei confronti di un altro. Come il Signore vi
ha perdonato, così fate anche voi” (3,12-13).
Ecco gli atteggiamenti
per essere “artigiani” di pace nel quotidiano, là dove viviamo. Non illudiamoci
però che questo dipenda solo da noi! Cadremmo in un moralismo
illusorio. La pace è dono di Dio, non in senso magico, ma perché Lui,
con il suo Spirito, può imprimere questi atteggiamenti nei nostri cuori e nella
nostra carne, e fare di noi dei veri strumenti della sua pace. E, andando in profondità,
l’Apostolo dice che la pace è dono di Dio perché è frutto della sua
riconciliazione con noi. Solo se si lascia riconciliare con Dio, l’uomo può
diventare operatore di pace.
Cari fratelli e
sorelle, oggi domandiamo insieme al Signore, per intercessione della
Vergine Maria, la grazia di avere un cuore semplice, la grazia della pazienza,
la grazia di lottare e lavorare per la giustizia, di essere misericordiosi, di
operare per la pace, di seminare la pace e non la guerra”.
Significativo anche l’Incontro Ecumenico e Interreligioso: “Vorrei specialmente ricordare, quale frutto
di questo desiderio d’incontro e di riconciliazione, l’istituzione, nel 1997,
del locale Consiglio per il Dialogo Interreligioso, che raduna musulmani,
cristiani ed ebrei. Mi rallegro per l’opera che il consiglio sta svolgendo con
al promozione di diverse attività di dialogo, di coordinamento di iniziative
comuni e il confronto con le Autorità statali. Il vostro lavoro è molto
prezioso in questa regione, e a Sarajevo in particolare, crocevia di popoli e
di culture, dove la diversità, se da un lato costituisce una grande risorsa che
ha permesso lo sviluppo sociale, culturale e spirituale di questa regione,
dall’altro è stata motivo di dolorose lacerazioni e sanguinose guerre.
Non è un caso che la
nascita del Consiglio per il dialogo Interreligioso e le altre apprezzabili
iniziative in campo interreligioso ed ecumenico siano avvenute alla fine della
guerra, come una risposta all’esigenza di riconciliazione e di fronte alla necessità
di ricostruire una società dilaniata dal conflitto. Il dialogo interreligioso,
infatti, qui come in ogni parte del mondo, è una condizione imprescindibile per
la pace, e per questo è un dovere per tutti i credenti (Evangelii gaudium 200).
Il dialogo interreligioso, prima ancora di essere
discussione su grandi temi della fede, è una “conversazione sulla vita umana”.
In esso si condivide la quotidianità dell’esistenza, nella sua concretezza, con
le gioie e i dolori, le fatiche e le speranze; si assumono responsabilità
comuni; si progetta un futuro migliore per tutto. Si impara a vivere insieme, a
conoscersi e ad accettarsi nelle rispettive diversità, liberamente, per quello che
si è. Nel dialogo si riconosce e si sviluppa una comunanza spirituale, che unifica
e aiuta a promuovere i valori morali, i grandi valori morali, la giustizia, la
libertà e la pace. Il dialogo è una scuola di umanità e un fattore di unità,
che aiuta a costruire una società fondata sulla tolleranza e il mutuo rispetto.
Per questo motivo, il
dialogo interreligioso non può limitarsi solo a pochi, ai soli responsabili delle
comunità religiose, ma dovrebbe estendersi quanto più è possibile a tutti i
credenti. Coinvolgendo le diverse sfere della società civile. E un’attenzione
particolare meritano in tal senso i giovani, chiamati a costruire il futuro di
questo Paese. Tuttavia, è sempre bene ricordare che il dialogo, per essere autentico
ed efficace, presuppone una identità formata: senza identità formata, il
dialogo è inutile o dannoso. Questo lo dico pensando ai giovani, ma vale per
tutti”.
Ha concluso proponendo ecumenicamente una preghiera “All’Eterno, all’Unico e Vero Dio Vivente, al
Misericordioso”.
E all’Incontro con i Giovani ha ricordato “la preziosa opera della scuole cattoliche,
giustamente aperte non solo agli studenti cattolici, ma anche a quelli di alter
confessioni cristiane e altre religioni.
Tuttavia, la Chiesa cattolica deve sentirsi chiamata ad osare di più,
partendo dal Vangelo e spinta dallo Spirito santo che trasforma le persone, la
società e la Chiesa stessa.
Anche a voi giovani
spetta un compito decisivo nell’affrontare le sfide di questo nostro tempo, che
sono certamente sfide materiali, ma prima ancora riguardano la visione
dell’uomo….vi incoraggio a far emergere senza paura la forza che viene dal
vostro essere persone e cristiani, dal vostro essere semi di una società più
giusta, fraterna, accogliente e pacifica. Se vi lasciate plasmare da Lui, se vi
aprite al dialogo con lui nella preghiera, con la lettura e la meditazione del
Vangelo, diventerete profeti e testimoni di speranza…La fede cristiana ci insegna
che siamo chiamati a un destino eterno, ad essere figli di Dio e fratelli in
Cristo (1 Gv 3,1), ad essere creatori di fraternità per amore di Cristo…Dal
vostro modo di amarvi e di impegnarvi tutti possano vedere che siete cristiani:
i giovani cristiani della Bosnia ed Erzegovina! Senza paura; senza fuggire
dalla realtà; aperti a Cristo e ai fratelli, Siete parte viva del grande Popolo
che è la Chiesa: il Popolo universale, in cui tutte le nazioni e le culture possono
ricevere la benedizione di Dio e trovare la via della pace. In questo Popolo ognuno
di voi è chiamato a seguire Cristo e dare la vita per Dio e per i fratelli,
nella strada che il signore vi indicherà, anzi, che vi indica! Giù oggi,
adesso, il Signore vi chiama: volete rispondergli? Non abbiate paura. Non siamo
soli! Siamo con il Padre celeste, con Gesù nostro Fratello e Signore, con lo
Spirito santo; abbiamo la Chiesa e Maria per Madre. La Madonna vi protegga e vi
dia sempre la gioia e il coraggio di testimoniare il Vangelo”.
In undici ore Papa Francesco ha dato un magistero
completo non solo alla Chiesa in Bosnia ed Erzegovina ma a tutta la Chiesa.
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