Fratelli convertendosi liberamentre a Cristo

Fratelli non si nasce ma lo si diventa sempre più convertendosi, lasciandosi assimilare sempre più a Cristo
MESSAGGIO DEL SANTO PADRE

FRANCESCO
PER LA CELEBRAZIONE DELLA 
XLVIII GIORNATA MONDIALE DELLA PACE 


1. All’inizio di un nuovo anno, che accogliamo come una grazia e un dono di Dio all’umanità, desidero rivolgere, ad ogni uomo e donna, così come ad ogni popolo e nazione del mondo, ai capi di Stato e di Governo e ai responsabili delle diverse religioni, i miei fervidi auguri di pace, che
accompagno con la mia preghiera affinché cessino le guerre, i conflitti e le tante sofferenze provocate sia dalla mano dell’uomo sia da vecchie e nuove epidemie e dagli effetti devastanti delle calamità naturali. Prego in modo particolare perché, rispondendo alla nostra comune vocazione di collaborare con Dio e con tutti gli uomini di buona volontà per la promozione della concordia e della pace nel mondo, sappiamo resistere alla tentazione di comportarci in modo non degno della nostra umanità.
Nel messaggio per il 1° gennaio scorso, avevo osservato che al «desiderio di una vita piena … appartiene un anelito insopprimibile alla fraternità, che sospinge verso la comunione con gli altri, nei quali troviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere ed abbracciare».[1] Essendo l’uomo un essere relazionale, destinato a realizzarsi nel contesto di rapporti interpersonali ispirati a giustizia e carità, è fondamentale per il suo sviluppo che siano riconosciute e rispettate la sua dignità, libertà e autonomia. Purtroppo, la sempre diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole fenomeno, che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro e ad annientarne la libertà e dignità, assume molteplici forme sulle quali desidero brevemente riflettere, affinché, alla luce della Parola di Dio, possiamo considerare tutti gli uomini “non più schiavi, ma fratelli”.
In ascolto del progetto di Dio sull’umanità
2. Il tema che ho scelto per il presente messaggio richiama la Lettera di san Paolo a Filemone, nella quale l’Apostolo chiede al suo collaboratore di accogliere Onesimo, già schiavo dello stesso Filemone e ora diventato cristiano e, quindi, secondo Paolo, meritevole di essere considerato un fratello. Così scrive l’Apostolo delle genti: «E’ stato separato da te per un momento: perché tu lo riavessi per sempre; non più però come schiavo, ma molto più che schiavo, come fratello carissimo» (Fm 15-16). Onesimo è diventatofratello di Filemone diventando cristiano. Così la conversione a Cristo, l’inizio di una vita di discepolato in Cristo, costituisce unanuova nascita (cfr 2 Cor 5,17; 1 Pt 1,3) che rigenera la fraternità quale vincolo fondante della vita familiare e basamento della vita sociale.
Nel Libro della Genesi (cfr 1,27-28) leggiamo che Dio creò l’uomo maschio e femmina e li benedisse, affinché crescessero e si moltiplicassero: Egli fece di Adamo ed Eva dei genitori, i quali, realizzando la benedizione di Dio di essere fecondi e moltiplicarsi, generarono la prima fraternità, quella di Caino e Abele. Caino e Abele sono fratelli, perché provengono dallo stesso grembo, e perciò hanno la stessa origine, natura e dignità dei loro genitori creati ad immagine e somiglianza di Dio.
Ma la fraternità esprime anche la molteplicità e la differenza che esiste tra i fratelli, pur legati per nascita e aventi la stessa natura e la stessa dignità. In quanto fratelli e sorelle, quindi, tutte le persone sono per natura in relazione con le altre, dalle quali si differenziano ma con cui condividono la stessa origine, natura e dignità. E’ in forza di ciò che la fraternità costituisce la rete di relazioni fondamentali per la costruzione della famiglia umana creata da Dio.
Purtroppo, tra la prima creazione narrata nel Libro della Genesi e la nuova nascita in Cristo, che rende i credenti fratelli e sorelle del «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29), vi è la realtà negativa del peccato, che più volte interrompe la fraternità creaturale e continuamente deforma la bellezza e la nobiltà dell’essere fratelli e sorelle della stessa famiglia umana. Non soltanto Caino non sopporta suo fratello Abele, ma lo uccide per invidia commettendo il primo fratricidio. «L’uccisione di Abele da parte di Caino attesta tragicamente il rigetto radicale della vocazione ad essere fratelli. La loro vicenda (cfr Gen 4,1-16) evidenzia il difficile compito a cui tutti gli uomini sono chiamati, di vivere uniti, prendendosi cura l’uno dell’altro».[2]
Anche nella storia della famiglia di Noè e dei suoi figli (cfr Gen 9,18-27), è l’empietà di Cam nei confronti del padre Noè che spinge quest’ultimo a maledire il figlio irriverente e a benedire gli altri, quelli che lo avevano onorato, dando luogo così a una disuguaglianza tra fratelli nati dallo stesso grembo.
Nel racconto delle origini della famiglia umana, il peccato di allontanamento da Dio, dalla figura del padre e dal fratello diventa un’espressione del rifiuto della comunione e si traduce nella cultura dell’asservimento (cfr Gen 9,25-27), con le conseguenze che ciò implica e che si protraggono di generazione in generazione: rifiuto dell’altro, maltrattamento delle persone, violazione della dignità e dei diritti fondamentali, istituzionalizzazione di diseguaglianze. Di qui, la necessità di una conversione continua all’Alleanza, compiuta dall’oblazione di Cristo sulla croce, fiduciosi che «dove abbondò il peccato, sovrabbondò la grazia … per mezzo di Gesù Cristo» (Rm 5,20.21). Egli, il Figlio amato (cfr Mt 3,17), è venuto per rivelare l’amore del Padre per l’umanità. Chiunque ascolta il Vangelo e risponde all’appello alla conversione diventa per Gesù «fratello, sorella e madre» (Mt 12,50), e pertanto figlio adottivo di suo Padre (cfr Ef 1,5).
Non si diventa però cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo, per una disposizione divina autoritativa, senza l’esercizio della libertà personale, cioè senza convertirsi liberamente a Cristo. L’essere figlio di Dio segue l’imperativo della conversione: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo» (At 2,38). Tutti quelli che hanno risposto con la fede e la vita a questa predicazione di Pietro sono entrati nella fraternitàdella prima comunità cristiana (cfr 1 Pt 2,17; At 1,15.16; 6,3; 15,23): ebrei ed ellenisti, schiavi e uomini liberi (cfr 1 Cor 12,13; Gal3,28), la cui diversità di origine e stato sociale non sminuisce la dignità di ciascuno né esclude alcuno dall’appartenenza al popolo di Dio. La comunità cristiana è quindi il luogo della comunione vissuta nell’amore tra i fratelli (cfr Rm 12,10; 1 Ts 4,9; Eb 13,1; 1 Pt1,22; 2 Pt 1,7).
Tutto ciò dimostra come la Buona Novella di Gesù Cristo, mediante il quale Dio fa «nuove tutte le cose» (Ap 21,5)[3], sia anche capace di redimere le relazioni tra gli uomini, compresa quella tra uno schiavo e il suo padrone, mettendo in luce ciò che entrambi hanno in comune: la filiazione adottiva e il vincolo di fraternità in Cristo. Gesù stesso disse ai suoi discepoli: «Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15,15).
I molteplici volti della schiavitù ieri e oggi
3. Fin da tempi immemorabili, le diverse società umane conoscono il fenomeno dell’asservimento dell’uomo da parte dell’uomo. Ci sono state epoche nella storia dell’umanità in cui l’istituto della schiavitù era generalmente accettato e regolato dal diritto. Questo stabiliva chi nasceva libero e chi, invece, nasceva schiavo, nonché in quali condizioni la persona, nata libera, poteva perdere la propria libertà, o riacquistarla. In altri termini, il diritto stesso ammetteva che alcune persone potevano o dovevano essere considerate proprietà di un’altra persona, la quale poteva liberamente disporre di esse; lo schiavo poteva essere venduto e comprato, ceduto e acquistato come se fosse una merce.
Oggi, a seguito di un’evoluzione positiva della coscienza dell’umanità, la schiavitù, reato di lesa umanità,[4] è stata formalmente abolita nel mondo. Il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile.
Eppure, malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età – vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù.
Penso a tanti lavoratori e lavoratrici, anche minori, asserviti nei diversi settori, a livello formale e informale, dal lavoro domestico a quello agricolo, da quello nell’industria manifatturiera a quello minerario, tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavoro non è conforme alle norme e agli standard minimi internazionali, quanto, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore.
Penso anche alle condizioni di vita di molti migranti che, nel loro drammatico tragitto, soffrono la fame, vengono privati della libertà, spogliati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente. Penso a quelli tra di loro che, giunti a destinazione dopo un viaggio durissimo e dominato dalla paura e dall’insicurezza, sono detenuti in condizioni a volte disumane. Penso a quelli tra loro che le diverse circostanze sociali, politiche ed economiche spingono alla clandestinità, e a quelli che, per rimanere nella legalità, accettano di vivere e lavorare in condizioni indegne, specie quando le legislazioni nazionali creano o consentono una dipendenza strutturale del lavoratore migrante rispetto al datore di lavoro, ad esempio condizionando la legalità del soggiorno al contratto di lavoro… Sì, penso al “lavoro schiavo”.
Penso alle persone costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti minori, ed alle schiave e agli schiavi sessuali; alle donne forzate a sposarsi, a quelle vendute in vista del matrimonio o a quelle trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito senza che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso.
Non posso non pensare a quanti, minori e adulti, sono fatti oggetto di traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per esserearruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozione internazionale.
Penso infine a tutti coloro che vengono rapiti e tenuti in cattività da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi come combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni vengono venduti più volte, seviziati, mutilati, o uccisi.
Alcune cause profonde della schiavitù   
4. Oggi come ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. Quando il peccato corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili, questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti. La persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno o la costrizione fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno; viene trattata come un mezzo e non come un fine.
Accanto a questa causa ontologica – rifiuto dell’umanità nell’altro –, altre cause concorrono a spiegare le forme contemporanee di schiavitù. Tra queste, penso anzitutto alla povertà, al sottosviluppo e all’esclusione, specialmente quando essi si combinano con ilmancato accesso all’educazione o con una realtà caratterizzata da scarse, se non inesistenti, opportunità di lavoro. Non di rado, le vittime di traffico e di asservimento sono persone che hanno cercato un modo per uscire da una condizione di povertà estrema, spesso credendo a false promesse di lavoro, e che invece sono cadute nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Queste reti utilizzano abilmente le moderne tecnologie informatiche per adescare giovani e giovanissimi in ogni parte del mondo.
Anche la corruzione di coloro che sono disposti a tutto per arricchirsi va annoverata tra le cause della schiavitù. Infatti, l’asservimento ed il traffico delle persone umane richiedono una complicità che spesso passa attraverso la corruzione degli intermediari, di alcuni membri delle forze dell’ordine o di altri attori statali o di istituzioni diverse, civili e militari. «Questo succede quando al centro di un sistema economico c’è il dio denaro e non l’uomo, la persona umana. Sì, al centro di ogni sistema sociale o economico deve esserci la persona, immagine di Dio, creata perché fosse il dominatore dell’universo. Quando la persona viene spostata e arriva il dio denaro si produce questo sconvolgimento di valori».[5]
Altre cause della schiavitù sono i conflitti armati, le violenze, la criminalità e il terrorismo. Numerose persone vengono rapite per essere vendute, oppure arruolate come combattenti, oppure sfruttate sessualmente, mentre altre si trovano costrette a emigrare, lasciando tutto ciò che possiedono: terra, casa, proprietà, e anche i familiari. Queste ultime sono spinte a cercare un’alternativa a tali condizioni terribili anche a rischio della propria dignità e sopravvivenza, rischiando di entrare, in tal modo, in quel circolo vizioso che le rende preda della miseria, della corruzione e delle loro perniciose conseguenze.
Un impegno comune per sconfiggere la schiavitù
5. Spesso, osservando il fenomeno della tratta delle persone, del traffico illegale dei migranti e di altri volti conosciuti e sconosciuti della schiavitù, si ha l’impressione che esso abbia luogo nell’indifferenza generale.
Se questo è, purtroppo, in gran parte vero, vorrei ricordare l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili, portano avanti da tanti anni in favore delle vittime. Tali istituti operano in contesti difficili, dominati talvolta dalla violenza, cercando di spezzare le catene invisibili che tengono legate le vittime ai loro trafficanti e sfruttatori; catene le cui maglie sono fatte sia di sottili meccanismi psicologici, che rendono le vittime dipendenti dai loro aguzzini, tramite il ricatto e la minaccia ad essi e ai loro cari, ma anche attraverso mezzi materiali, come la confisca dei documenti di identità e la violenza fisica. L’azione delle congregazioni religiose si articola principalmente intorno a tre opere: il soccorso alle vittime, la loro riabilitazione sotto il profilo psicologico e formativo e la loro reintegrazione nella società di destinazione o di origine.
Questo immenso lavoro, che richiede coraggio, pazienza e perseveranza, merita apprezzamento da parte di tutta la Chiesa e della società. Ma esso da solo non può naturalmente bastare per porre un termine alla piaga dello sfruttamento della persona umana. Occorre anche un triplice impegno a livello istituzionale di prevenzione, di protezione delle vittime e di azione giudiziaria nei confronti dei responsabili. Inoltre, come le organizzazioni criminali utilizzano reti globali per raggiungere i loro scopi, così l’azione per sconfiggere questo fenomeno richiede uno sforzo comune e altrettanto globale da parte dei diversi attori che compongono la società.
Gli Stati dovrebbero vigilare affinché le proprie legislazioni nazionali sulle migrazioni, sul lavoro, sulle adozioni, sulla delocalizzazione delle imprese e sulla commercializzazione di prodotti realizzati mediante lo sfruttamento del lavoro siano realmente rispettose della dignità della persona. Sono necessarie leggi giuste, incentrate sulla persona umana, che difendano i suoi diritti fondamentali e li ripristinino se violati, riabilitando chi è vittima e assicurandone l’incolumità, nonché meccanismi efficaci di controllo della corretta applicazione di tali norme, che non lascino spazio alla corruzione e all’impunità.E’ necessario anche che venga riconosciuto il ruolo della donna nella società, operando anche sul piano culturale e della comunicazione per ottenere i risultati sperati.
Le organizzazioni intergovernative, conformemente al principio di sussidiarietà, sono chiamate ad attuare iniziative coordinate per combattere le reti transnazionali del crimine organizzato che gestiscono la tratta delle persone umane ed il traffico illegale dei migranti. Si rende necessaria una cooperazione a diversi livelli, che includa cioè le istituzioni nazionali ed internazionali, così come le organizzazioni della società civile ed il mondo imprenditoriale.
Le imprese[6], infatti, hanno il dovere di garantire ai loro impiegati condizioni di lavoro dignitose e stipendi adeguati, ma anche di vigilare affinché forme di asservimento o traffico di persone umane non abbiano luogo nelle catene di distribuzione. Alla responsabilità sociale dell’impresa si accompagna poi la responsabilità sociale del consumatore. Infatti, ciascuna persona dovrebbe avere la consapevolezza che «acquistare è sempre un atto morale, oltre che economico».[7]
Le organizzazioni della società civile, dal canto loro, hanno il compito di sensibilizzare e stimolare le coscienze sui passi necessari a contrastare e sradicare la cultura dell’asservimento.
Negli ultimi anni, la Santa Sede, accogliendo il grido di dolore delle vittime della tratta e la voce delle congregazioni religiose che le accompagnano verso la liberazione, ha moltiplicato gli appelli alla comunità internazionale affinché i diversi attori uniscano gli sforzi e cooperino per porre termine a questa piaga.[8] Inoltre, sono stati organizzati alcuni incontri allo scopo di dare visibilità al fenomeno della tratta delle persone e di agevolare la collaborazione tra diversi attori, tra cui esperti del mondo accademico e delle organizzazioni internazionali, forze dell’ordine di diversi Paesi di provenienza, di transito e di destinazione dei migranti, e rappresentanti dei gruppi ecclesiali impegnati in favore delle vittime. Mi auguro che questo impegno continui e si rafforzi nei prossimi anni.
Globalizzare la fraternità, non la schiavitù né l’indifferenza
6. Nella sua opera di «annuncio della verità dell’amore di Cristo nella società»[9], la Chiesa si impegna costantemente nelle azioni di carattere caritativo a partire dalla verità sull’uomo. Essa ha il compito di mostrare a tutti il cammino verso la conversione, che induca a cambiare lo sguardo verso il prossimo, a riconoscere nell’altro, chiunque sia, un fratello e una sorella in umanità, a riconoscerne la dignità intrinseca nella verità e nella libertà, come ci illustra la storia di Giuseppina Bakhita, la santa originaria della regione del Darfur in Sudan, rapita da trafficanti di schiavi e venduta a padroni feroci fin dall’età di nove anni, e diventata poi, attraverso dolorose vicende, “libera figlia di Dio” mediante la fede vissuta nella consacrazione religiosa e nel servizio agli altri, specialmente i piccoli e i deboli. Questa Santa, vissuta fra il XIX e il XX secolo, è anche oggi testimone esemplare di speranza[10]per le numerose vittime della schiavitù e può sostenere gli sforzi di tutti coloro che si dedicano alla lotta contro questa «piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo».[11]
In questa prospettiva, desidero invitare ciascuno, nel proprio ruolo e nelle proprie responsabilità particolari, a operare gesti di fraternità nei confronti di coloro che sono tenuti in stato di asservimento. Chiediamoci come noi, in quanto comunità o in quanto singoli, ci sentiamo interpellati quando, nella quotidianità, incontriamo o abbiamo a che fare con persone che potrebbero essere vittime del traffico di esseri umani, o quando dobbiamo scegliere se acquistare prodotti che potrebbero ragionevolmente essere stati realizzati attraverso lo sfruttamento di altre persone. Alcuni di noi, per indifferenza, o perché distratti dalle preoccupazioni quotidiane, o per ragioni economiche, chiudono un occhio. Altri, invece, scelgono di fare qualcosa di positivo, di impegnarsi nelle associazioni della società civile o di compiere piccoli gesti quotidiani – questi gesti hanno tanto valore! – come rivolgere una parola, un saluto, un “buongiorno” o un sorriso, che non ci costano niente ma che possono dare speranza, aprire strade, cambiare la vita ad una persona che vive nell’invisibilità, e anche cambiare la nostra vita nel confronto con questa realtà.
Dobbiamo riconoscere che siamo di fronte ad un fenomeno mondiale che supera le competenze di una sola comunità o nazione. Per sconfiggerlo, occorre una mobilitazione di dimensioni comparabili a quelle del fenomeno stesso. Per questo motivo lancio un pressante appello a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, e a tutti coloro che, da vicino o da lontano, anche ai più alti livelli delle istituzioni, sono testimoni della piaga della schiavitù contemporanea, di non rendersi complici di questo male, di non voltare lo sguardo di fronte alle sofferenze dei loro fratelli e sorelle in umanità, privati della libertà e della dignità, ma di avere il coraggio di toccare la carne sofferente di Cristo[12], che si rende visibile attraverso i volti innumerevoli di coloro che Egli stesso chiama «questi miei fratelli più piccoli» (Mt 25,40.45).
Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: “Che cosa hai fatto del tuo fratello?” (cfr Gen 4,9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, che oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé e che Dio pone nelle nostre mani.
Dal Vaticano, 8 dicembre 2014
FRANCISCUS 


[1] N. 1.
[3] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 11.
[4] Cfr Discorso alla Delegazione internazionale dell’Associazione di Diritto Penale, 23 ottobre 2014: L’Osservatore Romano, 24 ottobre 2014, p. 4.
[5] Discorso ai partecipanti all’Incontro mondiale dei Movimenti popolari, 28 ottobre 2014: L’Osservatore Romano, 29 ottobre 2014, p. 7.
[6] Cfr Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, La vocazione del leader d’impresa. Una riflessione, Milano e Roma, 2013.
[7] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 66.
[9] Benedetto XVI, Lett. enc. Caritas in veritate, 5.
[10] «Mediante la conoscenza di questa speranza lei era “redenta”, non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio. Capiva ciò che Paolo intendeva quando ricordava agli Efesini che prima erano senza speranza e senza Dio nel mondo – senza speranza perché senza Dio» (Benedetto XVI, Lett.enc. Spe salvi, 3).
[12] Cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 24270.

Con la firma dell’8 dicembre, solennità dell’Immacolata, Papa Francesco ci ha dato il messaggio per la Giornata della Pace del 1 gennaio 2015 dal titolo “Non più schiavi ma fratelli”. Il linguaggio di questo suo atto di magistero non è nell’orizzonte della teologia di Rahner di cristiani anonimi ma nella continuità dinamica della Tradizione: “Non si diventa però cristiani, figli del Padre e fratelli in Cristo per una disposizione divina autoritaria, senza l’esercizio della libertà personale, cioè senza convertirsi interamente a Cristo”. Fin dall’inizio il Vangelo  della libertà si mostrò “capace di redimere le relazioni tra gli uomini, compresa quella tar uno schiavo e il suo padrone. Mettendo in luce ciò che entrambi hanno in comune: la filiazione adottiva e il vincolo di fraternità in Cristo”. Nella creazione degli angeli e dell’uomo, esseri intelligenti, volenti, liberi, capaci di essere amati e di amare, Dio ha autolimitato la sua onnipotenza che rivela soprattutto nel perdono, nel ricreare ciò che il peccato distrugge. E quindi è attuale anche il rischio della “sempre più diffusa piaga dello sfruttamento dell’uomo che ferisce gravemente la vita di comunione e la vocazione a tessere relazioni interpersonali improntate a rispetto, giustizia e carità. Tale abominevole fenomeno che conduce a calpestare i diritti fondamentali dell’altro ed ad annullarne la libertà e dignità, assume molteplici forme”.
Il superamento della schiavitù, che certo non fa parte del progetto di Dio per l’uomo fatto ad immagine sua come figlio nel Figlio,  introdotta nella storia dalla “realtà negativa del peccato”, si deve al cristianesimo. Chi è cristiano tenta e ritenta di essere liberato dal peccato e dal male verso cui è tentato dal demonio che divide, da Satana che spinge all’odio fino alla schiavitù. Ed ecco la lieta notizia di tutto il messaggio, alla luce della storia della fede che spinge all’urgenza di una nuova evangelizzazione anche per il sociale: fratelli non si nasce ma si diventa incontrando Cristo, convertendosi e assimilandosi a Lui, non senza l’esercizio della libertà personale.
Anche storicamente le basi dottrinali per la liberazione continua da ogni schiavitù sono venute e  vengono dalla fede. La schiavitù, proprio perché la liberazione non avviene senza la libertà, non è sparita rapidamente, né dovunque. Per molti anni in diversi Paesi “il diritto stesso ammetteva che alcune persone potevano o dovevano essere considerate proprietà di un’altra persona, la quale poteva liberamente disporre di esse; lo schiavo poteva essere venduto e comprato, ceduto e acquistato come se fosse una merce” Oggi questo tipo di schiavitù è abolita, almeno “formalmente” , dovunque, e “il diritto di ogni persona a non essere tenuta in stato di schiavitù o servitù è stato riconosciuto nel diritto internazionale come norma inderogabile”. Tuttavia “Malgrado la comunità internazionale abbia adottato numerosi accordi al fine di porre un termine alla schiavitù in tutte le sue forme e avviato diverse strategie per combattere questo fenomeno, ancora oggi milioni di persone – bambini, uomini e donne di ogni età –vengono private della libertà e costrette a vivere in condizioni assimilabili a quelle della schiavitù”.
Non si tratta solo dei Paesi – per fortuna pochi dove ci sono ancora schiavi chiamati con questo nome. Ci sono “lavoratori e lavoratrici, anche minori trattati più come schiavi che come persone libere”, “tanto nei Paesi in cui la legislazione del lavoro è conforme alle norme e agli standar minimi internazionali, quanto,, sia pure illegalmente, in quelli la cui legislazione tutela il lavoratore”. Ci sono migranti trattati come schiavi dai trafficanti sui barconi, “è privati dei loro beni o abusati fisicamente e sessualmente”, e ancora “detenuti in condizioni a volte disumane” nei Paesi di approdo o sfruttati come lavoratori clandestini.
Ci sono persone di ambo i sessi che non si prostituiscono per scelta ma sono “costrette a prostituirsi, tra cui ci sono molti minori”, una situazione comune anche “alle schiave e agli schiavi sessuali; alle donne forzate a sposarsi, a quelle vendute in vista del matrimonio o a quelle trasmesse in successione ad un familiare alla morte del marito senza che abbiano il diritto di dare o non dare il proprio consenso”. Ci sono casi orribili di “minori e adulti (che sono fatti oggetto di traffico e di mercimonio per l’espianto di organi, per essere arruolati come soldati, per l’accattonaggio, per attività illegali come la produzione o vendita di stupefacenti, o per forme mascherate di adozioni internazionali”. Infine, assomiglia alla schiavitù la condizione di “tutti coloro che vengono rapiti e tenuti in cattività da gruppi terroristici, asserviti ai loro scopi come combattenti o, soprattutto per quanto riguarda le ragazze e le donne, come schiave sessuali. Tanti di loro spariscono, alcuni vengono venduti più volte, mutilati, o uccisi”.
Papa Francesco pone delle domande: Perché accade tutto questo? Perché, in forme diverse, ritorna e cresce la schiavitù? Sociologhi e politolighi possono fare le loro analisi. Ma la Chiesa, in continuità con tutto quello che nella storia la fede ha documentato, afferma che la causa della schiavitù, di ogni schiavitù è il peccato. “Oggi come ieri, alla radice della schiavitù si trova una concezione della persona umana che ammette la possibilità di trattarla come un oggetto. Quando il peccato corrompe il cuore dell’uomo e lo allontana dal suo Creatore e dai suoi simili, questi ultimi non sono più percepiti come esseri di pari dignità, come fratelli e sorelle in umanità, ma vengono visti come oggetti. La persona umana, creata ad immagine e somiglianza di Dio, con la forza, l’inganno, e la costrizione fisica o psicologica viene privata della libertà, mercificata, ridotta a proprietà di qualcuno, viene trattata come un mezzo e non come un fine”. In questo orizzonte non è possibile alcuna democrazia di uguali e fratelli come la modernità secolare si illudeva senza il fondamento con il trascendente che ha assunto il volto umano in Gesù Cristo e Risorto opera nella e attraverso la Chiesa per tutti e per tutto.
Questa ragione ontologica della schiavitù, consapevoli o inconsapevoli, è a monte delle cause sociologiche, economiche e politiche, che spesso rimandano alle forme più gravi di miseria. “Non di rado, le vittime del traffico o di asservimento sono persone che hanno cercato un modo per uscire da una condizione di povertà estrema, spesso credendo a false promesse  di lavoro, e che invece sono cadute nelle mani delle reti criminali che gestiscono il traffico di esseri umani. Queste reti utilizzano abilmente le moderne tecnologie informatiche per adescare giovani e giovanissimi in ogni parte del mondo”. Anche “la condizione di coloro che sono disposti a tutto per arricchirsi va annoverata tra le cause della schiavitù”: coinvolge la politica, e rimanda sempre al peccato di non voler vedere l’essere di ogni individuo nella verità del suo essere dono unico del Donatore divino e la destinazione a figlio nel Figlio.
Che fare, allora, contro l’attuale, orribile forma di schiavitù? Ci troviamo di fronte, innanzitutto, “spesso all’indifferenza generale”. Va, però, ricordato e fatto conoscere “l’enorme lavoro silenzioso che molte congregazioni religiose, specialmente femminili, portano avanti da tanti anni in favore delle vittime e che coinvolge tutta la Chiesa, anche laddove la schiavitù in senso proprio esiste ancora… (quanto da parte di tutti i cristiani ci dovrebbe essere attenzione e aiuto in questo periodo avvento – natale). Ma al Chiesa non può rispondere alle tante forme di schiavitù da sola: “Come le organizzazioni criminali utilizzano reti globali per raggiungere il loro scopo così l’azione per sconfiggere questo fenomeno richiede uno sforzo comune e altrettanto globale da parte dei diversi attori che compongono la società” Stati, organizzazioni, ONG, imprese e anche consumatori, che dovrebbero imparare a rifiutare prodotti nella cui fabbricazione sono stati impiegati lavoratori schiavi”.
Mentre da anni svolge un ruolo di coordinamento, la Chiesa non rinuncia a quello che è la ragione del suo stesso essere e operare sacramentale cioè la liberazione da quella tendenza al male con cui si è concepiti per il peccato originale e che si viene liberati dal Sacramento del Battesimo e quindi il continuo peccato da cui si viene liberati con il sacramento della Penitenza, come causa profonda della schiavitù che dissolve uguaglianza, libertà fraternità cui ha puntato e punta la secolarizzazione moderna oggi culturalmente egemone. Ogni uomo nascerebbe buono, portato all’uguaglianza, alla fraternità nella libertà. Sarebbero le strutture, le istituzioni la causa di tutto il male. Facendo rivoluzione, cambiando le strutture tutti gli uomini diverrebbero uguali, fratelli nella libertà. Il fallimento della rivoluzione borghese o marxista dovrebbe far pensare tutti, come oggi ideologicamente attendere tutto dalla scienza e dalla tecnica. Occorre  rifarsi  al deismo inglese, fatto proprio dalla Massoneria per evitare tutte le guerre di religione, cioè pensare Dio come Architetto del mondo, come Orologiaio che creato il mondo, Lui non c’entra con la storia e tutto è affidato non alla fede nella presenza sacramentale del Risorto nella sacramentalità della Chiesa per ricreare ciò che l’uomo aveva perduto nella cacciata dal paradiso terrestre, ma dalla nuova forma della speranza cristiana cioè dalla fede nel progresso. Secondo Bacone grazie alla sinergia scienza e prassi seguiranno scoperte totalmente nuove, emergerà un mondo di liberi, uguali, fratelli, totalmente nuovo cioè il regno dell’uomo.  La concretizzazione politica del cammino di questa speranza cristiana avviene innanzitutto con la Rivoluzione francese di modalità borghese come il tentativo di instaurare il dominio della ragione  e della libertà anche per l’uguaglianza e la fraternità in modo politicamente reale. L’Europa dell’Illuminismo, in un primo momento, ha guardato affascinata, anche dai risultati scientifici,  a questi avvenimenti, ma di fronte ai loro sviluppi ha poi dovuto e ancora oggi deve riflettere in modo nuovo su ragione e libertà per la fraternità. Utili sono due scritti di Immanuel Kant, in cui egli riflette sugli eventi. Nel 1972 l’opera “La vittoria del principio buono su quello cattivo e la costituzione di un regno di Dio sulla terra”. In essa egli dice: “Il passaggio graduale dalla fede ecclesiastica al dominio esclusivo della pura fede religiosa costituisce l’avvicinamento al regno di Dio”. Ci dice anche che le rivoluzioni possono accelerare i tempi di questo passaggio dalla fede ecclesiastica alla fede razionale. Il “regno di Dio”, di cui Gesù aveva parlato ha qui ricevuto una nuova definizione e assunto una nuova presenza senza alcuna  presenza sacramentale, ecclesiale di Lui risorto per liberare dal peccato e rendere possibile la fraternità universale. Il Regno di Dio  assume una nuova presenza; esiste, per così dire, una nuova “attesa immediata”: il “regno di Dio” arriva là dove la “fede ecclesiastica” nella presenza sacramentale di Cristo per liberare dal male, dal peccato originale, da quello attuale, viene superata e rimpiazzata dalla “fede religiosa”, vale a dire dalla semplice fede razionale nella memoria storica del personaggio Gesù di Nazareth e quindi senza più bisogno di parlare di parlare di peccato originale, attuale e di liberazione sacramentale, ecclesiale. Nel 1795 dopo l’eccidio della Vandea in nome della Rivoluzione per la fraternità, Kant prende in considerazione la possibilità che, accanto alla fine naturale di tutte le cose, se ne verifichi anche una contro la natura, perversa. Scrive a riguardo della perdita della cultura cristiana di uguaglianza, libertà, fraternità: “Se il cristianesimo un girono dovesse arrivare a non essere più degno di amore (…) allora il pensiero dominante degli uomini dovrebbe diventare quello di un rifiuto e di un’opposizione contro di esso; e l’anticristo (…) inaugurerebbe il suo, pur breve, regime (fondato presumibilmente sulla paura e sull’egoismo). In seguito, però, poiché il cristianesimo pur essendo stato destinato ad essere la religione universale (come morale), di fatto non sarebbe stato aiutato dal destino a diventarlo,  potrebbe verificarsi, sotto l’aspetto morale, la fine perversa di tutte le cose”. Il Concilio Vaticano II ha puntato al dialogo con l’illuminismo anche con il tentativo kantiano di Rahner del cristianesimo anonimo con l’utilità ma la non essenzialità della presenza sacramentale della Chiesa. Questo non fu accettato dalla maggioranza del Concilio, divenendo, però, dopo il concilio maggioranza.  E oggi, con papa Francesco la Chiesa non rinuncia a denunciare il peccato come accusa profonda della schiavitù e a ricordare come ogni azione di contrasto “debba partire dalla verità sull’uomo” redento da Cristo. La Chiesa non può limitarsi a considerazioni morali, sociali, ma “ha il compito di mostrare a tutti il cammino verso la conversione a Cristo”. Per quanto riguarda in particolare la schiavitù la Chiesa ha canonizzato santa Giuseppina Bakhita, una “santa originaria della regione del Darfur In Sudan, rapita da trafficanti di schiavi e venduta a padroni feroci fin dall’età di nove anni, e diventata poi, attraverso dolorose vicende, ‘libera figlia di Dio’ mediante la fede vissuta nella consacrazione religiosa e nel servizio agli altri, specialmente i piccoli e i deboli”. Santa Giuseppina Bakhita è vissuta tra il XIX e il XX secolo, ma “è anche oggi testimone esemplare di speranza per le numerose vittime della schiavitù e può sostenere gli sforzi di tutti coloro che si dedicano alla lotta contro questa piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo”.
Papa Francesco conclude il suo messaggio, così attuale: “Sappiamo che Dio chiederà a ciascuno di noi: che cosa hai fatto del tuo fratello” (Gen 4, 9-10). La globalizzazione dell’indifferenza, come oggi pesa sulle vite di tante sorelle e di tanti fratelli, chiede a tutti noi di farci artefici di una globalizzazione della solidarietà e della fraternità, che possa ridare loro la speranza e far loro riprendere con coraggio il cammino attraverso i problemi del nostro tempo e le prospettive nuove che esso porta con sé, e che Dio pone nelle nostre mani”.


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