Preghiera 58
10 marzo 2015
Preghiera di liberazione
La Pasqua è la vittoria definitiva di Gesù
contro il Maligno, contro il peccato, la morte
Liturgia della I Domenica di Quaresima Anno A
Inizio: (360) Sorgi
Signore
Comunione: (147) E’
giunta l’ora
Esposizione: (375) Ti
saluto o Croce santa
Omelia
I tre Vangeli sinottici raccontano, non senza nostra
sorpresa, che la prima disposizione dello Spirito lo conduce nel deserto “per essere tentato dal diavolo…E gli Angeli
lo servivano” (Mt 4,1). L’azione è preceduta dal raccoglimento e questo
raccoglimento è anche un combattimento interiore per il compito ricevuto, una
lotta contro i suoi travisamenti che si
presentano e continueranno a
presentarsi nella Chiesa, nell’umanità. E’ una discesa nei pericoli che
minacciano così l’uomo caduto, sotto
l’azione terribile del Maligno e Gesù deve entrare nel dramma dell’esistenza
umana, attraversarla fino in fondo, per ritrovare e liberare così “la pecorella
smarrita”, caricarsela sulle spalle e liberarla dal Maligno con il servizio degli
Angeli. Marco ci dice che Gesù riprende tutta la storia a partire dai suoi
inizi – da “Adamo”-, percorrerla e soffrirla fino in fondo per poterla
trasformare. Si espone liberamente cioè per amore, per solidarietà con tutti
noi, alle minacce, ai pericoli e alle tentazioni propri dell’essere uomo:
“Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto
personalmente, egli è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la
prova” (Eb 2,17) anche oggi, anche noi qui convenuti: non ci conosce per
sentito dire ma direttamente. Le “tentazioni” accompagnano l’intero cammino del
Gesù di allora e il racconto delle tentazioni sono un’anticipazione in cui si
condensa la lotta che Risorto, presente nella Chiesa e attraverso la Chiesa,
continua fino al compimento della storia.
Nel suo breve racconto delle tentazioni (1,13) Marco ha
posto in risalto con Adamo – con l’accettazione sofferta del dramma umano come
tale: Gesù “stava con le fiere selvatiche e gli angeli lo servivano”. Il
deserto – l’immagine opposta del giardino – diventa il luogo della
riconciliazione e della salvezza; le bestie selvatiche, che rappresentano la
forma più concreta della minaccia derivante all’uomo dalla ribellione della
creazione e del potere della morte, diventano amiche come in Paradiso. E’
ripristinata la pace annunciata da Isaia per il tempo del Messia: “Il lupo
dimorerà insieme con l’agnello, il leopardo si sdraierà accanto al
capretto…”(11,6). Laddove il peccato è vinto, laddove si ristabilisce l’armonia
dell’uomo con Dio, segue la riconciliazione della creazione, la creazione
dilaniata torna ad essere luogo di pace, come dirà Paolo, il quale parla dei
gemiti della creazione, che “è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio”
(Rm 8,19). Marco conclude il suo breve racconto delle tentazioni con una frase:
“E gli angeli lo servivano”. La frase si trova anche alla fine delle tentazioni
redatto da Matteo e solo lì diventa pienamente comprensibile.
Matteo e Luca narrano di tre tentazioni in cui si rispecchia
la lotta interiore di Gesù per la sua missione, ma nello stesso tempo affiora
anche la domanda su ciò che conta davvero nella vita degli uomini. Qui appare
chiaro il nocciolo di ogni tentazione anche oggi: rimuovere Dio che, di fronte
a tutto ciò che nella nostra vita appare più urgente, sembra secondario, se non
superfluo e fastidioso. Mettere ordine nel mondo, senza Dio, contare soltanto
sulle proprie capacità, riconoscere come vere solo le realtà politiche e
materiali e lasciare da parte Dio come illusione, è la tentazione di mondanità
che ci minaccia in molteplici forme. Dio oggi rimane escluso dalla cultura
e dalla vita pubblica, e la fede in Lui diventa più difficile, anche perché
viviamo in un mondo che si presenta
quasi sempre come opera nostra, nel quale, per così dire, Dio non compare più
direttamente, sembra divenuto superfluo ed estraneo.
Della natura della tentazione fa parte anche la sua
apparenza morale: non ci invita direttamente a compiere il male, sarebbe troppo
rozzo. Fa finta di indicarci il meglio: abbandonare le illusioni della fiducia
in Dio, quindi della preghiera, e impiegare efficacemente le nostre forze per
migliorare il mondo. Si presenta, inoltre, avanzando la pretesa del vero
realismo che escluderebbe il religioso come illusorio. Il reale sarebbe
soltanto ciò che si constata: potere e pane. Le cose di Dio non sperimentabili
e calcolabili appaiono irreali, in un mondo secolarizzato di cui non c’è
veramente bisogno. E’ in gioco, come nelle tentazioni di Gesù, Dio stesso: è
vero o no che Lui è il reale cui nulla anteporre, l’unica fonte di ogni bene? E’ Lui il Buono o
dobbiamo inventare noi stessi ciò che è buono? La questione di Dio è la
questione fondamentale, che ci pone al bivio di ogni esistenza umana. Che cosa
deve fare il Salvatore del mondo o che cosa non deve fare? E’ questa la domanda
sottesa alle tre tentazioni di Gesù che in Matteo e Luca ci sono memorizzate
perché continuano nella Chiesa, nella storia umana, nel mondo.
Gli evangelisti ci lasciano una traccia importante per
capire e riconoscere l’intervento del Maligno. Oltre alle grida scomposte dei
demoni che non vogliono ingerenze cristiane nella loro vita, Matteo e Luca
riportano un “a tu per tu interpersonale”
fra Gesù e Satana. Nel breve dialogo troviamo sia la via seduttiva usata da
Satana, che la via d’uscita indicata da Gesù.
E’ lo Spirito stesso che conduce Gesù nel deserto proprio
per affrontare il Diavolo (Lc 4,1). Il deserto, proprio per le sue
caratteristiche, obbliga all’essenziale. Nel deserto non si trovano gli appoggi
materiali della vita quotidiana. E nell’essenzialità vediamo che Satana, con
grande astuzia, affronta l’uomo nei suoi tre aspetti: l’uomo naturale, l’uomo
religioso, l’uomo sapiente, la tentazione dell’irreligione. Satana seduce con
la sua proposta logicamente attraente, quanto illusoria e distruttiva. E’ la
tentazione ordinaria nella quale sensi, intelletto, fantasia, memoria e
sentimenti vengono suggestionati o “infestati”, al fine di distogliere l’uomo
dal “conoscere, amare e servire Dio in
questa vita (nel già), e goderlo poi nell’altra in paradiso (nel non ancora)”.
L’uomo naturale
“Gesù, dopo aver
digiunato quaranta giorni e quaranta notti, (alla fine) ebbe fame” (Mt 4,2).
Quella fame, se da un lato è il segno della vera incarnazione del Verbo di Dio,
dall’altro è l’allegoria di tutti i bisogni connaturali al corpo. Il Diavolo,
con apparente ragionevolezza, consiglia la sua soluzione: “Se sei Figlio di
Dio, di’ che questi sassi diventino pane” (Mt 4,3). Il Tentatore non propone
manifestamente il male, ma quello che appare più logico, quasi di buon senso
nella specifica situazione; ci fa desiderare “un falso bene, facendo credere
che le vere realtà sono il potere e ciò che soddisfa i bisogni primari”
(Angelus di Benedetto XVI il 17 febbraio 2013). Dalla risposta di Gesù – “Non
di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” (Mt
4,4) -, comprendiamo che la tentazione non è saziare la fame, ma vivere “di
solo pane” escludendo Dio dal proprio orizzonte. In altre parole, interpretare l’esistenza
umana esclusivamente nella sua dimensione più indubitabile, immediatamente
verificabile e calcolabile, quella biologica. E’ la tentazione dell’uomo
naturale, appunto. Certamente l’uomo condivide la sua corporeità con il resto
degli esseri viventi ma, nella fede, sappiamo che l’esistenza umana non si
esaurisce nell’evidente ciclo biologico terreno. Satana sfrutta una verità:
l’uomo, biologicamente, funziona come gli altri animali; una volta concepito,
nasce, si nutre, si riproduce e muore, restituendo alla terra gli elementi che lo compongono. E’
una verità amputata e parziale, cioè diabolica,
è una visione senza speranza, in cui conta solo il soddisfacimento dei
bisogni terreni senza nessun significato di attesa del non ancora. Una specie
di infernale catena di montaggio che al suo culmine non ha la vita veramente
vita, la vita eterna, la risurrezione, il paradiso ma il disfacimento in
polvere nel sepolcro. “Il Cielo abbandoniamolo agli angeli e ai passeri”
sentenziava Heine. L’uomo, così “liberato” dalla speranza affidabile legata a
una prospettiva trascendente, può solo affermare che “viene dalla terra,
appartiene alla terra e parla della terra” (Gv 3,31) e, con la mente tutta
intenta alle “cose della terra”, finisce per avere come dio il ventre (Fil
3,19). E così, condivide la maledizione piombata sull’antico serpente: “Sul tuo
ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della vita” (Gn 3,14).
E sappiamo bene che l’uomo senza speranza è, come dice la parola stessa,
disperato, fuori dalla norma nella sua
psiche.
Rimuovere Dio dall’esistenza umana con la tentazione di
vivere “di solo pane”, non solo non accende la speranza ma, per la perversa
solidarietà nel male che rende gli uomini complici gli uni degli altri e fa
regnare tra di loro la concupiscenza cioè la tendenza al male, la violenza e
l’ingiustizia, crea delle vere e proprie strutture di peccato, cui punta Satana
con questa tentazione. Benedetto XVI l’11 settembre 2012, al Congresso
eucaristico nazionale disse: “certe ideologie hanno puntato a organizzare la
società con la forza del potere e dell’economia. La storia ci dimostra,
drammaticamente, come l’obiettivo di assicurare a tutti sviluppo, benessere
materiale e pace prescindendo da Dio e dalla sua rivelazione si sia risolto in un
dare agli uomini pietre al posto del pane. Il pane, cari fratelli e sorelle, è
“frutto del lavoro dell’uomo”, e in
questa verità è racchiusa tutta la responsabilità affidata alle nostre mani e
alla nostra ingegnosità; ma il pane è anche, e prima ancora, “frutto della
terra”, che riceve dall’alto sole e pioggia: è dono da chiedere, che ci toglie
ogni superbia e ci fa invocare con la fiducia degli umili: “Padre ….dacci oggi
il nostro pane quotidiano” (Mt 6,11).
Non si può governare la storia con mere strutture materiali,
prescindendo da Dio, dal Dio che possiede un volto umano che ci ha amato sino
alla fine l’umanità e ogni singola persona. Se il cuore dell’uomo non è buono,
allora nessun’altra cosa può diventare buona. E la bontà del cuore può venire
solo da Colui che è Egli stesso la Bontà, il Bene.
(318) 1.Quanta sete nel mio cuore: solo in Dio si spegnerà. Quanta
attesa di salvezza: solo in Dio si sazierà. L’acqua viva ch’egli dà sempre
fresca sgorgherà. R)Il Signore è la mia vita, il Signore è la mia gioia.
2. Se la strada si fa oscura spero in lui: mi guiderà. Se l’angoscia mi
tormenta, spero in lui: mi salverà. Non si scorda mai di me, presto a me
riapparirà. R) Il Signore…
3. Nel mattino io t’invoco: tu, mio Dio, risponderai. Nella sera rendo
grazie: tu, mio Dio, ascolterai. Al tuo monte salirò e vicino ti vedrò. R) Il
Signore…
L’uomo religioso
Il secondo intervento del Diavolo è decisamente
imbarazzante. Satana per tentare Gesù lo porta, con il suo potere sui corpi,
nella Terra Santa, nella Città Santa, nel Tempio Santo, nel suo luogo più
alto. E dalla bocca di Satana non escono
parole oscene, ma i versetti del salmo 90: “Ai suoi angeli darà ordine per te,
perché essi ti custodiscano. Essi ti sorreggeranno con le mani, perché il tuo
piede non inciampi in una pietra”.
Il Tentatore propone a Gesù il suo metodo interpretativo
delle Scritture e la sua prospettiva religiosa. Si sa: ovviamente “anche i
demoni credono in Dio” (Gc 2,19). La
prospettiva religiosa adulterata è la tentazione riservata a chi ha già fatto
passi nel cammino della fede; all’uomo che, fra le sue istanze esistenziali,
inserisce anche il bisogno del trascendente cioè di rivolgersi a Dio. E’ la
tentazione riservata – si suole dire – all’uomo religioso. Il fatto che Satana
usi le parole di un salmo, ci fa capire con ogni evidenza che recitare
preghiere, per quanto speciali possano essere, non significa affatto pregare
cioè innalzare mente a cuore a Lui né essere al riparo dall’influsso del
Diavolo. L’uso aberrante delle Scritture è stato il motivo di tutti gli scismi
e - in certi casi – persino di ciò che è il simbolo della violazione di tutti i
comandamenti: la guerra. Si può capire come, subito dopo il comandamento che
proibisce l’idolatria, il Signore ingiunga: “Non pronuncerai invano il nome del
Signore, tuo Dio” (Es 20,7); letteralmente il testo greco dice “non maneggerai
il nome di Dio senza verità”. Proprio la manipolazione del nome di Dio è stata
la trappola che ha consentito immense scelleratezze. In un famoso discorso al
Corpo diplomatico Benedetto XVI smascherò “la tentazione della violenza e della
sopraffazione” spesso travestita con “aberranti concezioni religiose”, e ribadì
con forza che “nessuna circostanza vale a giustificare tale attività criminosa,
che copre di infamia chi la compie, e che è tanto più deprecabile quando si fa
scudo di una religione, abbassando così la verità di Dio alla misura della
propria cecità e perversione morale…Per quanto poi riguarda specificamente la
Chiesa Cattolica, in quanto anche da parte di suoi membri e di sue istituzioni sono stati compiuti
gravi errori in passato, essa li condanna, e non ha esitato a chiedere perdono.
Lo esige l’impegno per la verità”.
L’uomo sapiente
Dio aveva benedetto l’uomo. Gli aveva dato ordine di essere
fecondo e di riempire la terra, il fertile giardino di Dio. Gli aveva anche
donato di prendere possesso e governare il creato, era l’uomo sapiente.
Tuttavia tale governo era orientato a
una finalità ben precisa: “perché lo coltivasse e lo custodisse” (Gn 2,15). Ne
deriva una vocazione bellissima: custodire con devozione il dono di Dio, il
creato, riconoscendo in esso la Sua opera e la sua Parola, il Verbo creatore.
Il Diavolo si presenta a Gesù per la terza volta e dall’alto
gli mostra in un istante tutti i regni della terra e insieme alla visione del
panorama, afferma qualcosa di sconcertante: “Tutta questa potenza e la gloria
di questi regni è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio” (Lc 4,6).
Da notare che nelle mani del Maligno non ci sono i regni con il loro carico di
responsabilità, ma solo gloria e potenza. La tentazione è quella di dominare; è
credere che per cambiare il mondo sia necessario il potere economico, politico
e militare. Purtroppo si tratta di una tentazione che sempre serpeggia nel
cristianesimo e non manca di far sentire i suoi morsi velenosi. Benedetto XVI
in Gesù di Nazareth, pp. 62-63:
Storicamente a livello di Chiesa, “la tentazione di assicurare la fede mediante
il potere si è ripresentata continuamente, in forme diverse…La lotta per la
libertà della Chiesa, la lotta perché il regno di Gesù non sia identificato con
alcuna struttura politica, deve essere condotta in tutti i secoli. La fusione
tra fede e potere politico, infatti, ha sempre un prezzo: la fede si mette al
servizio del potere e deve piegarsi ai suoi criteri”. Per ottenere la potenza e
la gloria offerta dal Maligno bisogna vendergli il cuore. Certamente la
trasgressione, all’inizio, appare un’espressione della nostra libertà. Quando un peccato diviene
abitudinario, a causa dell’ottundimento della coscienza, la massima libertà
diviene spendere la vita per il raggiungimento del bramato oggetto. Costi quel
che costi.
Il Diavolo per mentire e sedurre usa pezzi di verità. E
nelle parole rivolte a Gesù, mette sul piatto, con grande chiarezza, il suo
reale baratto: “Tutte queste cose io ti darò, se, prostrandoti, mi
adorerai” (Mt 4,9) cioè ti asservirai
alle cose del mondo con la rinuncia esplicita del Cielo, del Paradiso. A questa
tentazione di mondanità, la più terribile, Gesù rispose: “Vattene, Satana! Sta
scritto: Adora il Signore, Dio tuo, a lui solo rendi culto” (Mt 4,10).
(67) 1.Hai cercato la libertà lontano, hai trovato la noia e le catene.
Hai vagato senza via, solo, con la tua fame. R)Apri le tue braccia, corri
incontro al Padre: oggi la sua casa sarà in festa per te.
2. Se vorrai spezzare le catene, troverai la strada dell’amore, la tua
gioia canterai: questa è libertà. R)Apri…
3. I tuoi occhi ricercano l’azzurro, c’è una casa che aspetta il tuo
ritorno e la pace tornerà: questa è libertà. R) Apri…
Il peccato di
irreligione
Gesù rispondendo alla seconda tentazione sottolinea un grave
contenuto: “Non tentare il Signore Dio tuo” (Mt 4,7). E’ l’atteggiamento di
sfida di quanti pretendono da Dio qualche prova. Ma il Signore ci dà segni, non
prove. E infatti nella nuova traduzione della Cei si legge: “non metterai alla prova il Signore Dio tuo”.
Se gettarsi dal pinnacolo del Tempio sembra una tentazione
troppo irreale, l’atteggiamento simbolizzato da quella tentazione è
“accovacciato alla nostra porta”. Ogni volta che ci gettiamo imprudentemente, e
senza una reale necessità, in una situazione pericolosa, nella convinzione che
Dio deve risolvere tutto miracolosamente, siamo nel terreno della irreligione.
Gettarsi dal pinnacolo del Tempio, anziché scendere dalle scale, per vedere se
arriveranno davvero gli angeli promessi dal salmo è peccato di irreligione. Si
pretende di ottenere la prova che Dio è davvero con noi, anzi è al nostro
servizio. Per chi ha fede nessuna prova è necessaria, per chi non crede nessuna
prova è sufficiente.
Ogni volta che si ha un’infermità non leggera (si può sperare la guarigione con l’aiuto di Dio, anche senza i
rimedi sanitari) – cioè grave, e
quindi in grado di compromettere la vita o la qualità della vita – rinunciare
alle cure disponibili non è solo una grave imprudenza, ma un peccato di
irreligione. La solita confusione operata dal maligno sulle parole qui gioca
sul fatto che Gesù, certamente, può guarire tutte le malattie, e che ha
lasciato agli Apostoli il potere di curare le infermità (Lc 9,1; Mt 10,1).
Nell’interpretazione diabolica la preghiera, anziché liberare dalle malattie,
dovrebbe liberare l’uomo dalle terapie. Diventa il prezzo simoniaco per
comperare la salute, per implorare di essere guariti miracolosamente senza
dover assumere le terapie, anche gratuite, prescritte dal medico. Dietro a
preghiere di guarigione si può nascondere l’imprudenza di non voler assumere
farmaci esigendo da Dio il miracolo. In missione la Chiesa, congiuntamente alla
Parola di Dio, ha sempre costruito strutture sanitarie in tutto il mondo. Dove
arriva una Missione cattolica, cristiana troverai sempre una Chiesa, una Scuola
e un Ospedale: questa è l’icona cristiana. In altre parole, cambia il metodo,
ma il principio resta lo stesso: scendere a terra dal pinnacolo senza prendere
le scale. Una volta caduti nella tentazione, la beffa dell’Ingannatore si
completa: prima si perde la salute e poi la fede, pieni di rabbia verso quel
Dio che, nonostante il prezzo pagato in preghiere e sacrifici per ottenere il
suo intervento straordinario, non ci ha esaudito. “Dove sono le tue elemosine?
Dove sono le tue buone opere? Ecco, lo si vede bene da come sei ridotto!” (Tb
2,14). Quando si usa la Parola di Dio per giustificare l’imprudenza, il
tradimento dei doveri del proprio stato, la mancanza di carità, lo scisma, e
persino l’omicidio, siamo sulla strada dell’uso diabolico di ciò che è più sacro.
In tutti gli interventi del Diavolo campeggia una frase: “Se
tu sei il Figlio di Dio, scendi dalla croce!” (Mt 27,39-40). Quante volte
sgorga dal cuore ferito l’inquietante domanda: “Se ci fosse un Dio, come
potrebbe permettere…?” E di fronte a tanti buoni progetti che stentano a
decollare: se tu fossi Dio, allora dovresti concedermi…”. Nella preghiera che ci ha insegnato Gesù, noi
chiediamo al Padre: “Sia fatta la tua volontà” (Mt 6,10). Nel cammino di
conversione a Dio anziché pretendere di piegare Dio ai nostri desideri,
conformiamo il nostro cuore alla sua volontà e così vinciamo ogni tentazione.
Affermava Santa Teresa di Lisieux: “Il Signore sempre mi ha dato quello che ho
desiderato, o meglio mi ha fatto
desiderare quello che voleva darmi” (mi sono rifatto al volume di padre
Raffaele Talmelli e Luciano Regolo, Il
Diavolo, Mondadori, pp.79-93).
Venite processi,
incominciando da quelli in fondo alla Chiesa, per il tocco dell’Unzione con
l’olio benedetto ed esorcizzato: è il sacramentale, della presenza invisibile
del Risorto e della sua azione
ecclesiale mentre, con questa fede, abbiamo presenti quelle speranze di
liberazione, di guarigione, di consolazione per cui siamo qui convenuti come
Chiesa con sempre all’orizzonte la grande speranza, il non ancora, la grande e
sicura meta ultraterrena che giustifica anche i momenti di fatica del vivere.
(67) O Gesù ti adoro, ostia candida, sotto
un vel di pane, nutri l’anima, solo in te il mio cuore si abbandonerà. Perché
tutto è vano se contemplo Te.
Ora guardo l’Ostia che
si cela a me, ardo dalla sete di vedere Te: quando questa carne si dissolverà,
il tuo viso luce, si disvelerà. Amen
Preghiamo. O Dio, che nella passione del Cristo nostro
Signore qui risorto dinanzi a noi, ci hai liberato dal Maligno, dal peccato e
dalla morte, eredità dell’antico peccato trasmessa a tutto il genere umano,
rinnovaci a somiglianza del tuo Figlio; e come abbiamo portato in noi, per la
nostra nascita, l’immagine dell’uomo terreno, così per l’azione del tuo
Spirito, fa che portiamo l’immagine dell’uomo celeste. Per Cristo nostro
Signore.
Amen
Dio sia benedetto…
Ed ora il sacramentale
dell’acqua benedetta ed esorcizzata
Preghiamo. Signore Dio onnipotente, fonte e origine
dell’anima e del corpo, benedici +
quest’acqua e fa che ce ne serviamo con fede per implorare il perdono dei
nostri peccati e la grazia di essere sorretti in ogni infermità e difesi da
ogni insidia del nemico. La tua misericordia, o Padre, faccia scaturire per
noi l’acqua viva della salvezza, perché possiamo accostarci a Te, con cuore
puro e fuggire ogni pericolo dell’anima e del corpo. Per Cristo nostro Signore.
Amen
Prossimo incontro
martedì 14 aprile
(366) Stabat Mater…
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