Lunedì, martedì, mercoledì Santo
Memorizzando Gesù verso Gerusalemme il lunedì, il martedì, il mercoledì santi saliamo per la Pasqua di passione e risurrezione di quest’anno (alla luce dell’Omelia di Benedetto XVI del 5 aprile 2008)
Lunedì Santo
Nell’ultima tappa del cammino verso Gerusalemme, vicino a Gerico, Egli aveva guarito il cieco Bartimeo che lo aveva invocato come Figlio di Davide, chiedendo pietà. Ora – essendo ormai capace di vedere non solo fisicamente ma nella fede – con gratitudine si era inserito nel gruppo di
pellegrini. Quando alle porte di Gerusalemme, Gesù sale su un asino, l’animale simbolo della regalità davidica, tra i pellegrini scoppia spontaneamente la gioiosa certezza: E’ Lui, il Figlio di Davide! Salutano perciò Gesù con l’acclamazione messianica: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore”, e aggiungono: “Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!” (Mc 11,9s). Non sappiamo che cosa precisamente i pellegrini entusiasti immaginavano fosse il regno di Davide che viene. E noi, che ieri nelle processione delle Palme l’abbiamo cantato abbiamo compreso il messaggio di Gesù, Figlio di Davide? Saremo capaci di comprendere che cosa sia il regno di cui Egli ha parlato davanti a Pilato e con la Passione secondo Giovanni il prossimo venerdì santo parlerà a noi? Siamo capaci di comprendere che cosa significhi che questo Regno non è di questo mondo? O ci lasciamo prendere forse dal desiderio che invece sia di questo mondo facendoci andare bene tutte le cose e con questa illusione partecipiamo alla preghiera liturgica della settimana santa?
San Giovanni, nel suo Vangelo che in questi giorni riviviamo, dopo il racconto dell’ingresso in Gerusalemme, riporta una serie di parole di Gesù, nelle quali Egli spiega l’essenziale di questo nuovo genere di Regno cui continuamente convertirci. A una prima lettura di questi testi possiamo distinguere tre immagini diverse del Regno nelle quali, sempre in modo diverso, si rispecchia lo stesso mistero, la stessa realtà. Giovanni racconta innanzitutto che, tra i pellegrini che durante la festa “volevano adorare Dio”, c’erano alcuni Greci (12,20). Facciamo attenzione al fatto che il vero obiettivo di questi pellegrini era di adorare Dio come deve essere il nostro obiettivo. Questo corrisponde perfettamente a ciò che Gesù dice in occasione della purificazione del Tempio: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera per tutte le nazioni” (Mc 11,17). Il vero scopo del pellegrinaggio, del partecipare alle celebrazioni del Triduo pasquale deve essere quello di incontrare Dio; di adorarlo cioè non anteporre nessuno e nulla a Lui e così mettere ordine giusto la relazione di fondo della nostra vita, senza idolatrie. I Greci sono persone giunte con la loro filosofia cioè con la ricerca della verità, del bene e del bello alla ricerca di Dio e con la loro vita sono in cammino verso Dio magari che si fa presente, com’era l’attesa biblica. Ora, per il tramite di due Apostoli di lingua greca, Filippo e Andrea, fanno giungere al Signore la richiesta meravigliosa: “Vogliamo vedere Gesù” (Gv 12,21) cioè senza rendersi completamente consapevoli: vogliamo vedere Dio che possiede un volto umano, che ci ama sino alla fine l’umanità nel suo insieme, ciascuno in particolare cioè il suo regno. Una domanda grande per questi giorni: per questo negli incontri di preghiera liturgica: Vogliamo vedere Gesù, il Dio che possiede un volto umano, che ci ama sino alla fine e accogliendolo nel nostro convenire di preghiera accade il suo regno.
Martedì Santo
Riguardo alla richiesta dei greci “Vogliamo vedere Gesù” che cosa ha detto e fatto Gesù? Dal Vangelo non risulta chiaramente se ci sia stato un incontro tra quei Greci e Gesù. Lo sguardo di Gesù va molto più in là. Il nucleo della sua risposta alla richiesta di quelle persone è: “Se il chicco di grano, caduto in terra (Dio che assume un volto umano incarnandosi), non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Cosa significa: non ha importanza ora un colloquio più o meno breve con alcune persone, che poi tornano a casa senza cambiare la loro mentalità, il loro rapporto. Come chicco di grano morto e risorto verrò, in modo totalmente nuovo, sacramentale, e al di là dei limiti del momento, mi farò presente attraverso segni e quindi incontro al mondo e ai Greci. Mediante la risurrezione Gesù oltrepassa i limiti dello spazio e del tempo e si fa continuamente presente nello spazio e nel tempo dandoci la Sua Parola, la sua presenza e azione sacramentale. Come Risorto, Egli non più solo per la casa di Israele ma è in cammino verso tutta la vastità del mondo e della storia. Sì, come Risorto non è solo Dio con gli Ebrei ma va dai Greci e parla loro, si mostra presente e agisce per loro così che essi, i lontani dagli Ebrei, diventano vicini e proprio nella loro lingua, nella loro cultura, la sua parola viene portata avanti in modo nuovo, e compresa in modo nuovo in rapporto a quello biblico integrandosi – viene il suo Regno. E qui possiamo riconoscere due caratteristiche di questo Regno. La prima è che questo Regno di amore e di verità passa attraverso la croce. Poiché Gesù, il Dio che possiede un volto umano, si dona totalmente, può come Risorto appartenere a tutti e rendersi presente a tutti. Nella Santa Eucaristia riceviamo il frutto del chicco di grano morto, la moltiplicazione che prosegue fino alla fine del mondo e in tutti i tempi in continuità con la sua istituzione che celebreremo il giovedì santo sera, nella fedeltà di parteciparvi almeno ogni Domenica. La seconda caratteristica dice: il suo Regno è universale. Si adempie l’antica speranza di Israele: questa regalità di Davide non conosce più frontiere. Si estende “da mare a mare” – come dice il profeta Zaccaria (9,10) – cioè abbraccia tutto il mondo. Questo, però, è possibile solo perché non è una regalità di un potere politico, ma si basa unicamente sulla libera adesione dell’amore – un amore che, da parte sua, risponde all’amore di Gesù Cristo che si è donato a tutti. E’ la convesione continua all’universalità, alla cattolicità. Essa significa che nessuno può porre come assoluto se stesso, la sua appartenenza particolare, la sua cultura, il suo mondo. Ciò richiede che tutti ci accogliamo a vicenda. Rinunciando a qualcosa di nostro. L’universalità include il mistero della croce – il superamento di se stessi, l’obbedienza verso la comune parola di Gesù Cristo nella comune Chiesa. L’universalità è sempre un superamento di se stessi, rinuncia a qualcosa di personale, di particolare. L’universalità, la cattolicità e il bacio della croce che faremo il venerdì santo dopo la preghiera universale vanno insieme. Occorre essere in uscita, ricorda Papa Francesco. E solo così si garantisce nel mondo la pace, il vero Regno di Dio.
Mercoledì Santo
La parola circa il chicco di grano morto fa ancora parte della risposta di Gesù ai Greci, è la sua risposta che rivela quando accade il Suo Regno. Egli formula ancora una volta la legge fondamentale dell’esistenza umana nel suo essere dono del Donatore divino di ogni persona e di tutto il cosmo: “ Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna” (Gv 12,25), la vita veramente vita, la speranza affidabile in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto e accettato se conduce verso una meta e se di questa meta noi possiamo essere sicuri, se questa meta è così grande da giustificare la fatica del cammino. Chi vuole avere la sua vita per sé, vivere solo per se stesso il cui corpo finisce in polvere, stringere tutto a sé e sfruttarne tutte le possibilità senza l’attesa della speranza affidabile in un mondo che, per sua natura, è imperfetto – proprio costui perde la vita veramente vita. E questo modo di vivere che finirà in polvere diventa noioso e vuoto: da odiare. Soltanto nell’abbandono di se stessi, soltanto nel dono disinteressato dell’io in favore della relazione di amore con il tu, soltanto nel “sì” alla vita più grande, propria di Dio, anche la nostra vita diventa ampia e grande, come ogni cuore originariamente desidera. Così questo principio fondamentale, che il Signore stabilisce, in ultima analisi è semplicemente identico alla relazione di amore per noi fatti ad immagine delle relazioni trinitarie. Ogni relazione di amore, infatti, significa farsi dono nel proprio e altrui essere dono del Donatore divino, significa donarsi, non voler possedere se stessi, ma diventare liberi dall’assolutizzare l’autoreferenzialità: non ripiegarsi su se stessi – cosa sarà di me -,ma guardare avanti, verso l’altro – verso il Donatore divino e verso gli uomini nel loro essere dono e che Egli mi manda. E questo principio dell’amore, che definisce il cammino, la verità di ogni uomo, è ancora identico al mistero della croce che baceremo il Venerdì santo, al mistero di morte e risurrezione che incontriamo nel Dio che possiede un volto umano, in Gesù Cristo. Si tratta di cogliere la propria verità in questa grande visione fondamentale della vita. E nella realtà concreta di ogni relazione di vivere la sua verità, la verità della croce e della risurrezione. E per questo non basta un’unica grande decisione. E’ sicuramente importante osare una volta la grande decisione fondamentale in rapporto alla vita, osare il grande “sì”, che il Signore ci chiede in un certo momento della nostra vita. Ma il grande “sì” del momento decisivo nella nostra vita – il “sì” alla verità che il Signore ci mette davanti ed è un dono giungere a coglierlo finché si sta bene – quotidianamente va poi riconquistato nelle circostanze, nelle relazioni, nella relazione preferenziale di amore di tutti i giorni in cui sempre di nuovo subordiniamo il nostro essere dono alla relazione con l’essere dono del tu visibile per quello invisibile. Come è importante non soccombere alla tentazione di aggrapparci al nostro io finendo nella solitudine. Certo ad una vita vera appartiene anche il sacrificio, la rinuncia. Chi propone una vita senza questa disponibilità al sacrificio per farsi dono e quindi divenire quello che si è nel proprio e altrui essere, inganna. Ognuno può constatare che proprio i momenti in cui si è detto “sì” ad una rinuncia sono stati i momenti più significativi.
Infine, san Giovanni ha accolto, nella sua composizione delle parole del Signore per la “Domenica delle Palme”, anche una forma modificata della preghiera di Gesù nell’Orto degli Ulivi. C’è innanzitutto l’affermazione: “L’anima mia è turbata” (12,27). Qui appare lo spavento di Gesù, del Dio che possiede un volto umano, illustrato ampiamente dagli altri evangelisti – il suo spavento davanti al potere della morte, davanti a tutto l’abisso del male che Egli vede e nel quale deve discendere. Il Signore ha esperimentato le nostre angosce insieme con noi e ci accompagna attraverso l’ultima angoscia fino alla luce. Poi seguono le domande di Gesù. La prima, espressa solo condizionatamente: “Che cosa dirò – Padre salvami da quest’ora?” (12, 27). Come essere umano in tutto uguale a noi, tranne che nel peccato, anche Gesù si sente spinto a chiedere che gli sia risparmiato il terrore della passione. Anche noi possiamo pregare in questo modo. Anche noi possiamo lamentarci davanti al Signore come Giobbe, presentargli le nostre domande che, di fronte all’ingiustizia nel mondo e alla difficoltà del nostro stesso io, emergono in noi. Davanti a Lui non è necessario rifugiarci in pie frasi, in un mondo fittizio senza problemi. Pregare significa sempre anche lottare con Dio, e come Giobbe possiamo dirGli: “Non ti lascerò, se non mi hai benedetto!” (Gen 32,27). Ma poi viene la seocnda domanda di Gesù: “Glorifica il tuo nome!” (Gv 12,28). Nei sinottici questa domanda suona così: “Non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Lc 22,42). Alla fine la gloria di Dio, la sua signoria, la sua volontà è sempre più importante e più vera che il mio pensiero e la mia volontà. Ed è questo l’essenziale della nostra preghiera e nella nostra vita: confidare in Dio e credere che Egli sta facendo la cosa giusta e sa trarre il bene anche dal male; che la sua volontà è verità e l’amore; che la mia vita diventa buona se imparo ad aderire a quest’ordine. Vita, morte e risurrezione di Gesù sono per noi la garanzia che possiamo veramente fidarci di Dio. E in questo modo che si realizza il suo Regno: venga il tuo regno!
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