La risurrezione, la più grande mutazione mai avvenuta
La risurrezione non è un semplice ritorno alla nostra vita terrena; è invece la più grande “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova che riguarda Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo
San Marco ci racconta nel suo Vangelo che i discepoli, scendendo dal monte della Trasfigurazione, discutevano tra di loro su che cosa volesse dire “risorgere dai morti” (Mc 9,10). Prima il Signore aveva annunciato loro la sua passione e la risurrezione dopo tre giorni. Pietro aveva protestato
contro l’annuncio della morte. Ma ora si domandavano che cosa potesse essere inteso con il termine “risurrezione”. E succede anche a noi. Il Natale del Dio che assume un volto umano in tutto uguale a noi, viene concepito, nasce il Bambino divino e possiamo immaginare la notte di Betlemme, la gioia di Maria la mamma, la gioia di san Giuseppe e dei pastori e il giubilo degli angeli. Ma risurrezione, una “mutazione” mai accaduta, il “salto” decisivo verso una dimensione di vita profondamente nuova, che cos’è? Non entra nell’ambito delle nostre esperienze naturali, e così il messaggio che riguarda anzitutto Gesù di Nazareth, ma con Lui anche noi, tutta la famiglia umana, la storia e l’intero universo rimane in qualche misura incompreso pur essendo senza alternative l’unica speranza di fronte alla prospettiva di finire nel nulla della polvere del niente. Nel demone della attuale secolarizzazione o silenzio su Dio e con Dio soprattutto a livello pubblico si squalifica la risurrezione come credenza del passato, riducendo Cristo a solo personaggio del passato eventualmente da imitare, come tutti i personaggi storici, a livello morale. La Chiesa, poiché l’annuncio del Risorto presente e operante in lei per tutti e per tutto, è il cuore dell’evangelizzazione, la ragione del suo esserci e del suo operare, cerca di condurci alla sua comprensione, traducendo questo avvenimento soprannaturale misterioso nel linguaggio dei simboli nei quali possiamo contemplare questo evento sconvolgente perché la risurrezione di Cristo è il centro della predicazione e della testimonianza cristiana, dall’inizio e fino alla fine dei tempi. Si tratta di un grande mistero cioè di una realtà divinamente umana, certamente, il mistero della nostra salvezza, che trova nella risurrezione del Verbo incarnato il suo compimento e insieme l’anticipazione e il pegno della nostra speranza, dell’unico futuro della storia e del cosmo. Ma la cifra di questa realtà-divino umana è l’amore constatabile da tutti e soltanto nella logica dell’amore esso può essere accostato e in qualche modo compreso: Gesù Cristo, il Dio che possiede un volto umano, che ci ha amato sino alla fine, l’umanità nel suo insieme e ogni persona in particolare, è perfetta e intima unione con Dio, che è l’amore davvero più forte della morte. Egli era una cosa sola con la Vita indistruttibile e pertanto poteva donare la propria vita lasciandosi uccidere, ma non poteva non riprenderla, non poteva soccombere definitivamente alla morte: in concreto nell’Ultima Cena egli ha anticipato e accettato per amore la propria morte in croce, trasformandola così nel dono di sé, quel dono che ci dà vita, ci libera e ci salva. La sua risurrezione è stata dunque come un’esplosione di luce, un’esplosione dell’amore che scioglie le catene del peccato e della morte. Essa ha inaugurato una nuova dimensione della vita e della realtà, dalla quale emerge un mondo nuovo, storicamente l’ingresso in un ordine decisamente diverso che penetra continuamente nel nostro mondo, lo trasforma e lo attira in sé ricreando anche il naturale. Il Suo Regno, che non proviene da questo ma accade in questo mondo, non è un non ancora, un al di là immaginario, posto in un futuro che non arriva mai, il suo regno è presente, constatabile là dove Egli è amato e dove il suo amore ci raggiunge in tante relazioni, soprattutto in quella preferenziale. Solo il suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che per sua natura, è imperfetto. E il suo amore, allo stesso tempo, diventa per noi garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è “veramente “ vita, una meta così grande, com’è la risurrezione per ogni persona, per la storia e il futuro umano, per il cosmo, da giustificare la fatica del cammino,
Nella Veglia Pasquale la preghiera liturgica della Chiesa ci indica il significato di tutto questo, di questo giorno meraviglioso, soprattutto mediante tre simboli: la luce, l’acqua e il canto nuovo – l’alleluia.
C’è innanzitutto, la luce. La creazione di Dio – abbiamo l’ascolto del racconto biblico – comincia con la parola: “Sia la luce!” (Gen 1,3). Dove c’è la luce, nasce la vita, il caos può trasformarsi in cosmo. Nel messaggio biblico, la luce è l’immagine più immediata di Dio: Egli è interamente Luminosità, Vita, Verità, Amore, Luce. Nella Veglia Pasquale, la Chiesa legge il racconto della creazione come profezia. Nella risurrezione, in questo “salto” verso una dimensione di vita profondamente nuova, avviene, si verifica in modo sublime ciò che il testo della creazione descrive come l’inizio di tutte le cose. Dio dice nuovamente: “Sia la luce!”. La risurrezione di Gesù è un’eruzione di luce. La morte è superata, il sepolcro spalancato. Il Risorto stesso è Luce, la Luce del mondo, l’unica luce, l’unica speranza di vita veramente vita. Con la risurrezione, il giorno di Dio entra nelle notti della storia. A partire dalla risurrezione, la luce di Dio si diffonde nel mondo e nella storia verso la vita veramente vita, il compimento. Si fa giorno. Solo questa Luce – Gesù Cristo – è la Luce vera, più del fenomeno fisico di luce. Egli è la Luce pura: Dio stesso, che fa nascere una nuova creazione in un ordine decisamente diverso, trasforma il caos in cosmo.
Perché Cristo è Luce? Nell’Antico Testamento, la Torah era considerata come la luce proveniente da Dio per il mondo e per gli uomini, per vivere e relazionarsi da uomini animati dall’amore. Essa separa nella creazione la luce dalle tenebre, cioè il bene dal male. Indica all’uomo la via giusta per vivere veramente in modo umano. Gli indica il bene, gli mostra la verità e lo conduce verso l’amore, che è il suo contenuto più profondo. Essa è “lampada” per i passi e “luce” sul cammino (Salmo 119,105). I cristiani, poi, sapevano: in Cristo è presente e realizzata come icona per tutti la Torah, la Parola di Dio è presente in Lui come Persona (il Verbo). La parola di Dio è vera luce di cui ogni uomo per divenire quello che è, dono del Donatore divino, ha bisogno e nel proprio io originariamente desidera. Questa Parola è presente in Lui, nel Figlio. Il Salmo 19 aveva paragonato la Torah al sole che, sorgendo, manifesta la gloria di Dio visibilmente in tutto il mondo, pure dono del Donatore, del Creatore divino. I cristiani capiscono: sì, nella risurrezione Il Figlio di Dio si rivela come Luce sul mondo, sulla storia. Cristo è la grande, l’unica Luce dalla quale proviene ogni vita veramente vita. Egli ci fa riconoscere la gloria di Dio da un confine all’altro della terra. Egli ci indica la strada. Egli è il giorno di Dio che ora, crescendo, si diffonde per tutta la terra. Adesso, vivendo con Lui, sacramentalmente in Lui e moralmente per Lui, assimilandoci progressivamente a Lui, possiamo vivere nella luce, nella speranza affidabile, in virtù della quale affrontare il nostro presente: il presente, anche un presente faticoso, può essere vissuto ed accettato se conduce verso una meta di piena realizzazione e se di questa meta noi possiamo essere sicuri.
Nella Veglia e nella Cinquantena Pasquale, la Chiesa rappresenta il mistero di luce del Cristo nel segno del cero pasquale, la cui fiamma è insieme luce e calore. Il simbolismo della luce è connesso con quello del fuoco: luminosità e calore, luminosità ed energia di trasformazione contenuta nel fuoco – verità e amore fino al perdono vanno sempre insieme. Il Cero pasquale (il Crocefisso risorto) arde e con ciò si consuma: croce e risurrezione sono inseparabili. Dalla croce, dall’autodonazione del Figlio nasce la luce, viene la vera luminosità nel mondo. Al cero pasquale noi tutti accendiamo le nostre candele, soprattutto quelle dei neobattezzati, ai quali in questo Sacramento la luce viene calata nel profondo del cuore. La Chiesa antica ha qualificato il Battesimo come fotismos, come Sacramento dell’illuminazione, come una comunicazione di luce e lì ha collegato inscindibilmente con la risurrezione di Cristo, primizia della nostra risurrezione e dell’avvenire della storia e del cosmo. Nel Battesimo Dio dice al battezzando: “Sia la luce!”. Il battezzando viene introdotto entro la luce di Cristo. Cristo divide ora la luce della vita veramente vita dalle tenebre di una vita che finisce in polvere, nel nulla. In Lui, anche chi rivive il Battesimo ricevuto fin da bambini, prendiamo sempre più coscienza che cosa nella realtà tra il già e il non ancora è vero cioè reale e che cosa è falso, irreale, che cosa è luminosità e che cosa è il buio senza speranza. Con Lui sorge in noi la luce della realtà in tutti gli ambiti cioè della verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza sul da dove veniamo e a che cosa siamo destinati, chi ci libera dal male e se c’è un futuro anche del nostro corpo, della relazione maschile-femminile. Quando una volta Cristo vide la gente che era convenuta per ascoltarlo con tanta attenzione e aspettava da Lui un orientamento di vita schiavi per l’ignoranza sulle cose essenziali, ne sentì compassione, perché erano non liberi, come pecore senza la guida di un pastore (Mc 6,34). In mezzo alle correnti contrastanti del loro tempo non sapevano dove rivolgersi, chi seguire. Quanta compassione Egli prova anche del nostro tempo nel buio del demone della secolarizzazione occidentale – a causa di tutti i grandi discorsi dietro i quali si nasconde un grande disorientamento in chi non crede nella risurrezione, nell’incontro del Risorto nella Chiesa. Dove dobbiamo andare? Quali sono i valori, secondo cui possiamo regolarci? I valori che possono attrarre i giovani, senza pretendere da loro delle norme che forse non resisteranno o esigere delle cose che forse non devono essere loro imposte? E’ così semplice, così dicibile a tutti e sempre la verità di Cristo così semplice accessibile a tutti. Egli è la luce. La candela battesimale della celebrazione pasquale è il simbolo dell’illuminazione che nel Battesimo o nel riviverlo nella Veglia ci viene donata. Così in quest’ora anche san Paolo ci parla in modo immediato. Nella Lettera ai Filippesi dice che, in mezzo a una generazione tortuosa e stravolta da tanta confusione i cristiani possono risplendere per tutti e per tutto come astri nel mondo (Fil 2,15). Come è efficace pregare Il Signore che il piccolo lume della candela che portiamo con noi, che Egli ha acceso in noi, la luce veramente popolare delicata e semplice della sua parola sentendo il suo amore in mezzo alle confusioni anche di questo tempo non si spenga in noi, nelle nostre relazioni, ma diventi sempre più sicura e luminosa. Affinché siamo con Lui persone felici del giorno, addirittura, pur nella semplicità astri per il nostro tempo così in Occidente post-cristiano.
Il secondo simbolo della Veglia Pasquale – la notte della celebrazione o del rivivere il Battesimo – è l’acqua. Essa appare nella Sacra Scrittura, e quindi anche nella struttura interiore, nel significato del Sacramento del Battesimo, in due significati opposti. C’è ad una parte il mare che, soprattutto agli ebrei non navigatori, appare come il potere antagonista della vita sulla terra, come la sua continua minaccia, alla quale Dio, però, ha posto un limite. Per questo l’Apocalisse dice del mondo nuovo di Dio che il mare non ci sarà più (21,1). E’ l’elemento della morte. E così diventa la rappresentazione simbolica della morte in croce di Gesù: Cristo è disceso nel mare, nelle acque della morte come Israele nel Mar Rosso. Risorto dal mare, dal Giordano battesimale della morte, Egli ci dona la vita veramente vita dell’anima e del corpo, vita senza fine, vita di figli nel Figlio di Dio che è Padre per opera dello Spirito Santo. Ciò significa che il Battesimo non è solo un lavacro, ma una nuova nascita: con Cristo quasi discendiamo nel mare della morte propria dell’uomo vecchio, per risalire come creature nuove, rinate nella vita veramente vita dell’anima e del corpo.
L’altro modo in cui incontriamo l’acqua è come sorgente fresca, che dona la vita, o anche come il grande fiume da cui proviene la vita. Secondo l’ordinamento primitivo della Chiesa, il Battesimo doveva essere amministrato con acqua sorgiva fresca. Senza acqua non c’è vita, come senza Battesimo non c’è già vita veramente vita in cammino verso il non ancora. Colpisce quale importanza abbiano nella Sacra Scrittura i pozzi. Essi sono luoghi dove scaturisce la vita. Presso il pozzo di Giacobbe, Cristo annuncia alla Samaritana il pozzo nuovo, l’acqua della vita veramente vita. Egli si manifesta a lei come il nuovo Giacobbe, quello definitivo, che apre all’umanità il pozzo che essa continuamente attende: quell’acqua che dona la vita veramente vita che non s’esaurisce mai (Gv 4,5-15). San Giovanni ci racconta che un soldato con una lancia colpì il fianco di Gesù e che dal fianco aperto – dal suo cuore trafitto – uscì sangue e acqua (Gv 19,34). La Chiesa antica ne ha visto un simbolo per il Battesimo e l’Eucaristia che derivano dal cuore trafitto di Gesù. Nella morte Gesù è divenuto Egli stesso la sorgente. Il profeta Ezechiele in una visione aveva visto il tempio nuovo dal quale scaturisce una sorgente che diventa un grande fiume che dona la vita ( Ez. 47,1-12) –in una Terra che sempre soffriva la siccità e la mancanza d’acqua, questa era una grande visione di speranza. La cristianità degli inizi capì molto: in Cristo questa visione si è realizzata. Egli è il vero, il vivente Tempio di Dio. E lui è la sorgente di acqua viva. Da Lui sgorga il grande fiume che nel Battesimo fruttifica e rinnova il mondo; il grande fiume di acqua viva, il suo Vangelo che rende feconda la terra. Gesù ha però profetizzato una cosa ancora più grande. Dice: “Chi crede in me…dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva” (Gv 7,38). Nel Battesimo il Signore fa di noi non solo persone di Luce, ma anche sorgenti dalle quali scaturisce acqua viva. Noi tutti conosciamo persone simili, veri figli nel Figlio che ci lasciano in qualche modo rinfrescati e rinnovati dal loro vissuto, dalla relazione con loro; persone che sono come una fonte di fresca acqua sorgiva. Non pensiamo solo ai grandi come Agostino, Francesco d’Assisi, Teresa d’Avila, Madre Teresa di Calcutta e così via, ma persone che in amicizia abbiamo conosciuto veramente fiumi di acqua viva. Grazie a Dio, le troviamo, pur con i loro limiti, continuamente anche nel nostro quotidiano: persone che sono per noi una sorgente. Certo, esperimentiamo anche il contrario: persone dalle quali promana una atmosfera come da uno stagno con acqua stantia o addirittura avvelenata. Ma non è il caso di dare troppa importanza in rapporto anche a poche persone di acqua veramente viva. E sgorga la preghiera di chiedere al Signore, che ci ha donato di rinascere già con il Battesimo alla vita veramente vita, innestata su quella naturale, di strappare continuamente i polloni bastardi che riemergono, per poter essere nelle nostre relazioni con persone e con il mondo sorgenti di acqua pura, fresca, zampillante dalla fonte della sua verità e del suo amore!
Il terzo grande simbolo della Veglia e della Cinquantena pasquale è di natura tutta particolare; esso coinvolge l’uomo stesso. E’ il cantare il canto nuovo – l’Alleluia. Quando un uomo, una donna esperimentano una grande gioia, non possono tenerla per loro. Devono esprimerla, trasmetterla? Ma cosa succede quando una persona viene toccata dalla luce dell’annuncio della risurrezione, riesce con il dono dello Spirito, a comprenderla in rapporto al proprio vissuto venendo a contatto con la vita veramente vita che non finisce nella polvere del nulla e quindi con la realtà in tutti gli ambiti, con la verità che libera dalla schiavitù dell’ignoranza, viene a contatto con l’Amore? Di ciò la persona non può semplicemente parlare soltanto. Il parlare non basta più nella relazione di amore. Deve cantare. La prima menzione del cantare nella Bibbia, la troviamo dopo la traversata del Mare Rossso. Israele è sollevato dalla schiavitù. E’ risalito dalla profondità minacciosa del mare. E’ come rinato. Vive ed è libero. La Bibbia descrive la reazione del popolo a questo grande evento del salvamento con la frase: “Il popolo credette nel Signore e in Mosè suo servo” (EX 14,31). Ne segue poi la seconda reazione che, con una specie di necessità interiore, emerge dalla prima: “Allora Mosè e gli israeliti cantarono questo canto al Signore…”. Nella Veglia e nella Cinquantena pasquale, anno per anno, noi cristiani intoniamo dopo la terza lettura questo canto, lo cantiamo come il nostro canto, perché anche noi mediante la potenza di Dio siamo stati tirati fuori con il Battesimo dall’acqua di morte, con il secondo battesimo o Sacramento di riconciliazione, liberati dal peccato per crescere nella vita veramente vita.
Per la storia del canto di Mosè dopo la liberazione di Israele dall’Egitto e dopo la risalita dal mar Rosso, c’è un parallelismo sorprendente nell’Apocalisse di san Giovanni. Prima dell’inizio degli ultimi sette flagelli imposti alla terra, appare al veggente qualcosa “come un mare di cristallo misto a fuoco; coloro che avevano vinto la bestia, la sua immagine e il numero del suo nome, stavano in piedi sul mare di cristallo. Hanno cetre divine e cantano il canto di Mosè, il servo di Dio, e il canto dell’Agnello…” (Ap 15,2s). Con questa immagine è descritta la situazione dei discepoli di Gesù Cristo in tutti i tempi, la situazione della Chiesa nella storia di questo mondo. Considerata umanamente, essa è in se stessa contraddittoria. Da una parte, al comunità si trova nell’Esodo, in mezzo al Mar Rosso. In un mare che, paradossalmente, è insieme ghiaccio e fuoco. E non deve forse la Chiesa, per così dire, camminare sempre sul mare, attraverso il fuoco e il freddo? Umanamente parlando, essa dovrebbe affondare. Ma, mentre cammina ancora in mezzo a questo mar Rosso, essa canta – intona il canto dei giusti: il canto di Mosè e dell’Agnello, in cui si accordano l’Antica e la Nuova Alleanza. Mentre, tutto sommato, dovrebbe affondare, la Chiesa canta il canto di ringraziamento dei salvati. Essa sta sulle acque di morte della storia e tuttavia è già risorta. Cantando essa si aggrappa alla mano del Signore, che la tiene al di sopra delle acque. Ed essa sa che con ciò è sollevata fuori dalla forza di gravità della morte e del male – una forza dalla quale altrimenti non ci sarebbe via di scampo –sollevata e attirata dentro la nuova forza di gravità di Dio, della verità e dell’amore. Al momento, la Chiesa e noi tutti ci troviamo ancora tra i due campi gravitazionali. Ma da quando Cristo è risorto, la gravitazione dell’amore del Padre attraverso il Figlio nello Spirito santo fino al perdono, alla misericordia è più forte di quella dell’odio; la forza di gravità della vita veramente vita è più forte, nonostante le apparenze, di quella della morte, del male, del Maligno. Non è forse questa veramente la situazione della Chiesa di tutti i tempi senza nostalgie e senza futurismi, quindi la situazione nostra? Sempre c’è l’impressione che sia lì lì per affondare, e sempre è già salvata nonostante tutto. San Paolo ha illustrato questa situazione con le parole di fede che dovremmo sempre fare nostre: “Siamo…come moribondi, e invece viviamo” (2 Cor 6,9). La mano salvifica del Signore, anche con relazioni di amicizia che a Lui rimandano, ci sorregge, e così possiamo cantare nel già di questa vita, di questo mondo il canto dei salvati, dei battezzati, il canto nuovo dei risorti: alleluia!
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