Un popolo che sa soffrire, alzarsi e anadre avanti
Ho incontrato un popolo che sa soffrire, e che è capace di alzarsi e andare avanti.
Le interviste al Papa non sono Magistero, ma aiutano a capire la “mens”
del Pontefice e possono spiegare meglio alcune espressioni dei discorsi
ufficiali.
Padre
Lombardi: Santo Padre, grazie per essere qui.
La vediamo in forma splendida dopo questi giorni di viaggio e La ringraziamo di
darci di nuovo del lavoro da fare anche oggi, perché con la sua conversazione
ci farà lavorare per tutto il viaggio.
Papa
Francesco: Prima di tutto vi saluto,
buongiorno, grazie del vostro lavoro. Il viaggio è stato impegnativo e, come
diciamo in spagnolo, pasado
por agua. È bello, e grazie tante per quello che avete fatto.
Prima
domanda, Kara David, gruppo filippino:
Buongiorno, Holy Father. Sorry, I
will speak in English. Thank you very much for visiting our Country and for
giving so much hope to the Philipinos. We would like you to come back to our
Country. My question is: the Philipinos have learned a lot from listening to
your message. Is there something that the Holy Father has learned from the
Philipinos, from your encounter with us?
Papa
Francesco: I gesti! I gesti mi hanno commosso.
Non sono gesti protocollari… Sono gesti buoni, gesti sentiti, gesti che vengono
dal cuore. Alcuni quasi fanno piangere. Lì c’è tutto: la fede, l’amore, la
famiglia, le speranze, il futuro… Quel gesto dei papà, quando alzavano i
bambini, perché il Papa li benedicesse. Il gesto di un papà… ce n’erano tanti:
alzavano i bambini, quando passavo per la strada. Un gesto che da altre parti
non si vede. Come se dicessero: questo è il mio tesoro, questo è il mio futuro,
questo è il mio amore, per questo vale la pena lavorare, per questo vale la
pena soffrire. E’ un gesto originale, ma nato dal cuore.
Il
secondo gesto che mi ha colpito tanto è un entusiasmo non finto, la gioia,
l’allegria, capaci di fare festa anche sotto l’acqua. Mi diceva uno dei
cerimonieri che è stato edificato perché i ministranti a Tacloban, con quella
pioggia, mai avevano perso il sorriso. È la gioia, gioia non finta. Non era un
sorriso dipinto, no: un sorriso che veniva. E dietro quel sorriso c’è la vita
normale, ci sono i dolori, ci sono i problemi… Altro gesto: le mamme che
portavano i figli ammalati; e anche le mamme che li portavano là. Le mamme non
alzavano tanto i figli… fino a qui… [in braccio]. Sì, si vedevano tanti bambini
disabili, con disabilità che fanno un po’ impressione: non nascondevano il
bambino, lo portavano dal Papa perché lo benedicesse. Questo è il mio bambino, è così, ma èmio. Tutte
le mamme sanno questo e lo fanno, ma il modo di farlo, è quello che mi ha colpito.
Il
gesto della paternità, della maternità, dell’entusiasmo, della gioia. E c’è una
parola che è difficile per noi da capire, perché è stata troppo volgarizzata,
troppo usata male o capita male, ma è una parola che ha sostanza: la
rassegnazione. Un popolo che sa soffrire, e che è capace di alzarsi e andare
avanti. Ieri, nel colloquio che ho avuto con il papà di Krystel, la ragazza
volontaria che è morta a Tacloban, sono stato edificato [da quello che mi ha
detto]: “E’ morta in servizio”, e cercava parole per confortarsi, per accettare
questo. Un popolo che sa soffrire. È questo che ho visto, per come io ho
interpretato i gesti.
Seconda
domanda, Jean-Louis de la Vaissière di France Presse per il gruppo francese:
Sua
Santità è andata già due volte in Asia. I cattolici in Africa non hanno ancora
ricevuto la Sua visita. Lei sa che dalla Repubblica Centrafricana, alla
Nigeria, all’Uganda, molti fedeli che soffrono la povertà, la guerra, il
fondamentalismo islamico sperano la Sua visita quest’anno. Allora volevo chiedere:
quando e dove pensa di andarci?
Papa
Francesco: Rispondo ipoteticamente. Il piano è
andare nella Repubblica Centrafricana e in Uganda. Questi due. Quest’anno.
Credo che sarà verso la fine, per il tempo. Devono calcolare il tempo, che non
ci siano le piogge, che non ci sia brutto tempo. È un po’ in ritardo questo
viaggio perché c’è stato il problema dell’ebola. È una responsabilità grande,
fare grandi raduni, per il contagio. Ma in questi Paesi non c’è problema.
Questi due sono in ipotesi per quest’anno.
Terza
domanda, Salvatore Izzo dell’Agi, Agenzia Italiana di Informazione, per il
gruppo italiano:
Santo
Padre, a Manila eravamo in un albergo molto bello, tutti erano molto gentili e
si mangiava molto bene. Però, appena si usciva da questo albergo si veniva –
diciamo così – aggrediti moralmente dalla povertà. Vedevamo dei bambini che
erano in mezzo ai rifiuti, trattati, direbbe Lei forse, come rifiuti. Ecco, io
ho un bambino di sei anni e mi sono vergognato che questi stanno così male. Ma
il mio bambino, che si chiama Rocco, ha capito molto bene quello che Lei ci
insegna quando dice di condividere con i poveri. E così, andando a scuola,
cerca di distribuire la merenda tra i mendicanti della zona. Eppure per me è
molto più difficile. Anche per altre persone grandi è difficile. Un solo
Cardinale, 40 anni fa, ha lasciato tutto per andarsene dai lebbrosi (Léger).
Ecco, questa era la mia domanda: perché è tanto difficile seguire quell’esempio
anche per i Cardinali? L’altra cosa che volevo chiederLe invece riguarda lo Sri
Lanka. Lì abbiamo visto tutte quelle favelas andando verso l’aeroporto. Sono
delle baracche appoggiate agli alberi e vivono praticamente sotto gli alberi.
La maggioranza sono Tamil e sono discriminati. Lei, dopo la strage di Parigi,
il giorno dopo, forse a caldo, ha detto: “C’è un terrorismo isolato e un
terrorismo di Stato”. Ma cosa voleva dire con quel “terrorismo di Stato”? A me
è venuto in mente vedendo la sofferenza e la discriminazione di queste persone.
Papa
Francesco: Quando una di voi mi domandato qual
era il messaggio che io portavo nelle Filippine, io ho detto: i poveri. E’ il
messaggio che la Chiesa oggi dà. Anche quello che Lei dice dello Sri Lanka, i
Tamil, la discriminazione… I poveri, le vittime di questa cultura dello scarto.
Questo è vero. Oggi non si scarta la carta, quello che avanza, soltanto. Si
scartano le persone. E la discriminazione è un tipo di scarto. Si scarta questa
gente. Mi viene in mente l’immagine delle caste... Questo non può andare. E lo
scarto oggi sembra quasi normale. Lei parlava dell’albergo lussuoso accanto
alla baracca. Nella mia diocesi di Buenos Aires c’era tutta la zona nuova che
si chiama Puerto Madero, fino alla stazione ferroviaria, e poi incomincia la “Villa
Miseria”, i poveri, uno dietro l’altro. Da questa parte ci sono 36
ristoranti di lusso, che se tu vai a mangiare lì ti tagliano la testa; di là
c’è la fame. Uno attaccato all’altro. E noi abbiamo la tendenza ad abituarci a
questo. Sì, qui siamo noi e lì sono gli scartati. Questa è la povertà, e credo
che la Chiesa debba dare esempio sempre di più in questo, di rifiutare ogni
mondanità. A noi consacrati, vescovi, preti, suore, laici che credono davvero,
il peccato più grave, la minaccia più grave è la mondanità. E’ tanto brutto
quando si vede un consacrato, un uomo di Chiesa, una suora, mondani. È brutto.
Questa non è la strada di Gesù. È la strada di una Ong che si chiama Chiesa. Ma
questa non è la Chiesa di Gesù, quella Ong. Perché la Chiesa non è una Ong, è
un’altra cosa. Ma quando diventa mondana - una parte della Chiesa, queste
persone - diventa una Ong e smette di essere la Chiesa. La Chiesa è il Cristo,
morto e risorto per la nostra salvezza, è la testimonianza dei cristiani che
seguono Cristo. Quello scandalo che Lei ha detto è vero, sì, tante volte noi
scandalizziamo i cristiani, scandalizziamo, che siamo preti o laici, perché è
difficile la strada di Gesù. È vero, la Chiesa deve spogliarsi.
E Lei
mi ha fatto pensare a quella cosa del terrorismo dello Stato: che questo scarto
sia come un terrorismo. Mai lo avevo pensato, davvero, ma mi ci fa pensare. Non
so cosa dirLe, davvero. Non sono carezze quelle, certamente, è come dire: no,
tu no, tu fuori.
O
quanto è accaduto qui a Roma: un barbone che aveva un dolore di pancia,
poveretto – e quando tu hai un dolore di pancia e vai all’ospedale, al Pronto
Soccorso, ti danno un’aspirina o una cosa del genere o ti danno appuntamento
dopo quindici giorni: vieni dopo quindici giorni –. E’ andato da un prete e il
prete ha visto, si è commosso e ha detto: “Ti porto all’ospedale, ma tu mi fai
un favore: quando io inizio a spiegare quello che tu hai, tu fai finta di
svenire”. E così è accaduto: un artista, l’ha fatto bene. Era una peritonite!
Quest’uomo era scartato. Se andava da solo, era scartato e moriva. Quel parroco
era furbo e lo ha aiutato bene. Era lontano dalla mondanità. È un terrorismo
questo? Mah… sì, si può pensare che sia… Si può pensare, lo penserò bene.
Grazie! Auguri anche per l’Agenzia.
Quarta
domanda, Jan-Christoph Kitzler della Ard, la radio tedesca, per il gruppo
tedesco:
Grazie,
Santo Padre. Vorrei ritornare un attimo all’incontro che ha avuto con le
famiglie. Lì ha parlato della “colonizzazione ideologica”. Ci potrebbe spiegare
un po’ meglio il concetto? Poi si è riferito al Papa Paolo VI, parlando dei
casi particolari che sono importanti nella pastorale delle famiglie. Ci può
fare alcuni esempi di questi casi particolari e magari dire anche se c’è
bisogno di aprire le strade, di allargare il corridoio di questi casi
particolari?
Papa
Francesco: La colonizzazione ideologica: dirò
soltanto un esempio, che ho visto io. Vent’anni fa, nel 1995, una Ministro
dell’Istruzione Pubblica aveva chiesto un grosso prestito per fare la
costruzione di scuole per i poveri. Le hanno dato il prestito a condizione che
nelle scuole ci fosse un libro per i bambini di un certo grado di scuola. Era
un libro di scuola, un libro preparato bene didatticamente, dove si insegnava
la teoria del gender.
Questa donna aveva bisogno dei soldi del prestito, ma quella era la condizione.
Furba, ha detto di sì e ha fatto fare anche un altro libro e li ha dati tutti e
due, e così è riuscita… Questa è la colonizzazione ideologica: entrano in un
popolo con un’idea che non ha niente a che fare col popolo; con gruppi del popolo sì, ma non col popolo, e
colonizzano il popolo con un’idea che cambia o vuol cambiare una mentalità o
una struttura. Durante il Sinodo i vescovi africani si lamentavano di questo,
che è lo stesso che per certi prestiti si impongano certe condizioni. Io dico
soltanto questo caso che io ho visto. Perché dico “colonizzazione ideologica”?
Perché prendono proprio il bisogno di un popolo o l’opportunità di entrare e
rafforzarsi, per mezzo dei bambini. Ma non è una novità questa. Lo stesso hanno
fatto le dittature del secolo scorso. Sono entrate con la loro dottrina.
Pensate ai “Balilla”, pensate alla Gioventù Hitleriana... Hanno colonizzato il
popolo, volevano farlo. Ma quanta sofferenza! I popoli non devono perdere la
libertà. Il popolo ha la sua cultura, la sua storia; ogni popolo ha la sua
cultura. Ma quando vengono condizioni imposte dagli imperi colonizzatori,
cercano di far perdere ai popoli la loro identità e creare uniformità. Questa è
la globalizzazione della sfera: tutti i punti sono equidistanti dal centro. E la
vera globalizzazione – a me piace dire questo – non è la sfera. È importante
globalizzare, ma non come la sfera, bensì come il poliedro, cioè che ogni
popolo, ogni parte, conservi la sua identità, il suo essere, senza essere
colonizzata ideologicamente. Queste sono le “colonizzazioni ideologiche”. C’è
un libro – scusatemi, faccio pubblicità – c’è un libro, forse lo stile è un po’
pesante all’inizio, perché è scritto nel 1907 a Londra… A quel tempo lo
scrittore ha visto questo dramma della colonizzazione ideologica e lo descrive
in quel libro. Si chiama Lord
of the World. L’autore è Benson, scritto nel 1907, vi consiglio di
leggerlo. Leggendolo capirete bene quello che voglio dire con “colonizzazione
ideologica”. Questa è la prima domanda.
La
seconda: che volevo dire di Paolo VI? È certo che l’apertura alla vita è
condizione del Sacramento del matrimonio. Un uomo non può dare il sacramento
alla donna e la donna darlo all’uomo se non sono d’accordo su questo punto, di
essere aperti alla vita. A tal punto che, se si può provare che questo o questa
si è sposato con l’intenzione di non essere aperto alla vita, quel matrimonio è
nullo, è causa di nullità matrimoniale, l’apertura alla vita. Paolo VI ha
studiato questo con una commissione, come fare per aiutare tanti casi, tanti
problemi, problemi importanti che fanno l’amore della famiglia. Problemi di
tutti i giorni. Tanti, tanti… Ma c’era qualcosa di più. Il rifiuto di Paolo VI
non era rivolto ai problemi personali, sui quali dirà poi ai confessori di
essere misericordiosi e capire le situazioni e perdonare o essere
misericordiosi, comprensivi. Ma lui guardava al neo-Malthusianismo universale
che era in corso. E come si riconosce questo neo-Malthusianismo? E’ il meno
dell’1% di natalità in Italia, lo stesso in Spagna. Quel neo-Malthusianismo che
cercava un controllo dell’umanità da parte delle potenze. Questo non significa
che il cristiano deve fare figli in serie. Io ho rimproverato alcuni mesi fa
una donna in una parrocchia perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei.
“Ma Lei vuole lasciare sette orfani?”. Questo è tentare Dio. Si parla di
paternità responsabile.
Quella è la strada: la paternità responsabile. Ma quello che io volevo dire era
che Paolo VI non ha avuto una visione arretrata, chiusa. No, è stato un
profeta, che con questo ci ha detto: guardatevi dal neo-Malthusianismo che è in
arrivo. Questo volevo dire. Grazie.
Padre
Lombardi: Intanto vi do una notizia. Siamo di
nuovo sulla Cina. Quindi stiamo prendendo l’abitudine di fare queste conferenze
con il Papa mentre sorvoliamo la Cina, come è già stato tornando dalla Corea.
Quinta
domanda, Valentina Alazraki per il gruppo spagnolo:
Santità,
nel viaggio, quando andavamo verso le Filippine, Lei ha avuto quell’immagine e
anche quel gesto verso il nostro povero Gasbarri, che nel caso avesse insultato
sua mamma si sarebbe meritato un pugno. Questa frase ha creato un pochino di
confusione e non è stata capita bene da tutti, nel mondo, perché era come se
dicesse che forse giustificava un pochino, davanti a una provocazione, una
reazione violenta. Ci potrebbe spiegare un pochino meglio quello che voleva
dire?
Papa
Francesco: In teoria, possiamo dire che una
reazione violenta davanti a un’offesa, a una provocazione, in teoria sì, non è
una cosa buona, non si deve fare. In teoria, possiamo dire quello che il
Vangelo dice, che dobbiamo dare l’altra guancia. In teoria, possiamo dire che
noi abbiamo la libertà di esprimere e questa è importante. Nella teoria siamo
tutti d’accordo. Ma siamo umani, e c’è la prudenza, che è una virtù della
convivenza umana. Io non posso insultare, provocare una persona continuamente,
perché rischio di farla arrabbiare, rischio di ricevere una reazione non
giusta, non giusta. Ma è umano, questo. Per questo dico che la libertà di
espressione deve tenere conto della realtà umana e perciò dico che deve essere
prudente. È un modo di dire che deve essere anche educata. Prudente. La
prudenza è la virtù umana che regola i nostri rapporti. Io posso andare fino a
qui, non posso andare in là, in là… Questo volevo dire: che in teoria siamo
tutti d’accordo: c’è libertà di espressione, una reazione violenta non è buona,
è cattiva sempre. Tutti d’accordo. Ma nella pratica fermiamoci un po’, perché
siamo umani e rischiamo di provocare gli altri e per questo la libertà deve
essere accompagnata dalla prudenza. Questo volevo dire.
Sesta
domanda, Nicole Winfield dell’Associated Press degli Stati Uniti per il gruppo
inglese:
Santo
Padre, il gruppo inglese: volevo chiedere di nuovo sui viaggi di quest’anno.
Lei ci ha detto già che era previsto il viaggio in America. Lei ha citato tre
città: New York, Washington e Philadelphia. Poi, con la canonizzazione di Serra
ci domandiamo se forse è prevista anche una tappa in California oppure alle
frontiere del Messico. E poi in Sudamerica, Lei ha detto alla nostra collega
Elisabetta Piqué che erano previsti tre viaggi o un viaggio in tre Paesi del
Sudamerica. Quali sono? E se Lei pensa di beatificare personalmente
l’arcivescovo Romero, recentemente considerato martire. Ho finito.
Papa
Francesco: Comincio dall’ultima. Lì ci sarà una
guerra tra il cardinale Amato e mons. Paglia! Quale dei due farà la
beatificazione? Non io personalmente: per i beati normalmente la celebra il
cardinale del Dicastero o un altro.
Dall’ultima
domanda andiamo alla prima: Stati Uniti. Sì, le tre città sono quelle:
Philadelphia, per l’Incontro delle Famiglie, New York – ho già la data, ma non
la ricordo, della visita alle Nazioni Unite –, e Washington. Sono queste tre.
Andare in California mi piacerebbe, per fare la canonizzazione di Junipero
Serra, ma c’è il problema del tempo. Ci vogliono due giorni in più. Penso di
fare quella canonizzazione al Santuario di Washington. È una cosa nazionale. A
Washington, nel Campidoglio credo, c’è anche la statua di Junipero. Penso lì.
Entrare negli Stati Uniti dalla frontiera del Messico: sarebbe una cosa bella,
come segno di fratellanza e aiuto per gli emigranti, ma Lei sa che andare in
Messico senza andare a visitare la Madonna è un dramma e lì può scoppiare una
guerra!, e anche per questo ci sarebbero tre giorni di più e non è tutto
chiaro. Io penso che ci saranno soltanto queste tre città. Poi c’è tempo per
andare in Messico. Poi ho dimenticato qualcosa? Ah, tre Paesi latinoamericani
sono previsti per quest’anno – tutto è ancora in bozza –: l’Ecuador, la Bolivia
e il Paraguay. Questi tre. L’anno prossimo, Deo
volente, vorrei fare – ma ancora non è previsto niente – Cile, Argentina e
Uruguay. E il Perù manca un po’, lì, che non sappiamo dove metterlo… ma è
questo.
Settima
domanda, Carla Lim per il gruppo filippino:
Buongiorno, Santo Padre. I thank
you for inspiring my Country. On behalf of the Philipino people, I thank you so
much. Forgive me for I cannot speak Italian. You mentioned in some of speeches
in the Philippines about corruption, and corruption takes away resources from
the people. What can your Holiness do to fight corruption, not just in the
government, but maybe in Church as well?
Papa
Francesco: Forte questa! La corruzione oggi nel
mondo è all’ordine del giorno e l’atteggiamento corrotto trova subito
facilmente nido nelle istituzioni. Perché un’istituzione che ha tanti settori
qua e là, ha tanti capi e vicecapi, è tanto facile che lì si possa annidare la
corruzione. Ogni istituzione può cadere in questo. La corruzione è togliere al
popolo. La persona corrotta, che fa affari corrotti, o governa in maniera
corrotta o va ad associarsi con gli altri per fare un affare corrotto, ruba al
popolo. Le vittime sono quelli che lui [indica Salvatore Izzo] ha visto vicino
all’albergo di lusso: quelli sono le vittime della corruzione. La corruzione
non è chiusa in sé stessa: si muove. E uccide. Capisce? Oggi è un problema
mondiale, la corruzione. Una volta, nell’anno 2001 più o meno, ho domandato al
Capo di Gabinetto del Presidente in quel momento – era un governo che noi
pensavamo non fosse tanto corrotto, ed era vero, non era tanto corrotto, il
governo –: “Mi dica, gli aiuti che voi inviate all’interno del Paese, sia in
contanti, sia cose per nutrirsi, per vestirsi, tutte queste cose, quanto arriva
sul posto?”. Subito quest’uomo, che è un uomo vero, pulito, subito dice: “Il
35%”. Così mi ha detto. Anno 2001, nella mia patria.
E
adesso, la corruzione nelle istituzioni ecclesiali. Quando io parlo di Chiesa a
me piace parlare dei fedeli, dei battezzati, tutta la Chiesa. Ed è meglio
parlare di peccatori. Tutti siamo peccatori. Ma quando parliamo di corruzione,
parliamo o di persone corrotte o di istituzioni della Chiesa che cadono nella
corruzione, e ci sono casi, sì, ci sono. Io ricordo una volta, anno 1994,
appena nominato vescovo del quartiere di Flores a Buenos Aires, sono venuti da
me due impiegati o funzionari di un ministero a dirmi: “Lei ha tanto bisogno
qui, con tanti poveri, nelle Villas
miserias…”. “Oh sì”, ho detto io, e ho raccontato. “Noi possiamo aiutarLa.
Noi abbiamo, se Lei vuole, un aiuto di 400.000 pesos”. A quel tempo il peso e
il dollaro erano 1 a 1: 400.000 dollari. “E voi potete fare?”. “Ma sì, sì”. Io
ascoltavo, perché ‘quando l’offerta è molto grande, persino il Santo non si
fida’; e poi andavano avanti: “Per fare questo, noi facciamo il deposito e poi
Lei dà la metà a noi”. In quel momento io ho pensato: cosa fare? o li insulto e
do loro un calcio dove non batte il sole, o faccio lo scemo. E ho fatto lo scemo.
Ho detto, ma con verità, ho detto: “Lei sa che noi nelle vicarie noi non
abbiamo conto; Lei deve fare il deposito in arcivescovado con la ricevuta”. Ed
è tutto. “Ah, non sapevamo… piacere…”, e se ne sono andati. Ma poi io ho
pensato: se questi due sono arrivati direttamente, senza chiedere permesso – è
un cattivo pensiero – è perché qualcun altro ha detto di sì. Ma è un cattivo
pensiero!… La corruzione è facile farla. Ma ricordiamo questo: peccatori sì,
corrotti no! Corrotti mai! Dobbiamo chiedere perdono per quei cattolici, quei
cristiani, che scandalizzano con la loro corruzione. È una piaga nella Chiesa;
ma ci sono tanti santi, e santi peccatori, ma non corrotti. Guardiamo anche
all’altra parte, alla Chiesa santa! Qualcuno c’è anche… ma grazie per il
coraggio di fare questa domanda.
Ottava
domanda, Anaïs Feuga di “Radio France” per il gruppo francese:
Stiamo
sorvolando la Cina. Andando in Corea, Lei ci ha detto che era pronto ad andare
in Cina già da domani. Alla luce di queste dichiarazioni, ci può spiegare
perché non ha ricevuto il Dalai Lama che era a Roma poco tempo fa, e a che
punto stanno andando le relazioni con la Cina?
Papa
Francesco: Grazie per questa domanda. Grazie.
E’ abitudine per il protocollo della Segreteria di Stato di non ricevere Capi
di Stato o persone di quel livello quando sono a Roma per una riunione
internazionale. Per esempio, in occasione della riunione della FAO non ho
ricevuto nessuno. È per questo che non è stato ricevuto. Ho visto che qualche
giornale ha detto che non l’ho ricevuto per paura della Cina: questo non è
vero. In quel momento la ragione era questa. Lui ha chiesto un’udienza e gli è
stato detto una data a un certo punto. Lo aveva chiesto prima, ma non per quel
momento, e siamo in relazione. Ma il motivo non era il rifiuto alla persona o
paura per la Cina. Sì, noi siamo aperti e vogliamo la pace con tutti. E come
vanno i rapporti? Il Governo cinese è educato; anche noi siamo educati e
facciamo le cose passo passo, come si fanno le cose nella storia. Ancora non si
sa, ma loro sanno che io sono disposto a ricevere o andare. Lo sanno.
Nona
domanda, Marco Ansaldo della “Repubblica”, per il gruppo italiano:
Padre
Santo, Lei ha fatto un viaggio entusiasmante, molto ricco, pieno di cose qui,
nelle Filippine. Ma io vorrei fare un passo indietro, anche perché il
terrorismo colpisce la cristianità, i cattolici, in molte zone del mondo.
Abbiamo visto ancora ultimamente, in questi giorni, in Niger, ma gli esempi
sono tantissimi. Ora Lei, nell’ultimo viaggio che abbiamo fatto, tornando dalla
Turchia, ha lanciato un appello ai leader islamici, dicendo che servirebbe un
passo, un intervento da parte loro molto fermo. Ora, questa cosa non mi sembra
che sia stata considerata e accolta nonostante le sue parole. Ci sono alcuni
Paesi moderati musulmani – posso fare benissimo l’esempio della Turchia – che
hanno un atteggiamento sul terrorismo – citiamo i casi dell’Isis o anche di
“Charlie Hebdo” – perlomeno ambiguo. Ecco, io non so se Lei in questo mese e
mezzo ha avuto il modo di riflettere e pensare a come andare oltre il Suo
invito che non è stato accolto e che pure era importante. Lei, o chi per Lei,
penso alla Segreteria di Stato, vedo qui mons. Becciu o lo stesso cardinale
Parolin… anche perché questo è un problema che continuerà ad interrogarci.
Papa
Francesco: Quell’appello l’ho ripetuto anche il
giorno stesso della partenza per lo Sri Lanka, al Corpo Diplomatico, alla
mattina. Nel discorso al Corpo Diplomatico ho detto che auspico che i leader
religiosi, politici, accademici e intellettuali si esprimano. Anche il popolo
moderato islamico chiede questo dai suoi leader. Alcuni hanno fatto qualcosa.
Credo anche che bisogna dare un po’ di tempo perché per loro la situazione non
è facile. Io ho speranza perché c’è tanta gente buona fra loro, tanta gente
buona, tanti leader buoni, e sono sicuro che si arriverà. Ma volevo dire e
sottolineare che lo stesso l’ho ripetuto il giorno della partenza.
Decima
domanda, Cristoph Schmidt per il gruppo tedesco:
Santo
Padre, prima di tutto vorrei dire mille grazie per tutti i momenti così
impressionanti di questa settimana. È la prima volta che La accompagno e vorrei
dire mille grazie. La mia domanda: Lei ha parlato dei tanti bambini nelle
Filippine, della Sua gioia che ci sono così tanti bambini. Ma, secondo dei
sondaggi, la maggioranza dei filippini pensa che la crescita enorme della
popolazione filippina è una delle ragioni più importanti per la povertà enorme
del Paese, e nella media una donna nelle filippine partorisce più di tre
bambini nella sua vita, e la posizione cattolica nei riguardi della
contraccezione sembra essere una delle poche questioni su cui un grande numero
della gente nelle Filippine non stia d’accordo con la Chiesa. Che cosa ne
pensa?
Papa
Francesco: Io credo che il numero di tre per
famiglia, che lei menziona, secondo quello che dicono i tecnici, è importante
per mantenere la popolazione. Tre per coppia. Quando si scende sotto questo
livello, accade l’altro estremo, come ad esempio in Italia, dove ho sentito –
non so se è vero – che nel 2024 non ci saranno i soldi per pagare i pensionati.
Il calo della popolazione. Per questo la parola-chiave per rispondere è quella
che usa la Chiesa sempre, anch’io: è “paternità responsabile”. Come si fa
questo? Col dialogo. Ogni persona, col suo pastore, deve cercare come fare
questa paternità responsabile. Quell’esempio che ho menzionato poco fa, di
quella donna che aspettava l’ottavo e ne aveva sette nati col cesareo: questa è
una irresponsabilità. “No, io confido in Dio”. “Ma guarda, Dio ti dà i mezzi,
sii responsabile”. Alcuni credono che – scusatemi la parola – per essere buoni
cattolici dobbiamo essere come conigli. No. Paternità responsabile. Questo è
chiaro e per questo nella Chiesa ci sono i gruppi matrimoniali, ci sono gli
esperti in questo, ci sono i pastori, e si cerca. E io conosco tante e tante
soluzioni lecite che hanno aiutato per questo. Ma ha fatto bene a dirmelo. È
anche curiosa un’altra cosa, che non ha niente a che vedere ma che è in
relazione con questo. Per la gente più povera un figlio è un tesoro. È vero, si
dev’essere anche qui prudenti. Ma per loro un figlio è un tesoro. Dio sa come
aiutarli. Forse alcuni non sono prudenti in questo, è vero. Paternità
responsabile. Ma bisogna guardare anche la generosità di quel papà e di quella
mamma che vedono in ogni figlio un tesoro.
Undicesima
domanda, Elisabetta Piqué per il gruppo spagnolo:
In
rappresentanza del gruppo spagnolo, due domande. È stato un viaggio commovente
per tutti: abbiamo visto piangere tutto il tempo a Tacloban; noi stessi
giornalisti abbiamo pianto; Lei ieri ha detto che il mondo ha bisogno di
piangere. È stato tutto molto forte. Volevamo chiedere qual è stato per Lei il
momento più forte: la Messa a Tacloban e poi ieri quando questa bambina si è
messa a piangere… Questa è la prima domanda. Poi, la seconda: ieri Lei ha fatto
storia, ha superato il record di Giovanni Paolo II nello stesso posto: c’erano
6/7 milioni di persone. Come vive questo? Il cardinal Tagle ci raccontava che
durante la Messa, all’altare, Lei gli chiedeva: “Ma quanta gente c’è?”. Quindi,
come vive aver superato questo record, essere entrato nella storia come il Papa
con la Messa più numerosa nella storia?
Papa
Francesco: La prima: il momento più forte.
Quello di Tacloban, la Messa, per me è stato forte, molto forte: vedere tutto
il popolo di Dio fermo là, pregando, dopo quella catastrofe, pensare ai miei
peccati e a quella gente… È stato forte, un momento molto forte. Nel momento
della Messa lì, io mi sono sentito come annientato, quasi non mi veniva la
voce. Non so cosa mi è successo, forse sia l’emozione, non so, ma non ho
sentito altra cosa. È una specie di annientamento. E poi momenti forti sono
stati i gesti, ogni gesto. Quando passavo e un papà faceva così [fa il gesto di
alzare il bambino], io davo la benedizione, e lui mi diceva grazie, per loro
bastava una benedizione. Ho pensato: e io che ho tante pretese, che voglio
questo, che voglio quello… Mi ha fatto bene questo! Momenti forti. Anche dopo
che ho saputo che a Tacloban siamo atterrati con un vento di 70 km/h io ho
preso sul serio l’avviso che dovevamo partire all’una e non di più perché c’era
pericolo. Ma non ho avuto paura.
Per
quanto riguarda la grande presenza, io mi sono sentito così annientato. Quello
era il popolo di Dio e il Signore era lì. È la gioia della presenza di Dio che
dice a noi: pensate bene che voi siete servitori di queste persone… questi sono
i protagonisti…
Poi
l’altra cosa è il pianto. Una delle cose che si perde quando c’è troppo
benessere, o i valori non si capiscono bene, o siamo abituati all’ingiustizia,
a questa cultura dello scarto, è la capacità di piangere. È una grazia che
dobbiamo chiedere. C’è una bella preghiera nel Messale antico, per piangere.
Diceva così, più o meno: “O Signore, tu che hai fatto sì che Mosè col suo
bastone facesse uscire acqua dalla roccia, fai che dalla roccia del mio cuore
esca l’acqua del pianto”. Bellissima questa preghiera! Noi cristiani dobbiamo
chiedere la grazia di piangere, soprattutto i cristiani benestanti, e piangere
sulle ingiustizie e piangere sui peccati. Perché il piangere ti apre a capire
nuove realità o nuove dimensioni della realtà. E’ quello che ha detto la
ragazza, anche quello che ho detto io a lei. Lei è stata l’unica a fare quella
domanda alla quale non si può rispondere: “perché soffrono i bambini?”. Il
grande Dostoevskij se la faceva, e non è riuscito a rispondere: perché soffrono
i bambini? Lei, con il suo pianto, una donna, che piangeva. Quando io dico che
è importante che le donne siano più tenute in conto nella Chiesa, non è
soltanto per dare loro una funzione di segretaria di un dicastero, questo può
andare. No, è perché loro ci dicano come sentono e guardano la realtà, perché
le donne guardano da una ricchezza differente, più grande. Un’altra cosa che
voglio sottolineare qui: quello che ho detto all’ultimo ragazzo [nell’incontro
coi giovani], che davvero lavora bene, dà, organizza, aiuta i poveri. Ma non
dimenticare – gli ho detto – che anche noi dobbiamo essere mendicanti rispetto
a loro, perché i poveri ci evangelizzano. Se noi togliamo i poveri dal Vangelo,
non possiamo capire il messaggio di Gesù. I poveri ci evangelizzano. “Io vado
ad evangelizzare i poveri”. Sì, ma lasciati evangelizzare da loro!, perché
hanno valori che tu non hai.
Vi
ringrazio tanto per il vostro lavoro! Lo stimo. E grazie tante. So che è un
sacrificio per voi” (Papa Francesco, Conferenza
Stampa, 19 gennaio 2015) .
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