Tutti sono Chiesa, ma la guida è del Papa con i vescovi
Tutti nella Chiesa sono sotto l’azione dello Spirito Santo ma la guida è del Papa con i vescovi uniti a lui: la prassi cioè la pastorale, la liturgia, la morale sono dinamicamente distinte dal dogma, dalla dottrina, ma inseparabili.
“Abbiamo sentito le cose che l’apostolo Paolo dice al vescovo Tito. Ma quante virtù dobbiamo avere, noi vescovi? Abbiamo sentito tutti, no? Non è facile, non è facile, perché noi siamo peccatori. Ma ci affidiamo alla vostra preghiera, perché almeno ci avviciniamo a queste cose che l’apostolo Paolo consiglia a tutti i vescovi. D’accordo? Pregherete per noi?
Abbiamo già avuto modo di sottolineare, nelle catechesi precedenti, come lo Spirito Santo ricolmi sempre la Chiesa
dei suoi doni, con abbondanza. Ora, nella potenza e nella grazia del suo Spirito, Cristo non manca di suscitare dei ministeri, al fine di edificare le comunità cristiane come suo corpo. Tra questi ministeri, si distingue quello episcopale. Nel Vescovo, coadiuvato dai Presbiteri e dai Diaconi, è Cristo stesso che si rende presente e che continua a prendersi cura della sua Chiesa, assicurando la sua protezione e la sua guida.
1. Nella presenza e nel ministero dei Vescovi, dei Presbiteri e dei Diaconi possiamo riconoscere il vero volto della Chiesa: è la Santa Madre Chiesa Gerarchica. E davvero, attraverso questi fratelli scelti dal Signore e consacrati con il sacramento dell’Ordine, la Chiesa esercita la sua maternità: ci genera nel Battesimo come cristiani, facendoci rinascere in Cristo; veglia sulla nostra crescita nella fede; ci accompagna fra le braccia del Padre, per ricevere il suo perdono; prepara per noi la mensa eucaristica, dove ci nutre con la Parola di Dio e il Corpo e il Sangue di Gesù; invoca su di noi la benedizione di Dio e la forza del suo Spirito, sostenendoci per tutto il corso della nostra vita e avvolgendoci della sua tenerezza e del suo calore, soprattutto nei momenti più delicati della prova, della sofferenza e della morte.
2. Questa maternità della Chiesa si esprime in particolare nella persona del Vescovo e nel suo ministero. Infatti, come Gesù ha scelto gli Apostoli e li ha inviati ad annunciare il Vangelo e a pascere il suo gregge, così i Vescovi, loro successori, sono posti a capo delle comunità cristiane, come garanti della loro fede e come segno vivo della presenza del Signore in mezzo a loro. Comprendiamo, quindi, che non si tratta di una posizione di prestigio, di una carica onorifica. L’episcopato non è un’onorificenza, è un servizio. Gesù l’ha voluto così. Non dev’esserci posto nella Chiesa per la mentalità mondana. La mentalità mondana dice: “Quest’uomo ha fatto la carriera ecclesiastica, è diventato vescovo”. No, no, nella Chiesa non deve esserci posto per questa mentalità. L’episcopato è un servizio, non un’onorificenza per vantarsi. Essere Vescovi vuol dire tenere sempre davanti agli occhi l’esempio di Gesù che, come Buon Pastore, è venuto non per essere servito, ma per servire (cfr Mt 20,28; Mc 10,45) e per dare la sua vita per le sue pecore (cfr Gv 10,11). I santi Vescovi – e sono tanti nella storia della Chiesa, tanti vescovi santi – ci mostrano che questo ministero non si cerca, non si chiede, non si compra, ma si accoglie in obbedienza, non per elevarsi, ma per abbassarsi, come Gesù che «umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). E’ triste quando si vede un uomo che cerca questo ufficio e che fa tante cose per arrivare là e quando arriva là non serve, si pavoneggia, vive soltanto per la sua vanità.
3. C’è un altro elemento prezioso, che merita di essere messo in evidenza. Quando Gesù ha scelto e chiamato gli Apostoli, li ha pensati non separati l’uno dall’altro, ognuno per conto proprio, ma insieme, perché stessero con Lui, uniti, come una sola famiglia. Anche i Vescovi costituiscono un unico collegio, raccolto attorno al Papa, il quale è custode e garante di questa profonda comunione, che stava tanto a cuore a Gesù e ai suoi stessi Apostoli. Com’è bello, allora, quando i Vescovi, con il Papa, esprimono questa collegialità e cercano di essere sempre più e meglio servitori dei fedeli, più servitori nella Chiesa! Lo abbiamo sperimentato recentemente nell’Assemblea del Sinodo sulla famiglia. Ma pensiamo a tutti i Vescovi sparsi nel mondo che, pur vivendo in località, culture, sensibilità e tradizioni differenti e lontane tra loro, da una parte all’altra – un vescovo mi diceva l’altro giorno che per arrivare a Roma erano necessarie, da dove lui era, più di 30 ore di aereo – si sentono parte l’uno dell’altro e diventano espressione del legame intimo, in Cristo, tra le loro comunità. E nella comune preghiera ecclesiale tutti i Vescovi si pongono insieme in ascolto del Signore e dello Spirito, potendo così porre attenzione in profondità all’uomo e ai segni dei tempi (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. Gaudium et spes, 4).
Cari amici, tutto questo ci fa comprendere perché le comunità cristiane riconoscono nel Vescovo un dono grande, e sono chiamate ad alimentare una sincera e profonda comunione con lui, a partire dai presbiteri e dai diaconi. Non c’è una Chiesa sana se i fedeli, i diaconi e i presbiteri non sono uniti al vescovo. Questa Chiesa non unita al vescovo è una Chiesa ammalata. Gesù ha voluto questa unione di tutti i fedeli col vescovo, anche dei diaconi e dei presbiteri. E questo lo fanno nella consapevolezza che è proprio nel Vescovo che si rende visibile il legame di ciascuna Chiesa con gli Apostoli e con tutte le altre comunità, unite con i loro Vescovi e il Papa nell’unica Chiesa del Signore Gesù, che è la nostra Santa Madre Chiesa Gerarchica. Grazie” (Papa Francesco, Udienza Generale, 5 novembre 2014).
Unità della Chiesa significa che, come i vescovi devono sentirsi uniti al Papa, così in una diocesi sana i fedeli e il clero sono, devono sentirsi uniti al Vescovo collegialmente unito al Papa. “Non c’è una Chiesa sana se i fedeli, i diaconi e i presbiteri non sono uniti al vescovo. Questa Chiesa non unita al vescovo è una Chiesa ammalata. Gesù ha voluto questa unione di tutti i fedeli col vescovo, anche dei diaconi e dei presbiteri. E questo lo fanno nella consapevolezza che è proprio nel Vescovo che si rende visibile il legame di ciascuna Chiesa con gli apostoli e con tutte le altre comunità, unite con i loro vescovi e il Papa nell’unica Chiesa del Signore Gesù, che è la nostra Santa madre Chiesa gerarchica”. La Chiesa è guidata sacramentalmente cioè realmente da uomini, con i loro limiti e che possono sbagliare. Ma in continuità dinamica o Tradizione la sua caratteristica di essere sempre gerarchica cioè guidata dal Papa (i 266) con i vescovi uniti a lui è stata voluta da Gesù e non può esserci altra Costituzione. Durante il Concilio una minoranza rahneriana proponendo la posizione del “cristianesimo anonimo” aveva proposto una nuova ecclesiologia relativizzando l’appartenenza alla Chiesa gerarchica, il contenuto dogmatico del patrimonio di fede in rapporto al contenuto emergente nella prassi pastorale attraverso i segni dei tempi e così aveva proposto la prima stesura della Dei Verbum che è stata bocciata. Quindi “l’indirizzo della teologia di Rahner – J. Ratzinger in La mia vita (pp.92-93) - era totalmente caratterizzata dalla tradizione della scolastica suareziana e dalla sua nuova versione alla luce dell’idealismo tedesco e di Heidegger. Era una teologia speculativa e filosofica in cui, alla fine, la Scrittura e i Padri non avevano poi una parte importante, in cui, soprattutto, la dimensione storica era di scarsa importanza. Io, al contrario, proprio per la mia formazione ero stato segnato soprattutto dalla Scrittura e dai Padri, da un pensiero essenzialmente storico (…). Ora era chiaro che lo schema di Rahner sulla Costituzione sulla parola di Dio non poteva essere accolto, ma anche il testo ufficiale andò incontro alla bocciatura con una esigua differenza di voti. Si dovette quindi procedere al rifacimento del testo. Dopo le complesse discussioni, solo nell’ultima fase dei lavori conciliari si poté arrivare all’approvazione della Costituzione della parola di Dio, uno dei testi di spicco del Concilio, che peraltro non è stato ancora recepito appieno (…) Il compito di comunicare le reali affermazioni del Concilio alla coscienza ecclesiale e di plasmarla a partire da queste ultime è ancora da realizzare”. In un colloquio di due ore, nel 1966 a Venegono, mi ha fatto queste osservazioni: la Rivelazione non va compresa come un meteorite caduto nel Libro e compreso solo attraverso l’analisi storico critica, ma come un avvenimento cui rifarsi nella testimonianza biblica con l’aiuto dell’analisi storico critica ma che continua, sempre sotto l’azione dello Spirito, nella Chiesa con la comprensione dogmatico-liturgica-esistenziale fino ad oggi sotto la guida del Papa e die Vescovi uniti a lui.
Perché la recezione del Concilio reale, in grandi parti della Chiesa, si è svolta e si svolge in modo così difficile? Uno dei motivi, secondo padre Cornelio Fabro, è che quella minoranza conciliare rahneriana che dopo il Concilio è diventata maggioritaria proponendo una interpretazione, una ermeneutica di discontinuità ecclesiologica. “Con ciò, però, - Benedetto XVI, Discorso alla Curia, 22 dicembre 2005 – si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente (o nuova ecclesiologia), che elimina una costituzione, (una ecclesiologia) vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la Costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la Costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché possiamo raggiungere la vita eterna, e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare la vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (Lc 12,41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all’amministratore: “Poiché sei stato fedeli nel poco, ti darò autorità su molto” (Mt 25,14-30) Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola”.
Nella catechesi di mercoledì 5 novembre Papa Francesco ci ha offerto la Costituzione gerachica della Chiesa istituita da Gesù e che in continuità o Tradizione continua nella Chiesa.
Il cardinale Gerhard Ludwig Muller, tra i più importanti oppositori alle tesi rahneriane (non tocchiamo la dottrina ma modifichiamo la prassi pastorale) di Walter Kasper nel Concistoro dello scorso febbraio e appoggiate dalla gran parte dell’episcopato suo connazionale, ha denunciato pubblicamente – in una intervista a un sito polacco e quindi non come Prefetto della Congregazione - tutti quei “rappresentanti della Chiesa, vescovi compresi, che si sono lasciati in qualche modo accecare dalla società secolarizzata, da cui sono stati influenzati che li ha trascinati lontani dalla questione principale o dagli insegnamenti della Chiesa basati sulla Rivelazione”. Punta il dito contro certe teorie su famiglia e coppie omosessuali. Riguardo alla prima questione sostiene che “in molti Paesi le relazioni sono distrutte, e questo si applica anche al modello cristiano di matrimonio e famiglia. La verità sul matrimonio e la famiglia è relativizzato”. Si tratta di tendenze che partendo dalla giusta preoccupazione pastorale di una maggiore vicinanza a queste situazioni in aumento e che “si sono mosse all’interno della Chiesa e fra i vescovi, sui quali si sta cercando di esercitare pressione. Noi abbiamo Cristo e il vangelo. Questo è il nostro punto di riferimento, il fondamento per il solo e corretto insegnamento della Chiesa”. Come san Giovanni XXIII l’11 ottobre 1962 e il beato Paolo VI il 7 dicembre 1965 hanno detto: “Il Concilio vuole trasmettere pura e integra la dottrina, senza attenuazioni e travisamenti…Certo il nostro dovere non è soltanto di custodire questo tesoro prezioso, come se ci preoccupassimo unicamente dell’antichità, ma di dedicarci con alacre volontà e senza timore a quell’opera, che la nostra età esige di fronte a nuovi problemi e inedite possibilità…E’ necessario che questa dottrina certa e immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo che corrisponda alle esigenze del nostro tempo. Una cosa è infatti il deposito della fede, cioè le verità contenute nella nostra veneranda dottrina, e altra cosa il modo migliore col quale esse sono enunciate, conservando ad esse tuttavia lo stesso senso e la stessa portata”. E’ chiaro che questo impegno avviato anche con il Sinodo Straordinario (che non è ancora magistero) su matrimonio e famiglia di esprimere in modo nuovo l’indissolubilità del matrimonio e la misericordia verso chi ha fallito esige una nuova riflessione su di essa e un nuovo rapporto vitale con essa; e chiaro che una nuova parola nel Sinodo ordinario del 2015 può maturare soltanto se nasce da una comprensione consapevole della verità espressa e che, d’altra parte, poiché dogma, dottrina e pastorale non si identificano e insieme non sono separabili, la riflessione su verità e amore esige anche che si viva questa fede.
Circa le coppie gay Muller ricorda: “Il Catechismo della Chiesa cattolica insegna che le persone omosessuali sono chiamate alla castità. Papa Francesco dice che non sta cercando di creare qualche nuova dottrina della Chiesa, ma sta cercando di mostrare che nessuno è giudicato dalla Chiesa a causa della propria tendenza omosessuale. Nessuno cerca di discriminare queste persone. Ma bisogna dire con chiarezza che la Chiesa ha giudicato negativamente gli atti omosessuali, non le persone con questa tendenza”. In fondo i matrimoni gay, negano l’idea originaria di Dio nella costruzione della famiglia.
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