La teologia di Rahner
La teologia di Rahner spiega la resa davanti al mondo
di Stefano Fontana
Una delle domande più interessanti in questo clima da sinodo permanente è se la completa vittoria di Karl Rahner nella teologia cattolica sia già avvenuta. Nessuno può nutrire dubbi sull’enorme influenza avuta dal famoso teologo tedesco sul decorso della teologia postconciliare. È rimasta famosa una inchiesta tra gli studenti della Lateranense subito dopo il Concilio. Alla domanda «Chi è il principale teologo cattolico di tutti i tempi?», gli studenti non risposero né Sant’Agostino, né San Tommaso d’Aquino, ma Karl Rahner.
Ora, cosa c’entra Rahner con l’attuale sinodo permanente? Non si riesce a respingere l’impressione che molte
posizioni che fanno capolino in questo periodo sinodale si rifacciano, in fondo, alle sue tesi teologiche, che sembrano arrivare alla loro concretizzazione completa solo ora. Il motivo – rahnerianamente parlando – è comprensibile: la secolarizzazione si è accentuata e il mondo «in cui Dio non si trova» in vista del quale Rahner aveva elaborato la sua attraente teologia, solo ora si mostra in modo inequivocabile. Solo ora, quindi, è giunto il tempo di Rahner. Egli aveva previsto ciò che ora tutti vedono.
Basterebbe concentrarsi solo sulla questione della comunione ai divorziati risposati. Secondo Rahner, la grazia consiste nella autocomunicazione di Dio all’uomo. Essa ha il suo culmine in Gesù Cristo, ma era cominciata anche prima, fin dalla Creazione ed ha seguito l’evoluzione dello spirito fino, appunto, all’incarnazione del Verbo. Questa autocomunicazione di Dio non consiste nel fatto che Dio abbia detto qualcosa su di sé. Essa consiste nel fatto che Dio è il nostro apriori esistenziale, l’orizzonte che dà senso a tutte le nostre domande e conoscenze e che non può a sua volta essere conosciuto, perché altrimenti diventerebbe una cosa tra le altre e non sarebbe più l’orizzonte. Dio è il mistero silente che ogni uomo, anche colui che lo nega, presuppone, dato che senza quell’orizzonte non si sarebbe nemmeno uomini, ossia liberi e responsabili.
L’autocomunicazione di Dio è rivolta quindi a tutti gli uomini perché ha il mondo, e non la Chiesa, come teatro. Dio si rivela nel mondo e, siccome l’uomo è sempre situato in una storia particolare, Dio si rivela nella storia; non da fuori ma da dentro la storia.
L’opinione pubblica è stata comprensibilmente scossa dalla frase detta da un vescovo durante il recente Sinodo straordinario e riportata da Padre Lombardi nel suo briefing quotidiano: «anche una relazione omosessuale può essere fonte di santificazione». Rahner sottoscriverebbe questa frase. Per lui tutti siamo soggetti all’autocomunicazione di Dio nella nostra storia mondana di uomini, nessuno ne è escluso, anche se noi lo escludiamo.
Un aspetto conseguente a questa concezione è che nessuno può sapere quando è peccatore e quando no. Su questo Rahner è chiarissimo. Se Dio è questo orizzonte che ci precede e che ci costituisce e se noi non lo possiamo conoscere ma solo presupporre come un mistero insondabile, la nostra visione delle cose, compreso il peccato, non potrà mai essere assoluta. Diventa impossibile districare quanto è responsabilità mia rispetto alla rete di condizionamenti di cui è fatta la mia storia personale e che le scienze umane mettono in luce. Ed è persino impossibile districarla dal peccato degli altri, come Rahner considera il peccato originale. Eppure è proprio dentro questa rete esistenziale che passa la grazia di Dio. Può essere, scrive Rahner, che l’ossequio perbenista alla legge morale e religiosa riveli in realtà un atteggiamento interiore di peccato, mentre il rifiuto di Dio e la bestemmia esprimano una genuina domanda. Dio, infatti, si manifesta come domanda e non come risposta.
Dentro un approccio di questo genere, il rapporto della Chiesa con il mondo cambia di prospettiva. La Chiesa non può più giudicare, né le situazioni né le persone. Il mondo ormai è diventato completamente mondano. Gli uomini non si preoccupano più del giudizio di Dio e non sono più in ansia per la loro giustificazione. Nello stesso tempo, però, esso è diventato il vero luogo della presenza della grazia di Dio. È la Chiesa che deve convertirsi al mondo. Spesso essa è in ritardo con quanto Dio sta già facendo nel mondo ed a proposito dell’omosessualità oggi molti la pensano così. Tra amare ed onorare Dio e amare e onorare il prossimo, oggi, in questo mondo mondano, è possibile solo la seconda possibilità. Secondo Rahner, poiché Dio è l’orizzonte apriorico della nostra esistenza, non se ne può parlare. È solo parlando dell’uomo che si dice qualcosa anche su Dio. È solo amando il mondo che si dice qualcosa anche sulla Chiesa.
Considerando queste ed altre dottrine della teologia di Rahner, si comprendono i presupposti di tante scelte che oggi molti nella Chiesa stanno facendo con l’occasione di questo periodo sinodale. Esse giustificano l’ammissione dei divorziati risposati ed anche dei conviventi omosessuali alla Santa Comunione. Si tratta però di dottrine che suscitano forti sospetti. Esse sono ispirate ad una filosofia - quella moderna di Kant, di Hegel e di Heidegger - che non sembra la più adatta a concepire la fede della Chiesa. In fondo, i due schieramenti che si sono manifestati durante il Sinodo straordinario possono essere anche considerati lo schieramento rahneriano e quello non rahneriano. È per questo che diventa importante la domanda che avevo posto all’inizio.
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