La dimensione politica dell'evangelizzazione
La politica nella dimensione sociale dell’evangelizzazione nell’ “Evangelii gaudium” di Papa Francesco
Su invito del Cardinale Vicario Agostino Vallini, l’Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, Presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuàn, ha tenuto una meditazione sullaEsortazione apostolica “Evangelii gaudium” di papa Francesco, nella basilica di san Giovanni in Laterano a Roma, il 10 aprile 2014. Di seguito il testo.
“Alla pubblicazione dell’Esortazione Evangelii gaudium di Papa Francesco ( 24 novembre 2013) molti hanno sostenuto che questo documento non avrebbe le caratteristiche proprie del magistero sociale. Lo stesso papa Francesco lo dice al n. 184: “Questo non è un documento sociale”. Eppure il capitolo quarto dell’Esortazione, dal titolo La dimensione sociale dell’evangelizzazione, può essere considerato una piccola
enciclica sociale. Come dirò meglio in seguito, si trovano qui dei veri e propri contributi innovativi per la stessa Dottrina sociale della Chiesa. Anche il capitolo secondo, dal titolo Nella crisi dell’impegno comunitario, dedicato a una valutazione dei segni dei tempi, è ricco di indicazioni che possono essere ascritte senza timore nell’ambito del magistero sociale. Del resto, volgendo lo sguardo al recente passato, anche
C’è allora un motivo per il quale l’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, pur non dichiarandosi un documento sociale, parla anche della vita degli uomini in società. E’ questo motivo, del resto, che rende plausibile questo mio intervento dedicato al tema della politica nellaEvangelii gaudium. Intervento che non avrebbe ragione di essere se l’Esortazione del Papa non riguardasse anche la vita della comunità degli uomini. E qual è questo motivo?
Per rispondere vorrei fare osservare che uno dei testi maggiormente citati da papa Francesconella Evangelii gaudium è l’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975) di Paolo VI. Un altro testo molto citato è il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, redatto dal Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace per volontà di Giovanni Paolo II e sotto la guidadel Cardinale Van Thuàn prima e del Cardinale Martino poi, e pubblicato nel 2004, all’inizio del terzo millennio. Merita una dovuta attenzione il fatto che papa Francesco rimanda al Compendioinvitando ad adoperarlo, proprio dopo aver detto che la Evangelii gaudium non è un documento sociale. Mi sembra una grande attestazione dell’importanza del Compendio.
I considerevoli rimandi a questi due testi nell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium non sono privi di significato. La Evangelii nuntiandi, secondo la lettera e lo spirito del Concilio Vaticano II, ma anche in sintonia con l’intera tradizione, considerava la collaborazione degli uomini per la costruzione della realtà terrena in rapporto organico con l’evangelizzazione. Ricordo qui il passo forse più noto, ripreso anche nella Evangelii gaudium: “L’evangelizzazione non sarebbe completa se non tenesse conto del reciproco appello, che si fanno continuamente il vangelo e la vita concreta, personale e sociale, dell’uomo (EN 29, cit. in EG 181). Come è possibile parlare quindi di evangelizzazione senza parlare anche di edificazione della convivenza umana? La Caritas in veritate di Benedetto XVI, riprendendo il magistero sociale di Paolo VI e parlando della Evangelii nuntiandi, diceva: “La testimonianza della carità di Cristo attraverso opere di giustizia, pace e sviluppo, fa parte dell’evangelizzazione, perché a Gesù Cristo, che ci ama, sta a cuore tutto l’uomo” (n. 15). Uno stesso motivo collega quindi tutti questi interventi del magistero: l’unicità della vocazione alla salvezza in Gesù Cristo, motivo per cui la Dottrina sociale della Chiesa ha trovato posto dentro il Catechismo della Chiesa Cattolica voluto da Giovanni Paolo II. E’ il medesimo discorso che continua: la Dottrina sociale della Chiesa “annuncia Dio e il mistero della salvezza in Cristo ad ogni uomo” (CA 55) e fa parte quindi della missione evangelizzatrice della Chiesa (SRS 41). Ecco perché non stupisce che la Evangelii gaudium si curi anche di questi problemi, pur schernendosi dal farsi chiamare un documento sociale. Ciò viene confermato anche dall’uso frequente del Compendio. Essendo la Dottrina sociale della Chiesa anche un “corpus dottrinale” (SRS1), ove è presente l’intera tradizione della Chiesa, l’evangelizzazione ne fa tesoro o, come scrive papa Francesco nella Evangelii gaudium,ne fa “memoria grata” 8n.13). La Chiesa evangelizza con tutta se stessa, evangelizzare è il suo stesso essere e il suo stesso vivere. Nel farlo, Essa guarda avanti nel mentre guarda indietro e viceversa. E poiché il suo essere e il suo vivere dipendono sempre dall’iniziativa di Dio (n. 13) quando essa si dona a questa iniziativa anche cresce e, come dice papa Francesco “attrae” (“La Chiesa non cresce per proselitismo ma per attrazione”, n.14). La Chiesa evangelizza se si lascia continuamente evangelizzare.
Gli aspetti di ordine generale che ho messo in luce finora non sono indifferenti al tema specifico che stiamo trattando, quello della politica. In che senso la politica rientra nel temadell’evangelizzazione? Non si occupa essa della giustizia e del bene comune? Papa Francesco pensa che anche per la politica valga il principio visto sopra e cioè che essa riesce a compiere il proprio compito umanizzante se si lascia interpellare da qualcosa di più grande di sé. Siccome ritengo che questa sia una importante chiave di lettura dell’intera Esortazione apostolica, mi ci soffermo con qualche richiamo testuale.
Nella Introduzione della Evangelii gaudium, precisamente al paragrafo 3, il santo padre dice che “Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice”. Ogni realtà che si chiude in se stessa prima o poi diventa meno di se stessa. Per questo motivo, quando la Chiesa chiama l’impegno evangelizzatore, non fa altro che indicare il vero dinamismo della realizzazione personale” (9). La quale non consiste nel rimanere come si è, ma nell’essere “di più” – come scriveva Paolo VI nella Populorumprogressio – cosa che non possiamo darci da soli. Non possiamo condurci da soli al di là di noi stessi, vi dobbiamo essere condotti.
La stessa idea del “di più” viene espressa da papa Francesco verso la fine dell’Esortazione, in uno dei passi più belli della Evangelium gaudium: “Non è la stessa cosa aver conosciuto Gesù o non conoscerlo, non è la stessa cosa camminare con Lui o camminare a tentoni, non è la stessa cosa poterlo ascoltare o ignorare la sua Parola, non è la stessa cosa poterlo contemplare, adorare, riposare in Lui, o non poterlo fare. Non è la stessa cosa cercare di costruire il mondo con il suo Vangelo piuttosto che farlo unicamente con la propria ragione. Sappiamo bene che la vita con Gesù diventa molto più piena e che con Lui è più facile trovare il senso di ogni cosa. E’ per questo che evangelizziamo” (n.266). Qui il “di più” di cui parlavo diventa “una vita molto più piena” e “il senso di ogni cosa” viene illuminato da questo “di più” e ogni cosa, in questo innalzamento, ritrova più pienamente se stessa.
Infine, lo stesso concetto viene espresso a proposito della politica. Leggo insieme a voi il passo in questione: “Prego il Signore che ci regali più politici che abbiano davvero a cuore la società, il popolo, la vita dei poveri. E’ indispensabile che i governanti e il potere finanziario alzino lo sguardo e amplino le loro prospettive, che facciano in modo che ci sia un lavoro degno, istruzione e assistenza sanitaria per tutti i cittadini. E perché non ricorrere a Dio affinché ispiri i loro piani? Sono convinto che a partire da un’apertura alla trascendenza potrebbe formarsi una nuova mentalità politica ed economica e il bene comune sociale” (n. 205). Qui il “di più” chiede alla politica di “alzare lo sguardo” e di “ampliare le prospettive”. Ma non saremo noi a riuscire a fare ciò, Se Dio non ipsira i nostri piani. Si noti che così avvenendo, capita che anche il campo proprio della politica, che il passo individua nell’economia e nel bene comune da rimettere insieme, riacquista in pienezza il proprio significato e diventa possibile, non di per sé, ma in virtù di quel “di più” che gli viene donato.
Vi ho letto tre dei brani più belli di questa Esortazione apostolica. Si capisce allora cosa significhi che la politica è una “vocazione”, come dice papa Francesco nelle righe immediatamente precedenti al brano ora visto. Non si tratta di fare il politico piuttosto che l’ingeniere o il pilota. Certo, anche questo, perché siamo anche nel campo delle vocazioni personali. Ma a proposito della politica la parola vocazione assume un significato ben più intenso, che riguarda le persone dei politici ma anche della politica stessa. “La politica – scrive papa Francesco – è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose della carità”. La frase evoca altre simili definizioni date dai Pontefici precedenti. Se è una vocazione, la politica non si costituisce da sé, ma nasce da una risposta a un “di più” che le viene partecipato. La politica vera vive di altro da sé, e solo a questa condizione riesce ad essere se stessa.
Credo che sia questa la chiave per comprendere i due ambiti che papa Francesco collega maggiormente alla politica, due ambiti di particolare responsabilità per il politico.
- Il primo ambito è senz’altro la situazione della povertà. La Evangelii gaudium è ampiamente intrisa di preoccupazione per i poveri, un tema questo che non è mai mancato nelle encicliche sociali, ma che qui assume una centralità particolare. Sa sempre la Dottrina Sociale si è interessata ai poveri, a cominciare dalla Rerum novarum, per la quale i poveri erano gli operai della moderna industria fino alla Evangelium vitae per cui i poveri erano i bambini a cui non viene permesso di nascere. Nella Evangelii gaudium si percepisce però una passione particolare per i poveri. Il Papa invita a lasciarsi evangelizzare da loro ed esprime il suo desiderio di una “Chiesa povera per i poveri” . La prospettiva riguarda l’evangelizzazione in quanto tale, ma riguarda anche la politica in quanto tale. I poveri ricordano alla politica e ai politici che l’amore di Dio dà loro una dignità di cui nessuno può impadronirsi: “Nessuno può toglierci la dignità che ci conferisce questo amore infinito e incrollabile” (n. 3). I poveri rappresentano la vocazione della politica, l’invito alla politica ad uscire da se stessa e a mettersi a disposizione per “un di più”. Ed è singolare che chi ha “di meno” – appunto i poveri – svolga questo compito provvidenziale che consiste nel prospettare un “di più”. La politica serve a far vivere gli uomini in “dignità e pienezza”, per quanto questo è possibile al livello politico, ma chi “desidera vivere con dignità e pienezza non ha altra strada che riconoscere l’altro e cercare il suo bene” (n. 9). L’altro e il suo bene sono un forte richiamo per la politica e sono particolarmente nei poveri.
- Il secondo ambito riguarda il tema dell’accoglienza della vita. Tra i poveri “di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione – afferma il paragrafo 213 della Evangeliigaudium -, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuol negare la dignità umana al fine di poterne fare quel che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo. E’ un fine in se stesso e mai un mezzo per risolvere altre difficoltà. Se cade questa convinzione, non rimangono solide e permanenti fondamenta per la difesa dei diritti umani, che sarebbero sempre soggetti alle convenienze contingenti dei potenti di turno. La sola ragione è sufficiente per riconoscere il valore inviolabile di ogni vita umana, ma se la guardiamo anche a partire dalla fede, “ogni violazione della dignità personale dell’essere umano grida vendetta al cospetto di Dio e si configura come offesa al Creatore dell’uomo”. Ci troviamo di fronte qui ad un altro formidabile passo della Evangelii gaudium che, con semplicità e chiarezza, riassume l’essenza di tutto il magistero sociale della Chiesa sul diritto alla vita. L’ottica è quella vista finora: siccome la politica è vocazione, non si costituisce da sola in modo autosufficiente e assolutistico, essa è a servizio di un bene che non possiede e dal quale è posseduta. Ogni debolezza che chiede alla politica una risposta di cura e per essa questa vocazione. Lo è soprattutto la debolezza delle debolezze, quella del concepito completamente indifeso. Mi sembra che, con queste parole, papa Francesco prosegua pienamente sulla strada dei predecessori per quanto riguarda l’inserimento del Vangelo della vita dentro il vangelo sociale: vita, famiglia, procreazione sono a pieno titolo tematiche della Dottrina sociale della Chiesa e come tali rappresentano una responsabilità primaria dei politici e dei legislatori.
Dicevo all’inizio che la Evangelii gaudium contiene, a mio avviso, dei contributi nuovi alla Dottrina sociale della Chiesa. Mi riferisco, tra l’altro al capitolo IV dove papa Francesco ci sottopone quattro tensioni bipolari ch riguardano la vita del cristiano oggi, e che quindi riguardano anche la politica: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea. Il tutto è superiore alla parte. Tutte e quattro hanno molto da dire alla politica, è meriterebbero un’analisi approfondita che qui non posso fare come vorrei. Mi limito ad alcune sottolineature.
La prima sottolineatura – tempo e spazio – ci dice che “Uno dei peccati che a volte si riscontrano nell’attività socio – politica consiste nel privileggiare gli spazi di potere al posto dei tempi dei processi” (n. 223). Nel nostro mondo dinamico ha la meglio chi innesca processi, atteggiamenti, comportamenti. Si può stare dentro il palazzo ma senza governare veramente e limitare l’azione politica a convalidare le conclusioni dei processi messi in moto da altri.
La seconda polarità – unità e conflitto – comporta di non aver paura della diversità ma nello stesso tempo di non perseguirla per se stessa, bensì di non cessare di tendere ad una “diversità riconciliata” (230).
La terza polarità – realtà e idea – è una grande lezione di realismo evangelico e politico. Ciò che conta è la realtà; la religione cristiana non è un’idea astratta ma una realtà. La politica è spesso vittima di “purismi angelicati, totalitarismo del relativo, nominalismi dichiarazionisti, progetti più formali che reali, fondamentalismi antistorici, eticismi senza bontà, intellettualismi senza saggezza” (231). Il vero “costo” della politica è quando essa si stacca dalla realtà.
La quarta polarità – il tutto e la parte – ci dice che il tutto è più della somma delle parti, infattiil tutto precede le parti e conferisce loro senso. Il senso è sempre ricevuto e mai prodotto e quindi non può appartenere al frammento. La politica spesso smarrisce il senso del tutto, del bene comune nella sua totalità e si rassegna ad essere un inseguimento dei frammenti e degli interessi di parte.
Vorrei concludere questo mio intervento evidenziando come tutta l’Esortazione apostolicaEvangelii gaudium sia pervasa dal desiderio missionario incentrato in Cristo. La Gioia del Vangelo spinge Papa Francesco a chiedere alla Chiesa di uscire per evangelizzare. E tra i luoghi da evangelizzare egli indica anche la politica. Ma questo “uscire” è sempre anche un “rientrare”. Non è un uscire pastoralistico o sociologistico o all’insegna del nuovismo. Lo si capisce nel bellissimo passo nel quale papa Francesco ci invita a “valorizzare la storia della Chiesa come storia di salvezza, a fare memoria dei nostri santi che hanno inculturato il vangelo nella vita dei nostri popoli, a raccogliere la ricca tradizione bimillenaria della Chiesa, senza pretendere di elaborare un pensiero disgiunto da questo tesoro, come se volessimo inventare il vangelo” (n.176)” (Arcivescovo Giampaolo Crepaldi, Presidente dell’Osservatorio Internazionale Cardinale Van Thuàan).
Proprio l’11 aprile nei discorsi di Papa Francesco alla Delegazione dell’Ufficio Internazionale Cattolico dell’Infanzia (BICE) e al Movimento per la Vita Italiano ha richiamato in Principi non negoziabili della vita, della famiglia, dell’educazione, della procreazione che esclude ogni fecondazione artificiale, cardini della Dottrina sociale.
1. Vita. “Saluto i Presidenti dei Centri Aiuto alla Vita e i responsabili dei vari servizi, in particolare del “Progetto gemma”, che in questi 20 anni ha permesso, attraverso una particolare forma di solidarietà concreta, la nascita di tanti bambini che altrimenti non avrebbero visto la luce. Grazie per la testimonianza che date promuovendo e difendendo la vita umana fin dal suo concepimento! Noi lo sappiamo, la vita umana è sacra e inviolabile. Ogni diritto civile poggia sul riconoscimento del primo e fondamentale diritto, quello alla vita, che non è subordinato ad alcuna condizione, né qualitativa né economica né tantomeno ideologica. Così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide…Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa” (Evangelii gaudium 53). E così viene scartata anche la vita”.
2. Famiglia. “Occorre ribadire il diritto dei bambini a crescere in una famiglia, con un papà e una mamma capaci di creare un ambiente idoneo al suo sviluppo e alla sua maturazione affettiva. Continuando a maturare nella relazione, nel confronto con ciò che è la mascolinità e la femminilità di un padre e di una madre, e così preparando la maturità affettiva”.
3. Libertà di educazione. “Ciò comporta al tempo stesso il diritto dei genitori all’educazione morale e religiosa dei propri figli. E a questo proposito vorrei manifestare il mio rifiuto per ogni tipo di sperimentazione educativa con i bambini. Con i bambini e i giovani non si può sperimentare. Non sono cavie da laboratorio! Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti; conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del “pensiero unico”. Mi diceva, poco più di una settimana fa, un grande educatore: “A volte, non si sa se con questi progetti – riferendosi a progetti concreti di educazione – si mandi un bambino a scuola o in un campo di rieducazione”. Lavorare per i diritti umani presuppone di tenere sempre viva la formazione antropologica, essere ben preparati sulla realtà della persona umana, e saper rispondere ai problemi e alle sfide posti dalle culture contemporanee e dalla mentalità diffusa attraverso i mass media. Ovviamente non si tratta di rifugiarci in ambienti protetti questo no, non va bene. Ma affrontare con i valori positivi della persona umana le nuove sfide che ci pone la cultura nuova. Per voi,, si tratta di offrire ai vostri dirigenti e operatori una formazione permanente sull’antropologia del bambino, perché è lì che i diritti e i doveri hanno il loro fondamento. Da essa dipende l’impostazione dei progetti educativi, che ovviamente devono continuare a progredire, maturare e adeguarsi ai segni dei tempi, rispettando sempre l’identità umana e la libertà di coscienza”.
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