Sfide dottrinali e collaborazione nelle encicliche Fra Ratzinger e Giovanni Paolo II

Sfide dottrinali affrontate insieme e collaborazione nelle Encicliche fra Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede e il Beato Giovanni Paolo II

“La prima sfida che affrontammo fu la Teologia della liberazione che si stava diffondendo in America Latina. Sia in Europa che in America del Nord era opinione comune che si trattasse di un sostegno ai poveri e dunque di una causa che si doveva approvare senz’altro. Ma era un errore.
La povertà e i poveri erano senza dubbio posti a tema dalla Teologia della liberazione e tuttavia in una prospettiva molto specifica. Le forme di aiuto immediato ai poveri e le riforme che ne miglioravano la condizione venivano condannate
come riformismo che ha l’effetto di consolidare il sistema: attutivano, si affermava, la rabbia e l’indignazione rivoluzionaria del sistema. Non era questione di aiuti e di riforme, ma del grande rivolgimento dal quale doveva scaturire un mondo nuovo. La fede cristiana veniva usata come motore per questo movimento rivoluzionario, trasfromandola così in una forza di tipo politico. Le tradizioni religiose della fede venivano messe a servizio dell’azione politica. In tal modo la fede veniva profondamente estraniata da se stessa e si indeboliva così anche il vero amore per i poveri.
Naturalmente queste idee si presentavano con diverse varianti e non sempre si affacciavano con assoluta nettezza, ma, nel complesso, questa era la direzione. A una simile falsificazione della fede cristiana bisognava opporsi anche proprio per amore dei poveri e a pro del servizio che va reso loro.
Sulla base di esperienze fatte nella sua patria polacca, papa Giovanni Paolo II ci fornì le delucidazioni essenziali. Da un lato egli aveva vissuto la schiavizzazione operata da quella ideologia marxista che faceva da madrina della Teologia della liberazione. Sulla base della sua dolorosa esperienza, gli risultava chiaro che bisognava contrastare quel tipo di “liberazione”. D’altro canto, proprio la situazione della sua patria gli aveva mostrato che la Chiesa deve veramente agire per la libertà e la liberazione non in modo politico, ma risvegliando negli uomini, attraverso la fede, le forze dell’autentica liberazione. Il Papa ci guidò a trattare entrambi gli aspetti: da un lato a smascherare una falsa idea di liberazione, dall’altro a esporre l’autentica vocazione della Chiesa alla liberazione dell’uomo.
E’ quello che abbiamo tentato di dire nelle due Istruzioni sulla Teologia della liberazione che stanno all’inizio del mio lavoro nella Co9ngregazione per la Dottrina della fede.

Uno dei principali problemi del nostro lavoro, negli anni in cui fui prefetto, fu lo sforzo per giungere a una corretta comprensione dell’ecumenismo.
Anche in questo caso si tratta di una questione che ha un duplice profilo: da un lato, va affermato con tutta al sua urgenza il compito di operare per l’unità e vanno aperte strade che ad essa conducono; dall’altro, bisogna respingere false concezioni dell’unità, che vorrebbero giungere all’unità della fede attraverso la scorciatoia dell’annacquamento della fede.
Sono nati in questo contesto i documenti sui vari aspetti dell’ecumenismo. Tra di essi, quello che suscitò le maggiori reazioni fu la dichiarazione Dominus Jesus del 2000, che riassume gli elementi irrinunciabili della fede cattolica.

Il dialogo tra le religioni è e rimane centrale; su di esso tuttavia abbiamo potuto pubblicare solo alcuni testi moto brevi.
Abbiamo cercato di accostarci alla questione con prudenza, soprattutto attraverso il dialogo con i teologi e le Conferenze episcopali. Importante fu soprattutto l’incontro con le commissioni dottrinali delle Conferenze episcopali dei paesi asiatici a Hong Kong. La questione rimarrà certamente una delle sfide principali ancora per lungo tempo.

Una grande sfida fu la nostra partecipazione alla preparazione dell’enciclica del Santo Padre Veritatis splendor su problemi della teologia morale.

Da ultimo ci siamo occupati anche della questione relativa alla natura e al compito della Teologia nel nostro tempo. Scientificità e legame con la Chiesa a molti oggi sembrano elementi in contraddizione fra loro. E tuttavia la Teologia può sussistere unicamente nella Chiesa e con la Chiesa. Su questa questione abbiamo pubblicato una Istruzione.

Fra le molte encicliche di Giovanni Paolo II quale considera la più importante?

Penso che siano tre le encicliche di particolare importanza. In primo luogo vorrei menzionare la Redemptor hominisla prima enciclica del Papa, in cui egli ha offerto la sua personale sintesi della fede cristiana.
Questo testo è una sorta di compendio del suo personale confronto e incontro con la fede e presenta così una visione complessiva della logica del cristianesimo.
Come risposta alla domanda su come oggi si possa essere cristiani e credere da cattolici, questo testo totalmente personale e insieme totalmente ecclesiale può essere di grande aiuto a tutti quelli che sono in ricerca.
In secondo luogo vorrei menzionare l’enciclica Redemptoris missio.
Si tratta di un testo che mette in risalto l’importanza permanente del compito missionario della Chiesa, soffermandosi particolarmente sulle questioni che si pongono alla cristianità in Asia e che impegnano la Teologia nel mondo occidentale.
Viene esaminato il rapporto far il dialogo tra le religioni e il compito missionario e si mostra perché, anche oggi, sia importante annunciare la Buona novella di Cristo, il Redentore di tutti gli uomini, agli uomini di ogni parte della terra e di ogni cultura.
In terzo luogo vorrei citare l’enciclica sui problemi morali Veritatis splendor.
Ha avuto bisogno di lunghi anni di maturazione e rimane di immutata attualità. La Costituzione del Vaticano III sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, di contro all’orientamento all’epoca prevalentemente giusnaturalistico della Teologia morale, voleva che la dottrina morale cattolica sulla figura di Gesù e il suo messaggio avesse un fondamento biblico. Questo fu tentato attraverso degli accenni solo per un breve periodo, poi andò affermandosi l’opinione che la Bibbia non avesse alcuna morale propria da annunciare, ma che rimandasse ai modelli morali di volta in volta validi. La morale è questione di ragione, si diceva, non di fede.
Scomparve, da una parte, la morale intesa in senso giusnaturalistico, ma al suo posto non venne affermata alcuna concezione cristiana. E siccome non si poteva riconoscere né un fondamento metafisico né uno cristologico della morale, si ricorse a soluzioni pragmatiche: a una morale fondata sul bilanciamento di beni, nella quale non esiste più quel che è veramente male e quel che è veramente bene, ma solo quello che, dal punto di vista dell’efficacia, è meglio o peggio.
Il grande compito che il Papa si diede in quest’enciclica fu di rintracciare nuovamente un fondamento metafisico nell’antropologia, come anche una concretizzazione cristiana nella nuova immagine di uomo della Sacra Scrittura.
Studiare e assimilare questa enciclica rimane un grande e importante dovere.

Di grande significato è anche l’enciclica Fides et ratio  nella quale si sforza di offrire una nuova visione del rapporto tra fede cristiana e ragione filosofica.

Da ultimo è assolutamente necessario menzionare la Evangelium vitae, che sviluppa uno dei temi fondamentali dell’intero pontificato di Giovanni Paolo II: la dignità intangibile della vita umana, sin dal primo istante del concepimento.

Quali erano i tratti salienti della spiritualità di Giovanni Paolo II?
La spiritualità del Papa era caratterizzata soprattutto dalla intensità della sua preghiera e pertanto era profondamente radicata nella celebrazione della Santa Eucaristia e fatta insieme a tutta la Chiesa con al recita del Breviario.
Nel suo libro autobiografico Dono e mistero è possibile vedere quanto il sacramento del sacerdozio abbia determinato la sua vita e il suo pensiero. Così la sua devozione non poteva mai essere puramente individuale, ma era sempre anche piena di sollecitudine per la Chiesae per gli uomini. Il compito di portare Cristo agli altri stava ancora al centro della sua pietà.
Tutti noi abbiamo conosciuto il suo grande amore per la Madre di Dio. Donarsi tutto a Maria significò essere, con lei, tutto per il Signore. Così come Maria non visse per se stessa ma per Lui, allo stesso modo egli imparò da Lei e dallo stare con Lei la completa e pronta dedizione a Cristo.

Santità, Lei ha aperto l’iter per la beatificazione con anticipo sui tempi stabiliti dal Diritto canonico. Da quanto tempo e in base a che cosa si è convinto della santità di Giovanni Paolo II?

Che Giovanni Paolo II fosse un santo, negli anni della collaborazione con lui mi è divenuto di volta in volta sempre più chiaro. C’è innanzitutto da tenere presente naturalmente il suo intenso rapporto con Dio, il suo essere immerso nella comunione con il Signore di cui ho appena parlato. Da qui veniva la sua letizia, in mezzo alle grandi fatiche che doveva sostenere, e il coraggio con il quale assolse il suo compito in un tempo veramente difficile.
Giovanni Paolo II non chiedeva applausi, né si è mai guardato attorno preoccupato di come le sue decisioni sarebbero state accolte. Egli ha agito a partire dalla sua fede e dalle sue convinzioni ed era pronto anche a subire dei colpi…
Il coraggio della verità è ai miei occhi un criterio di prim’ordine della santità.

Solo a partire dal suo rapporto con Dio è possibile capire anche il suo indefesso impegno pastorale. Si è dato con una radicalità che non può essere spiegata altrimenti.
Il suo impegno fu instancabile, e non solo nei grandi viaggi, i cui programmi erano fitti di appuntamenti, dall’inizio alla fine, ma anche girono dopo girono, a partire dalla Messa mattutina sino a tarda notte…
Solo chi è profondamente ricolmo dell’urgenza della sua missione può agire così.
Mi devo rendere conto anche della sua straordinaria bontà e comprensione.
Spesso avrebbe avuto motivi per biasimarmi o per porre fine al mio incarico di Prefetto. E tuttavia mi sostenne con una fedeltà e una bontà assolutamente incomprensibili.
Anche qui vorrei fare un esempio. A fronte del turbine che si era sviluppato introno alla dichiarazione Dominus Jesus mi disse che all’Angelus intendeva difendere inequivocabilmente il documento. Mi invitò a scrivere un testo per l’Angelus che fosse, per così dire, a tenuta stagna e non consentisse alcuna interpretazione diversa. Doveva emergere un modo del tutto inequivocabile che egli approvava il documento incondizionatamente.
Preparai un breve discorso; non intendevo, però, essere troppo brusco e così cercai di esprimermi con chiarezza ma senza durezza. Dopo averlo letto, il Papa mi chiese ancora una volta: “E’ veramente chiaro a sufficienza?”. Io risposi di sì.
Chi conosce i teologi non si stupirà del fatto che, ciononostante, in seguito ci fu chi sostenne che il Papa aveva prudentemente preso le distanze da quel testo” (Una parte del contributo del Santo padre merito Benedetto XVI nel volume Accanto a GIOVANNI PAOLO II gli amici e collaboratori raccontano, pp. 17-24).

Con l’aiuto di Joseph Ratzinger il beato Giovanni Paolo II non “si è preoccupato – ricorda Benedetto XVI -  di come le sue decisioni sarebbero state accolte”. Rivivo in queste parole l’ultima omelia di Paolo VI il 28 giugno del 1978, vigilia dei Santi Pietro e Paolo: “Ci sentiamo aquesta soglia estrema contrastati e sorretti dalla coscienza di aver instancabilmente ripetuto davanti alla Chiesa e al mondo:’Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente’. Anche noi come Paolo sentiamo di poter dire: ‘Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede’. Infatti – concludeva – la fede è più preziosa dell’oro: non basta riceverla, bisogna conservarla, anche in mezzo alle difficoltà”.

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