l profilo di un Vescovo

 Profilo di un Vescovo, pur non essendo la somma algebrica delle sue virtù, ma deve eccellere (CIC. Can. 378 § 1): la sua integrità umana assicura la capacità di relazioni sane, equilibrate, per non proiettare sugli altri le proprie mancanze e diventare un fattore d’instabilità; la sua solidità cristiana è essenziale per promuovere la fraternità e la comunione; il suo comportamento retto attesta la misura alta dei discepoli
del Signore; la sua preparazione culturale gli permette di dialogare con gli uomini e le loro culture; la sua ortodossia e fedeltà alla Verità intera custodita dalla Chiesa lo rende una colonna e un punto di riferimento; la sua disciplina interiore ed esteriore consente il possesso di sé e apre spazio per l’accoglienza e la guida degli altri; la sua capacità di governare con paterna fermezza garantisce la sicurezza dell’autorità che aiuta a crescere; la sua trasparenza e il suo distacco nell’amministrare i beni della comunità costituiscono autorevolezza e raccolgono la stima di tutti.
Ma tutte queste imprescindibili doti devono essere tuttavia una declinazione del criterio essenziale per tratteggiare il volto dei Vescovi che vogliamo avere: tra i seguaci di Gesù il Vescovo è un testimone, un martire del Risorto, della sua continua e ininterrotta presenza sacramentale nella Chiesa per tutti e per tutto

“1L’essenziale nella missione della Congregazione

Nella celebrazione dell’Ordinazione di un Vescovo, la Chiesa riunita, dopo l’invocazione dello Spirito santo, chiede che sia ordinato il candidato presentato. Chi presiede allora domanda: “Avete il mandato?”. Risuona in tale domanda quanto fece il Signore: “Chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due…” (Mc 6,7). In fondo, la domanda si potrebbe esprimere così: “Siete certi che il suo nome è stato pronunciato dal SignoreSiete certi che sia stato il Signore ad annoverarlo tra i candidati per stare con Lui in maniera singolare e per affidargli la missione che non è sua, ma è stata al Signore affidata dal Padre?”.

Questa Congregazione esiste per aiutare a scrivere tale mandato, che poi risuonerà in tante Chiese e porterà gioia e speranza al Popolo Santo di Dio. Questa Congregazione esiste per assicurarsi che il nome di chi è scelto sia stato prima di tutto pronunciato dal Signore. Ecco la grande missione affidata alla Congregazione per i Vescovi, il suo compito più impegnativo: identificare coloro che lostesso Spirito Santo pone a guida della sua Chiesa.

Dalle labbra della Chiesa si raccoglierà in ogni tempo e in ogni luogo la domanda: dacci un Vescovo! Il Popolo santo di Dio continua a parlare: abbiamo bisogno di uno che sorvegli dall’alto, abbiamo bisogno di uno che ci guardi con l’ampiezza del cuore di Dio, non ci serve un menagerun amministratore delegato di un’azienda, e nemmeno uno che stia al livello delle nostre pochezze o piccole pretese. Ci serve uno che sappia alzarsi all’altezza dello sguardo di Dio su di noi per guidarci verso di Lui. Solo nello sguardo di Dio c’è il futuro per noi. Abbiamo bisogno di chi, conoscendo l’ampiezza del campo di Dio più del proprio stretto giardino, ci garantisce che ciò a cui aspirano i nostri cuori non è una promessa vana.

La gente percorre faticosamente la pianura del quotidiano, e ha bisogno di essere guidata da chi è capace di vedere le cose dall’alto. Perciò non dobbiamo perdere mai di vista le necessità delle Chiese particolari a cui dobbiamo provvedere. Non esiste un Pastorestandar per tutte le Chiese. Cristo conosce la singolarità del Pastore che ogni Chiesa richiede perché risponda ai suoi bisogni e la aiuti a realizzare le sue potenzialità. La nostra sfida è entrare nella prospettiva di Cristo, tenendo conto di questa singolarità delle Chiese particolari.

2. La missione di Dio determina la missione della Congregazione

Per scegliere tali ministri abbiamo bisogno tutti noi di elevarci, di salire anche noi al “piano superiore”. Non possiamo fare a meno di salire, non possiamo accontentarci delle misure basse. Dobbiamo alzarci oltre e sopra le nostre eventuali preferenze, simpatie, appartenenze,  tendenze per entrare nell’ampiezza dell’orizzonte di Dio e per trovare questi portatori del suo sguardo dall’alto.  Non uomini condizionati dalla paura dal basso, ma Pastori di parresiacapaci di assicurare che nel mondo c’è un sacramento di unità (Lumen gentium, 1) e perciò l’umanità non è destinata allo sbando e allo smarrimento.

E’ questo il grande obiettivo, delineato dallo Spirito, che determina il modo con cui si svolge questo compito generoso impegnativo, per il quale sono immensamente grato a ognuno di voi, cominciando dal cardinale Prefetto Marc Ouellet  e abbracciando tutto voi, Cardinali, Arcivescovi e Vescovi Membri. Una speciale parola di riconoscimento, per la generosità del loro lavoro, vorrei rivolgere agli Officiali del Dicastero, che silenziosamente e pazientemente contribuiscono al buon esito del servizio di provvedere alla Chiesa con i pastori di cui ha bisogno.

Nel firmare la nomina di ogni vescovo vorrei poter toccare l’autorevolezza del vostro discernimento e la grandezza d’orizzonti con la quale matura il vostro consiglio. Perciò, lo spirito che presiede i vostri lavori, dal compito arduo degli Officiali fino al discernimento dei Superiori e Membri della Congregazione, non potrà essere altro che quell’umile, silenzioso e laborioso processo svolto sotto la luce che viene dall’alto. Professionalità, servizio e santità di vita: se ci discostiamo da questo trinomio decadiamo dalla grandezza cui siamo chiamati.

3. La Chiesa Apostolica come fonte

Dove trovare allora questa luce? L’altezza della Chiesa si trova sempre negli abissi profondi delle sue fondamenta. Nella Chiesa Apostolica c’è quello che è alto e profondo. Il domani della Chiesa abita sempre nelle sue origini.

Pertanto vi invito a fare memoria e “visitare” la Chiesa Apostolica per cercare lì alcuni criteri. Sappiamo che il collegio Episcopale, nel quale mediante il sacramento saranno inseriti i vescovi, succede al Collegio Apostolico. Il mondo ha bisogno di sapere che c’è questa Successione ininterrotta. Almeno nella Chiesa, tale legame con l’arché divina non si è spezzato. Le persone già conoscono con sofferenza l’esperienza di tante rotture: hanno bisogno di trovare nella Chiesa quel permanere indelebile della grazia del principio.

4. Il Vescovo come testimone del Risorto

Esaminiamo pertanto il momento in cui la Chiesa Apostolica deve ricomporre il Collegio dei Dodici dopo il tradimento di Giuda. Senza ai Dodici non può scendere la pienezza dello Spirito. Il successore va cercato tra chi ha seguito fin dagli inizi il percorso di Gesù e ora può diventare “insieme ai dodici” un “testimone della risurrezione” (At 1,21-22). C’è bisogno di selezionare tra i seguaci di Gesù i testimoni del Risorto.

Da qui deriva il criterio essenziale per tratteggiare il volto dei Vescovi che vogliamo avere. Chi è un testimone del Risorto? E’ chi ha seguito Gesù fin dagli inizi e viene costituito con gli Apostoli testimone della Risurrezione. Anche per noi questo è il criterio unificante: il Vescovo è colui che sa rendere attuale tutto quanto è accaduto a Gesù e soprattutto sa, insieme con la Chiesa, farsi testimone della sua Risurrezione. Il Vescovo è anzitutto un martire del Risorto. Non un testimone isolato ma insieme con la Chiesa. La sua vita e il suo ministero devono rendere credibile la Risurrezione. Unendosi a Cristo nella croce della vera consegna di sé, fa sgorgare per la propria Chiesa la vita che non muore. Il coraggio di morire, la generosità di offrire la propria vita e di consumarsi per il gregge sono iscritti nel “DNA” dell’episcopato. La rinuncia e il sacrificio sono connaturali alla missione episcopale. L’episcopato non è per sé ma per la Chiesa, per il gregge, per glia altri, soprattutto per quelli che secondo il mondo sono da scartare.

Pertanto, per individuare un vescovo, non serve la contabilità delle doti umane, intellettuali, culturali e nemmeno pastorali. Il profilo di un Vescovo non è la somma algebrica delle sue virtù. E’ certo che ci serve uno che eccelle (CIC. Can 378§ 1): la sua integrità umana assicura la capacità di relazioni sane, equilibrate, per non proiettare sugli altri le proprie mancanze e diventare un fattore d’instabilità; la sua solidità cristiana è essenziale per promuovere la fraternità e la comunione; il suo comportamento retto attesta la misura alta dei discepoli del Signore; la sua preparazione culturale gli permette di dialogare con gli uomini e le loro culture; la sua ortodossia e fedeltà alla Verità intera custodita dalla Chiesa lo rende una colonna e un punto di riferimento; la sua disciplina interiore ed esteriore consente il possesso di sé e apre lo spazio per l’accoglienza e la guida degli altri; la sua trasparenza e il suo distacco nell’amministrare i beni della comunità conferiscono autorevolezza e raccolgono la stima di tutti.

Tutte queste imprescindibili doti devono essere tuttavia una declinazione della centrale  testimonianza del Risorto, subordinati a questo prioritario impegno. E’ lo Spirito del Risorto che fa i suoi testimoni, che integra ed eleva le qualità e i valori edificando il Vescovo.

5. La sovranità di Dio, autore della scelta

Ma torniamo al testo apostolico. Dopo il faticoso discernimento viene la preghiera degli Apostoli: “Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti, mostra quale di questi…tu hai scelto” (At 1,26). Impariamo il clima del nostro lavoro e il vero autore delle nostre scelte. Non possiamo allontanarci da questo “mostraci tu, Signore”. E’ sempre imprescindibile assicurare la sovranità di Dio. Le scelte non possono essere dettate dalle nostre pretese, condizionate da eventuali “scuderie”, consorterie o egemonie. Per garantire tale sovranità ci sono due atteggiamenti fondamentali: il tribunale della propria coscienza davanti a Dio e la collegialità. E questo garantisce.

Fin dai primi passi del nostro complesso lavoro (dalle Nunziature al lavoro degli Ufficiali, membri e Superiori), questi due atteggiamenti sono imprescindibili: la coscienza davanti a Dio e l’impegno collegiale. Non l’arbitrio ma il discernimento insieme. Nessuno può avere in mano tutto, ognuno pone con umiltà e onestà la propria tessera di un mosaico che appartiene a Dio.

Tale visione fondamentale ci spinge ad abbandonare il piccolo cabotaggio delle nostre barche per seguire la rotta della grande nave della Chiesa di Dio, il suo orizzonte universale di salvezza, la sua bussola salda nella Parola e nel Ministero, la certezza del soffio dello Spirito che la spinge e la sicurezza che la attende.

6. Vescovi “kerigmatici

Un altro criterio lo insegna At 6, 1-7: gli Apostoli impongono le mani su coloro che devono servire le mense perché non possono “lasciare da parte la Parola di Dio”. Poiché la fede viene dall’annuncio, abbiamo bisogno di Vescovi kerigmaticiUomini ch e rendono accessibile quel “per voi” di cui parla san Paolo. Uomini custodi della dottrina non per misurare quanto il mondo viva distante dalla verità che essa contiene, ma per affascinare il mondo, per incantarlo con la bellezza dell’amore, per sedurlo con l’offerta della libertà donata dal Vangelo. La Chiesa non ha bisogno di apologeti delle proprie cause né di crociati delle proprie battaglie, ma di seminatori umili e fiduciosi della verità, che sanno che essa è sempre loro di nuovo consegnata e si fidano della sua potenza. Vescovi consapevoli che anche quando sarà notte e la fatica del giorno li troverà stanchi, nel campo le sementi staranno germinando. Uomini pazienti perché sanno che la zizzania non sarà mai così tanta da riempire il campo. Il cuore umano è fatto per il grano, è stato il nemico che di nascosto ha gettato il cattivo seme. Il tempo della zizzania tuttavia è già irrevocabilmente fissato.

Vorrei sottolineare bene questo: uomini pazienti! Dicono che il cardinale Siri soleva ripetere: “Cinque sono le virtù di un vescovo: prima la pazienza, seconda la pazienza, terza la pazienza, quarta la pazienza e ultima la pazienza con coloro che ci invitano ad avere pazienza”.

Bisogna quindi impegnarci piuttosto sulla preparazione del terreno, sulla larghezza della semina. Agire come fiduciosi seminatori, evitando la paura di chi si illude che il raccolto dipenda solo da sé, o l’atteggiamento disperato degli scolari che, avendo tralasciato di fare i compiti, gridano che ormai non c’è più nulla da fare.

7. Vescovi oranti

Il medesimo testo di At 6,1-7 si riferisce alla preghiera come ad uno dei due compiti essenziali del Vescovo: “Dunque, fratelli, cercate tra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di  Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al servizio della Parola” (vv. 3-4). Ho parlato di Vescovi kerigmatici, adesso segnalo l’altro tratto dell’identità del Vescovo: uomo di preghiera. La stessa parresia che deve avere nell’annuncio della Parola, deve averla nella preghiera, trattando con Dio nostro Signore il bene del suo popolo, la salvezza del suo popolo. Coraggioso nella preghiera di intercessione come Abramo, che negoziava con Dio la salvezza di quella gente (Gen 18, 22-33); come Mosè quando si sente impotente per guidare il popolo (Nm 11,10-15), quando il Signore è stufo del suo popolo (Nm 14,10-19), o quando gli dice che sta per distruggere il popolo e promette a lui di farlo capo di un altro popolo. Quel coraggio di dire no, non negozio il mio popolo davanti a Lui! (Es 32,11-14.30-32). Un uomo che non ha il coraggio di discutere con Dio in favore del suo popolo non può essere Vescovo – questo lo dico dal cuore, sono convinto -, e neppure colui che non è capace di assumere la missione di portare il popolo di Dio fino al luogo che Lui, il Signore, gli indica (Es 32,33-34).

E questo vale anche per la pazienza apostolica: la medesima hipomone che deve esercitare nella predicazione della Parola (2 Cor6,4) la deve avere nella sua preghiera. Il Vescovo dev’essere capace di “entrare in pazienza” davanti a Dio, guardando e lasciandosi guardare, cercando e lasciandosi cercare, trovando e lasciandosi trovare, pazientemente davanti al Signore. Tante volte addormentandosi davanti al Signore, ma questo è buono, fa bene!

Parresia e hypomone nella preghiera forgiano il cuore del Vescovo e lo accompagnano nella parresia nella hypomone che deve avere nell’annuncio della Parola nel kerigma. Questo capisco quando leggo il versetto 4 del capitolo 6 degli Atti degli Apostoli.

8. Vescovi pastori

Nelle parole che ho rivolto ai rappresentanti Pontifici,  ho così tracciato il profilo dei candidati all’episcopato: siano pastori vicini alla gente, “padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”;…che non siano ambiziosi e che non ricerchino l’episcopato…siano sposi di una Chiesa, senza essere in costante ricerca di un’altra – questo si chiama adulterio. Siano capaci di “sorvegliare” il gregge che sarà loro affidato, di avere cioè cura per tutto che lo mantiene unito;…capaci di “vegliare per il gregge” (21 giugno 2013).

Ribadisco che la Chiesa ha bisogno di Pastori autentici; e vorrei approfondire questo profilo di Pastore. Guardiamo il testamento dell’apostolo Paolo (At 20, 17-38). Si tratta dell’unico discorso pronunciato dall’Apostolo nel libro degli Atti che è diretto ai cristiani. Non parla dei suoi avversari farisei, né ai sapienti greci, ma ai suoi. Parla a noi. Egli affida i pastori della Chiesa “alla Parola della grazia che ha il potere di edificare e di concedere fecondità”. Dunque, non a Padroni della Parola, ma consegnati ad essa, servi della Parola. Solo così è possibile edificare e ottenere l’eredità dei santi. A quanti si tormentano con la domanda sulla propria eredità –“qual è il lascito di un VescovoL’oro o l’argento?” – Paolo risponde: la santitàLa Chiesa rimane quando si dilata la santità di Dio nei suoi membri. Quando dal suo cuore intimo, che è la Trinità Santissima, tale santità sgorga e raggiunge l’intero Corpo. C’è bisogno che l’unzione dall’alto scorra fino all’orlo del mantello. Un Vescovo non potrebbe mai rinunciare all’ansia che l’olio dello Spirito di santità arrivi fino all’ultimo lembo della veste della sua Chiesa.

Il Concilio vaticano II afferma che ai vescovi “è pienamente affidato l’ufficio pastorale, ossia l’assidua e quotidiana cura del gregge” (Lumen gentium 27). Bisogna soffermarsi di più su questi due qualificativi della cura del gregge: assidua e quotidiana. Nel nostro tempo l’assiduità e la quotidianità sono spesso associate alla routine e alla noia. Perciò non di rado si cerca di scappare verso un permanente “altrove”. Questa è una tentazione dei Pastori, di tutti i Pastori. I padri spirituali devono spiegarcelo bene, affinché noi lo capiamo e non cadiamo. Anche nella Chiesa purtroppo non siamo esenti da questo rischio. Perciò è importante ribadire che la missione del Vescovo esige assiduità e quotidianità. Io penso che in questo tempo di incontri e di convegni è tanto attuale il decreto di residenza del Concilio di Trento: è tanto attuale e sarebbe bello che la Congregazione dei Vescovi scrivesse qualcosa su questo. Al gregge serve trovare spazio nel cuore del Pastore. Se questo non è saldamente ancorato in se stesso, in Cristo e nella Chiesa, sarà continuamente sballottato dalle onde alla ricerca di effimere compensazioni e non offrirà al gregge alcun riparo.

Conclusione

Alla fine di queste mie parole mi domando: dove possiamo trovare tali uomini? Non è facile. Ci sono? Come selezionarli? Penso al profeta Samuele alla ricerca del successore di Saul (1 Sam 16,11-13) che domanda al vecchio Iesse: “Sono qui tutti i suoi figli?”, e sentendo che il piccolo Davide era a pascolare il gregge ordina: “Manda a prenderlo”. Anche noi non possiamo fare a meno di scrutare i campi della Chiesa cercando chi presentare al Signore perché Egli ti dica: “Ungilo: è lui”. Sono certo che essi ci sono, perché il Signore non abbandona la sua Chiesa. Forse siamo noi che non giriamo abbastanza per i campi a cercarli. Forse ci serve l’avventura di Samuele: “Non ci metteremo a tavola prima che egli sia venuto qui”. E’ di questa santa inquietudine che vorrei vivesse questa Congregazione”  (Papa Francesco, Discorso alla Riunione della Congregazione per i Vescovi, 27 febbraio 2014).

Accanto a questo orizzonte completo di linfa pastorale  sulla figura del Vescovo da parte di Papa Francesco penso utile riportare le osservazioni conclusive di J. Ratzinger sulla teologia del ministero episcopale nell’Opera Omnia, pp. 378-380: “Vedo tre settori principali in cui è necessaria un’attenzione speciale per il presente della fede:la predicazione (e con essa tutto il lavoro per l’attualizzazione e l’approfondimento della conoscenza della fede), la catechesi e l’insegnamento teologico nei Seminari e nelle Facoltà universitarie.
La predicazione dopo il Concilio si è fatta in genere più vicina alla Scrittura, e questo è un grande progresso. Ma è divenuta più casuale e più povera nematicamente, e questo è un pericolo. In genere, nel corso del ciclo triennale, non viene più  presentata tutta la dottrina della fede, ma brani casuali, mentre il resto è dimenticato. Io penso che i vescovi di una regione dovrebbero provvedere insieme a stabilire un programma di predicazione nel quale possa essere presentata nel corso dei tre anni tutta quanta la fede, in particolare quei temi oggi molto trascurati di Dio creatore, di peccato e redenzione, della grazia e dei sacramenti, e specialmente del sacramento della Penitenza, la prospettiva delle realtà escatologiche e della vita eterna.
Anche la catechesi, a mio parere, è divenuta molto settoriale e trascura spesso grandi parti della fede. Testimonianze assolutamente al di sopra di ogni sospetto attestano un’ignoranza incredibile nelle giovani generazioni circa affermazioni fondamentali della fede. La preparazione alla Comunione, in molte regioni, consiste ormai più in una socializzazione che non in una lenta penetrazione nel mistero della presenza del Signore e del suo sacrificio. La grandezza del mistero di Cristo viene spesso trasmessa a stento, e così via. Per la completezza della predicazione, così come per l’integrità della catechesi, il catechismo della Chiesa Cattolica offre un aiuto prezioso. Naturalmente è necessario tradurlo poi in piani concreti per la predicazione e la catechesi.
Infine c’è il compito dell’insegnamento teologico nei Seminari e nelle Facoltà. Proprio nelle generazioni più giovani esiste oggi, grazie a Dio, un numero di insegnanti di teologia veramente buoni. Ma è innegabile che vi sono anche gravi problemi. Un problema di fondo mi sembra essere il fatto che non si intravvede più una comune visione filosofica di fondo. Domina l’eclettismo. Si sceglie dalle filosofie correnti, che offrono un notevole aiuto ma alla fine lasciano aperto alcuno spazio per il Dio vivente. Le encicliche Veriatis splendor e Fide set ratio offrono su questo punto un aiuto prezioso; dovrebbero entrare nella riflessione teologica molto di più di quanto già non avvenga. Soprattutto non dovremmo dimenticare che i Padri e i grandi teologi del Medio Evo, così come i maestri più significativi della teologia del XIX e del XX secolo, rimangono anche per oggi dei maestri che ci indicano il cammino e il cui approccio di fondo non ha perso per nulla della sua attualità, anche se ovviamente deve essere sempre ulteriormente ripensato, approfondito, ampliato e posto in dialogo con il presente. Chi legge la Scrittura con i Padri, soprattutto con Sant’Agostino, con san Tommaso e san Bonaventura, con Moheler e de Lubac(per citare solo qualche nome), trae anche oggi indicazioni preziose per approfondimenti creativi.
Per concludere, vorrei ancora una volta ritornare alla prima lettera di Pietro. L’apostolo designando se stesso, col suo stile umile e benevolo, come co- presbitero, come co- sacerdote, ha formulato così, con una chiarezza insuperabile, l’identità del ministero sacerdotale e apostolico, il principio della successione apostolica. In questo contesto egli ha presentato il suo modello di sacerdote e di vescovo al quale dobbiamo continuamente commisurarci: il sacerdote è “testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloria che deve manifestarsi”.  Veglia sul gregge non per costrizione, ma volentieri, secondo Dio; non spadroneggia sulle persone a lui affidate, ma si fa modello. “E quando apparirà il pastore supremo, riceverete la corona di gloria che non appassisce” (5,4). Questa la fiducia nella quale compiamo il nostro servizio”.

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