I princìpi non negoziabili: perché bisogna parlarne ancora
Il dott. Stefano Fontana, l’11 marzo 2014, ha tenuto una conferenza nella Parrocchia San Pietro Apostolo, Verona che proponiamo come una grammatica di fede – ragione sui principi non negoziabili da non confondere con i valori negoziabili.
Cosa sono
Spesso si parla di “valori” non negoziabili anziché di “principi” non negoziabili, ma si tratta di un errore di impostazione.
Principio vuol dire fondamento e criterio. Il principio è l’elemento che regge e illumina un certo ambito. Il principio tiene insieme le cose e le indirizza, le orienta al loro fine. Ne consegue che il principio non può essere un elemento della serie, nemmeno il primo. Essere un principio non vuol dire stare cronologicamente all’inizio, come il primo gennaio sta al
principio dell’anno. Il principio ha un primato: viene prima, ove l’avverbio prima non è solo temporale.
Cos’è, invece un valore? Una cosa ha valore quando è apprezzabile. Ora, la vita o la famiglia o la libertà di educazione – per citare i principali tra i principi non negoziabili – sono certamente dei valori, sono degni di apprezzamento e di promozione. Come tanti altri aspetti della vita umana e sociale, del resto. Come l’arte, la solidarietà, la conoscenza, la salute, la buona cucina.
Come si vede essere un valore non vuol dire anche essere un principio. La casa in proprietà è un valore ma non è un principio ordinatore della vita sociale. Ciò non toglie che un valore possa essere anche un principio. La vita umana, per esempio, è un valore ma è anche un principio, in quanto è in grado di illuminare con la sua luce l’intera vita sociale e politica. Se si offusca il rispetto della vita non si offusca solo un valore, ma anche altri valori ed altri aspetti della vita che quel principio illumina.
Il bene comune non è un insieme di valori aventi tutti lo stesso peso, ma è un insieme ordinato. Per essere ordinato vuol dire che qualche valore ha una funzione architettonica, ossia indica i fondamenti del bene comune e, così facendo, illumina di senso anche tutti gli altri. Senza un criterio non c’è bene comune ma somma di beni particolari e questo criterio ci proviene dai principi non negoziabili.
Abbiamo allora stabilito cosa voglia dire la parola principio. Vediamo adesso cosa voglia dire l’espressione “non negoziabile”. Se si tratta di principi, ossia se sono qualcosa che viene prima e che fonda, essi non dipendono da quanto viene dopo ed hanno valore di assolutezza, non sono disponibili. Non sono negoziabili perché assoluti e sono assoluti perché sono dei principi. Se fossero relativi non potrebbero essere principi, non starebbero prima, sarebbero uno dei tanti elementi della serie. O si nega l’esistenza di principi, oppure se si ammette la loro esistenza essi devono essere assoluti ossia non negoziabili. Tale valore di assolutezza risulta anche dall’esperienza della loro mancanza. Quando manca il riferimento ad essi una società perde la bussola e subisce una involuzione. Questo vuol dire che non sono essi ad essere relativi alla società ma è la società ad essere relativa ad essi. Ecco quindi il motivo ultimo del perché non possono essere negoziabili: perché non sono stati negoziati. Se una cosa viene negoziata, allora vuol dire che è negoziabile. Altrimenti che principio sarebbe? In una società senza principi non negoziabili tutto è negoziabile, compresa la negoziabilità.
I principi non negoziabili, quindi, sono tali in quanto precedono la società. E da dove derivano? Essi sono non negoziabili perché radicati nella natura umana. Proprio perché fanno un tutt’uno con la natura umana, non possono essere presi a certe dosi, un po’ sì e un po’ no: o si prendono o si lasciano. Questa è vita umana o non lo è. Questa è famiglia o non lo è. I principi non negoziabili demarcano l’umano dal non umano e quindi sono criterio per una convivenza umana.
Da un altro punto di vista, però, essi non sono propriamente dei principi primi, perché non sono capaci di fondarsi da soli. Come abbiamo visto, essi si basano sulla natura umana, ma la natura umana su cosa si fonda? I principi non negoziabili esprimono un ordine che rimanda al Creatore.
Se non esistono principi non negoziabili la ragione non trova un ordine che rinvia al Creatore. Essa non incontra più la fede e la fede non incontra più la ragione. Ciò significa l’espulsione della religione dall’ambito pubblico. La vita sociale e politica sarebbe solo il regno del relativo. Cosa ci sarebbe a fare la fede in un simile contesto? Dio si sarebbe scomodato a parlarci per aggiungere la sua opinione alle nostre?
Quali sono
Precisare quali sono i principi non negoziabili è di fondamentale importanza. I testi fondamentali del magistero sono tre.
Al paragrafo 4 della Nota dottrinale su alcune questioni riguardanti l’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica Congregazione per la Dottrina della Fede (24 novembre 2002) sono indicati i seguenti principi non negoziabili: vita, famiglia, libertà di educazione, tutela sociale dei minori, libertà religiosa, economia a servizio della persona, pace.
Nell’esortazione apostolica post sinodale Sacramentum caritatis sull’Eucaristia del 22 febbraio 2007 (p. 83), Benedetto XVI cita vita, famiglia e libertà di educazione a cui aggiunge il bene comune.
Nel Discorso ai partecipanti al Convegno del Partito Popolare Europeo del 30 marzo 2006, Benedetto XVI elenca vita famiglia e libertà di educazione.
Entriamo nel merito di questi elenchi. La prima cosa da osservare è che tre principi sono sempre presenti e sempre collocati all’inizio di ogni elenco, imposizione quindi eminente; vita, famiglia e libertà di educazione.
Questo indica che quei tre principi ci pongono davanti a degli assoluti morali, ossia ad azioni che non si devono mai fare in nessuna circostanza. Per gli altri principi della Nota del 2002 non è così. Per esempio, essa annovera tra i principi non negoziabili anche una “economia a servizio della persona”. Non c’è dubbio che la lotta alla disoccupazione sia un elemento importante del bene comune. Tuttavia, per perseguire la piena occupazione le strade possono essere diverse. Nel caso, invece, dei tre principi di cui ci stiamo occupando, non ci sono strade diverse. Anzi, in quei casi di strade non ce ne sono proprio. La differenza dipende dal fatto che la frase “non uccidere” e la frase “sviluppa l’occupazione” sono molto diverse quanto a cogenza morale. La prima impone un assoluto morale negativo, qualcosa quindi che non si deve mai fare, la seconda propone un precetto morale positivo, indica cosa si deve fare. Ora, mentre il male assoluto non si deve mai fare, il bene può essere fatto in molti modi. La coscienza, assieme alla virtù della prudenza, non viene esercitata nel caso dei precetti morali negativi – sacrificare due embrioni umani invece che tre non è un male minore; abortire una volta anziché due non è un male morale minore – mentre può esercitarsi nei casi di quelli positivi.
Molti accettano queste mie considerazioni per i primi due principi – la vita e la famiglia – ma non l’accettano per il terzo: la libertà di educazione. La libertà di educazione è fondamentale in quanto pone o toglie la possibilità che l’anima del bambino sia iniziata alla verità piuttosto che all’errore, al bene piuttosto che al male, a Dio piuttosto che al Principe delle tenebre. Il problema è quello dell’educazione e del suo ruolo decisivo nella nostra vita. Se è possibile educare allora tutto è rimediabile, ma se alle famiglie e alla Chiesa viene tolta la possibilità di educare è la fine per tutti e per tutto.
C’è solo un altro principio tra quelli elencati nella Nota del 2002 che potrebbe contendere il “primato” a questi tre: il principio della libertà di religione. Esso nasce dal dovere di cercare la verità fino alla radice, ossia fino a misurarsi con Dio. Però il diritto alla libertà religiosa non è assoluto, in quanto vale solo dentro il rispetto della legge di natura, il cui rispetto è fondamentale per il bene comune. Professare e praticare una religione che contenga elementi contrari alla legge naturale non può essere un diritto né avrebbe titolo morale per un riconoscimento pubblico.
Da queste considerazioni si deriva che tra i primi tre principi elencati e gli altri c’è una differenza. Se mancano i primi tre, tutto l’elenco viene meno, mentre se ci fossero solo i primi tre, ci sarebbe già il nucleo portante di tutto il discorso. Ed infatti capita spesso, come abbiamo visto, che il magistero elenchi solo i primi tre, ma non capita mai che ne elenchi altri senza questi tre.
Equivoci sui principi non negoziabili
Molti cattolici criticano o perfino irridono i principi non negoziabili, considerandoli un impedimento al dialogo. Altri fanno notare che il dialogo per essere significativo ha bisogno di limiti, dati appunto da questi principi. Ne nascono molti equivoci.
Su un primo equivoco, ossia intenderli come valori e non come principi. Ho già detto. Esso comporta per esempio il classico errore di valutazione: se un partito propone l’aborto e lotte efficaci alla povertà mentre un altro partito è contro l’aborto ma ha misure meno efficaci contro la povertà io posso decidere liberamente per ambedue perché si tratta solo di valori.
Un altro degli equivoci più frequenti è pensare che i principi non negoziabili comporterebbero la rinuncia da parte dei cattolici ad un pensiero politico completo in luogo di garanzie su singoli temi specifici. I principi non negoziabili non sono singoli temi ma principi e quindi riferirsi ad essi comporta sempre l’accettazione di una prospettiva, che si ripercuote inevitabilmente anche su altri punti. In certe fasi storiche si è costretti ad attestarsi maggiormente sui singoli principi, perché le minacce sono incombenti. Ma questo non vuol dire che se ne dimentichi il valore illuminante per l’intero programma sociale e politico.
Un terzo equivoco consiste nel considerare i principi non negoziabili come contrari all’essenza della democrazia. Questa sarebbe il sistema che ha al centro la persona umana, ma siccome la persona umana è continuamente da approfondire nel dialogo e non si arriverà mai al punto finale, serve il confronto politico e serve anche affidarsi in conclusione alla legge della maggioranza. Che una realtà debba essere continuamente approfondita secondo il principio di coerenza è vero, ma questo non vuol dire che non si possa conoscere niente di certo e definitivo su di essa, talmente certo e definitivo da doverlo porre al riparo anche dalla legge della maggioranza. I principi non negoziabili non pretendono di dirci tutto su una società umana ma di dirci gli aspetti senza dei quali non è società umana. Se la panoramica completa dell’uomo non ci è data – almeno quaggiù -, questi ci sono dati in tutta la loro chiarezza e cogenza.
Un quarto equivoco riguarda i mezzi e i fini. Si dice che la politica riguarda i mezzi e i fini. Si dice che la politica riguarda i mezzi e non i fini. Infatti, si sostiene, esistono diversi partiti politici perché i cittadini possano prudentemente adoperare l’uno e l’altro partito per realizzare i loro fini. Questo giustificherebbe la presenza dei cattolici in tutti i partiti. Cittadini che hanno fini uguali si dividono poi nella scelta del partito che, come un mezzo, può realizzare meglio i fini. Di solito si tira in campo la virtù della prudenza con la quale la coscienza morale cala nella situazione concreta i principi morali generali, insomma sceglie i mezzi più idonei per realizzare i fini.
La prima cosa da dire è che la politica riguarda anche i fini e non solo i mezzi. La seconda cosa da dire è che i mezzi sono ordinati al fine, quindi non possono contraddirlo. La prudenza applicata ai mezzi cattivi diventa imprudenza. Se per conseguire il fine della difesa della vita io mi affido al mezzo di un partito che promuove l’aborto non ho esercitato la prudenza, ma sono stato imprudente. La scelta del partito che ha a che fare con i fini, dato che la politica riguarda anche i fini, ed ha poi a che fare con la scelta dei mezzi, che devono però essere buoni, ossia congrui al fine. Questo discorso sta alla base del fatto che se si accettano i principi non negoziabili non si può aderire indifferentemente a tutti i partiti, perché alcuni di essi sono connessi con altri fini contrari e altri di essi sono dei mezzi inadatti al fine.
Un ultimo frequente equivoco è di ritenere che ammettere i principi non negoziabili significhi negare la laicità della politica, facendola dipendere da principi confessionali. I principi non negoziabili sono dei principi ragionevoli che possono essere riconosciuti da tutti gli uomini. La stranezza non sta nel fatto che siano riconosciuti, ma semmai nel fatto che siano negati. Quindi appartengono al campo della laicità, se per laicità intendiamo l’ambito della ragione pubblica, la quale stabilisce i principi e i fini del vivere comunitario. Se, invece, per laicità si intende l’assenza di qualsiasi verità assoluta, anche di tipo razionale, allora non si tratta di vera laicità, ma di una nuova religione dell’individuo assoluto e dei suoi desideri.
Dipendendo dai principi non negoziabili, la politica non dipende da principi confessionali, ma semplicemente dal “senso” di se stessa.
Principi non negoziabili ed obiezione di coscienza
Poiché la politica assume sempre di più l’arroganza di contrastare i principi non negoziabili l’obiezione di coscienza oggi è sempre di più un problema politico e non solo morale.
Fanno obiezione di coscienza i farmacisti, che non vogliono vendere la pillola del giorno dopo in quanto ha effetti abortivi, le ostetriche e i medici che non vogliono collaborare nel praticare aborti, anche se la legge lo permette, gli impiegati comunali, che non vogliono registrare le coppie omosessuali negli appositi registri pubblici o che non vogliono celebrare pubblicamente matrimoni che tali non sono, molti insegnanti che non vogliono piegarsi all’ideologia del gender, i genitori, quando decidono di non far partecipare i propri figli a distruttivi corsi scolastici di educazione sessuale, i lavoratori che non rinunciano al loro diritto di esibire un segno religioso quando sono in servizio, mentre l’amministratore da cui dipendono lo vieta, le infermiere, quando reagiscono al divieto dell’amministrazione sanitaria di confortare religiosamente i morenti, invitano all’obiezione di coscienza i Vescovi americani contro la riforma sanitaria diObama, fanno obiezione di coscienza gli operatori dei consultori della Toscana dove adesso dovranno anche amministrare la pillola abortiva. Ci sono persone che perdono il posto di lavoro per la fedeltà ai principi non negoziabili.
Perché avviene questo? Perché ci sono dei principi non negoziabili, davanti ai quali la nostra coscienza, come quella di Socrate o di Antigone, trova la forza di dire un no assoluto. Ora, mi chiedo, perché questo non dovrebbe valere in politica? Perché in politica si dovrebbe comunque arrivare ad un compromesso? E a questo compromesso in politica si dovrebbe anche di portare rispetto e deferenza, lodando la persona che è scesa a mediazione come un esempio di saggezza, prudenza e perfino coraggio?
La cosa è ancora più evidente se la si esanima dal punto di vista della testimonianza. Quante volte si dice che il cattolico è in politica per dare testimonianza. Però, se non esiste la possibilità del sacrificio, se non c’è mai nessun “no” da dire a costo di perdere qualcosa, la testimonianza come si misura? E’ facile impegnarsi in politica applauditi e ben retribuiti. E non è sufficiente non commettere illeciti o immoralità. Bisogna anche essere disposti a pagare davanti a principi che la nostra coscienza ritiene non negoziabili. A Socrate il suo amico Critone aveva proposto la fuga, maSocrate ha risposto di no.
Politicamente parlando, il principale sacrificio per un uomo politico sono le dimissioni. Bisogna riconoscere che sono rarissimi i politici che pur di non dare il loro assenso contrario alla legge morale naturale si sono dimessi dal loro incarico. Nella memoria collettiva è pure ancora presente l’autosospensione temporanea del re del Belgio Baldovino, che non volle apporre la propria firma sotto la legge sull’aborto, in ciò non seguito nei giorni scorsi da suo nipote Filippo a proposito della legge sull’eutanasia dei bambini.
Il ero uomo politico è colui che sa anche rinunciare alla politica. Si è uomini prima e dopo la politica. E’ questo che dà senso alla politica stessa. Se tengo aperto il campo della mia umanità tramite una fedeltà alla retta coscienza che giudica la stessa politica, faccio respirare anche la politica. Molti dicono: non si deve abbandonare il campo (per esempio con le dimissioni) perché in questo modo lo si lascia ad altri e si recede dalla doverosa lotta politica. Ma la politica la si può fare in tanti modi e in tanti luoghi. Senza contare che, anche un eventuale atto di dimissioni per motivi di coscienza sarebbe già un atto politico, denso di possibili conseguenze politiche imprevedibili in quel momento. Del resto, un vero leader politico è uno che sa dire anche di no. Lo sa dire agli altri perché lo sa dire a se stesso. Chi non sa dirlo a se stesso non ha diritto di dirlo agli altri.
E’ evidente che l’obiezione di coscienza in politica è possibile se in politica si danno principi non negoziabili. Si cerca in tutti i modi di eliminare la libertà di coscienza. L’esistenza dei principi non negoziabili rende libera la nostra coscienza.
Quando un uomo politico fa obiezione di coscienza in quanto uomo politico, il fatto ha valore politico e non solo personale. Ammettiamo che gli uomini di Stato e di governo che hanno sottoscritto nel 1978 la legge 194 sull’aborto in Italia avessero fatto obiezione di coscienza e si fossero dimessi dalla loro carica. Sarebbe stato un atto politico di primaria importanza, un atto che avrebbe continuato a fare politica nei secoli. Questo perché avrebbe significato la denuncia di un ordine sociale che si stava costruendo come disordine. Non si sarebbe trattato di una semplice fedeltà aduna opinione personale, né ad una semplice, anche se importante, convinzione di coscienza, ma il tutto si sarebbe riferito ad un ordine sociale legittimo e ad uno illegittimo. Inevitabilmente il discorso si sarebbe dislocato sul prima, su quanto precede e fonda la comunità e su quanto merita riconoscimento pubblico e quanto no. Chi può negare con assoluta certezza che un atto del genere non avrebbe cambiato la storia politica del nostro Paese?
Ecco perché oggi c’è la necessità di insistere sui principi non negoziabili in ordine alla obiezione di coscienza in campo politico. Da essa dipende il collegamento della politica con il prima che la precede e la fonda.
In questo modo la politica è costretta a fare i conti con la modernità. Questa, infatti, ha annullato il “prima” e ha preteso di cominciare da zero, nella forma del contratto sociale. E’ stato giustamente osservato che il primo moderno è stato Guglielmo di Occam, secondo il quale dietro all’ordine delle cose e dietro all’ordine morale non c’era un disegno ma l’arbitraria volontà divina. Se questa piazza la politica moderna di Hobbes o Rousseau costruì il convenzionalismo del contratto sociale. Se si eliminano i principi non negoziabili finisce il “prima” della politica e la visione moderna avrebbeimmediabilmente vinto senza possibilità di alcun riscatto. La consegna al contratto sociale sarebbe definitiva.
Però della modernità fa parte anche Tommaso Moro, che Benedetto XVI ha proclamato Protettore dei politici. E Tommaso Moro fece obiezione di coscienza, ben sapendo che in quel modo egli esercitava un supremo atto politico, denso di conseguenze politiche nei secoli. Il suo atto, infatti, divenne simbolo dell’indipendenza della legge morale sul potere e alimentò le lotte per la difesa della libertà di coscienza lungo la storia moderna”.
Questa grammatica dei principi non negoziabili sulla vita, sulla famiglia, sulla libertà di educazione darebbe a credenti e laici che puntano all’indipendenza della legge morale sul potere alimentando la lotta per la difesa della libertà di coscienza nuovo slancio e recupero al vuoto umanistico della cultura post – moderna, tentata di trattare l’uomo come un animale senza libertà e principi morali che vangano in se stessi sempre e dovunque, restituendo a fede – ragione e quindi a Dio creatore e redentore della natura piena cittadinanza pubblica.
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