Ringiovaniti nel lasciarci perdonare
Nel Sacramento della Penitenza, della Riconciliazione si fa la semplice confessione della propria colpa con piena fiducia del lasciarci perdonare. Così la confessione può divenire un’esperienza di liberazione, nella quale il peso del passato non ci schiaccia e possiamo sentirci ringiovaniti in forza del perdono di Dio che ci ridona ogni volta la giovinezza delcuore
“Nell’attuale momento storico, è del tutto evidente che l’umanità ha bisogno di purificazione e di perdono. Proprio per questo il Santo Padre, nella sua lettera apostolica Novo millennio ineunte, ha auspicato, fra le priorità della missione
della Chiesa per il nuovo millennio, “un rinnovato coraggio pastorale per proporre in modo suadente ed efficace la pratica del Sacramento della Riconciliazione” (n.37).
A questo invito si riallaccia il nuovo Motu proprio Misericordia Dei che tratta concretamente, dal punto di vista teologico, pastorale e giuridico, alcuni importanti aspetti della prassi di questo Sacramento. Il Motu proprio sottolinea innanzitutto il carattere personalistico del Sacramento della Penitenza: come la colpa, malgrado tutti i nostri legami con la comunità umana, è in ultima analisi qualcosa di totalmente personale, così anche la nostra guarigione, il perdono, deve essere totalmente personale. Dio non ci tratta come parti di un collettivo. Egli conosce ogni singolo per nome, lo chiama personalmente e lo salva, se è caduto nella colpa. Benché il Signore si rivolga direttamente al singolo anche in tutti gli altri Sacramenti, il carattere personalistico dell’essere cristiani si manifesta in modo particolarmente chiaro nel Sacramento della Penitenza. Questo significa che la confessione personale e il perdono dato personalmente sono parti costitutive del Sacramento. L’assoluzione collettiva è una forma straordinaria e possibile solo in ben determinati casi di necessità; essa presuppone inoltre – proprio in base alla natura del Sacramento – la volontà di provvedere anche alla confessione personale dei peccati non appena possibile. Questo carattere fortemente personalistico del Sacramento della Penitenza è stato un po’ messo in ombra negli ultimi decenni, a motivo di un sempre più frequente ricorso alla assoluzione collettiva, che è stata sempre considerata sempre più come la forma normale del Sacramento – un abuso che ha contribuito alla progressiva scomparsa di questo Sacramento in alcune parti della Chiesa.
Visto che ora il Papa riduce di nuovo i margini di questa possibilità, si potrebbe obiettare che il sacramento della Penitenza ha comunque subito nella storia molte trasformazioni: perché questa no? Al riguardo occorre dire che, se in realtà la forma del Sacramento ha avuto nel corso della storia notevoli variazioni, la componente personalistica di questo Sacramento è rimasta pur sempre essenziale.
I Padri del Concilio di Trento hanno compreso le parole del Risorto ai suoi discepoli in Gv20,22s. come le parole specifiche dell’istituzione del Sacramento: “Ricevete lo Spirito santo! A chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (DS 1670; 1703; 1710). A partire da Gv 20, essi hanno interpretato Mt 16, 19 e 18, 18 e hanno compreso il potere delle chiavi della Chiesa come potere di remissione dei peccati (DS 1692; 1710). Erano pienamente consapevole dei problemi di interpretazione di questi testi e hanno fondato pertanto l’interpretazione del senso del Sacramento della Penitenza con l’ausilio dell’”intelligenza della Chiesa”, che si esprime nel consenso universale dei Padri (DS 1670; 1679; 1683; importante 1703). Il punto decisivo in queste parole di istituzione consiste nel fatto che il Signore affida ai suoi discepoli la scelta fra remittere e ligare, retinere e solvere: i discepoli non sono affatto uno strumento neutrale del perdono divino; piuttosto è loro affidato un potere di discernimento e con esso un dovere di discernimento nei singoli casi. I Padri hanno visto qui il carattere giudiziale del Sacramento. Al Sacramento della Penitenza pertanto appartengono essenzialmente due aspetti: da una parte quello sacramentale, cioè il mandato del Signore, che va al di là del potere proprio dei suoi discepoli, e anche della comunità dei discepoli della Chiesa; dall’altra, il compito di una decisione che deve essere fondata oggettivamente, quindi deve essere giusta, e in questo senso ha carattere giudiziale. Appartiene così al sacramento stesso la iurisdictio, che esige un ordinamento giuridico da parte della Chiesa, ma naturalmente deve essere sempre orientata all’essenza del Sacramento, alla volontà salvifica di Dio (DS 1686s.). Trento così si differenzia chiaramente dalla posizione dei “Riformati”, secondo cui il Sacramento della Penitenza significa solo la manifestazione di un perdono già concesso nella fede, e che quindi non pone nulla di nuovo, ma annuncia soltanto ciò che nella fede già esiste.
Questo carattere sacramentale – giuridico del Sacramento ha due importanti implicazioni: se le cose stanno così, si tratta di un Sacramento diverso dal Battesimo, di un Sacramento specifico, che presuppone un particolare potere sacramentale: cosa che significa che è legato all’Ordine (DS 1684). Se però deve esserci una valutazione giudiziale, allora è chiaro che il giudice deve conoscere lo stato dei fatti da giudicare. Nell’aspetto giuridico è implicata la necessità della confessione personale con la comunicazione dei peccati, per i quali deve esserechiesto il perdono a Dio e alla Chiesa, perché essi hanno infranto quell’unità di amore con Dio donata nel Battesimo. A partire da qui il Concilio può dire che è necessario iure divino confessare tutti e singoli i peccati mortali (can. 7; DS 1707). Il dovere della confessione è istituito – così dice il Concilio – dal Signore stesso ed è costitutivo del Sacramento, non è lasciato quindi nella disposizione della Chiesa.
Non è dunque in potere della Chiesa sostituire la confessione individuale con l’assoluzione generale:ce lo ricorda il papa nel nuovo Motu proprio, che è così espressione della coscienza che ha la Chiesa dei limiti del suo potere; ciò manifesta il legame con la Parola del Signore, che obbliga anche il Papa. Solo in uno stato di necessità, in cui è in gioco la salvezza ultima dell’uomo, l’assoluzione può essere anticipata e la confessione rimandata al momento in cui sarà possibile: questo è il vero senso di ciò che in modo piuttosto oscuro viene reso con l’espressione “assoluzione collettiva”. E’ compito della Chiesa, evidentemente, definire quando si è in presenza di un tale stato di necessità. Dopo che negli ultimi decenni – come già accennato – si sono diffuse interpretazioni estensive ( per molti motivi insostenibili) del concetto di necessitò, il papa in questo documento dà precise disposizioni, che devono essere applicate nei particolari da parte dei vescovi.
E’ un testo dunque che pone nuovi pesi sulle spalle dei cristiani? Proprio il contrario: in esso viene difeso il carattere totalmente personale dell’esistenza cristiana. Certamente, la confessione della propria colpa può apparire pesante alla persona, perché umilia il suo orgoglio e la mette di fronte alla sua povertà. Ma è proprio di questo che abbiamo bisogno. Soffriamo, infatti, perché ci rinchiudiamo nella nostra illusione di innocenza e così ci chiudiamo anche davanti e verso gli altri. Nelle cure psicoterapeutiche si esige dalle persone che sopportino il peso di profonde e spesso rischiose rivelazioni circa la loro intimità. Nel Sacramento della Penitenza si fa la semplice confessione della propria colpa con piena fiducia nella bontà misericordiosa di Dio. E’ importante fare questo senza diventare scrupolosi, nello spirito di confidenza proprio dei figli di Dio. Così la confessione può diventare un’esperienza di liberazione, nella quale il peso del passato non ci schiaccia e possiamo sentirci ringiovaniti in forza della grazia di Dio che ci ridona ogni volta la giovinezza del cuore” (J. Ratzinger, Riflessione sul Motu proprio di Giovanni Paolo II Misericordia Dei, 2 maggio 2002).
Ecco come pastoralmente Papa Francesco esprime la teologia della Penitenza, della Riconciliazione nella catechesi di mercoledì 19 febbraio: “Il Sacramento della Penitenza e della Riconciliazione scaturisce direttamente dal mistero pasquale. Infatti, la stessa sera di pasqua il Signore apparve ai discepoli, chiusi nel cenacolo, e, dopo aver rivolto il saluto “Pace a voi”, soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati” (Gv 20,21-23). Questo passo ci svela la dinamica più profonda che è contenuta inquesto Sacramento. Anzitutto, il fatto che il perdono dei nostri peccati non è qualcosa che possiamo darci noi. Io non posso dire: mi perdono i peccati. Il perdono si chiede, si chiede ad un altro e nella Confessione chiediamo il perdono a Gesù. Il perdono non è frutto dei nostri sforzi, ma è un regalo, è un dono dello Spirito Santo, che ci ricolma del lavacro di misericordia e di grazia che sgorga incessantemente dal cuore spalancato del Cristo crocifisso e risorto. In secondo luogo, ci ricorda che solo se ci lasciamo riconciliare con il Signore Gesù col Padre e con i fratelli possiamo essere veramente nella pace. E questo lo abbiamo sentito tutti nel cuore quando andiamo a confessarci, con un peso sull’anima, un po’ di tristezza; e quando riceviamo il perdono di Gesù siamo in pace, con quella pace dell’anima tanto bella che soltanto Gesù può dare, soltanto Lui.
Nel tempo, la celebrazione di questo Sacramento è passata da una forma pubblica – perché all’inizio si faceva pubblicamente – a quella personale, alla forma riservata della Confessione. Questo però non deve far perdere la matrice ecclesiale, che costituisce il contesto vitale. Infatti, è la comunità cristiana il luogo in cui si rende presente lo Spirito, il quale rinnova i cuori nell’amore di Dio e fa di tutti i fratelli una cosa sola, in Cristo Gesù. Ecco allora perché non basta chiedere perdono al Signore nella propria mente e nel proprio cuore, ma è necessario confessare umilmente e fiduciosamente i propri peccati al ministro della Chiesa. Nella celebrazione di questo Sacramento, il sacerdote non rappresenta soltanto Dio, ma tutta la comunità, che si riconosce nella fragilità di ogni suo membro, che ascolta commossa il pentimento, che si riconcilia con lui, che lo rincuora e lo accompagna nel cammino di conversione e maturazione umana e cristiana. Uno può dire: io mi confesso soltanto con Dio. Sì. Puoi dire a Dio “perdonami”, e dire i tuoi peccati, ma i nostri peccati sono anche contro i fratelli, contro la Chiesa. Per questo è necessario chiedere perdono alla Chiesa, ai fratelli, nella persona del sacerdote. “Ma padre, io mi vergogno…”. Anche la vergogna è buona, è salute avere un po’ di vergogna, perché vergognarsi è salutare. Quando una persona non ha vergogna, nel mio Paese diciamo che è “senza vergogna”: un “sin verguenza”. Ma anche la vergogna fa bene, perché ci fa più umili, e il sacerdote riceve con amore e con tenerezza questa confessione e in nome di Dio perdona. Anche dal punto di vista umano, per sfogarsi, è buono parlare con il fratello e dire al sacerdote queste cose, che sono tanto pesanti nel mio cuore. E uno sente che si sfoga davanti a Dio, con la Chiesa , con il fratello. E’ questo il bello della Confessione! …E Gesù è lì, e Gesù è più buono dei preti, Gesù ti riceve e con tanto amore. Sii coraggioso e vai alla Confessione!” (Papa Francesco, Udienza Generale, 19 febbraio 2014).
Parlando dello stile pastorale dei confessori Papa Francesco ha individuato due atteggiamenti da evitare:
- Il confessore che di fronte all’impossibilità di assolvere richiama semplicemente la legge senza un discernimento sul come aiutare a intraprendere un cammino che possa portare ad una soluzione;
- Il confessore che relativizza il peccato tradendo chi ha bisogno del perdono.
Due atteggiamenti che sono da evitare.
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