Poveri in spirito per vivere e non vivacchiare


Poveri in spirito per vivere e non vivacchiare ed essere “uomini delle Beatitudini” come lo è pienamente Gesù e lo propone come via della vera felicità

“La prossima tappa del pellegrinaggio intercontinentale dei giovani sarà a Cracovia , nel 2016. Per scandire il nostro cammino, nei prossimi tre anni vorrei riflettere insieme a voi sulle Beatitudini evangeliche, che leggiamo nel Vangelo di
san Matteo (5,1-12). Quest’anno inizieremo meditando sulla prima: “Beati  i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3); per il 2015 propongono “Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio” (Mt 5,8); e infine, nel 2016, il tema sarà “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7).
1.      La forza rivoluzionaria delle Beatitudini
Ci fa sempre molto bene leggere e meditare le Beatitudini! Gesù le ha proclamate nella sua prima grande predicazione, sulla riva del lago di Galilea. C’era tanta folla e Lui salì sulla collina, per ammaestrare i suoi discepoli, perciò quella predica viene chiamata “discorso della montagna”. Nella Bibbia, il monte è visto come luogo dove Dio si rivela, e Gesù che predica sulla collina si presenta come maestro divino, come nuovo Mosè. E che cosa comunica? Gesù comunica la via della vita, quella via che Lui stesso percorre, anzi, che Lui stesso è, e la propone come via della vera felicità. In tutta la sua vita, dalla nascita nella grotta di Betlemme fino alla morte in croce e alla risurrezione, Gesù ha incarnato le Beatitudini. Tutte le promesse del Regno di Dio si sono compiute in Lui.
Nel proclamare le Beatitudini Gesù ci invita a seguirlo, a percorrere con Lui la via dell’amore, la sola che conduce alla vita eterna. Non è una strada facile, ma il Signore ci assicura la sua grazia e non ci lascia mai soli. Povertà, afflizioni, lotta per la giustizia, fatiche della conversione quotidiana, combattimenti per vivere la chiamata alla santità, persecuzioni e tante altre sfide sono presenti nella nostra vita. Ma se apriamo la porta a Gesù, se lasciamo che Lui sia dentro la nostra storia, se condividiamo con Lui le gioie e i dolori, sperimenteremo una pace e una gioia che solo Dio, amore infinito, può dare.
Le Beatitudini di Gesù sono portatrici di una novità rivoluzionaria, di un modello di felicità opposto a quello che di solito viene comunicato dai media, dal pensiero dominante. Per la mentalità mondana, è uno scandalo che Dio sia venuto a farsi uno di noi, che sia morto su una croce! Nella logica di questo mondo, coloro che Gesù proclama beati sono considerati “perdenti”, deboli. Sono esaltati invece il successo ad ogni costo, il benessere, l’arroganza del potere, l’affermazione di sé a scapito degli altri.
Gesù ci interpella, cari giovani, perché rispondiamo alla sua proposta di vita, perché decidiamo quale strada vogliamo per arrivare alla vera gioia. Si tratta di una grande sfida. Gesù non ha avuto paura di chiedere ai suoi discepoli se volevano davvero seguirlo o piuttosto andarsene per altre vie (Gv 6,67). E Simone detto Pietro ebbe il coraggio di rispondere: “Signore, da chi andremo?Tu hai parole di vita eterna” (Gv 6,68). Se saprete anche voi dire “sì” a Gesù, la vostra giovane vita si riempirà di significato, e così sarà feconda.
2.      Il coraggio della felicità
Ma che cosa significa “beati” (in greco makarioi)? Beati vuol dire felici. Ditemi: voi aspirate davvero alla felicità? In un tempo in cui si è attratti da tante parvenze di felicità, si rischia di accontentarsi di poco, di avere un’idea “in piccolo” della vita. Aspirate invece a cose grandi! Allargate i vostri cuori!  Come diceva il beato Piergiorgio Frassati, “vivere senza una fede, senza un patrimonio da difendere, senza sostenere in una lotta continua la verità, non è vivere ma vivacchiareNoi non dobbiamo mai vivacchiare, ma vivere” (Lettera a I. Bonini, 27 febbraio 1925). Nel giorno della Beatificazione di Piergiorgio Frassati, il 20 maggio 1990, Giovanni paolo II  lo chiamò “uomo delle Beatitudini” (Omelia nella S. Messa: AAS 82 (1990), 1518).
Se veramente fate emergere le aspirazioni profonde del vostro cuore, vi renderete conto che in voi c’è un desiderio inestinguibile di felicità, e questo vi permetterà di smascherare e respingere le tante offerte “a basso prezzo” che trovate intorno a voi. Quando cerchiamo il successo, il piacere, l’avere in modo egoistico e ne facciamo degli idoli, possiamo anche provare momenti di ebbrezza, in un falso senso di appagamento; ma alla fine diventiamo schiavi, non siamo mai soddisfatti, siamo spinti a cercare sempre di più. E’ molto triste vedere una gioventù “sazia”, ma debole.
San Giovanni scrivendo ai giovani diceva: “Siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il maligno” (1 Gv 2,14). I giovani che scelgono Cristo sono forti, si nutrono della sua Parola e non si “abbuffano” di altre cose! Abbiate il coraggio di andare contro corrente. Abbiate il coraggio della vera felicità! Dite no alla cultura del provvisorio, della superficialità e dello scarto, che non vi ritiene in grado di assumere responsabilità e affrontare le grandi sfide della vita!
3.      Beati i poveri in spirito
La prima Beatitudine, tema della prossima Giornata Mondiale della Gioventù, dichiara felici i poveri in spirito, perché a loro appartiene il regno dei cieli. In un tempo in cui tante persone soffrono a causa della crisi economica, accostare povertà e felicità può sembrare fuori luogo. In che senso possono concepire  la povertà come una benedizione?
Prima di tutto cerchiamo di capire che cosa significa “poveri in spirito”.Quando il Figlio di Dio si è fatto uomo, ha scelto una via di povertà, di spogliazione. Come dice san Paolo nella Lettera ai Filippesi: “Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini” (2,5-7). Gesù è Dio che si spoglia della sua gloria. Qui vediamo la scelta di povertà di Dio: da ricco che era, si è fatto povero per arricchirci per mezzo della sua povertà (2 Cor 8,9). E’ il mistero che contempliamo nel presepio, vedendo il Figlio di Dio in una mangiatoia; e poi sulla croce, dove la spogliazione giunge al culmine.
L’aggettivo greco (ptochòs (povero) non ha un significato soltanto materiale, ma vuol dire “mendicante”. Va legato al concetto ebraico di anawimi “poveri diIahweh”, che evoca umiltà, consapevolezza dei propri limiti, della propria condizione esistenziale di povertà. Gli anawim si fidano del Signore, sanno dipendere da Lui.
Gesù, come ha ben saputo vedere santa Teresa di Gesù Bambino, nella sua incarnazione si presenta come un mendicante, un bisognoso in cerca d’amore. IlCatechismo della Chiesa Cattolica parla dell’uomo come di un “mendicante di Dio” (n. 2559) e ci dice che la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete (n. 2560).
San Francesco d’Assisi ha compreso molto bene il segreto della Beatitudine dei poveri in spirito. Infatti, quando Gesù gli parlò nella persona del lebbroso e nel Crocifisso, egli riconobbe la grandezza di Dio e la propria condizione di umiltà.Nella sua preghiera il Poverello passava ore a domandare al Signore: “Chi sei tuChi sono io?”. Si spogliò di una vita agiata e spensierata per sposare “Madonna Povertà”, per imitare Gesù e seguire il vangelo alla lettera. Francesco ha vissuto l’imitazione di Cristo povero e l’amore per i poveri in modo inscindibile, come le due facce di una stessa medaglia.
Voi dunque mi potreste domandare: come possiamo concretamente far sì che questa povertà in spirito si trasformi in stile di vita, incida concretamente nella nostra esistenza? Vi rispondo in tre punti.
Prima di tutto cercate di essere liberi nei confronti delle cose. Il Signore ci chiama a uno stile di vita evangelico segnato dalla sobrietà, a non cedere alla cultura del consumo. Si tratta di cercare l’essenzialità, di imparare a spogliarsi di tante cose superflue e inutili che ci soffocano. Distacchiamoci dalla brama di avere, dal denaro idolatrato e poi sprecato. Mettiamo Gesù al primo posto. Lui ci può liberare dalle idolatrie che ci rendono schiavi. Fidatevi di Dio, cari giovani! Egli ci conosce, ci ama e non si dimentica mai di noi. Come provvede ai gigli del campo (Mt 16,28), non lascerà che ci manchi nulla! Anche per superare la crisi economica bisogna essere pronti a cambiare stile di vita, a evitare tanti sprechi. Così come è necessario il coraggio della felicità, ci vuole anche il coraggio della sobrietà.
In secondo luogo, per vivere questa Beatitudine abbiamo tutti bisogno diconversione per quanto riguarda i poveri. Dobbiamo prenderci cura di loro, essere sensibili alle loro necessità spirituali e materiali. A voi giovani affido in modo particolare il compito di rimettere al centro della cultura umana la solidarietà. A fronte a vecchie e nuove forme di povertà – la disoccupazione, l’emigrazione, tante dipendenze di vario tipo -, abbiamo il dovere di essere vigilanti e consapevoli, vincendo la tentazione dell’indifferenza. Pensiamo anche a coloro che non si sentono amati, non hanno speranza per il futuro, rinunciano a impegnarsi nella vita perché sono scoraggiati, delusi, intimoriti. Dobbiamo imparare a stare con i poveri. Non riempiamoci la bocca di belle parole sui poveri! Incontriamoli, guardiamoli negli occhi, ascoltiamoli. I poveri sono per noi un’occasione concreta di incontrare Cristo stesso, di toccare la sua carne sofferente.
Ma – e questo è il terzo punto – i poveri non sono soltanto persone alle quali possiamo dare qualcosa. Anche loro hanno tanto da offrirci, da insegnarci.Abbiamo tanto da imparare dalla saggezza dei poveri! Pensate che un santo del secolo XVIII, Benedetto Giuseppe Labbre, il quale dormiva per strada a Roma e viveva delle offerte della gente, era diventato consigliere spirituale di tante persone, tra cui anche nobili e prelati. In un certo senso i poveri sono come maestri per noi. Ci insegnano che una persona non vale per quanto possiede, per quanto ha sul conto in banca. Un povero, una persona priva di beni materiali, conserva sempre la sua dignità. I poveri possono insegnarci tanto anche sull’umiltà e la fiducia in Dio. Nella parabola del fariseo e del pubblicano (Lc18,9-14), Gesù presenta quest’ultimo come modello perché è umile e si riconosce peccatore. Anche la vedova che getta due piccole monete nel tesoro del tempio è esempio di generosità di chi, anche avendo poco o nulla, dona tutto (Lc 21, 1-4).
4.      …perché di essi è il regno dei cieli
Tema centrale nel Vangelo di Gesù è il regno di Dio. Gesù è il regno di Dio in persona, è l’Emmanuele, Dio – con noi. Ed è nel cuore dell’uomo che il regno, la signoria di Dio si stabilisce e cresce. Il Regno è allo stesso tempo dono e promessa. Ci è stato dato in Gesù, ma deve ancora compiersi in pienezza. Perciò ogni giorno preghiamo il padre: “Venga il tuo regno”.
C’è un legame profondo tra povertà ed evangelizzazione, tra il tema della scorsa Giornata Mondiale della Gioventù “Andate e fate discepoli tutti i popoli” (Mt 28,19) e quello di quest’anno: “Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli” (Mt 5,3). Il Signore vuole una Chiesa povera che evangelizzi i poveri. Quando inviò i Dodici in missione, Gesù disse loro: “Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture, né sacca da viaggio, né due tuniche, né sandali, né bastone, perché chi lavora ha diritto al suo nutrimento” (Mt 10, 9-10). La povertà evangelica è condizione fondamentale affinché il regno di Dio si diffonda. Le gioie più belle e spontanee che ho visto nel corso della mia vita sono quelle di persone povere che hanno poco a cui aggrapparsi. L’evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia.
Come abbiamo visto, la Beatitudine dei poveri in spirito orienta il nostro rapporto con Dio, con i beni materiali e con i poveri. Davanti all’esempio e alle parole di Gesù, avvertiamo quanto abbiamo bisogno di conversione, di far sì che sulla logica dell’avere di più prevalga quella dell’essere di più! I santi sono coloro che più ci possono aiutare a capire il significato profondo delle Beatitudini. La canonizzazione di Giovanni Paolo II nella seconda domenica di Pasqua, in questo senso, è un evento che riempie il nostro cuore di gioia. Lui sarà il grande patrono delle GMG, di cui è stato l’iniziatore e il trascinatore. E nella comunione dei santi continuerà ad essere per tutti voi un padre e un amico.
Nel prossimo mese di aprile ricorre anche il trentesimo anniversario della consegna ai giovani della Croce del Giubileo della Redenzione. Proprio a partire da quell’atto simbolico di Giovanni Paolo II iniziò il grande pellegrinaggio giovanile che da allora continua ad attraversare i cinque continenti. Molti ricordano le parole con cui il papa, la domenica di Pasqua del 1984, accompagnò il suo gesto: “Carissimi giovani, al termine dell’Anno santo affido a voi il segno stesso di quest’Anno Giubilare: la Croce di Cristo! Portatela nel mondo, come segno dell’amore del Signore Gesù per l’umanità,ed annunciate a tutti che solo in Cristo morto e risorto c’è salvezza e redenzione”.
Cari giovani, il Magnificat, il cantico di Maria, povera in spirito, è anche il canto di chi vive le Beatitudini. La gioia del Vangelo sgorga da un cuore povero, che sa esultare e meravigliarsi per le opere di Dio, come il cuore della Vergine, che tutte le generazioni chiamano “beata” (Lc 1,48).Lei, la madre dei poveri e la stella della nuova evangelizzazione, ci aiuti a vivere il vangelo, a incarnare le Beatitudini nella nostra vita, ad avere il coraggio della felicità “ (Papa Francesco, XXIX Giornata Mondiale della Gioventù, 2014: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno cieli”).
Quello che Papa Francesco afferma cioè che “L’evangelizzazione, nel nostro tempo, sarà possibile soltanto per contagio di gioia”  e lui ne è una testimonianza a cominciare dai giovani è ben descritta da Benedetto XVI in Gesù di Nazareth. “La situazione empirica di minaccia in cui Gesù vede i suoi si fa promessa, quando lo sguardo su di loro si illumina a partire dal Padre. Riferite alle comunità dei discepoli di Gesù, le Beatitudini sono dei paradossi. I criteri mondani vengono capovolti non appena la realtà è guardata nella giusta prospettiva, ovvero dal punto di vista della scala dei valori di Dio, che è diversa dalla scala dei valori del mondo. Proprio coloro che, secondo i criteri mondani, vengono considerati poveri e perduti sono i veri fortunati, i benedetti, e possono rallegrarsi e giubilare nonostante tutte le loro sofferenze. Le Beatitudini sono promesse nelle quali risplende la nuova immagine del mondo e dell’uomo che Gesù inaugura, il “rovesciamento dei valori”. Sono promesse escatologiche; questa espressione tuttavia non deve essere intesa nel senso che la gioia che annunciano sia spostata in un futuro infinitamente lontano o esclusivamente nell’aldilà. Se l’uomo comincia a guardare e a vivere a partire da Dio, se cammina in compagnia di Gesù, allora vive secondo nuovi criteri e allora un po’ di éschaton, di ciò che deve venire, è già presente adesso. A partire da Gesù entra gioia nella tribolazione” (pp.189-190).
I paradossi presentati da Gesù nelle Beatitudini esprimono la vera situazione del credente nel mondo, quale si è ripetuta soprattutto nella storia al tempo degli imperatori romani anticristiani da Nerone a Domiziano e alla fine ha vinto l’amore di Dio e l’impero romano si è aperto alla fede cristiana; di nuovo nelle grandi dittature nel nazismo e di Stalin ma alla fine l’amore fu più forte dell’odio; l’attuale potenza massmediatica spinge i giovani a ritenere assurdo pensare a Dio pubblicamente; assurdo perfino osservare i comandamenti di Dio; cosa del tempo passato. Vale soltanto vivere la vita per sé. Prendere in questo breve momento della vita tutto quanto ci è possibile prendere, Vale solo il consumo, l’egoismo, il divertimento. Questa è la vita ben lontana dal Beati i poveri. Così dobbiamo vivere. E di nuovo, sembra assurdo, impossibile opporsi a questa mentalità dominante, con tutta la forza mediatica, propagandistica. Sembra impossibile oggi ancora pensare a un Dio che ha creato l’uomo, maschio e femmina, che si è fatto bambino, povero, si è lasciato uccidere per amore e che risorto presente nel suo corpo che è la Chiesa sarebbe il vero dominatore del mondo. Come san  Paolo Papa Francesco ha il coraggio di crederci e di vivere, confermarci nella fede ed evangelizzare, più che attraverso la denuncia, per contagio di gioia. E nella Chiesa, tra i giovani non mancano chi si trova in comunione con  il Papa, cioè con Cristo rendendosi conto che le Beatitudini “sono come una nascosta biografia interiore di Gesù, un ritratto della sua figura. Egli, non ha dove posare il capo (Mt 8,20), il vero povero; Egli, che può dire di sé: venite a me perché sono mite e umile di cuore e per questo vede sempre Dio. E’ l’operatore di pace, è colui che soffre per amore di Dio. Nelle Beatitudini si manifesta il mistero di Cristo stesso, ed esse ci chiamano alla comunione con Lui…Le Beatitudini sono dei segnali che indicano la strada anche alla Chiesa, che in esse deve riconoscere il suo modello, indicazioni per la sequela che interessano ogni fedele, benché in modo diverso a seconda della molteplicità delle vocazioni” (pp191-192)

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