Dimensione giuridica e carità pastorale inseparabili
L’attività giudiziaria ecclesiale, che si configura come servizio alla verità nella giustizia, ha infatti una connotazione profondamente pastorale, perché finalizzata al proseguimento del bene dei fedeli e alla edificazione della comunità cristiana
“La dimensione giuridica e la dimensione pastorale del ministero ecclesiale non sono in contrapposizione, perché entrambe concorrono alla realizzazione delle finalità e dell’unità di azione proprie della Chiesa. L’attività giudiziaria
ecclesiale, che si configura come un servizio alla verità nella giustizia, ha infatti una connotazione profondamente pastorale, perché finalizzata al proseguimento del bene dei fedeli e alla edificazione della comunità cristiana. Tale attività costituisce un peculiare sviluppo della potestà di governo, volta alla cura spirituale del Popolo di Dio, ed è pertanto pienamente inserita nel cammino della missione della Chiesa. Ne consegue che l’ufficio giudiziario è una diaconia, cioè un servizio al Popolo di Dio in vista del consolidamento della piena comunione tra i singoli fedeli, e fra di essi e la compagine ecclesiale. Inoltre, cari Giudici, mediante il vostro specifico ministero, voi offrite un competente contributo per affrontare le tematiche pastorali emergenti.
Vorrei ora tracciare un breve profilo del giudice ecclesiastico. Anzitutto il profilo umano: al giudice è richiesta una maturità umana che si esprime nella serenità di giudizio e nel distacco da vedute personali. Fa parte anche della maturità umana la capacità di calarsi nella mentalità e nelle legittime aspirazioni della comunità in cui si svolge il servizio. Così egli si farà interprete di quell’animus comunitatis che caratterizza la porzione del Popolo di Dio destinataria del suo operato e potrà praticare una giustizia non legalistica e astratta, ma adatta alle esigenze della realtà concreta. Di conseguenza, non si accontenterà di una conoscenza superficiale della realtà delle persone che attendono il suo giudizio, ma avvertirà la necessità di entrare in profondità nella situazione delle parti in causa, studiando a fondo gli atti e tutti gli elementi utili per il giudizio.
Il secondo aspetto è quello giudiziario. Oltre ai requisiti di dottrina giuridica e teologica, nell’esercizio del suo ministero ilgiudica si caratterizza per la sua perizia nel diritto, l’obiettività di giudizio e l’equità, giudicando con imperturbabile e imparziale equidistanza. Inoltre nella sua attività è guidato dall’intento di tutelare la verità, nel rispetto della legge, senza tralasciare la delicatezza e umanità proprie del pastore di anime.
Il terzo aspetto è quello pastorale. In quanto espressione della sollecitudine pastorale del Papa e dei Vescovi, al giudice è richiesta non soltanto provata competenza, ma anche genuino spirito di servizio. Egli è il servitore della giustizia, chiamato a trattare e giudicare la condizione dei fedeli che con fiducia si rivolgono a lui, imitando il Buon Pastore che si prende cura della pecorella ferita. Per questo è animato dalla carità pastorale; quella carità che Dio ha riversato nei nostri cuori mediante “lo Spirito Santo che ci è stato dato” (Rm 5,5). La carità – scrive san Paolo – “è il vincolo della perfezione” (Col 3,14), e costituisce l’anima della funzione del giudice.
Il vostro ministero, cari giudici e operatori del Tribunale della Rota Romana, vissuto nella gioia e nella serenità che vengono dal lavorare là dove il Signore ci ha posti, è un servizio peculiare a Dio Amore, che è vicino ad ogni persona. Siete essenzialmente pastori. Mentre svolgete il lavoro giudiziario, non dimenticate che siete pastori. Dietro ogni pratica, ogni posizione, ogni causa, ci sono persone che attendono giustizia.
Cari fratelli, vi ringrazio e vi incoraggio a proseguire il vostromunus con scrupolosità e mitezza. Pregate per me! Il Signore vi benedica e la Madonna vi protegga” (Papa Francesco, Agli Officiali del Tribunale della Rota Romana, 24 gennaio 2014).
E con queste caratteristiche di profilo umano, giudiziario e pastorale a servizio della sollecitudine pastorale del Papa e dei Vescovi in attesa del Sinodo straordinario sulla Famiglia sta emergendo quello che Benedetto XVI aveva proposto in analogo discorso del gennaio 2013 circa il rapporto tra carenza di fede e invalidità dell’unione matrimoniale: “se è vero che “la fede senza la carità non porta frutto e la carità senza la fede sarebbe un sentimento in balìa costante del dubbio”, si deve concludere che “fede e carità si esigono a vicenda, così che l’una permette all’altra di attuare il suo cammino” (Porta fidei, 14). Se ciò vale nell’ampio contesto della vita comunitaria, deve ancora valere di più nell’unione matrimoniale. E’ in essa, di fatto, che la fede fa crescere e fruttificare l’amore degli sposi, dando spazio alla presenza di Dio Trinità e rendendo la stessa vita coniugale, così vissuta, “lieta novella” davanti al mondo.
Riconosco le difficoltà, da un punto di vista giuridico e pratico, di enucleare l’elemento essenziale del bonum coniugim inteso finora prevalentemente in relazione all’ipotesi di incapacità (CIC, can. 1095). Il bonum coniugium assume rilevanza anche nell’ambito della simulazione del consenso. Certamente, nei casi sottoposti al vostro giudizio, sarà l’indagine in facto ad accertare l’eventuale fondatezza di questo capo di nullità, prevalente o coesistente con un altro capo dei tre “beni” agostiniani, la pro creatività, l’esclusività e la perpetuità. Non si deve quindi prescindere dalla considerazione che possano darsi dei casi nei quali, proprio per l’assenza di fede, il bene dei coniugi risulti compromesso e cioè escluso dal consenso stesso; ad esempio, nell’ipotesi di sovvertimento da parte di uno di essi, a causa di un’errata concezione del vincolo nuziale, del principio di parità, oppure nel rifiuto dell’unione duale che contraddistingue il vincolo matrimoniale, in rapporto con la possibile coesistente esclusione della fedeltà e dell’uso della copula adempiutahumano modo.
Con le presenti considerazioni , non intendo certamente suggerire alcun facile automatismo tra carenza di fede e invalidità matrimoniale, ma piuttosto evidenziare come tale carenza possa, benché non necessariamente, ferire anche i beni del matrimonio, dal momento che il riferimento all’ordine naturale voluto da Dio è inerente al patto coniugale (Gn 2,24)” (Benedetto XVI).
In vista del Sinodo straordinario anche i giudici possono adoperarsi per la salvaguardia della verità del matrimonio sacramento e della giustizia riguardo al vincolo sacramentale del matrimonio e, per ciò stesso della famiglia cristiana.
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