Fede e teologia‏


La teologia è impossibile senza la fede ed essa appartiene al movimento stesso della fede, che cerca l’intelligenza più profonda dell’autorivelazione di Dio, culminata nel Mistero di Cristo

“Poiché la fede è una luce, ci invita a inoltrarsi in essa, a esplorare sempre più l’orizzonte che illumina, per conoscere meglio ciò che amiamo. Da questo desiderio nasce la teologia cristiana. E’ chiaro allora che la teologia è impossibile senza la fede e che essa appartiene al movimento stesso della fede, che cerca l’intelligenza più profonda dell’autorivelazione di Dio, culminata nel Mistero di Cristo. La prima conseguenza è
che nella teologia non si dà solo uno sforzo della ragione per scrutare e conoscere, come nelle scienze esperimentali. Dio non si può ridurre ad un oggetto. Egli è Soggetto che ci fa conoscere e si manifesta nel rapporto da persona a persona. La fede retta orienta la ragione ad aprirsi alla luce che viene da Dio, affinché essa, guidata dall’amore per la verità, possa conoscere Dio in modo più profondo. I grandi dottori e teologi medioevali hanno indicato che la teologia, come scienza della fede, è una partecipazione alla conoscenza che Dio ha di se stesso. La teologia, allora, non è soltanto parola su Dio, ma prima di tutto accoglienza e ricerca di un’intelligenza più profonda di quella parola che Dio ci rivolge, parola che Dio pronuncia su se stesso, perché è un dialogo eterno di comunione, e ammette l’uomo all’interno di questo dialogo. Fa parte allora della teologia l’umiltà che si lascia “toccare” da Dio, riconosce i suoi limiti di fronte al Mistero e si spinge ad esplorare, con la disciplina propria della ragione, le insondabili ricchezze di questo Mistero.
La teologia poi condivide la forma ecclesiale della fede; la sua luce è la luce del soggetto credente che è la Chiesa. Ciò implica, da una parte, che la teologia sia al servizio della fede dei cristiani, si metta umilmente a custodire e ad approfondire il credere di tutti, soprattutto dei più semplici. Inoltre, la teologia, poiché vive della fede, non consideri il Magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco, un limite alla sua libertà, ma, al contrario, come uno dei suoi momenti interni, costitutivi, in quanto il magistero assicura il contatto con la fonte originaria, e offre dunque la certezza di attingere alla Parola di Cristo nella sua integrità” (Papa Francesco, Lumen fidei36).

La Lumen fidei è uno straordinario documento che merita di essere meditato nella preghiera e proposto nell’omelia ai fedeli, di quanti cercano il significato e la verità dell’esistenza umana. C’è un capitolo che interessa i teologi. Nel numero trentasei dell’enciclica che abbiamo trascritto viene infatti offerta una interpretazione breve, seppure straordinariamente ricca, del compito della teologia. E’ un connubio del credere agostiniano per comprendere e del comprendere tomista per credere.
Il papa scrive: Dio “è Soggetto che si fa conoscere e si manifesta nel rapporto da persona a persona”. L’oggetto immediato della scienza teologica, nelle, sue varie specificazioni, è Dio stesso, rivelatosi completamente in Gesù Cristo, Dio con un volto umano. Anche quando, come nel diritto canonico e nella storia della Chiesa, l’oggetto immediato è il Popolo di Dio nella sua dimensione sacramentalmente visibile e storica, l’analisi approfondita della materia risospinge alla contemplazione, nella fede, del mistero di Cristo risorto,. E’ Lui che, presente sacramentalmente nella sua Chiesa, la conduce tra gli eventi del tempo verso la pienezza escatologica, un traguardo verso cui camminiamo sostenuti dalla speranza. Non basta, però, conoscere Dio; per poterlo realmente incontrare e quindi perché accada la fede, occorre sentirsi da Lui amati e amarlo. La conoscenza deve avvenire e divenire amore. Lo studio della teologia, del diritto canonico, della storia della Chiesa non è solo conoscenza delle proposizioni della fede nella loto formulazione storica e nella loro applicazione pratica, ma è pur sempre intelligenza di esse nella fede nella presenza e nell’amore del Dio di Gesù Cristo, nella speranza, nella carità Solo lo Spirito scruta le profondità di Dio (1 Cor 2,10), quindi solo nell’ascolto dello Spirito si può scrutare la profondità della ricchezza, della sapienza, della scienza di Dio (Rm 11,33). Lo Spirito si ascolta nella preghiera, quando il cuore si apre alla contemplazione del mistero di Dio nel noi della Chiesa mistero, che ci si è rivelato nel Figlio Gesù Cristo, immagine del Dio invisibile (Col 1,15), costituito capo della Chiesa e Signore di tutte le cose (Ef 1,10).
“La teologia – afferma il Papa – condivide la forma ecclesiale della fede; la sua luce è la luce del soggetto credente che è la Chiesa. Ciò implica, da una parte, che la teologia sia al servizio della fede dei cristiani, si metta umilmente a custodire e ad approfondire il credere di tutti, soprattutto dei più semplici” La teologia è ecclesiale per natura sua; la Chiesa non è soltanto una cornice organizzativa ma il suo intimo fondamento  e la sua fonte immediata; dunque la Chiesa non può essere incompetente sui contenuti e teologicamente muta, ma ha una voce vivente: ha la facoltà di parlare in modo da essere vincolante anche per i teologi. E oggi c’è un problema: alla Chiesa, si dice, è stato affidato il ministero pastorale; ad essa spetta di portare l’annuncio ai credenti, non di insegnare ai teologi che eventualmente insegneranno loro al magistero. Ma una separazione del genere tra annuncio, nuova evangelizzazione e dottrina è in opposizione profonda con l’essenza della parola biblica. Una tale separazione non fa altro che riprendere quella divisione psichici e gnostici, con la quale la cosidetta gnosi antica ha tentato di crearsi un libero spazio, e che di fatto l’ha condotta fuori della Chiesa e fuori della fede. Quella separazione presuppone infatti il rapporto che c’è nel paganesimo tra mito e filosofia, simbolismo religioso e ragione illuminata; contro quella separazione era scesa in campo la critica della religione operata dal cristianesimo; come tale, essa è anche critica di un pensiero religioso elitario, classista. Ha effettuato l’emancipazione dei semplici, ha rivendicato anche per loro la facoltà di essere, nel vero senso della parola, “filosofi”; vale a dire, di comprendere ciò che è proprio e peculiare dell’uomo altrettanto bene quanto lo comprendono i dotti; anzi, meglio dei dotti. Le parole di Gesù sulla stoltezza dei sapienti e sulla sapienza dei piccoli (Mt 11,25) hanno proprio questo scopo: fondare il cristianesimo come religione popolare, religione in cui non vive un sistema a due classi.
“Inoltre – continua il Papa -, la teologia, poiché vive della fede, non consideri il magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco, un limite alla sua libertà, ma al contrario, come uno dei suoi momenti interni, costitutivi, in quanto il magistero assicura il contatto con la fonte originaria, e offre dunque la certezza di attingere alla Parola di Cristo nella sua integrità”. La fede dei semplici non è teologia calata sulla massa dei laici, ma il rapporto è esattamente l’opposto: l’annuncio è il criterio della teologia e non la teologia il criterio dell’annuncio, della nuova evangelizzazione. Questa preminenza della fede dei semplici, aiutati oggi dal Compendio, corrisponde peraltro ad un fondamentale ordinamento antropologico: le grandi realtà concernenti la natura umana, l’essere dono del Donatore divino, vengono colte in una percezione semplice, che è fondamentalmente consentita a tutti e che non può mai essere del tutto superata nella riflessione. Non a tutti gli uomini è permesso di dedicarsi alla scienza teologica; a tutti, però, è aperta la via delle grandi intuizioni di fondo. In questo senso il magistero ha un carattere democratico. Esso difende la fede comune, in cui non vi è differenza di classe tra dotti e semplici. L’affermazione che la Chiesa con il suo ministero pastorale è abilitata all’annuncio e non all’insegnamento della teologia scientifica è certamente corretta. Ma il ministero dell’annuncio si impone anche per la teologia e il magistero del Papa e dei Vescovi non va considerato come qualcosa di estrinseco alla teologia, un limite alla sua libertà, ma uno dei suoi momenti interni, costitutivi in quanto assicura la continuità dinamica con la fonte originaria di Cristo nella sua integrità.

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